Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Christine Enjolras    11/06/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Marius

“Ma dov’è? DOV’È???” chiese Courfeyrac mettendo in disordine tutti i cassetti dell’armadio: il contenuto della libreria lo aveva già buttato a terra in precedenza. Marius, seduto alla scrivania a cercare di studiare per la verifica di diritto, lo guardava aprire i cassetti nervosamente e lo sentiva ripetere in continuazione ‘Dov’è?’. Marius ci stava provando a concentrarsi, con tutto stesso, ma sentire il baccano che Courfeyrac stava facendo lo disturbava incredibilmente: aveva persino provato a tapparsi le orecchie, ma non era servito a granché. Aveva tenuto le mani sulle orecchie finché Courfeyrac non era arrivato a disfare i cassetti della scrivania: a quel punto, il giovane studente dal viso lentigginoso si era girato togliendo le mani dalle orecchie lentamente, un po’ confuso e seccato assieme.

“Ma si può sapere che diamine stai cercando?” gli chiese con una voce che tradiva una rassegnata impazienza. Courfeyrac nemmeno si girò: continuò a vuotare il terzo cassetto della scrivania con la velocità che si addice ad un tifone.

“Il mio codice civile!” disse il ragazzo dalle orecchie a sventola guardando in fondo al cassetto come se vi fosse nascosto qualcosa. Poi alzò un braccio come se stesse maledicendo il mobile e si guardò attorno, prima di gettarsi in mezzo al disordine che aveva creato, quasi volesse essere certo di non averlo lasciato lì in mezzo per sbaglio. “Ero sicuro di averlo da qualche parte!”

“Sì…” disse Marius sedendosi di traverso sulla sedia e notando il disordine che c’era sul pavimento: c’erano libri, quaderni, vestiti, il caricatore del telefono di Courfeyrac… tutto sparso e lasciato cadere come era capitato. Dopo un attimo di silenzio in cui Marius stette ad osservare Courfeyrac guardarsi attorno in mezzo al suo stesso disordine, lo guardò negli occhi e terminò: “Lo hai prestato ad Enjolras settimana scorsa…”

Courfeyrac, che stava ancora cercando in mezzo al mucchio solo con lo sguardo, si immobilizzò, spalancò gli occhi guardando Marius scioccato e, dopo qualche istante, urlò: “HAI RAGIOOOONE!” Dopodiché corse fuori dalla camera da letto, lasciando la porta aperta e Marius da solo in mezzo al disordine. Il lentigginoso ragazzo stava per rimettersi a studiare, quando dal corridoio sentì Courfeyrac bussare forte alla porta di un’altra stanza e gridare: “ENJOLRAS APRIMI! ENJOLRAS!”

Continuava a bussare con insistenza e forza, tanto da attirare l’attenzione di tutti i ragazzi del corridoio, che Marius sentì uscire dalle loro stanze.

“Courfeyrac la pianti?” Era la voce di Joly: si sentiva che era irritato dal baccano e, del resto, come biasimarlo? Courfeyrac stava facendo un tale rumore che probabilmente lo si poteva sentire anche ai piani superiori.

“Che succede?” chiese Bahorel. Marius si voltò lasciandosi la scrivania alle spalle e lo vide di fronte a sé, fermo davanti alla loro porta, con una camicia di jeans chiaro leggermente sbottonata in alto e dei pantaloni marrone scuro: come facesse ad essere sempre così ben vestito a Marius sfuggiva. “PERCHÈ SBRAITI TANTO?!”

“Sta cercando Enjolras per riavere indietro la sua copia del codice civile” gli spiegò Marius con tono esasperato. Era appena un mese che lui e Courfeyrac dividevano la camera da letto, eppure la costante e inesauribile energia che il ragazzo ricciolino aveva sempre addosso era già diventata per il suo compagno di stanza fonte di occasionale fastidio. Non aveva nulla contro Courfeyrac, anzi: con lui era stato sempre molto disponibile e gentile; però sentirlo gridare ad ogni ora del giorno stava diventando piuttosto irritante, specie visto che Courfeyrac non taceva nemmeno la notte.

