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Autore: KikiWhiteFly    07/06/2017    1 recensioni
{ Tributo a Rumplestiltskin e Belle } { SPOILER - sesta stagione }. "La strada dal dubbio alla certezza era stata breve e, ancora una volta, aveva riaperto l’ennesima porta e nuovamente aveva scelto di incrociare la strada più tenebrosa, poiché anche se minuscolo, quasi invisibile e ben camuffato da ogni traccia di bontà, in Rumplestiltskin c’era del buono e lei sarebbe stata il suo faro nella notte, a costo di perdersi un po’ nel buio insieme a lui".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“ Io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente
e ad esaminare la mia vita, cercando di capire da dove è partita la crepa ”.[i]

 

Non avrebbero più saputo dire, ormai, qual era stata l’origine della loro situazione attuale: forse era stata una frase detta a sproposito, o forse un attimo di disattenzione o, ancora, un gesto fatto senza pensare all’altro. O forse, molto più semplicemente, erano stati l’ennesima coppia innamorata, convinta come tante altre che l’amore potesse tutto – anche guarire i dolori mai leniti  –, sfondando le porte di un altro cliché favolistico.
Poiché – e probabilmente questa era stata la cosa più difficile da accettare – di favolistico avevano solo le sembianze, la loro storia era sempre stata un susseguirsi di vicende mai conclusesi con un “e vissero felici e contenti”, bensì con l’ennesimo nemico da abbattere. E chi era, in fin dei conti, il vero nemico?
Lui, lei, loro.
Belle non sarebbe stata più in grado di individuare la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, aveva perso da diverso tempo il conto delle volte che si erano dati la colpa a vicenda e dei successivi silenzi che, con arrendevole ammissione da parte di entrambi, dicevano sin troppo.
Rumplestiltskin, d’altro canto, non era più l’uomo prima dell’Oscuro e forse non lo era mai stato, probabilmente aveva perso quella parte di sé troppo tempo fa e dopo anni di magia oscura e azioni malvagie, non lo voleva neppure ritrovare. Se c’era stata una sola cosa di cui non si era mai pentito nella sua lunga vita, era stata proprio quell’amore: l’unica probabilità che non aveva considerato, l’eccezione al di fuori di ogni regola che si era preposto, il lieve bagliore in un mondo che gli appariva null’altro che abissale.

C’erano stati dei momenti di felicità, pur flebili e delicati, forse imperfetti, com’era d’altronde il simbolo del loro legame, una tazzina scheggiata: un oggetto a primo acchito rovinato, provato dal tempo, ma di un candore e di un’unicità singolare al mondo.
Era forse proprio quello, il loro problema – o, meglio, la crepa?
O forse era stato tutto fissato sin dall’inizio, ben prima che potessero rendersi effettivamente conto dei loro sentimenti, a causa di quella peculiare e insolita spaccatura?
Probabilmente era l’ennesimo segno infausto, ma d’altronde ormai la tazzina non esisteva più e ne erano rimasti solo cocci, nient’altro che inconsistenti frammenti di un guscio esterno che ormai era venuto a mancare e che, pur ricostruendolo, non avrebbe più avuto lo stesso aspetto.
Quando si smette di tenere all’altro accade qualcosa che nella vita di tutti i giorni sembra una prassi e quando arriva il proprio turno si stenta quasi a crederci: nulla ha più importanza, le parole non hanno più alcun peso e i gesti sono semplicemente atti meccanici, eseguiti nel segno di un amore che tuttavia aveva smesso di definirsi tale.
Ma le parole, che fossero in cattiva o in buona fede, non erano mai state più aguzze e inferocite di così, né tantomeno sincere: le avevano dette senza remora, accusandosi di non tenere a nient’altro se non al proprio benessere personale, urlandole in cielo senza alcun freno. Avevano preso quei cocci, gli ultimi rimasti, lanciandoseli contro e ferendosi a vicenda, causando dei segni indelebili.




                             Cocci



C’erano delle sere in cui Belle puntava lo sguardo oltre le tapparelle per ore, scattando meccanicamente alla porta, di tanto in tanto; in cuor suo, conservando l’unico bagliore di speranza rimastole, sperava che Gideon oltrepassasse la soglia e si lasciasse cadere tra le braccia della sua mamma. Non c’era nemmeno bisogno che si scusasse o che proferisse parola, le sarebbe bastato stringerlo tra le braccia come aveva fatto non molto tempo prima, quando aveva dovuto compiere la scelta più difficile della sua vita.
E per cosa, poi, a conti fatti? Per ottenerne ancor più dolore, sofferenza e pentimento, per una vita ben peggiore di quella che aveva pensato per il suo bambino – il suo bambino, ironico, non smetteva di immaginarlo come un neonato in fasce.
Come d’altronde aveva immaginato quale grande pericolo Rumplestiltskin sarebbe stato nella sua vita, incosciente del fatto che un bambino meritasse di conoscere il proprio padre, non importa quanto dipendente dal potere. Poteva sentire la sua presenza a qualche passo da lei, probabilmente avvolto nell’oscurità della notte, ma Belle sapeva che non si sarebbe rivelato a lei finché non avesse proferito parola.

« Puoi anche dirlo, sai? », sentenziò, morsicandosi nervosamente le labbra. « È colpa tua. Non ti sei fidata di me. Io non l’avrei mai fatto ».
Rumplestiltskin avanzò dal suo cono d’ombra, distanziandosi quanto bastava da lei – lo stesso distacco che ormai li separava da tanto, troppo tempo.
« Nel momento del bisogno, fai qualsiasi cosa per proteggere le persone che ami – ricordi? Te l’ho già detto ».
Seguì un breve momento di silenzio, poi un sospiro: « Quante volte al giorno posso ripeterlo a me stessa? ».
Belle si sfiorò il ventre, riflettendo su quelli che sarebbero dovuti essere i momenti più felici della sua vita, mentre Rumplestiltskin avanzò ancora di qualche passo, abbastanza da poterla confortare con una mano sulla spalla e da poter sentire il suo respiro sulla pelle nuda.
« Mi dispiace che tu debba affrontarlo, Belle ».

