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Autore: Clockwise    10/06/2017    2 recensioni
L’opinione universalmente riconosciuta è che ci voglia qualche miracolo misterioso, un allineamento astrologico o una predestinazione perfetta perché qualcosa come una storia d’amore possa iniziare. Sarà stato vero per Romeo e Giulietta, Artù e Ginevra, Dante e Beatrice – o meglio, così hanno deciso i cantastorie che li hanno inventati, illudendosi di creare qualcosa di unico e immortale, per scongiurare la banalità dell’amore di tutti i giorni. E invece quanta meraviglia c’è nello scontro casuale di due persone – questione di coincidenze ferroviarie, un errore o un calcolo sbagliato per prendere il treno giusto o lasciarselo sfuggire.
Una storia d'amore giovane, fra caffè e insicurezze, solitudine e problemi di giardinaggio.
I absolutely love you, but we're absolute beginners. (David Bowie)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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1.
 
 
Prodigal, you have given me love—therefore I to you give love! 
O unspeakable passionate love. 
W. Whitman, Song to Myself
 
 
Era marzo, la vita scorreva rapida fra le foglie d’erba e i boccioli di narciso, le nuvole si ricorrevano nei cieli, uno schizzo di pioggia seguiva un timido sole, il giorno diventava sempre più riluttante a scomparire dietro il mare. È allora che le loro vite collidono, davanti ad una caffetteria, mentre uno entra e l’altra esce. Se Adriano avesse tardato trenta secondi per andare a prendersi il suo caffè o Bianca fosse arrivata trenta secondi prima, probabilmente non si sarebbero mai incontrati. Era una coincidenza strana come ne capitano tante, a cui uno non fa nemmeno caso, e Bianca ci ripensava spesso, quando si preparava il caffè – pensava a treni e orologi. Per un po’, l’aveva considerata un colpo di fortuna – dopo un po’, si pentì di essere mai salita su quel treno.
«Gesù, Giuseppe e Maria!»
«Oddio, oddio, oddio, scusa! Che t’ho preso?»
«No, no, no, tranquillo, tutto a posto, mi sono solo spaventata. Colpa mia, che non guardo dove vado…»
«Scusami proprio! Sto ancora mezzo addormentato…»
«Ti capisco, ti capisco.» Sorride, scrollando le spalle. «Prima del caffè siamo tutti zombie.»
Lui le sorride di rimando, poi si acciglia, socchiude gli occhi.
«Aspetta un attimo, ma io non ti conosco? Ti ho già vista da qualche parte…»
«Dici? Non so, magari a lezione? Che corsi hai?»
Schiocca le dita, agitando un indice verso di lei.
«Storia moderna! Giusto?»
Il sorriso di lei si allarga. Il ragazzo aveva occhi vivaci e giocosi, dietro le lenti sottili, la sua figura ossuta e longilinea le ricordava Pinocchio, nella versione di Benigni – la metteva di buonumore, per qualche strano motivo.
«Sì, io sto a storia moderna, ma non ricordo di averti mai visto…»
Abbassò gli occhi, lusingata che lui la ricordasse ma imbarazzata di non poter fare altrettanto.
«Io ci sto giusto andando adesso, vai anche tu, oppure…?»
«Sì, sì, vengo anch’io, vengo…» Il sorriso gli illuminava tutto il volto. «Aspetta solo che prendo la mia droga mattutina e andiamo insieme, ci metto un attimo» disse, sparendo dentro il bar. Bianca ci mise un minuto prima di realizzare che stava ancora sorridendo al marciapiede vuoto.