“E c’è bisogno di fare tutto sto casino?!” chiese Bahorel più seccato di Marius.

“ENJOLRAS!” gridò nuovamente Courfeyrac intensificando la frequenza e la forza dei suoi colpi alla porta.

Il rumore stava diventando talmente fastidioso che Marius sentì persino Bossuet uscire dalla stanza per farlo smettere: “Courfeyrac… pensi di averne ancora per molto?”

Marius vide arrivare anche Grantaire di fianco a Bahorel, quasi del tutto nascosto da una larga felpa rossa con cappuccio con scritto ‘Duff beer’, la stessa che aveva messo quella mattina per andare a scuola. Alla fine, Marius si decise ad alzarsi dalla sedia per provare a fermare Courfeyrac e, mentre si avviava verso il corridoio, sentì un’altra porta aprirsi e una voce far zittire tutte le altre. “Hai finito di fare chiasso?!” Marius la riconobbe subito: era la voce di Combeferre. Quando arrivò nel corridoio e si mise accanto alla parete opposta all’ingresso della sua camera, Marius vide Bossuet appoggiato allo stipite della porta col braccio e Joly subito davanti a lui, mentre Combeferre era sull’uscio della sua stanza, con i capelli bagnati e indosso un accappatoio blu cobalto e le sue pantofole in tessuto scozzese azzurre.

“Non aprivate più!” si giustificò Courfeyrac aprendo le braccia, quasi fosse convinto di aver ragione.

“Ero sotto la doccia, Courfeyrac!” gli disse Combeferre con il suo caratteristico tono di rassegnata pazienza: quante volte Marius glielo aveva sentito usare in quel mese! Stando con loro era riuscito a capire che lui e Enjolras erano un riferimento per tutti i membri del gruppo, persino l’uno per l’altro. Quando non c’era Enjolras era a lui che si rivolgevano tutti quanti e, nel conoscerlo meglio, Marius ne capiva benissimo il motivo.

“E come facevo a saperlo, secondo te?!” gli chiese Courfeyrac dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio: si vedeva che non aveva voglia di ammettere di aver esagerato.

Marius vide Combeferre chiudere gli occhi verdi prendendo un respiro profondo, scuotere la testa sospirando e chiedere molto pazientemente: “Che cosa ti serve?”

“Enjolras non c’è?”

“È forse venuto ad aprirti lui mentre io ero in doccia?” Nella domanda retorica di Combeferre si poteva leggere tutta quell’esasperata irritazione che il suo tono rassegnato non lasciava trapelare.

“Mi stai dicendo che non c’è?” chiese Courfeyrac quasi deluso sbirciando nella stanza.

“No, Courfeyrac” rispose pazientemente. “Non c’è.”

“Tra quanto torna?”

“È uscito con Jehan, non lo so quando torna” rispose Combeferre massaggiandosi una tempia, quasi quel trambusto gli avesse fatto venire mal di testa. “Posso sapere che cosa ti serve?”

“Tu pensa!” sembrò prendersela Courfeyrac, incrociando le braccia imbronciato. “Non si è quasi fatto sentire, non l’ho ancora visto e ora se ne esce senza nemmeno farmi sapere che è successo con il preside! Ti sembra corretto?” Marius non lo aveva mai visto reagire così e, forse, neanche gli altri, perché nel vederlo piantare i piedi a terra, il lentigginoso ragazzo aveva notato che i suoi amici si erano scambiati tutti quanti un’occhiata confusa e, forse, anche un po’ preoccupata. Solo Combeferre sembrava conoscere quella reazione.

“François…” lo chiamò pazientemente Combeferre. “Ha detto che lo racconterà a tutti a cena, ok? Ora: posso aiutarti io o hai bisogno di lui?”

