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Autore: usotsuki_pierrot    09/06/2017    1 recensioni
Kagami è appena partito per l'America, poco prima dell'inizio della famigerata Winter Cup, lasciando per qualche giorno Yuki immersa nei suoi pensieri, nelle sue paure e nell'attesa del suo ritorno.
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Il tabellone con affissi gli orari di partenza e arrivo spiccava appeso al soffitto dell'edificio.
Le pupille della ragazza studiarono con un minimo di riluttanza e rassegnazione ogni parola, ogni città, ogni numero esposto, fino a soffermarsi su una particolare destinazione, quella che avrebbe voluto evitare di vedere fino all'ultimo, quella verso la quale Kagami era diretto: Los Angeles
(primo capitolo).
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Gli occhi neri della bambina si illuminarono. Non aveva mai visto nulla di simile, e si chiese come avesse fatto a non notarla prima, dato che non aveva mai percorso altre se non quella strada. Probabilmente la causa era riconducibile al suo mantenere sempre gli occhi fissi a terra, tranne alcune rare volte in cui Kagami riusciva a distrarla (secondo capitolo).
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«Non era certo il bentornato che speravo di darti...».
La voce della ragazza risuonò nella stanza che fungeva da infermeria mentre, con una mano, ripuliva la guancia del rosso con un fazzoletto intriso con del disinfettante
(terzo capitolo).
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Seijuro Akashi, Taiga Kagami
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hitomi: oc di Heartspowl (Heartspowl's Art su fb);
Elizabeth / Lizzy: oc di una mia cara amica.