Socchiusero entrambi gli occhi per un istante, dimenticando il male che si erano fatti a vicenda più e più volte negli ultimi mesi, mentre al di là della biblioteca probabilmente regnava il vero caos.
Lo aveva visto davanti ai suoi occhi, non poteva negarlo: Gideon, il neonato in fasce al quale non molto tempo prima aveva donato il suo cuore, aveva intrapreso il cammino dell’oscurità e – avendone l’opportunità – si sarebbe macchiato le mani di sangue senza alcun pentimento.
Di cosa si stupiva, dopotutto?
Aveva segnato il suo destino sin da quando si era innamorata dell’Oscuro, quando aveva deciso di far parte della sua vita, oppure quando aveva dovuto lasciarlo, per poi provare e riprovare a seppellire quei sentimenti, a dar peso alla razionalità piuttosto che al suo lato emotivo, ripromettendosi più e più volte di smettere semplicemente di… provare. E per un po’ aveva anche funzionato, quando non era in possesso del suo cuore ogni cosa le era sembrata più leggera, persino incrociare di nuovo il cammino di Rumplestiltskin si era rivelato meno doloroso. Almeno finché non le aveva restituito ciò che di più caro avrebbe voluto nascondere e, nuovamente, tutti i pensieri che avevano dapprima offuscato la sua mente avevano ripreso vita, lesti e turbinosi come solo un battito cardiaco sarebbe potuto essere, in men che non si dica si era ritrovata a chiedersi come mai l’oscurità in persona, fermo alleato delle ennesime nemiche in circolazione, avesse messo al primo posto il suo cuore, una priorità che mal si sposava con tutti gli intenti vendicatori che da sempre lo avevano caratterizzato.
La strada dal dubbio alla certezza era stata breve e, ancora una volta, aveva riaperto l’ennesima porta e nuovamente aveva scelto di incrociare la strada più tenebrosa, poiché anche se minuscolo, quasi invisibile e ben camuffato da ogni traccia di bontà, in Rumplestiltskin c’era del buono e lei sarebbe stata il suo faro nella notte, a costo di perdersi un po’ nel buio insieme a lui.
E forse, col passare degli anni, si era anche affezionata a quell’oscurità, forse era sempre stato il suo destino quello di imbattersi nelle cose più tenebrose, ragion per cui aveva difeso a spada tratta gli Orchi e aveva intravisto in Gaston una scintilla di perfidia e, infine, aveva deciso di seguire l’Oscuro, compiendo il più grande sacrificio della sua vita.
Probabilmente l’ottenebrante manto di Rumplestiltskin era diventato un po’ anche il suo, ma l’arrivo di un bambino aveva cambiato ogni cosa: le paure di Belle si erano manifestate come mai prima d’allora, i pensieri più oscuri avevano attraversato la sua mente e, tra i timori peggiori, vi era proprio la preoccupazione per la strada che Gideon rimaneva intento a perseguire.
Per la prima volta nella sua vita nemmeno i potevano aiutarla e la conseguente perdita di certezze si apriva come un varco sotto i suoi piedi e quanto più si aggrappava ad una misera fiammella di speranza, tanto più l’abisso si estendeva e, ormai, non riusciva più a scorgerne la luce.

« Non ha ancora fatto del male a nessuno », proruppe Rumplestiltskin, distogliendola dai suoi pensieri. « Non lo farà, te lo prometto ».
Doveva credere alle ennesime promesse?
Quella fu la prima risposta che si diede mentalmente, ma stavolta c’era qualcosa di diverso a frapporsi tra loro e suo marito avrebbe forse avuto il coraggio di dare all’oscurità l’ennesimo motivo per esistere?
Belle non riusciva a pensare alla risposta più adeguata, ragion per cui accettò ben volentieri il conforto che suo marito le stava offrendo, scovando per la prima volta dopo tanti mesi qualcosa che avevano perso molto tempo fa: il sostegno che erano in grado di darsi a vicenda.
Ma l’atmosfera a Storybrooke non era mai stata tanto pesante e non era quello il momento delle parole, né il contesto adatto: stavano iniziando ad abituarsi a quel confortante silenzio, quando improvvisamente udirono la voce di Gideon provenire come un fulmine a ciel sereno, insieme a tanti altri frastuoni. Accorsero entrambi all’unisono, solo per scoprire uno scenario che non lasciava spazio ad ulteriori indugi.