“Ha il mio codice civile: mi serve per studiare” disse più tranquillo Courfeyrac.

“Entra e cercalo.” Detto ciò, Combeferre si spostò per lasciar passare Courfeyrac e chiuse la porta dietro di sé.

 “Ma che gli è preso?” chiese con un filo di voce Joly a Bossuet, ottenendo una alzata di spalle da parte del suo ragazzo.

“Quindi…” iniziò Marius attirando l’attenzione di tutto il gruppo, “quindi non lo avete mai visto nemmeno voi reagire così…”

“No… non che io ricordi” gli rispose Grantaire scambiando uno sguardo con Bahorel. Si guardarono confusi per un attimo, poi Grantaire si voltò di nuovo verso Marius e terminò: “Ma immagino che persino lui non possa essere sempre così allegro come appare: sarebbe anche normale, no?”

“Non dico di no! Solo…” Marius iniziò a sentirsi leggermente in colpa: non voleva certo dire che Courfeyrac dovesse essere solare tutto il tempo… Abbassò gli occhi e non seppe come proseguire il discorso, tra il senso di colpa e la preoccupazione per Courfeyrac.

“Ehi, non sentirti mortificato!” intervenne Bossuet, mettendogli una mano sulla spalla e sorridendogli. “Non hai detto niente di male, Marius: davvero!”

“Assolutamente!” disse immediatamente Grantaire, probabilmente sentendosi in colpa a sua volta. “Non volevo certo metterti in difficoltà: era solo una costatazione, tranquillo!”

“Non preoccuparti per lui” disse Joly dolcemente. “Vedrai che Combeferre risolverà tutto.”

“Ma sì!” disse Bahorel avvicinandosi. “In fin dei conti Courfeyrac non è tipo da tenere il broncio per tanto tempo!” Poi diede una pacca sulla spalla di Marius e gli disse: “Adesso goditi la pausa di silenzio prima che ritorni Courfeyrac!”

 

Il giorno dopo, Enjolras non era andato a scuola. Marius aveva passato la giornata a chiedersi cosa fosse successo al suo amico, fissando spesso il banco vuoto accanto a sé. Non riusciva proprio a concentrarsi sulla lezione, tanto che quando la professoressa di matematica lo aveva chiamato per risolvere l’esercizio, lui non era riuscito a rispondere e aveva ricevuto un piccolo appunto di demerito sul registro. Quel pomeriggio, con Javert non era andata molto meglio: il professore gli aveva fatto qualche domanda a cui lui non era riuscito a rispondere per mancanza di concentrazione.

Quella sera a cena, Enjolras non aveva voluto raccontare niente, esattamente come la sera precedente, in cui, inoltre, non si era nemmeno presentato a tavola. Aveva un’espressione davvero strana e non parlava quasi, se non ogni tanto sottovoce con Combeferre. Quelle volte che qualcuno dei ragazzi cercava di tirarlo su, il biondino abbozzava un sorriso, ma di più non faceva: quando veniva interpellato sembrava cadere dalle nuvole, non prendeva parte ai discorsi, rispondeva svogliatamente e non riusciva neanche a mangiare. Marius aveva cercato di parlargli nel pomeriggio nel momento in cui gli aveva portato su una chiavetta le registrazioni fatte in aula: di appunti non ne aveva presi visto che era troppo distratto, quindi dalla seconda ora aveva registrato le lezioni con il suo telefono. Tuttavia non aveva ottenuto altro che qualche rassicurazione piuttosto evasiva da parte del leader, che aveva scaricato sul suo computer le registrazioni con poca convinzione. Però una cosa l’aveva notata: quand’era entrato, sullo schermo del computer del ragazzo c’era aperto un file con scritto ‘Domanda di trasferimento’. Per tutta la durata della cena, Marius non aveva fatto altro che pensare a quel pdf: che Enjolras pensasse di andarsene? E perché?