Yuki non riusciva a sentirsi tranquilla, non quel giorno. La Winter Cup era iniziata, e la Seirin si trovava lì, sugli spalti dell'enorme stadio in cui il campionato si sarebbe tenuto, ad attendere ed osservare i dintorni. Cosa che avrebbe sicuramente fatto anche la corvina, se non fosse già stata sommersa dai pensieri.
Primo, non riusciva a calmarsi in quella situazione così nuova e grande per lei, si sentiva immensamente piccola passando tra le poltroncine messe a disposizione per gli innumerevoli futuri spettatori e i corridoi intrisi di silenziose sfide tra i giocatori, di spirito di squadra, di determinazione. Ma anche di tensione, paura, delusione, rimpianti.
Secondo, sentiva l'agitazione crescere sempre più, ogni minuto che passava, al pensiero che Kagami sarebbe tornato dall'America. Non che fosse trascorsa un'eternità da quando aveva lasciato il Giappone qualche giorno prima, ma non riusciva a contenere l'emozione al sapere che avrebbe finalmente potuto rivedere il rosso.
Terzo ed ultimo (ma non meno importante, anzi), l'immagine di Akashi e la consapevolezza che presto o tardi l'avrebbe incontrato la preoccupava ed elettrizzava allo stesso tempo. Erano passati all'incirca due anni dall'ultima volta in cui si erano visti, in ospedale, ed era genuinamente curiosa di sapere che strada avesse intrapreso, quanto fosse cresciuto, e, chissà, scambiare quattro chiacchiere. Dopotutto le mancavano la voce di Akashi e le discussioni che intavolavano quando non sentivano il bisogno di lasciar spazio al silenzio che, tra loro, non era mai completamente vuoto.
Camminava accanto a Riko e Hyuuga, che si guardavano intorno come il resto della squadra, parlottando per decidere il da farsi. Yuki si fermò qualche istante ad osservare il campo che si trovava poco al di sotto di loro, al centro della struttura, e sorrise lievemente al pensiero che presto si sarebbero trovati proprio lì, a giocare in mezzo alla folla accanita che avrebbe finalmente potuto assistere alle vere capacità della Seirin. Non sarebbero stati sconfitti, non di nuovo.
Gli occhi scuri della corvina vagarono per lo stadio, quasi avesse dovuto memorizzare ogni centimetro, ed era talmente concentrata che non appena una mano si posò sulla sua spalla ci mancò poco che tirasse un urlo o saltasse fino al soffitto.
Si voltò di scatto, per sapere di chi si trattasse, pensando che, forse, era stata opera di Koganei o di qualche altro membro della squadra. E invece, la figura che si presentò davanti a lei le fece brillare gli occhi e illuminare in poco tempo il viso.
«Lizzy!!», esclamò, noncurante degli sguardi dei presenti. La castana ridacchiò, togliendo la mano dalla sua spalla.
«Yuki-chan! Ti ho trovata, finalmente!».
«È da un sacco che non ci vediamo!!». Il sorriso raggiante che si era dipinto sul viso della ragazza lasciò il posto ad un'espressione decisamente amareggiata e triste nel momento in cui soffermò lo sguardo un poco più in basso.
Elizabeth si reggeva sulle stampelle, le uniche che le permettevano di camminare, e che le avevano concesso una vita quasi normale (sempre meglio che essere confinata a letto), dopo numerose operazioni. Il volto della più bassa si rabbuiò all'istante, e non ebbe più il coraggio di guardare l'ex compagna di squadra negli occhi.
«Mh?». Lizzy inclinò lievemente la testa, sbattendo un paio di volte le palpebre, genuinamente confusa. «Yuki-chan?».
La corvina scosse la testa per riprendersi e scacciare i ricordi più brutti che avevano caratterizzato il periodo delle scuole medie, e cercò di mantenere un sorriso che tuttavia di reale non aveva nulla. L'amica se ne rese conto immediatamente, e portò una mano sulla sua spalla, caricando il peso sulla stampella sinistra e lasciando che la destra si appoggiasse al suo corpo per non cadere.
«È bello vederti! E soprattutto sono felice che tu stia bene, adesso...».
«Al contrario tuo...». Il tono della più bassa era divenuto un sussurro che la castana comprese a fatica, e dopo aver abbassato lo sguardo con un sorriso triste, gli occhi azzurri si rialzarono per posarsi sulla Seirin, che si stava lentamente allontanando.
«Come ti trovi, con loro?».
«Non è importante adesso, ciò che conta è che tu-».
«Ooh, giusto! Ne manca uno, vero? Manca il famoso Kagami!», la interruppe lei, con una punta di malizia nella voce. Le guance della corvina si dipinsero di un rosso acceso, gonfiandosi mentre distoglieva lo sguardo, imbarazzata.
«T-Torna oggi...». Yuki si era arresa. Era impossibile far parlare Elizabeth di argomenti che la ponevano al centro dell'attenzione, o che la facevano soffrire particolarmente, senza che cambiasse discorso. Ciò però non l'aiutava a migliorare la situazione, anzi, non faceva che appesantire il senso di colpa che provava. Dopotutto non aveva ancora avuto il coraggio di dirglielo, ma sapeva benissimo che la colpa di quell'incidente che aveva condannato a morte la carriera a cui teneva tanto era anche sua. Al punto che quando lei, in ospedale, le aveva confidato i suoi sospetti su Akashi, Yuki non solo non l'aveva creduto possibile, ma aveva addirittura preso le parole dell'amica come una maschera. Una copertura. Un modo, per Elizabeth, di spostare la responsabilità da lei al rosso, per non essere costretta ad accanirsi contro una sua compagna di squadra. La corvina tirò un sospiro, sotto lo sguardo preoccupato dell'ex giocatrice.
«Yuki-chan, adesso devo andare... Ma vorrei davvero fare un giro con te, quando la Winter Cup sarà finita... Come alle medie! Ci stai?».
La più bassa sentì un peso liberarle il petto. Non conosceva nemmeno lei esattamente il motivo per il quale quella domanda l'aveva fatta sentire meglio. Probabilmente, si disse, era contenta che nonostante tutto Lizzy avesse voluto ancora uscire insieme a lei, vivere una vita... normale.
Perciò annuì, offrendole un sorriso molto più genuino, mentre la ragazza si avvicinava nuovamente alla sua squadra dopo averla salutata.
Accelerando il passo, fu in grado di raggiungere anch'essa la Seirin, al fianco di Koganei che stava iniziando ad allarmarsi per l'improvviso allontanamento della più piccola.
«Tetsu!!», un'allegra voce femminile sovrastò in un attimo tutte quelle della squadra, i cui giocatori si voltarono all'istante, alcuni persino spaventati, a ricercarne l'origine.
«Hitomi-chan!», Kuroko rispose al richiamo, e venne investito dall'abbraccio della violetta.
«Ti stavo cercando dappertutto!», fece lei, gonfiando un poco le guance in segno di disappunto.
«Sono contento di vederti!», disse lui donandole un leggero sorriso che le fece andare il viso in fiamme man mano che i secondi passavano.