*


Gli abbracci di Belle erano in grado di trasmettere calore umano e di emanare, in qualche misura, la luce che aveva dentro di sé. Spesso, negli ultimi anni, si era chiesto come fosse stato possibile vivere senza quel calore per tutto il tempo in cui credeva di averla persa, poiché ritrovarla era stato come tornare a rivedere uno spicchio di sole dietro ogni angolo d’ombra.
La vita gli aveva dato infinite possibilità e Rumplestiltskin, ne era ben cosciente, le aveva scartate più e più volte, in favore di una forma di dipendenza diversa dall’amore. Aveva sempre amato il potere, lo aveva bramato persino nei suoi giorni peggiori, vi era rifuggito diverse volte, ma non smetteva mai di riproporsi a lui: non importava quanto avesse perso a causa della sua infinita bramosia, non era mai abbastanza.
Almeno finché Belle non ne era stata la vittima e aveva dovuto compiere l’atto che lo aveva allontanato il più possibile da lei e non solo in termini di distanza; eppure, anche in un mondo senza magia, Rumplestiltskin era andato a rincorrere qualcosa che gli donasse nuovamente il potere, il che la diceva lunga a proposito della sua dipendenza.
Era stato quello il momento in cui aveva finalmente capito e accettato le peggiori sfaccettature di sé stesso, ammettendo per la prima volta di non poter essere l’uomo senza rinunciare alla bestia. E non si trattava di una mancanza d’amore nei confronti di Belle, quanto di un analisi sul proprio essere e su quanto gli ultimi trecento anni vissuti da Oscuro lo avessero formato.
L’uomo che era stato un tempo, la breve eppur intensa vita che aveva condotto prima di diventare l’oscurità in persona, era svanito in una coltre di nubi e di lui aveva conservato solo la parte migliore – quella, cioè, che era in grado di tirar fuori con Belle o con suo figlio.
Eppure, affondando il capo nella spalla di Belle, ogni problema sembrava solo un arcano da poter aggirare con facilità e qualsiasi cosa appariva minuscola, superabile e riusciva a sentirsi più forte, persino ora che aveva tutto quel potere. Poiché, se c’era una cosa che aveva compreso negli ultimi tempi, era proprio il fatto che accanto a lei riuscisse a sentire una forza inspiegabile, un tumultuoso crescendo di speranza che non avrebbe saputo definire a parole, ma grazie alla fiducia che Belle riponeva in lui sarebbe stato in grado di affrontare qualsiasi maledizione o qualsivoglia battaglia.
E quando non era accanto a lei avvertiva qualcosa di manchevole in lui, come un pezzo che sarebbe potuto essere integrale solamente se condiviso con la giusta metà – non a caso, aveva conservato la tazzina scheggiata per tutto quel tempo.
Forse quell’oggetto era una metafora del loro rapporto e forse averla dovuta frantumare aveva, in qualche misura, smantellato anche il collante che li aveva tenuti uniti sino ad allora; eppure quella tazzina riappariva nelle loro vite, che fosse nell’Oltretomba o nel mondo dei sogni, come a voler dir loro di guardare ben oltre le crepe e i cocci che il tempo aveva segnato sui loro volti.
Non erano la metafora di un oggetto rovinato, bensì la forza stessa di qualcosa che probabilmente non era perfetto, ma quanto più reale possibile: il passare degli anni aveva visto litigi, dibattiti, separazioni, rappacificazioni, parole crude, pentimenti e, ancora, porte sbattute, innumerevoli addii, lacrime di felicità e di dolore. Ma la loro storia non aveva mai visto nulla che proclamasse chiuso un capitolo, in fin dei conti: forse erano dei masochisti, dei testardi oppure erano semplicemente caratteri troppo forti per mollare le loro opinioni e troppo deboli per potersi lasciar andare.
Forse i loro problemi scaturivano proprio dall’origine della loro unione, ossia il fatto di essere tanto impulsivi da non poter far altro che scontrarsi, nel bene e nel male – e, lo sapeva ben prima di Belle, la vita con un Oscuro non poteva che portare ad una pila di cose negative piuttosto che positive.
Pur tuttavia Belle aveva visto la bontà in quel che, ormai, il tempo aveva impolverato come un vecchio tomo e nella sua fede, Rumplestiltskin, aveva imparato – assai più raramente rispetto a lei, invero – a credere a sua volta, stupendosi per le incalcolabili occasioni in cui aveva avuto ragione.
Quegli abbracci gli ricordavano che Belle era ancora lì, gli facevano sperare che una parte di lei non avesse smesso di credere in lui e, forse, di amarlo? In quel momento, in quel particolare frangente, laddove Gideon era al primo posto, a Rumplestiltskin sarebbe bastata la sua fiducia e null’altro. Nonostante ciò, le mani gli tremavano tanto più si avvicinavano ad accarezzare la schiena di Belle e averla tra le sue braccia era come abbracciare nuovamente la luce stessa, una sensazione che sin troppe volte aveva dimenticato.

« Mi dispiace aver dubitato di te », sussurrò Belle, quasi soffocando quelle parole nel colletto della sua giacca. « Non avrei dovuto. Non in questo caso, non con Gideon ».
Cosa avrebbe dovuto rispondere, in quel momento? Probabilmente che le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, poiché non aveva mai conosciuto un animo più altruista di sua moglie e il sol fatto che era ancora in grado di riporre una certa fiducia in lui lo rendeva ancor più fermo nelle sue intenzioni.
« Non ci pensare più, Belle, non serve a nulla torturarsi ora ».
Poté sentire il suo cenno di assenso mentre si appoggiava ancora una volta, in punta di piedi, sulla sua spalla e Rumplestiltskin, nuovamente, la stringeva a sé, ma stavolta con più decisione; poi rimasero diversi minuti così, talvolta ciondolando un po’, ma intenzionati più che mai a non separarsi da quell’avvolgente abbraccio.


*

Mentre Emma Swan e sua madre se ne andavano, probabilmente fiere di aver proclamato l’ennesimo discorsetto da inneggianti eroine, Rumplestiltskin poteva già scorgere sul volto di Belle una certa rassegnazione.
Non era mai stata il tipo di persona che si era data per vinta nella vita, altrimenti non sarebbe arrivata a sposare l’Oscuro probabilmente, ma l’enorme mole di scompigli causati di Gideon non accennava ad arrestarsi e saperne di essere stata la causa diretta era… beh, in una certa misura era piuttosto demoralizzante. La cosa peggiore era che, sebbene in linea di massima potesse essere d’accordo con Snow White e la sua famiglia, nessuno di loro aveva mosso un sol passo in sua direzione, nessuno aveva dato loro il beneficio del dubbio o le aveva offerto una mano, specialmente dopo che lei aveva rischiato la sua stessa vita a Camelot per poter essere d’aiuto.
Il punto era che la bontà non ripagava poi così tanto come credeva, quindi perché difendere fermamente la gentilezza e la compassione umana come armi di difesa personali?
Perché essere un’eroina, dopotutto, quando non aveva incontrato altro che dolore e perdite lungo una strada che sarebbe dovuta essere nient’altro che in salita?
Le parole di Rumplestiltskin vorrebbero essere di conforto, così come il gesto di intrecciare le sue mani a quelle di Belle, ma in quel momento non poteva dirsi propriamente compassionevole.