Jehan uscì dalla sua stanza che la cena era già finita, dicendo che aveva fatto tardi perché aveva letto troppo. Come arrivò nella sala da pranzo, il minuto ragazzino si sedette a tavola e si fiondò sulla rainbow cake che Grantaire aveva voluto provare a fare quel pomeriggio, sperando di tirare su di morale Enjolras. ‘Non mi aspetto che faccia i salti di gioia, ma un dolce potrebbe aiutare!’ aveva detto a Marius mentre stava preparando la torta. Enjolras, nel vederla, aveva abbozzato qualcosa di simile ad un sorriso, ma non era riuscito proprio a mangiarla. Grantaire era subito apparso dispiaciuto, ma del resto era dal giorno prima che sembrava triste e preoccupato per il biondino.

“Non sarebbe meglio che mangiassi la ratatouille invece che direttamente il dolce?” chiese Joly guardando l’enorme fetta di torta che Jehan aveva tagliato e messo nel suo piatto.

“No, non ho molta fame, grazie!” gli rispose Jehan sorridente, prendendo in mano la forchetta pronto ad addentare il suo dolce. “Il dolce mi basta! È una torta così colorata: sembra buonissima!”

Bahorel guardò la grandezza di quella fetta di torta mentre beveva il caffè. “A guardare le dimensioni di quella fetta non si direbbe che tu non abbia fame…”

Jehan guardò concentrato il suo piatto, analizzandone il contenuto per bene, poi si voltò verso di lui, sorrise, strinse la forchetta tra le mani e disse: “Ma io ho sempre spazio per il dolce!”

“Hai sentito, biondino?” gli disse Grantaire. “Prendi esempio!” Enjolras sembrò non sentirlo nemmeno: continuava a fissare il suo piatto ancora pieno di verdure, tartassandole con la forchetta. “Enjolras…” riprovò un po’ preoccupato.

“Eh?” alzò la testa il ragazzo un po’ confuso.

“Dai, piccolo! Dicci che ti prende!” provò a farlo confessare Grantaire. “Non ci piace vederti così: ci fai preoccupare!”

“Scusate, ragazzi. Io…” iniziò Enjolras, “io non me la sento di parlarvi per ora…”

“Beh” cominciò Courfeyrac, alzandosi in piedi, “visto che l’umore è a terra, ho un annuncio da fare che forse vi tirerà su di morale…” Poi si voltò verso Enjolras e gli puntò l’indice contro: “E tu ascoltami perché riguarda te!” Enjolras rimase a guardarlo disorientato e Marius si sentì di condividere la sua confusione: diede un’occhiata attorno e notò che anche gli altri ragazzi sembravano confusi e si guardavano l’un l’altro come se pensassero di trovare una risposta ognuno nel resto del gruppo. “Ieri,” riprese Courfeyrac estraendo un foglio piegato dalla tasca della sua felpa arancione, “ho trovato questo in camera tua.” Poi porse il foglio ad Enjolras, che lo aprì e, leggendolo sembrò sbiancare.

“Come l’hai preso questo?!” lo interruppe Enjolras mostrandogli il volantino aperto.

“Era nel tuo comodino!”

“Sì, so dov’era!” rispose Enjolras leggermente irritato. “Ma tu come l’hai preso?! Hai frugato nella mia stanza?!”

“Beh, sì…” ammise Courfeyrac. “Mi serviva il codice civile che ti avevo prestato, ma tu non c’eri. Combeferre mi ha aperto” aggiunse indicando il ragazzo dai capelli biondo rame.

“Combeferre!” lo chiamò ad alta voce Enjolras, quasi lo stesse sgridando.

“Pensavo avrebbe preso solo il libro” iniziò a giustificarsi Combeferre, guardando Enjolras mortificato. Poi spostò gli occhi severi su Courfeyrac e disse: “Pensavo che QUALCUNO avesse imparato a non ficcare il naso negli affari altrui!”