Hyuuga tossì sommessamente, costringendo i due a voltarsi verso di lui, Hitomi quasi a disagio, Kuroko ingenuamente confuso, come al solito. Fu quando Kiyoshi cominciò a ridere di fronte alla reazione della ragazza, che quest'ultima si separò immediatamente dall'abbraccio, diventando paonazza in volto. Si avvicinò in un baleno al gigante castano, dandogli piccoli pugni sul petto, con gli occhi ghiaccio serrati e il viso completamente rosso.
«Teppei-san, non ridere!!», esclamò, con la voce rotta dall'imbarazzo.
«No, no, non rido!», fece lui, con tono ironico, sorridendo e posandole una mano sui capelli viola.
Il capitano sospirò, tentando di riportare l'attenzione dei compagni su di lui. Non fece in tempo a parlare, che l'azzurrino si portò la mano in tasca estraendovi il cellulare.
"Un messaggio?", pensò, facendo scorrere gli occhi chiari sullo schermo illuminato.
«Scusate, posso assentarmi un attimo?», chiese, alzando lo sguardo e posandolo su quello di Hyuuga e di Riko, che si portò le mani sui fianchi con un leggero broncio dipinto sul viso.
«D'accordo, ma non fare tardi! Abbiamo una partita, nel pomeriggio!».
Il giocatore annuì, incrociò per qualche istante le pupille fisse su di lui di Hitomi, e le rivolse un leggero cenno del capo, come a tranquillizzarla e a riferirle silenziosamente che sarebbe tornato presto.
Yuki aggrottò di poco la fronte, non appena Riko ebbe mandato Furihata a seguirlo, osservando la figura di Kuroko allontanarsi. Posò una mano sulla spalla della violetta, che stava per fare lo stesso con un'espressione preoccupata.
«Yuki-san..?», fece lei, non sapendo bene quali fossero le intenzioni dell'amica.
«Hitomi-san, vuoi scoprire dove stia andando Kuroko, non è così?». L'interpellata mise un piccolo broncio, abbassando il capo.
«Beh, sì... Non è che non mi fidi, è solo che-».
«Sei preoccupata, giusto?». La violetta alzò di colpo di occhi fissando il viso voltato della corvina, con uno sguardo colmo di sorpresa.
«Esatto..! Come hai fatto a-».
«Intuizione. Andiamo, seguimi». Yuki non diede alla studentessa della Shutoku nemmeno il tempo di aprire bocca; le prese il polso, allontanandosi in fretta prima che che i compagni di squadra (soprattutto Kiyoshi) notassero la loro fuga, e seguì con gli occhi la figura dell'azzurrino cercando un modo per non percorrere il suo stesso tragitto.
Presto si ritrovarono al di fuori della struttura, ad una distanza più ravvicinata da lui ma che permettesse loro di non essere viste. Quando il ragazzo iniziò a rallentare il passo, Yuki si fermò, tenendo ancora stretto nella mano il suo polso, si voltò verso di lei facendole segno di non aprire bocca posandosi un dito sulle labbra, e poco dopo si accucciarono dietro ad alcuni cespugli. Fu in quel momento che la corvina poté notare ciò che mai si sarebbe aspettata di trovare. Sulle scale si erano riuniti nientepopodimeno che tutti i membri della Teiko.
Kuroko si era fermato poco lontano dai gradini, Midorima, Kise e Murasakibara erano in piedi, l'ultimo con una busta di patatine in mano e il primo con un paio di forbici (l'oggetto fortunato del giorno, pensò lei), Aomine era seduto quasi in cima.
"Cosa ci fanno tutti qui..?", si chiese.
«Sembra stiano aspettando qualcuno», sussurrò Hitomi, che aveva posato gli occhi ghiaccio su di loro.
"Si, ma chi?", si domandò la corvina. "Che sia stato Akashi ad averli fatti venire tutti qui? A quale scopo?".
Mille pensieri attraversarono la sua mente. Se davvero la sua ipotesi fosse stata corretta, Furihata non avrebbe dovuto trovarsi lì. Le pupille si posarono sulla figura di quest'ultimo, che aveva appena fatto un passo indietro alla vista dei giganti della Generazione dei Miracoli.
D'un tratto, proprio i diretti interessati iniziarono a parlare fra loro, includendo anche Kuroko in una discussione di cui Yuki fece fatica a distinguere le parole, ma che aveva tutto l'aspetto di una normale chiacchierata, un po' fredda, distaccata forse. Non di certo ciò che si sarebbe aspettata. Finché dalla cima delle scale non apparve una figura a lei ben nota.
Corti capelli rossi, ciuffi che ricadevano davanti agli occhi, non molto alta di statura. Akashi era finalmente arrivato.
Yuki deglutì rumorosamente, irrigidendosi alla vista non tanto della divisa così diversa da quella a cui era abituata, quanto più a quella delle pupille del ragazzo. L'occhio sinistro dell'amico d'infanzia era infatti... giallo.
«Cosa..?», sussurrò, con i suoi completamente spalancati e le labbra schiuse a causa dell'orribile sensazione che cominciò ad albergare il suo petto.
«Yuki? Yuki, stai bene?», chiese a bassa voce, con un tono intriso di preoccupazione, la violetta, che le posò la mano sul braccio.
«Mi dispiace avervi fatto aspettare», pronunciò solenne Akashi. «Daiki, Ryouta, Shintarou, Atsushi, Tetsuya. È bello rivedervi».
Il corpo della corvina venne percosso da brividi, alle parole del rosso. "No, non è lui...", si disse, tentando di convincersi che stesse solo sognando.
«Tuttavia, c'è un intruso», continuò lui, con lo sguardo puntato quasi senza emozione davanti a lui, in direzione di Furihata. «Scusa, vorrei parlare con i miei ex compagni di squadra. Potresti andartene?».
Il tono di voce di Akashi era così vuoto, che a malapena Yuki avrebbe saputo distinguere quella richiesta da un vero e proprio ordine. I suoi occhi si posarono sul castano, e strinse i pugni constatando che quest'ultimo non aveva ancora mosso un muscolo semplicemente a causa della paura che gli aveva bloccato gli arti e che lo stava facendo addirittura tremare.
Ma proprio nel momento in cui fece per rialzarsi e andare ad aiutare il compagno di squadra, le pupille entrarono in contatto con un'ulteriore figura, appena arrivata, che aveva portato la mano sulla spalla del più basso.
«Kagami..!», sussurrò Yuki, coprendosi subito dopo la bocca con la mano. Fortunatamente, nessuno si era accorto della loro presenza, il che fece sospirare la violetta, sollevata.
«Sono tornato», fece lui con un sorriso che la ragazza poté vedere solo di sfuggita. «Possiamo parlare più tardi», continuò poi, rimettendo la mano in tasca e facendo qualche passo in avanti, con lo sguardo puntato su Akashi.
«Tu sei Akashi, giusto? Felice di conoscerti».
Fu in quell'istante, che Yuki avvertì un orribile presentimento, che peggiorò quando si accorse che l'espressione impassibile del rosso non era cambiata di una virgola.
«Shintarou», riprese a parlare, ignorando le parole di Kagami. «Puoi prestarmi le tue forbici?».
«Mh? A cosa ti servono?».
«I capelli mi danno fastidio. È un po' che vorrei tagliarli».
Il più basso scese le scale lentamente, sotto lo sguardo indisturbato degli altri membri della Generazione dei Miracoli, e non appena si fu avvicinato a Midorima, quest'ultimo gli porse l'oggetto fortunato del giorno.
«Ma prima...». Akashi fece ancora qualche passo in direzione del nuovo arrivato, che lo guardò con un'espressione via via sempre più attenta e preoccupata.
«Tu sei Kagami, non è così?».