« Non credo di essermi mai sentita tanto persa », confessò, mentre le mani di Rumple disegnavano invisibile circonferenze sulle sue. « Voglio dire, che senso ha… tutto? ».
« Lui non è nato così, Belle, a questo devi credere. E tu non sei affatto una persona arrendevole ».
Forse era solo stanca di essere una persona che, dopotutto, aveva perso più che guadagnato, avrebbe voluto rispondergli; ma Rumplestiltskin si sarebbe sentito a sua volta in colpa e, in quella particolare situazione, uno di loro due doveva essere forte per l’altro o altrimenti avrebbero perso a prescindere.
« Anche gli eroi hanno i loro attimi di incertezza, no? Non dice forse così quel libro? », aggiunse Rumple, attirando la sua attenzione.  
« Quale libro? »
« Il tuo libro ».
L’espressione di Belle si distese in un’espressione decisamente più soave e senza alcun dubbio più familiare a Rumplestiltskin:  « Hai letto il mio libro? ».
I loro sguardi si incrociarono per qualche secondo, spezzando per diversi attimi la tensione provocata dall’intero contesto, dopodiché Belle aggiunse: « Tanto per la cronaca, quel libro non dice esattamente così, anzi, non lo dice affatto… ma ho capito qual era l’intento. Grazie ».
A dir la verità, Belle dubitava che avesse mai letto il libro regalatole da sua madre e poi tramandato, come da tradizione, di generazione in generazione e, in quel caso, a Gideon, ma tutto quel a cui Rumplestiltskin mirava era la sua serenità interiore, attraverso qualcosa che le avesse fatto ritrovare un granello di speranza. E doveva ammetterlo, per quanto il contesto richiedesse una forza d’animo non indifferente, quelle parole avevano sortito il loro effetto e ancora una volta le avevano provato che i potevano salvare da qualsiasi battaglia, bisognava solo avere il coraggio di sfogliarne le pagine.


*


Quando Rumplestiltskin l’aveva vista di fronte a sé, non aveva voluto davvero crederci sul momento: la donna che lo aveva abbandonato tanti anni prima, la donna che aveva anteposto i suoi bisogni a tutto il resto, la donna che non era nemmeno in grado di individuare come “madre” e che, nella sua mente, continuava a definire semplicemente la Fata Corvina, per palesare un certo distacco.
Era sicuro di averla odiata quando era ancora un bambino, mentre da adolescente era semplicemente arrabbiato per la sua assenza, finché… beh, finché la vita non lo aveva plasmato nella codardia fatta persona. Poi, non era diventato nient’altro se non un codardo camuffato dalle tenebre dell’oscurità e quel nuovo capitolo della sua prosperosa vita nel segno della malvagità lo aveva condotto ad un nuovo, temibile stadio. Ogni voce nella sua testa, che si trattasse del passato o del presente, era stata ben celata da una miriade di suoni corali e più passava il tempo, tanto più si affollavano nella sua mente, ottenebrando quel passato che non voleva ricordare – i rumori che non voleva sentire, le mancanze che non voleva avvertire, l’umanità che non aveva alcun bisogno di far riaffiorare.
Almeno finché la presenza di Belle nel Castello Oscuro non aveva cambiato ogni cosa, facendogli udire e percepire e… provare, ancor più di prima se possibile. Rumplestiltskin aveva ben presto scoperto che quando non si provavano sentimenti per molto tempo, questi ultimi erano capaci di emergere con una propria coscienza e di ribellarsi come demoni liberi dalle sue grinfie e colpire con una forza tale da far invidia a tutta la magia del mondo.

Quando aveva ricominciato a provare, pur volendo celare alla vista di Belle quei sentimenti, il bisogno di sapere si era risvegliato in lui e il bambino, il ragazzino e l’uomo adulto avevano a lungo lottato al fine di sterminare quei pensieri, ma non essere in grado di capire era una sensazione inspiegabile – sapendo, perlomeno, avrebbe potuto farsene una ragione e chiudere una volta e per sempre quel doloroso capitolo.
Ma se nella Foresta Incantata la Fata Corvina era stata in grado di riaprire delle ferite che non si sarebbero mai davvero rimarginate, nella realtà attuale ciò che prevaleva in lui era la sola indifferenza e quella donna che avanzava con passo deciso verso di lui, la stessa che l’aveva messo al mondo, al momento non era nient’altro che l’ennesima piaga che si frapponeva tra la liberazione di suo figlio e la sua – per l’ennesima volta.
Poteva accettare ogni colpo sferrato da quella donna, ma non le avrebbe permesso di fare la stessa cosa con Gideon, qualsiasi arma avesse dovuto sfoderare per fermarla. Non riusciva nemmeno a sentire la parola “Madre” uscire come un suono usuale dalla bocca di suo figlio, non avrebbe permesso alla Fata di riuscire nel suo losco intento e non sarebbe venuto meno alla promessa fatta a Belle. Non ora, perlomeno, che aveva capito quale fosse il suo asso nella manica e qual era la posta disposta a giocarsi: il cuore di Gideon era nelle mani di quella donna malvagia, ne era certo, una mossa scaltra e inquietante per intimorirlo e per avere al suo fianco l’illusione di una persona che amasse la sua anima perversa.
Rumplestiltskin rimase ben più di qualche minuto a fissare la soglia dopo la dipartita del nuovo duo più temuto di Storybrooke, ancora attonito per l’unica visita che non avrebbe più voluto ricevere. Era ancora sbigottito di fronte alla porta cigolante, quando il calore delle mani di Belle sopraggiunse sulla sua pelle e si voltò in sua direzione, ben sapendo quanto avrebbe dovuto starle vicino – era lei, dopotutto, che si era sentita tradita dal titolo stesso di madre ed era lei, ancora una volta, a dover vedere il suo bambino allontanarsi ancora di più.
E invece, paradossalmente, era Belle a donargli forza ed era lui ad abbandonarsi al suo docile tocco, nel completo silenzio che solo una scia del genere avrebbe potuto lasciare, nel giorno che non avrebbe mai voluto che arrivasse.
Era facile parlare di indifferenza quando la Fata Corvina era a reami di distanza, ma ora che si trovava sul suo stesso suolo il campo di battaglia diveniva una certezza e il fatto stesso di dover affrontare rabbia, dolore, risentimento e indifferenza in un solo scontro era una prospettiva che nemmeno l’Oscuro aveva mai considerato prima d’allora.