“Si va beh: non interrompetemi!” cercò di tirarsi fuori dai guai Courfeyrac zittendo i due amici con la mano. Si schiarì la voce e riprese: “Annuncio a tutti voi che, grazie a me, Enjolras è ufficialmente candidato alle elezioni per il presidente di istituto!” Come finì di parlare, in tutti i ragazzi si lesse un certo entusiasmo: Marius lo notò. Anche lui la trovò una fantastica notizia: Enjolras come rappresentante degli studenti avrebbe potuto fare tantissime buone cose e difendere le reali necessità degli studenti con la forza, l’ardore e la perseveranza di cui solo lui era capace. Si alzarono subito cori di voci compiaciute ed entusiaste, che si confrontavano l’una sovrapposta all’altra su quello che il loro leader avrebbe potuto fare come presidente di istituto e incoraggiavano Enjolras a cogliere l’opportunità e confermare l’indomani stesso la sua candidatura. Tra le varie frasi che riuscì a cogliere, Marius sentì chiaramente Bahorel e Bossuet complimentarsi con Courfeyrac per il colpo di testa. Solo Combeferre e Marius rimasero in silenzio, ad ascoltare tutto ciò che dicevano gli altri ragazzi. Tuttavia, Marius notò che Enjolras non sembrava per nulla felice e osservava Courfeyrac con occhi increduli. Poi chiuse gli occhi e Marius vide Combeferre voltarsi verso di lui e farsi serio; lo vide mettere una mano sulla spalla del biondino e dirgli qualcosa che però non udì.

“Chi ti ha detto di farlo?!” chiese subito il leader infastidito. La sua reazione zittì tutto il gruppo

“Ma come?” chiese Courfeyrac sorpreso. “Non ti piacerebbe?!”

“Rispondi prima alla mia domanda!” ritornò sul discorso Enjolras. “Non hai pensato che se avessi voluto farlo lo avrei fatto io stesso?!”

“Avresti scelto di provarci comunque!” disse Courfeyrac facendo un gesto di indifferenza con la mano. “Ho solo velocizzato la tua scelta, tutto qui!”

“Ho capito” disse Combeferre mettendosi gli occhiali e tirando fuori la sua agendina. “Dovrò iniziare a pensare ai poster elettorali.”

Enjolras si voltò verso di lui, mentre Combeferre scriveva qualcosa sul suo taccuino, e disse ad alta voce, più sconcertato di quanto già non fosse: “Ah, ma quindi tu sei in complotto con questo qui?!”

“Ehi!” urlò Courfeyrac. “Io non mi chiamo questo qui!”

“Tu taci!” disse Enjolras puntandogli un dito contro.

“Perché reagisci così?” chiese Joly sporgendosi in avanti verso il biondino. “Pensa a tutto quello che potrai fare di utile…”

“Già! Sarà fantastico!” si espresse Bossuet. “Quando rappresenterai tutti noi studenti avremo la certezza che ci sarà qualcuno a battersi per noi! Sei talmente testardo che non ho dubbi che lotterai fino all’ultimo per farti valere!”

“Avresti la vittoria facile!” disse Grantaire guardandolo con uno strano sorriso sulla faccia, quasi ridendo. “Guarda solo due giorni fa quanto casino hai fatto, con tutti gli studenti che ti hanno seguito! A scuola ti conoscono praticamente tutti e agli altri ragazzi piaci: sei piuttosto popolare!”

“Non diciamo fesserie!”

“No, ha ragione” lo sostenne Bossuet. “Ci sono tantissimi ragazzi che sanno chi sei, a scuola!”

“Perché non accetti?” provò a chiedergli Jehan. “Se proprio non ce la dovessi fare, almeno ci avrai provato, non credi?”