Fu questione di pochi secondi. Il rosso aveva allungato con una rapidità sconcertante il braccio verso il viso del più alto, ma era stato bloccato prima che potesse raggiungerlo.
«Yuki-san! Hitomi-chan!».
La corvina era riuscita in poco tempo ad abbandonare il nascondiglio e a piazzarsi il più velocemente possibile tra Akashi e Kagami, afferrando con una mano il polso sinistro dell'ex capitano della Teiko; le dita vi erano strette tutt'intorno, lo sguardo era basso e gli occhi oscurati. La violetta era dal canto suo corsa in direzione dell'azzurrino, fermandosi avanti a lui con il braccio destro alzato in modo da proteggerlo.
«Yuki!!», esclamò Kagami dopo qualche istante di silenzio. L'espressione del rosso, quasi terrorizzata dall'accaduto, si fece preoccupata nel momento in cui realizzò la presenza della ragazza di fronte a lui. Sentì un lieve bruciore attraversargli la guancia, ma non ci fece caso.
La corvina alzò di poco lo sguardo ad incrociare quello scosso da una punta di sorpresa e stupore dell'amico.
«Non mi aspettavo tutti questi visitatori», fece poi. Yuki allentò la presa al suo polso, allontanandolo da Kagami, scoccandogli un'occhiata infastidita.
«Sono sorpreso, Yuki. Non mi aspettavo saresti comparsa dal nulla. L'avrei dovuto immaginare». Akashi riprese a parlare, portandosi lentamente la mano che reggeva la forbice alla fronte. «Ma la prossima volta non accetterò una situazione simile. Quando vi dico di andarvene, dovete farlo».
Il rosso prese a tagliarsi piccole ciocche di capelli che gli ricadevano sugli occhi.
«In questo mondo, vincere è tutto. I perdenti vengono tagliati fuori. Io non ho mai perso in nulla, e mai lo farò. Vinco sempre, e perciò ho sempre ragione. E non proverò pietà nei confronti di chi si oppone a me. Nemmeno se si trattasse dei miei genitori».
Il giocatore finì il discorso, per poi posare la forbice nelle mani del suo proprietario.
«Beh, è ora di andare. Volevo solo passare a farvi un saluto».
«Aspetta, Akashi. Vuoi dire che ci hai riuniti solo per questo?», chiese con voce infastidita Aomine.
«A dire la verità, volevo anche assicurarmi di una cosa», rispose lui. «Ma dagli sguardi che ho visto, non sembra io debba ripetermi. Pare che vi ricordiate tutti della nostra promessa». Akashi rivolse un ultimo sguardo dietro di sé, prima di risalire le scale. «Bene allora. La prossima volta ci rincontreremo in campo».
«Proprio tu parli di promesse..?!», scattò improvvisamente Yuki, alzando gli occhi neri e fissando con espressione corrucciata la figura dell'amico, che tuttavia si limitò a fermarsi, senza voltarsi.
«Che vi succede..? Ma non vedete che non è Akashi, quello?!», continuò lei, guardando uno ad uno tutti gli altri membri della Generazione dei Miracoli. Le pupille le si posarono in fretta su quelle di Aomine, che fece per distogliere lo sguardo.
«Nemmeno tu dici niente, Aomine..?».
Nessuna risposta. Si voltò a guardare Kuroko, che scosse lievemente la testa sotto lo sguardo preoccupato di Hitomi.
«Yuki, calma...». Il tono di Kagami si fece basso, mentre posava la mano sulla spalla della ragazza.
«Yuki-san...», prese a parlare poi la violetta, rivolgendo gli occhi ghiaccio all'amica. «Dovremmo andare...», disse, con voce a metà tra il preoccupato e il premuroso.
La corvina abbassò il capo, stringendo i pugni e mordendosi il labbro. Dopodiché si voltò, posando una mano sul braccio e una sul petto del rosso, per incitarlo ad allontanarsi. Il più alto lanciò un'ultima occhiata al giocatore che aveva minacciato di ferirlo, e seguì il silenzioso invito dell'amica, iniziando a camminare dalla parte opposta, seguito dalla stessa Yuki, da Kuroko e da Hitomi.