« Pensavo che non la dovessi rivedere mai più, mi dispiace », confessò Belle, affondando le dita tra i suoi capelli.
« È la sorte dei cattivi, sai? », sentenziò con tono fermo, pensando a ciò che sarebbe avvenuto in un futuro non troppo lontano. « Si pensa che le nostri sorti saranno sempre migliori, ma prima o poi dovremo pagare tutti. È una legge naturale ».
« Non dire così. Non siete affatto uguali », lo rassicurò Belle, con la solita testardaggine che la contraddistingueva. « Se lo foste, saresti forse qui a salvare ogni giorno nostro figlio? E se lo foste, al momento staresti facendo del male a Gideon anziché cercare una soluzione meno dolorosa possibile ».
Belle prese il suo volto tra le mani e, per un breve e prezioso istante di tranquillità, il mondo gli sembrò già diverso.
« Te l’ho già detto, hai fatto tanti sbagli, ma essere un padre non è uno di questi ».

Belle indugiò in un sorriso amaro, dettato dalla situazione in cui si trovavano, ma riuscì a vedere uno spiraglio al di là delle nuvole che stavano per affastellare un cielo quanto mai oscuro – e pensò, forse per la prima volta, che a essere l’uomo che Belle meritava  avrebbe potuto imparare un po’ ogni giorno, guidato dai suoi sorrisi e dalla sua fiducia.



*


Vi erano stati dei giorni in cui Belle era tornata a casa con la convinzione di dover accudire un bambino, fermandosi nei negozi dedicati ai neonati, talvolta comprando un sonaglio, altre volte un peluche – aveva concesso al suo bambino la migliore possibilità di una vita felice, ne era convinta, pur a costo di privarsi della gioia più grande.
E poi il suo bambino era tornato – non più bambino, invero – e la sua vita era stata tutt’altro che felice, lo poteva dire solo guardando la sua espressione: riconosceva i segni della sofferenza, delle ingiustizie subite, del passare del tempo. E avrebbe voluto gettarsi al collo di Gideon, abbracciarlo e rassicurarlo, perché la sua mamma non gli avrebbe permesso di soffrire un minuto di più, ma, d’altro canto, davanti a sé non aveva più un neonato, bensì un uomo adulto.
Agli occhi di Gideon probabilmente era un’estranea anche in quel momento, nonostante continuasse a incrociare il suo cammino e lo invitasse a tornare dalla loro parte, laddove sarebbe sempre dovuto essere, con i suoi genitori.
Belle non sapeva cosa facesse più male, l’indifferenza del suo bambino – uomo, Belle, è un uomo – nei suoi confronti, oppure il fatto che riconoscesse come madre una donna che di materno aveva avuto ben poco, la Fata Corvina.

Quindi c’erano giorni in cui continuava a circondarsi di oggetti che taluni avrebbero definito inutili, ma che la aiutavano ad arrivare alla fine di una lunga giornata, ricordandosi che prima di ogni altra cosa era una madre – era ancora una madre, nonostante tutto.
Quando Zelena aveva portato la piccola Robin con sé, chiedendole gentilmente di badare a lei per qualche ora, Belle aveva tutto l’occorrente con sé – e, in qualche modo, badare al negozio con i versi indistinti di una bambina in sottofondo, le permetteva di sentirsi ancora quel che forse non sarebbe più potuta essere.
Quanto più Belle scacciava i pensieri negativi, tanto più questi ultimi si affollavano ancor più insolenti e scendevano direttamente dai suoi occhi, nella maniera più inaspettata possibile. Per fortuna quel giorno era sola in negozio e la piccola Robin non era una testimone affidabile, non avrebbe mai voluto che la vedessero così e soprattutto che Rumple la trovasse in quelle condizioni.
Era già abbastanza difficile per entrambi arrivare alla fine di un’altra faticosa giornata senza esser riusciti nelle proprie intenzioni, figurarsi farlo lasciandosi andare a pianti isterici.
Così Belle avrebbe deciso che avrebbe finto, ancora una volta e per l’ennesima giornata, di non dover badare ad una bambina, bensì di doversi preoccupare di un altro essere umano come se fosse il proprio, solo per non tastare nuovamente il sapore salato delle lacrime e per non dover pensare a quanto si era persa di Gideon – dai pannolini alle letture serali, fino al suo primo giorno di scuola e ai drammi adolescenziali –, il quale, pur considerando l’intera situazione, sarebbe rimasto il suo bambino.



*


Ora che Rumplestiltskin aveva scoperto la verità, una serie di emozioni si muovevano vorticosamente in lui e prima d’ogni altra cosa stava ridefinendo il concetto stesso di amore. Si chiedeva se lo avesse conosciuto davvero, dopotutto, se sua madre era stata in grado di mettere alla prova una miriade di bambini al sol fine di proteggere il proprio e, infine, creando di proprio pugno la peggiore maledizione mai esistita, solo per la troppa paura di perderlo.
L’oscurità si era impossessata di lei e, come ogni buon vecchio cattivo, le si era ritorta contro: era divenuta ella stessa l’immagine stessa di ciò che avrebbe dovuto combattere, accettando un destino che di positivo non aveva nulla da offrirle. Eppure, avendo vissuto una situazione in parallelo, Rumplestiltskin non poteva fare a meno di chiedersi quanto l’amore fosse una giustificazione e quando il potere iniziasse a divenire l’unica vera costante – qual era il confine? Lo aveva superato?
E, se sua madre lo aveva davvero amato tanto e poi si era ridotta ad asservire l’oscurità, il fato gli avrebbe riservato lo stesso trattamento?
Forse il destino non aveva proprio nulla a che vedere con l’intera situazione, probabilmente scegliere il potere era una decisione egoistica e confondersi nell’illusorietà protettiva del suo manto non avrebbe mai portato all’agognata strada giusta.