Enjolras rimase in silenzio qualche istante, quasi ci stesse pensando, ma poi scosse la testa abbassando lo sguardo e rispose: “No, ragazzi… non me la sento di avere a che fare con i professori in questo modo…”

“Disse il biondo sedicenne che vuole lavorare in campo politico…” commentò Combeferre. Tuttavia, Enjolras non rispose e anche gli altri si zittirono e si guardarono perplessi e dispiaciuti. Marius si girò prima verso Courfeyrac, che, dopo aver guardato fisso Enjolras per qualche attimo, ricambiò il suo sguardo e poi, entrambi, si voltarono istintivamente verso Combeferre, come se lui avesse potuto rispondere. Combeferre, dal canto suo, restò a guardare Enjolras pieno di dispiacere, mentre Marius notò che anche gli altri membri del gruppo avevano iniziato a guardare il ragazzo dai capelli biondo rame.

Fu Bahorel a rompere il silenzio, emettendo un lungo sospiro. “Senti, biondino!” lo chiamò il robusto ragazzone con impazienza, appoggiando i gomiti sul tavolo. “Neanche a me piace l’idea di agire nella legalità, ma hai la grandissima opportunità di far valere finalmente la nostra voce! Inoltre potresti dire tutto quello che pensi a la-legge-sono-io e lui dovrebbe stare a sentirti! Pensa che incredibile soddisfazione!”

“Non funziona esattamente così, Bahorel…” gli fece notare Combeferre, prima di essere interrotto da un sospiro di Enjolras.

“Non lo so… ragazzi con Javert non… non è la stessa cosa!” fece notare Enjolras. “Mi darebbe contro a priori e ci sarebbe poco da fare!”

Marius pensò che l’unico modo per convincerlo fosse giocare sporco, suo malgrado, e tirare fuori ciò che aveva scoperto. “La tua alternativa sarebbe andartene?” chiese a bassa voce Marius. Tutti quanti lo guardarono con gli occhi spalancati, poi portarono i loro sguardi su Enjolras: il biondo ragazzo restò a guardare Marius fisso, lo sguardo pieno di sorpresa e di dispiacere insieme. “Ho visto la domanda di trasferimento sullo schermo del tuo computer… mi dispiace…” Enjolras sospirò e lo guardò con occhi severi, prima di abbassare lo sguardo.

“È vero?” chiese Jehan attirando la sua attenzione. “Vuoi andartene?”

“No…” disse Enjolras dolcemente. “No, non voglio andarmene… ma il preside mi ha dato due alternative: o mi candido o mi espellerà…”

“E tu ci stai davvero pensando?!” chiese Joly sconvolto.

“Volevo solo evitare di mettermi fretta” rispose Enjolras. “Non voglio patteggiare direttamente con i piani alti della nostra scuola, ma non voglio nemmeno andarmene e tornare…” Lì si interruppe e non proseguì più, nemmeno dopo una pausa, niente.

“Avanti, Enjolras!” riprese Courfeyrac richiamando il suo sguardo. “Saresti grandioso, io lo so!”

Enjolras passò uno ad uno gli sguardi ansiosi degli altri, evidentemente pensando a cosa fare. Marius si chiese se quando era stato nominato leader del gruppo la scena fosse stata simile: vedere il sostegno degli altri, al nuovo arrivato diede l’idea che i ragazzi avessero per lui un profondo rispetto. “E sia!” si pronunciò alla fine Enjolras. “Se voi pensate che dovrei farlo, allora lo farò, ma ad una condizione!” terminò prima che potessero gioire: tutti rimasero a fissare il suo indice sollevato con il fiato sospeso per la curiosità. Solo Combeferre e Courfeyrac, con cui Enjolras scambiò un rapido sguardo d’intesa, sembrarono aver capito cosa avrebbe detto e sorrisero annuendo. “Io confermerò la mia candidatura solo se voi sarete i membri del mio consiglio. Non posso presentare la lista da solo e non vorrei nessun altro con me. Se non siete pronti a prendervi questa responsabilità, io non lo farò.”