«Non era certo questo, il bentornato che speravo di darti...».
La voce della ragazza risuonò nella piccola stanza che fungeva da infermeria mentre, con una mano, ripuliva la guancia del rosso con un fazzoletto intriso con del disinfettante. Quest'ultimo era seduto sul lettino messo a disposizione, e nonostante avesse continuato a ripetere alla corvina che si trattava di un semplice taglio e che tutta quella procedura non era necessaria, nulla avrebbe potuto far cambiare idea alla più bassa.
L'infermiere era appena uscito, assicurando i due che sarebbe tornato poco dopo, e Yuki ne aveva approfittato per cominciare quel discorso al quale stava pensando da minuti interi ormai. Kagami riaprì l'occhio sinistro, fino a qualche istante prima chiuso per permetterle di passare il fazzoletto senza problemi, e posò lo sguardo sul viso dispiaciuto della ragazza.
«Cosa stai dicendo, Yuki?», chiese. «Non è certo colpa tua...».
«Lo so ma ci tenevo tanto!», rispose lei, imbronciandosi, senza tuttavia incrociare il suo sguardo. «Non vedevo l'ora che tornassi...».
La mano di Kagami si posò sul polso dell'amica.
«Hai impedito ad Akashi di fare chissà cosa con quelle forbici...».
«Probabilmente avresti schivato il colpo anche se non ci fossi stata io...».
«Però eri lì, e sei intervenuta». Le dita del rosso si strinsero lievemente intorno al polso della corvina, che arrossì un poco non appena incontrò lo sguardo serio si lui. «A proposito, come hai fatto a-».
«Intuito...». Era così che Yuki rispondeva alle domande di chi, incuriosito, si chiedeva come per lei fosse possibile.
«L'avevi visto, non è così?». La corvina sospirò.
"Ma cos'è? Legge nel pensiero?", pensò tra sé e sé. Ma non avrebbe dovuto sorprendersi così tanto; dopotutto Kagami era l'unico che la conosceva in modo quasi perfetto.
«Si, l'avevo visto...».
Il più alto le prese la mano, costringendola ad alzare gli occhi neri sui suoi, che la guardavano ancora senza distogliervi nemmeno un secondo l'attenzione.
Rimasero praticamente immobili, in quello stato, con le dita che si toccavano, le pupille puntate le une in quelle dell'altro. Il silenzio regnava sovrano nella stanza, nessun passo batteva sul pavimento del corridoio fuori dalla porta.
Il viso di Kagami si fece sempre più vicino a quello dell'amica, che, accortasi della situazione, aveva iniziato ad arrossire, senza tuttavia allontanarsi. Serrò gli occhi nel momento in cui percepì il respiro del ragazzo sulle sue labbra e gli strinse la mano mentre le guance si tingevano dello stesso colore dei capelli del giocatore. Il cuore le batteva all'impazzata, tanto che ebbe il timore che scoppiasse da un momento all'altro. Credette di andare letteralmente a fuoco, a causa del calore che aveva investito il suo corpo pochi istanti prima, e che non solo non accennava a scemare, ma pareva al contrario che stesse aumentando a dismisura.
«Kagami!!». Una voce maschile proruppe all'interno della stanza, immobilizzando entrambi e costringendo Yuki a riaprire all'istante gli occhi, che incrociarono quelli del più alto. La corvina, che era convinta di non poter arrossire più di così, si sentì avvampare ulteriormente alla vista del viso del ragazzo, tinto anch'esso di rosso acceso. Quest'ultimo rimase a fissare, quasi incredulo, le pupille della più piccola, finché non realizzò appieno l'accaduto. Distolse in fretta e furia lo sguardo, con un'espressione decisamente imbarazzata e imbronciata sul viso.
La manager della Seirin deglutì, raccogliendo tutto il coraggio necessario per voltarsi e scoprire chi fosse entrato e avesse esclamato il nome del giocatore a quel modo.
«K-Koga-senpai..!».
Il castano era ancora in piedi sulla soglia della porta, lievemente proteso in avanti a causa della corsa che aveva fatto per arrivare fin lì, gli occhi da gatto erano puntati sui due. D'improvviso, uno sguardo carico di malizia contrassegnò il suo viso, raddrizzò la schiena e si avvicinò al lettino.
«Ho interrotto qualcosa??», chiese, con il tono sbarazzino di chi vuole far intendere a cosa stia pensando.
«A-Assolutamente no..!!», esclamò lei, scuotendo rapidamente il capo.
«Senpai, c-cosa succede?», chiese Kagami, tentando di acquisire nuovamente il controllo della situazione, anche per liberarsi del rossore che aveva tinto in modo aggressivo le sue guance.
«Mmh? Oh, giusto! Kagami, stiamo aspettando tutti te!!», fece il più grande, la cui espressione (fortunatamente per i due) era tornata quella di sempre, forse solo un poco allarmata.
«Arrivo subito!». Il giocatore si alzò, rivolgendo lo sguardo alla più bassa. «Yuki, tu non vieni?», domandò, con un tono apprensivo.
«Vi raggiungo subito!», rispose. In verità, in altre circostanze, li avrebbe seguiti senza problemi. Ma in quel momento sentiva il bisogno di rimanere da sola, convinta che Kagami avrebbe capito. E così fu; il rosso le lanciò una rapida e seria occhiata, quasi come se stesse cercando di analizzarla, e dopo qualche istante di esitazione si lasciò andare ad un sospiro. Si portò la mano dietro la testa, chiudendo gli occhi e mormorando un «non metterci tanto, okay?».
La corvina annuì lievemente, concedendo un ultimo piccolo sorriso all'amico e salutando entrambi una volta che furono definitivamente fuori dalla stanza; stanza che sembrò opprimerla e soffocarla nell'istante in cui sentì i passi dei due compagni di squadra allontanarsi sempre più, accompagnati dalla voce allegra del castano e dal rumore sordo che rimbalzava sulle pareti vuote.
Percepì il respiro appesantirsi, come se d'un tratto i polmoni avessero iniziato ad immagazzinare troppa aria tutta insieme e al contempo non abbastanza da permetterle di accumulare ossigeno. Era il motivo per cui odiava quelle situazioni, non riusciva a sopportare il silenzio causato dalla solitudine e l'ansia ingiustificata che sembrava prendere possesso all'improvviso del suo corpo.
La ragazza si decise a lasciare quelle quattro mura ricolme di oggetti e odori che le riportavano alla mente gli spiacevoli ricordi e le altrettanto amare sensazioni del periodo passato in ospedale. Non osò nemmeno soffermarsi ad osservare i flaconi, le medicine e le siringhe ancora private del loro ago e perfettamente conservate. Si limitò a sistemare ciò che avevano utilizzato, gettando via il fazzoletto.
«Mh? Oh, l'altro ragazzo se n'è andato?». La voce dell'infermiere quasi la spaventò, talmente era concentrata sul reprimere quelle emozioni sgradevoli. Si voltò verso di lui, e con le labbra lievemente curvate all'insù rispose all'uomo che era ormai entrato e stava accuratamente ponendo al loro posto una serie di documenti dall'aspetto importante e noioso.
«Sì, si sentiva meglio...».
«Per fortuna!», esclamò lui, rivolgendole un grande sorriso. «Voi siete della Seirin, non è così? Ho già visto giocare il tuo amico...». Era evidente che stesse cercando di tranquillizzarla, probabilmente a causa dell'espressione turbata che aveva preso possesso del suo viso da quando aveva messo piede in quella stanza.
Yuki abbassò di poco lo sguardo, annuendo.
«Sai, credo che voi possiate vincere quest'anno!», continuò poi lui, osservando con minuziosa attenzione ogni foglio di carta. «Dopotutto se ricordo bene quel...», si interruppe. Guardò avanti a sé, poi la corvina. «Kagami, giusto?».
La ragazza fu sorpresa nel constatare che aveva memorizzato così in fretta il suo nome, ma tentò di focalizzarsi sul discorso, con un secondo cenno affermativo del capo. L'infermiere sorrise, riprendendo a studiare con precisione ogni riga dei numerosi documenti che teneva in mano.
«Dicevo... Quel Kagami ha talento... Mi raccomando, digli di non mettersi di nuovo nei guai!». Il suo tono era così tranquillo e rassicurante che rilassò quasi immediatamente la giovane; dopo un lieve inchino e un «grazie» che tentò di rendere il più gentile possibile uscì dall'infermeria.