Eppure Belle lo aveva sempre saputo, maledizione o meno, più volte gli aveva ripetuto quanto dietro la bestia ci fosse un uomo, talvolta un eroe e spesso un codardo che si nascondeva dietro la forza che solo il potere era in grado di imbastire.
Le volte che Rumplestiltskin aveva lottato per amore, per l’amore che lo legava all’affetto dei suoi cari, erano state le sue battaglie migliori, ma continuava a non credervi e a tornare indietro sui suoi passi, spingendosi verso un abisso sempre più profondo.
Persino ora che aveva restituito il cuore a Gideon e aveva riconosciuto davvero suo figlio, persino ora che Belle aveva ammesso quanto fosse stata fiera di lui, i pensieri di Rumplestitskin indugiavano su quanto di più negativo, chiedendosi quale tranello la Fata Corvina aveva in serbo per un’unica battaglia vinta stando dalla parte del bene.
Il potere poteva qualsiasi cosa, ma non gli avrebbe di certo dato una nuova personalità: in fondo era sempre la stessa persona, zoppicante o meno che fosse, la quale ripeteva gli stessi sbagli e cancellava il tutto con l’ausilio della magia, in un infinito circolo vizioso.
Se lo chiedeva persino mentre osservava con sospettoso distacco uno scenario che a molti sarebbe parso familiare, forse anche quotidiano: Belle si trovava nella loro cucina, occupata tra le stoviglie e uno sfarzoso banchetto, intenta a inondare Gideon di domande e a essere, finalmente, la madre che era destinata a diventare.
Non la vedeva sorridere da molto tempo, non in modo speranzoso, aveva dimenticato quanto la sola capacità di sua moglie di entrare in una stanza potesse renderla automaticamente accogliente.
Poteva sentirla ridacchiare in sottofondo con Gideon, mentre scopriva quali fossero i suoi piatti preferiti e in quel momento Rumplestiltskin pensò che se avesse potuto fermare il tempo e bloccarlo in un sol punto, sarebbe stato proprio quello: il sorriso di Belle che riempiva la stanza e l’abitudine di suo figlio, certamente ereditata da sua madre, di gesticolare ogni qual volta raccontava entusiasticamente qualcosa.
Rumplestiltskin non avrebbe voluto rovinare quel quadretto, ragion per cui si sentiva sempre inadeguato e aveva la sensazione di dover restare qualche passo indietro: era stato così durante la Guerra degli Orchi e quando aveva scelto la magia a Baelfire e la medesima cosa era accaduta quando aveva lasciato andare per la prima volta Belle – eppure provava l’amore, lo provava sin troppo, così tanto da: “Essere troppo debole per essere buono”, sua moglie lo aveva detto a chiare lettere e aveva centrato il punto.
Ma quale cattivo, dopotutto, aveva mai avuto un lieto fine?
Rumplestiltskin non si era mai illuso, era l’uomo che sceglieva il potere e un giorno – forse neppure troppo lontano – avrebbe pagato il pegno delle sue azioni, come si confaceva a qualsiasi cattivo che si rispettasse. Il fatto che avesse una famiglia non lo rendeva migliore, anzi, probabilmente era destinato a trascinare sulla via della perdizione i restanti membri della sua famiglia – e, almeno per loro, avrebbe voluto una vita migliore.

Ma tutti quei pensieri si dileguavano come neve al sole quando le risa di Belle si interruppero per trascinarlo in sua direzione e grazie al calore delle sue mani sentì, istantaneamente, di esser parte della scena che stava osservando da spettatore, perdendosi nei pensieri più tenebrosi.

« Non vorrai perdere altro tempo, Rumple – specie dopo tutto quel che abbiamo da recuperare con lui », gli sussurrò Belle, avvicinandosi per qualche flebile momento al suo orecchio.

E no, non avrebbe voluto mai voluto che Gideon subisse tanto dolore, ma nei suoi occhi e nel suo sorriso ritrovava Belle e tutto ciò bastava a rassicurarlo: aveva ereditato lo spirito necessario per superare tutto ciò che la vita gli aveva tolto, ne era certo.


*


Quel che aveva permesso alla Fata Corvina di compiere, lo aveva fatto per amore: aveva sperato con tutto sé stesso che quella convinzione bastasse affinché Belle lo perdonasse, per averle fatto vivere l’ennesimo sortilegio da vittima.
Rumplestiltskin aveva ucciso a sangue freddo anche sua madre, una donna che di tale ormai aveva ben poco e che gli aveva impartito un importante lezione: il potere poteva pur essere un afrodisiaco, ma decidere di soccombervi era una scelta squisitamente personale.
Dopodiché aveva dovuto compiere la scelta più dura della sua vita e, se ne rese davvero conto solo in quel momento, scegliere la via del bene sarebbe stata una decisione che avrebbe dovuto compiere ogni giorno, soppesando tanto la parte malvagia quanto quella buona. Era così che si sentiva un cattivo in bilico tra due confini, dopotutto: dentro sé stesso sapeva qual era la scelta più giusta da compiere, ma far ragionare la mente era tutt’altro conto e non cadere in trappole insidiose sarebbe stata una sfida giornaliera.
D’altro canto, buoni e cattivi avevano uno scopo comune: perseguire il proprio credo, destino, strategia o qualsivoglia definire la missione che erano intenzionati a compiere, in nome di un bene più grande. Per Rumplestiltskin, ora che la sua famiglia era riunita, quello scopo era proprio quanto aveva di più caro, la vita gli aveva concesso un’altra possibilità – un nuovo inizio, come lo aveva definito Belle –, tutto quel potere non si sarebbe mai frapposto all’amore.
Restava solo un’ultima cosa da definire e, se tutta quella situazione gli aveva insegnato qualcosa, era avere il coraggio di compiere qualsiasi azione in nome dell’amore e avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere affinché Belle potesse vedere l’uomo che sapeva – ora più che mai – di poter essere per lei e per Gideon.