Ci fu di nuovo un rapido giro di scambi di sguardi, ma subito si trasformarono in sorrisi di approvazione e di assenso. Fu così che i ragazzi terminarono la serata a delineare i primi punti della lista di cose da modificare.

Il giorno dopo, Enjolras tornò con i ragazzi a scuola e, come prima cosa, l’intero gruppo accompagnò il leader dal preside Myriel perché potesse presentare la lista del loro consiglio studentesco con grande orgoglio dell’anziano vescovo.

 

Quel giorno, finalmente Marius riuscì a ritrovare la concentrazione per mettersi a studiare: il problema con Enjolras era risolto e lui era decisamente più tranquillo a riavere il suo amico e compagno di banco a lezione. Enjolras sembrava essere tornato il solito ragazzo deciso e forte di sempre: girava con fierezza e a chi gli chiedeva cosa fosse accaduto con il preside rispondeva ‘È una lunga storia, ma va tutto bene’.  Una volta finite le lezioni, il gruppo di ragazzi tornò a casa e Enjolras e Marius si misero ad un tavolo della sala comune a studiare per la verifica di diritto: ormai mancava solo quel pomeriggio alla temuta verifica del professor Javert, quindi non c’era tempo da perdere. Tuttavia, attorno a loro iniziò ben presto a crearsi un certo trambusto: ragazzi che andavano e venivano, televisione accesa, Jehan che, seduto accanto a i due studenti di scienze politiche, leggeva ad alta voce la lezione di letteratura… In tutta quella confusione, Marius rivisse il problema di due giorni prima e cercò di tapparsi le orecchie per studiare, ma proprio la confusione lo disturbava. Enjolras, invece, sembrava perfettamente a suo agio a studiare in mezzo a tutto quel baccano.

“Come fai?” chiese Marius, sorpreso. Enjolras lo guardò con occhi confusi, quasi non capisse a cosa si riferisse, quindi Marius chiarì: “Come riesci a studiare con questo casino?”

Enjolras alzò le spalle e rispose: “Mi aiuta a concentrarmi, in realtà: mi costringe ad isolarmi dal resto e a focalizzarmi maggiormente su quello che sto facendo.”

“A me distrae…” disse Marius provando a concentrarsi di nuovo.

“Beh…” iniziò Enjolras richiamando il suo sguardo: Marius notò che gli stava sorridendo, “io devo restare qui nel caso qualcuno abbia bisogno di me, ma non sei costretto a studiare con me se non ci riesci, davvero.”

“Proverò giù, allora” disse Marius prendendo le sue cose. “Éponine mi dice sempre che non succede mai nulla!” Detto ciò, salutò Enjolras e si recò nella hall della residenza e la trovò deserta.

Nella hall c’era solo Éponine che leggeva un vecchio libro seduta alla reception. “Éponine?”

La ragazza dai lunghi capelli neri alzò lo sguardo e gli sorrise: “Marius!”  Sembrava davvero contenta di vederlo: stare con lei lo metteva sempre di buon umore. “Ti serve qualcosa?”

“Su c’è un po’ troppo chiasso” le spiegò il ragazzo. “Dici che do fastidio se mi metto a studiare qui?”

“Assolutamente no!” gli rispose Éponine indicandogli le poltroncine. “Accomodati pure: qui non dovrebbe disturbarti nessuno! Anch’io sto studiando, quindi non ti darò fastidio!”

“Grazie!” Marius si sedette sulle poltroncine e riprese la lettura del tomo di diritto. La pace di quel posto lo stava facendo concentrare appieno: gli unici rumori che si sentivano erano quelli provenienti dall’esterno, come le auto che passavano ogni tanto per le due strade che affiancavano la residenza Musain, gli schiamazzi dei bambini che tornavano da scuola e delle persone che parlavano per strada. Tutto ciò non lo riusciva a distrarre, anzi: lo aiutava a concentrarsi e Marius pensò che sarebbe riuscito a finire anche gli ultimi due capitoli che doveva preparare per la verifica. Ad un certo punto, però, la porta a due ante accanto alla scala si spalancò e dalla sala da pranzo uscì madame Thénardier con un grande aspirapolvere tra le braccia. Marius sollevò lo sguardo e sperò che l’elettrodomestico le serviva ai piani di sopra, ma le sue speranze furono presto deluse quando madame Thénardier lo accese accanto al bancone.