I corridoi erano vuoti, decisamente troppo, ma la corvina pensò che fosse normale. Dopotutto, suppose, lo stadio doveva essere ormai pieno di gente già seduta sulla propria poltroncina ad aspettare (alcuni pazientemente, altri meno) che le partite entrassero nel vivo.
Lei, dal canto suo, non si sentiva ancora completamente pronta per unirsi all'entusiasmo generale che sapeva avrebbe percepito nell'aria, pesante come una coperta invernale.
Iniziò a camminare, con lo sguardo basso, senza prestare troppa attenzione all'ambiente circostante, quanto più al pavimento lucido che stava attraversando; quando all'improvviso sentì il rumore sordo di un passo davanti a lei. Alzò gli occhi, riconoscendo all'istante i pantaloni bianchi e azzurri e la felpa degli stessi colori. Esitò nel momento in cui le pupille giunsero al colletto: sapeva chi si sarebbe trovata di fronte, e la figura del ragazzo già le comparve nella mente. Dopo qualche istante sollevò gli occhi fino ad incrociare quelli del nuovo arrivato.
«Akashi...», disse quasi in un sussurro.
«Yuki», rispose lui, in tono freddo. Un tono che non aveva mai sentito usare dall'amico. «Ti stavo cercando».
«Mi stavi... cosa? E la tua squadra? Non dovresti essere con i tuoi comp-».
«Vedo che ti ricordi di me, adesso». Lo sguardo del rosso era puntato, gelido, sugli occhi scuri della ragazza, che per un attimo ebbe paura, non avrebbe saputo bene dire di cosa. Strinse i pugni, corrucciando la fronte.
«No, io non ricordo di te. Io mi ricordo di Akashi Seijuro, quello che ho conosciuto da piccola». "Quello di cui ero innamorata", pensò tra sé e sé, mordendosi il labbro per non rischiare di urlargli una pseudo dichiarazione in faccia, proprio in quel momento.
«Yuki, ma cosa dici?», disse lui, con un tono fin troppo tranquillo e un sorriso che la corvina avrebbe di sicuro definito inquietante. «Io sono Akashi Seijuro».