Belle non ricordava più quale fosse stata l’ultima volta che si era potuta godere un libro comodamente, sorseggiando il suo tè pomeridiano, senza dover compiere delle ricerche su mostri impossibili, creature provenienti da altri reami o mondi paralleli.
Accanto a lei – e questa era l’unica, piacevole novità – i limitati versetti di Gideon rimanevano l’unico sottofondo alla quiete della biblioteca, come d’altronde sarebbe di rito in un contesto del genere, per la prima volta nella sua vita forse poteva tirare un sospiro di sollievo.
Molto, ancora, rimaneva da rimettere al proprio posto: rapporti da riconciliare, amicizie da rinsaldare, un matrimonio da dover salvare per esempio – impossibile non pensare a quell’intera situazione, forse il periodo che avevano trascorso a salvare la versione adulta di Gideon aveva permesso loro di temporeggiare un po’, ma Belle sapeva che non avrebbe potuto rimandare quella discussione ancora a lungo.
Il fatto era che, come gli aveva fatto presente nel mondo dei sogni, tornare insieme a Rumplestiltskin non era solo una scelta d’amore, ma anche un destino beffardo che avrebbe potuto ritorcersi loro contro: il potere non aveva vinto per quella volta, ma sarebbe stato così per sempre o, per meglio dire, finché morte non li avesse separati?
Stare insieme avrebbe causato solamente sofferenze, lo sapeva.
Erano tanti, forse troppi, i pensieri che indugiavano nella sua mente e ogni qualvolta si voltava vi erano due occhi profondamente familiari a ricordarle quanto quella decisione fosse prossima – l’annosa domanda che l’assillava davvero era solamente una: l’amore poteva bastare?
Anni di sofferenze, promesse infrante e dolorose palpitazioni si annidavano malignamente nella sua mente, tanto quanto i ricordi felici, il rincorrersi a vicenda e le maledizioni spezzate. Belle spostò lo sguardo dal libro – era alla prima pagina da circa mezz’ora, ormai – per volgerlo verso le sue tasche ed estrarne qualcosa che significava più di quanto la reale grandezza sottintendesse.
Erano giorni che portava quell’anello con sé, combattuta sul da farsi, così aveva trovato una via di mezzo e continuava ad averlo accanto a sé, ma non del tutto; Belle lo stava rigirando tra le dita, sotto lo sguardo attento di Gideon che ne aveva catturato il luccichio, quasi a giudicare le sue azioni.

« Ehi, non sei al mio posto, non è così facile », disse, volgendosi in direzione di Gideon e arricciando il naso.
Girò la fede nuziale su sé stessa più e più volte e poi, presa da un certo favore, si chiese da quando fosse così restia e poco coraggiosa, aveva affrontato sfide ben peggiori nella sua vita e il neonato nella culla al suo fianco ne era la prova. Belle infilò impulsivamente l’anello al suo anulare, laddove un tempo era appartenuto, con la sensazione di aver appena colmato un vuoto di inestimabile valore: era come se avesse appena riempito – o, meglio, aggiustato – una crepa, come se il pezzo di un puzzle fosse tornato al suo posto e ora poteva ammirare il frutto del duro lavoro portato a termine.
Non era poi così strano che le venisse da comparare la loro relazione a qualcosa di frantumato, il più delle volte: non a caso l’emblema del loro amore era stata una tazzina scheggiata e, se a molti poteva apparire come un oggetto danneggiato, loro avevano sempre pensato che conservasse una certa dignità e una buona dose di realtà. Gli oggetti non erano destinati a rimanere nello stesso stato per sempre, non era nel loro destino, così come le persone: evolvere, modificarsi, talvolta rovinarsi era il naturale corso di ogni cosa, la loro tazzina non era da meno.
Un’incrinatura non poteva rovinare l’intera composizione, pur apparendo anti-estetica nel suo stesso essere, ma le dava certamente un nuovo significato; quando Belle aveva rivisto la tazzina per la prima volta a Storybrooke, aveva pensato che fosse ancor più bella di quanto l’avesse lasciata. Rovinata dal passare del tempo, sicuramente, ma dignitosa nel suo rimanere fermamente scheggiata, nonostante avesse attraversato reami e maledizioni ben più grandi di un comune oggetto da cristalleria.
Belle si era convinta che fosse protetta dal vero amore, ben più forte di qualsiasi cosa il mondo potesse lanciarle contro, ragione sufficiente per continuare a lottarvi e per ricordarle che la speranza era ancora lì, ma l’avrebbe vista davvero solo se fosse andata oltre le inevitabili lesioni.
Anche ora che la tazzina sembrava distrutta per sempre, dopo il sacrificio compiuto da Rumple al fine di liberarsi dalle grinfie di Merida, Belle non avrebbe giurato di non poterla rivedere mai più: era quella la speranza che trovava necessaria conservare, nonostante le perturbabilità e le sfide che la vita metteva sul suo cammino –  la speranza di poter ricostruire anche senza vederne i cocci, affidarsi alla fede più grande mai conosciuta e credervi con tutte le forze.


Persa com’era nei suoi pensieri dimenticò completamente la cena alla quale avrebbe dovuto presenziare, un modo come un altro di riunire Storybrooke – eroi e cattivi, senza più distinzioni di sorta – sotto un unico tetto, letteralmente e figurativamente.
Belle si affrettò a chiudere la biblioteca, portando con sé Gideon e avanzando verso il negozio, col cuore in gola che le batteva forte come la prima volta che aveva baciato Rumple o lo aveva abbracciato o, semplicemente, si erano ritrovati; ma, quando si trattava di suo marito, ogni volta le sembrava la prima e se questo non era vero amore, Belle non avrebbe voluto sapere cosa significasse davvero.