L’opinione universalmente riconosciuta è che ci voglia qualche miracolo misterioso, un allineamento astrologico o una predestinazione perfetta perché qualcosa come una storia d’amore possa iniziare. Sarà stato vero per Romeo e Giulietta, Artù e Ginevra, Dante e Beatrice – o meglio, così hanno deciso i cantastorie che li hanno inventati, illudendosi di creare qualcosa di unico e immortale, per scongiurare la banalità dell’amore di tutti i giorni. E invece quanta meraviglia c’è nello scontro casuale di due persone – questione di coincidenze ferroviarie, un errore o un calcolo sbagliato per prendere il treno giusto o lasciarselo sfuggire. Adriano e Bianca non sentivano squillare trombe nel petto o l’urgenza di declamare in endecasillabi – si erano trovati sullo stesso treno, seduti vicini ad una lezione noiosa di cui non hanno sentito una parola, chiacchierando a bassa voce fra loro, scarabocchiandosi i quaderni con una calda, calma sensazione di tenera speranza che ribolliva in petto. Niente scintille, farfalle, sonetti o baci sotto la pioggia – invece infinite sequele di messaggi a tarda notte, sorrisi sognanti allo schermo del telefono il mattino dopo, occhi che si incrociano per un istante – un luminoso, dorato istante di comprensione, fiducia e affetto profondo – e quindi si allontanano in fretta. I loro baci sono impacciati, esitanti, timidi; diventano teneri, dolci, giocosi; si fanno affamati, vogliosi, invitanti – quindi stanchi, pigri, scherzosi, poi complici, affettuosi – felici. Bianca lo baciava appena dietro la mandibola, sul quadrato di pelle morbida fra il collo e l’orecchio; Adriano le mordicchiava dolcemente il labbro inferiore, pieno e tenero fra i suoi denti.
«Non mi hai mai raccontato del tuo primo bacio!»
Adriano si acciglia, chiaramente seccato di essere stato interrotto in un momento tanto piacevole. Scuote la testa e si china sul collo di lei, intenzionato, all’apparenza, a dipingerlo interamente di baci. Lei si divincola fra le sue braccia – le fa il solletico.
«E dai, tu le sai tutte le mie storie imbarazzanti, tocca a te.»
«Perché dai per scontato che il mio primo bacio sia stato imbarazzante, scusa?»
«E dai, perché è così per tutti – stai troppo vicino, i nasi, gli occhiali che impicciano, non sai che fare, dove mettere cosa, se ti devi muovere, se non ti devi muovere – è strano e basta.»
«Ah, pare che qualcuno abbia avuto un primo bacio imbarazzante…» mormora lui, spostandosi per raggiungere l’altro lato del suo collo. Lei solleva una mano fra i suoi capelli, giocherellandoci sovrappensiero.
«Sei solo troppo romantico per ammetterlo.»
Sorride sulla pelle di lei.
«Forse.»
Alza la testa per guardarla negli occhi. Le posa un bacio sulle labbra.
«Ma non credo che ti dispiaccia, il mio romanticismo.»
(Bacio.)
«In particolar» (bacio) «modo,» (bacio) «quando» (bacio) «ti» (bacio). Si scosta ed esita, le orecchie in fiamme. Bianca sorride, maliziosa – finite le chiacchiere. Si sporge in avanti, beandosi della sensazione delle proprie labbra su quelle di lui, dei capelli soffici, del braccio affusolato sotto le sue dita, del corpo caldo, morbido sotto il suo. Lui risponde con un brivido di sollievo, quindi un’onda di entusiasmo mentre la spinge gentilmente sulle coperte. Risolini, sospiri, gemiti si perdono fra le pieghe delle lenzuola – un brivido condiviso mentre il piacere scivola via dai loro occhi e restano solo respiri e risolini morbidi, baci soffici sui visi accaldati. Il pomeriggio sfuma dietro di loro, sbadigliando e stiracchiandosi, in una notte tiepida, pesante di pioggia. Il respiro di uno si infrange sulla pelle dell’altra, nel gentile abbraccio del sonno. La pioggia ticchetta sulle finestre, in punta di piedi.



 



***
La mia testa ha vissuto in grande confusione, durante lo scorso anno. Questa è la cosa più coerente che io sia riuscita a produrre (!). Saranno pochi capitoli, è già tutta scritta, e penso di pubblicare abbastanza velocemente :) 
La citazione iniziale viene da Song of Myself, in Foglie d'Erba. Ho dovuto rileggere tutta la poesia - che è lunga qualcosa come 50 pagine - per un saggio che stavo scrivendo, e via via sottolineavo i versi che più mi colpivano. Alla fine, ho trascritto alcuni dei versi più belli - e toh, ecco una storia. 
Grazie di cuore, a chiunque sia arrivato fin qui. 
A presto!
–Clock
  
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