 

«Mi prometti che non cambierai, Akashi? Qualsiasi cosa accada».
«Yuki...».
«Non voglio perderti, chiunque altro ma non te».


«Tu l'hai dimenticata, non è così?», chiese lei, abbassando di poco gli occhi. «La nostra promessa...».
«Mh? Certo che no...». La sua voce le fece quasi venire i brividi. Ma non quanto le parole che gli sentì pronunciare poco dopo. «Non mi perderai, se lascerai la Seirin...».
La ragazza sgranò gli occhi, guardandolo con un'espressione confusa e spaventata.
«Cosa stai...».
Akashi allungò una mano verso di lei, continuando a sorridere, con quello sguardo che dell'amico d'infanzia che lei conosceva non aveva niente.
«Vieni alla Rakuzan... con me».

 

«Yuki... Vieni alla Teiko, con me».


La corvina si immobilizzò, con gli occhi spalancati, i muscoli bloccati e le labbra schiuse per la sorpresa, che però non fu di certo piacevole quanto quella provata il giorno in cui il rosso le aveva proposto praticamente la stessa cosa. Quella volta, era tutto diverso. Lo sguardo di Akashi era terribile, si avvicinava al minaccioso, niente a che vedere con l'espressione seria e speranzosa di anni prima, quella che tanto le piaceva e di cui si era innamorata.
L'occhio sinistro, quello giallo, peggiorava la situazione, rendendo il tutto ancora più surreale. La mano protesa verso di lei non sembrava volerla aiutare, ma piuttosto *afferrare*, per trascinarla chissà dove. Non come quando, nella palestra della Teiko, nel buio della sera, le aveva offerto quella stessa mano per riuscire a rimetterla in piedi, a risollevarla fisicamente e mentalmente. Quello che si era dipinto sul suo viso non era altro che un ghigno, nemmeno lontanamente paragonabile al lieve sorriso che le aveva da sempre riservato e che bastava per farla arrossire ogni volta.