« Ehi, sei pronto? », avanzò con apparente decisione, poggiando Gideon nella culla.
Rumplestiltskin la vide comparire come una sorta di visione, col suo sorriso più brillante e l’abito svolazzante che le dondolava dolcemente dai fianchi.  « Cosa c’è? ».
Per una volta, avrebbe voluto risponderle Rumplestiltskin, non succedeva proprio nulla e stava iniziando ad abituarsi magnificamente a quella prospettiva: semplicemente Belle e Gideon ogni sera nel suo negozio, le luci soffuse e la tranquilla quanto giornaliera vita familiare.
« Sei bellissima », le rispose, dopo qualche attimo di silenzio.
Rumplestiltskin cercò di non darlo a vedere, ma non poté fare a meno di ammirare il luccichio che era tornato a splendere sul suo anulare ad anni di distanza, ancor più brillante di quanto potesse ricordare. O forse era proprio Belle a splendere di luce propria, portando nella sua vita un bagliore che non avrebbe mai trovato da solo, lungo una strada costeggiata da sole trappole.
« È che sono felice, finalmente ».
Nel mentre proferiva quelle parole, Belle voltò lo sguardo verso il volto sognante di Gideon e pensò da quanto non si sentisse tanto sollevata; se c’era stata una cosa che aveva imparato da quell’intera situazione era che, per quanto si fosse ostinata a negarlo, il suo amore per Rumplestiltskin era nato in un Castello Oscuro, nel bel mezzo di un’oscurità tutt’altro che latente, con un uomo che più volte le aveva ricordato la sua vera identità.
Belle aveva negato a sé stessa più volte cosa significasse essere innamorata dell’Oscuro, sarebbe stato come ammettere una macchia d’oscurità sulla sua personalissima fedina d’onore, ma le ultime vicissitudini le avevano più che mai mostrato la reale natura del suo amore – e ciò non significava che avrebbe approvato l’oscurità, beninteso, ma non poteva trascorrere il resto della sua vita senza tenerne conto e non sarebbe cambiata per nulla al mondo.
Sarebbero stati onesti, semplicemente, riguardo ogni aspetto della loro vita: Rumplestiltskin era un amante del potere, ma ciò non significava che non avrebbe potuto amare allo stesso modo la sua famiglia; e, d’altro canto, nella situazione forse più perigliosa della loro vita, nel momento in cui avrebbe potuto ottenere entrambe le cose – amore e potere – non aveva compiuto un gesto egoistico, anche se la natura stessa del cattivo lo impediva.
Rumplestiltskin sarebbe andato contro natura, letteralmente, per amore della sua stessa famiglia e Belle sarebbe stata colei che lo avrebbe guidato, con pazienza e amore, lungo un percorso talvolta accidentato, ma certamente realistico.
Poiché la vera natura dell’amore, dopotutto, consisteva nel camminare insieme e darsi vicendevolmente una mano, tanto nei percorsi accidentati quanto in quelli più regolari, fin dove il viaggio lo permetteva, senza mai aspirare a una vetta finale.

Rumplestiltskin l’avvicinò a sé con delicatezza, come a voler esser certo che quel lieto inizio fosse qualcosa di reale; poi, lasciò che la musica si espandesse nella stanza con uno schiocco di dita e in quel momento non vi era bisogno né di un cerimonioso abito da ballo, né di una platea a regola d’arte, con sontuosi lampadari appesi al soffitto e grandi spazi ove volteggiare.
Bastavano loro due, raccolti nell’intima e soffusa luce quale una stanza del genere poteva donare, tutta la magia era lì: Belle poteva rivedere la prima volta che suo marito le aveva fatto battere il cuore quando era precipitata tra le sue braccia, mentre la mente di Rumplestiltskin rivangava l’istante in cui aveva capito quanto fossero profondi i suoi sentimenti.
I ricordi del passato si confondevano con quelli più recenti, in una stremante lotta tra quanto di negativo e di positivo si erano fatti a vicenda, ma alla fine l’amore non si era mai voluto arrendere e avevano solo dovuto ricordare quanto effettivamente non si fossero mai dati per vinti.
Non avevano bisogno né di parole, né di gesti plateali per riconoscere nell’altro l’unico, vero collante che li aveva sempre tenuti uniti, persino quando erano giunti al proverbiale orlo del precipizio. Era stata la speranza ad averli indissolubilmente legati, sino a rafforzare il loro rapporto, poiché aveva insegnato loro che con pazienza e dedizione i cocci potevano essere raccolti e montati in un’altra, magica forma, forse dalle sembianze simili dalla precedente, forse in modo completamente diverso, l’unico modo per scoprirlo era – paradossalmente – vivendo quella relazione giorno per giorno.


“ Just a little change,
small to say the least,
both a little scared,
neither one prepared…
Beauty and the Beast ”.[ii]







[i] “Io e Annie”, di Woody Allen.

[ii] “Beauty and the Beast”, Disney.






Se siete arrivati alla fine di questo lungo escursus di tredici pagine – e no, il bello è che non posso nemmeno dire di non avere nulla da fare, sono in sessione estiva – grazie, qualsiasi sarà il vostro giudizio.
Il mio intento era quello di colmare alcune scene della 6B (oltre a presentare un breve epilogo della 6A nell’introduzione) lasciate irrisolte, a mio parere. Ad esempio, cosa è accaduto dopo l’abbraccio dei rumbelle? O, ancora, cosa è accaduto dopo la ‘reunion’ della 06x19, per quel breve momento di sollievo pre-maledizione?
Insomma, spero si sia capito, ma ho cercato di colmare alcune scene che sarebbero dovute esserci quantomeno e alcuni discorsi tra i rumbelle che avrei voluto vedere – io la scena dell’anello me la meritavo, tanto per dirne una. ;;
Infine, questa storia non voleva solo essere un racconto della 6B, ho voluto che fosse il più possibile introspettiva e che analizzasse le ragioni da parte di Belle e di Rumple – insomma, che fosse il più possibile ‘capita’.
Infatti ho disseminato la storia di riferimenti, tanto a Skin Deep quanto agli altri episodi Rumbelle centric (sempre troppo pochi!), con tante frasi che si sono detti a vicenda negli ultimi sei anni.
Questa coppia ha avuto il mio cuore – nella gioia e nel dolore, soprattutto quest’ultimo! – in questi ultimi anni e penso che il motivo per cui li abbia amati così tanto, sebbene mi dessero più angosce che gioie, sia stato il fatto che se la speranza che mi hanno dato inizialmente è che ognuno può essere amato, la speranza finale è stata che (anche fosse una coppia su un milione) le cose possono essere rimesse al proprio posto, l’amore non muore mai e tantomeno la speranza. Insomma, per quanto si siano fatti del male a vicenda, non hanno mai smesso di amarsi – anche quando si sono detti le cose peggiori – e questo basta a renderli la mia grande, amata OTP.
Da qui il titolo, “Cocci”, perché avevo questa citazione in testa di un film che adoro che continuava a farmi pensare a loro e per me Once non poteva chiudersi senza un tributo finale alla coppia del mio cuore (anche se spero che Em torni almeno come guest nella settima stagione, sebbene non credo proprio che la seguirò regolarmente).
Ad ogni modo, gazie per essere arrivati sin qui.

Kì.

   
 
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