«Sei-chan..?». La voce di Reo Mibuchi, il giocatore della Rakuzan, compagno di Akashi, pronunciò quasi in un sussurro il nome del rosso, che però non poté sentirla; fu infatti sovrastata dal rumore del potente schiaffo che la sua mano tesa subì da parte della stessa Yuki. Fu costretto ad allontanarla dalla figura di lei, che d'un tratto gli scoccò un'occhiata intrisa d'odio e di determinazione. Ritirò il braccio, guardandola con un'espressione stupita ma non troppo.
Il corvino, che si era tenuto a distanza per osservare il compagno e quella misteriosa ragazza, esclamò ancora una volta il suo nome, avvicinandosi di scatto.
«Come ti permetti?!», disse, rivolto alla più bassa. Ma Akashi lo bloccò, allungando il braccio destro, che si parò di fronte a Reo. Quest'ultimo lo fissò con uno sguardo confuso e sconcertato.
«Sei-chan, che ti prende?», domandò. Ma l'interpellato non rispose, mantenendo gli occhi puntati sulla figura della corvina.
«Vedo che hai fatto la tua scelta», riprese, solenne.
«Non accetterò mai di seguirti, non di nuovo!», tuonò lei. «Anzi, farò tutto ciò che posso per impedirti di vincere contro di noi», continuò.
«Ti dimostrerò che la Seirin non è il posto per te».
«No, niente affatto! Finalmente mi sento a casa, con Kagami, Kuroko e tutti gli altri. Non ti permetterò di rovinare tutto di nuovo!».
«Se ci arriverete, in finale», disse con tono ironico il più alto tra i tre.
«Akashi!», lo interruppe lei. «Quando arriverà il momento, io rimarrò in panchina. Dall'inizio alla fine (*), per aiutare la mia squadra. Dopo quello che ho visto là fuori, ho preso la mia decisione. Non mi tirerò indietro, solo perché si tratta di te», proferì, con voce carica di sfida.
«Saranno i tuoi occhi, contro i miei».
«Cos-».
Fu in quel momento, che Yuki sentì le gambe cedere. Tentò di mantenere il controllo del proprio corpo, spaventata e inconsapevole di ciò che stesse accadendo. Le pupille erano fisse in quelle di Akashi, in quegli occhi che presero a brillare, in special modo quello più chiaro. Lo sguardo del rosso era serio, fin troppo persino per lui. Capì che il problema non era legato al suo corpo quando tentò di distogliere l'attenzione dal suo viso, senza riuscirci. Non la stava semplicemente guardando, la stava quasi ipnotizzando.
Tanto che finì per cadere di fronte a lui, inginocchiata, con i muscoli che tremavano dalla paura o semplicemente dallo sforzo che avevano fatto per rimanere rigidi, per non crollare. La testa della corvina fece lo stesso, e gli occhi ripresero a fissare sconcertati il pavimento lucido, sbarrati e colmi di uno stupore totalmente negativo. Poté sentire i passi dei due ragazzi che si allontanavano, e le loro voci sconnesse.
«Sei-chan, hai fatto bene ad usare l'Occhio dell'Imperatore su quella tizia!».
“L'Occhio dell'Imperatore..?”, si chiese, mentre si rialzava. “Ecco cos'era...”.
Aveva capito. Finalmente aveva scoperto il motivo per il quale guardare negli occhi Akashi era diventato così difficile, tanto che più volte aveva sentito il corpo tremare di fronte a quello sguardo così freddo.

«No».
«Eeeh? Come no?».
«Non avrei dovuto. Non su di lei. La Seirin sarà più tosta di quanto pensiamo, soprattutto adesso».
«Sei-chan sei proprio strano oggi, lo sai? Non riesco proprio a capirti».

“Grazie, Akashi. O chiunque tu sia”. La corvina si portò la mano davanti agli occhi, stringendola a pugno con un'espressione decisa. Lanciò un'occhiata dietro alle sue spalle, una volta alzata, osservando la schiena del capitano della Rakuzan, che continuava imperterrito a camminare.
“Adesso so come funziona...”.



(*): Yuki, come manager della Seirin, aiuta la squadra rimanendo sugli spalti durante la prima metà della partita, e sedendosi in panchina poi. Questo per permetterle di osservare da lontano i movimenti e le azioni degli avversari e dare consigli ai compagni successivamente.

   
 
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