Éponine alzò lo sguardo dal suo libro e vide sua madre armeggiare con l’aspirapolvere, poi si voltò verso Marius e, mortificata, si rivolse alla madre: “MAMMA, DEVI PER FORZA PASSARE L’ASPIRAPOLVERE ORA?!”

“DOVREI LASCIARE TUTTA QUESTA POLVERE IN GIRO, SECONDO TE?!” chiese madame Thénardier con tono furioso.

“NO, MA NON PUOI PASSARLO DOPO?”

“NO!” Nell’udire il tono perentorio di sua madre, Éponine tornò a guardare Marius, il quale le fece capire che non c’era nessun problema: l’aspirapolvere sollevava moltissimo rumore, ma in fin dei conti non gli dava poi così tanto disturbo. Riuscì a concentrarsi ancora per un po’, quando arrivò anche monsieur Thénardier insieme al piccolo Gavroche.

“CIAO AMORE!” urlò l’alto uomo dai capelli rossi.

“MAMMA IO HO FAME!” gridò Gavroche tirandole lo sporco grembiule. “IN MENSA IL CIBO FACEVA SCHIFO, OGGI: NON HO MANGIATO NULLA!”

Madame Thénardier si voltò verso il figlio con occhi pieni di rabbia e disse: “NON VEDI CHE SONO OCCUPATA?! DOVRAI ASPETTARE!”

“MA UFFA! NEANCHE UN PANINO?!” chiese Gavroche mettendo il broncio.

“ADESSO NO!” disse perentoriamente la bassa donnina dai capelli tinti di biondo. Poi, madame Thénardier si avvicinò a Marius e gli disse: “ALZA I PIEDI!”

“TESORO!” la chiamò monsieur Thénardier. “DOBBIAMO COMPILARE IL REGISTRO CONTABILE!”

“INIZIA TU: IO TI RAGGIUNGO!” Ora Marius poteva sentire la donna urlargli nell’orecchio. I due andarono avanti a discutere perché l’alto uomo voleva che la moglie lo aiutasse con i registri, ma lei non voleva saperne. Il lentigginoso studente sentiva madame urlargli nell’orecchio e, d’istinto, si voltò verso Éponine e Gavroche, i quali lo guardarono a loro volta l’uno con sguardo irritato e l’altra con occhi mortificati. Marius sorrise e sospirò, si alzò in piedi prendendo libro e astuccio, diede un buffetto sulla testa a Gavroche e una carezza sulla spalla ad Éponine per rassicurarla e tornò al piano di sopra. Nella sala comune regnava ancora il caos, quindi Marius provò a tornare in camera sua, sperando che Courfeyrac avesse finito di guardare il documentario per la lezione di filosofia.

“Posso, Courfeyrac?” chiese Marius rientrando in camera: Courfeyrac stava seduto a gambe incrociate sul suo letto con gli occhi fissi sul suo computer portatile. “Hai finito?”

“No, ma ho ritrovato le cuffie!” gli disse lo studente dalle orecchie a sventola mostrandogli il suo paio di cuffie wireless giallo acceso. Poi Marius lo vide armeggiare con il computer e, all’improvviso, la voce monotono che stava parlando della filosofia di Schopenhauer si zittì. “Ecco fatto!” gli disse sorridendo Courfeyrac, indossando le grandi cuffie sulla testa. Marius rispose al sorriso e, nel silenzio della sua stanza, finalmente riuscì a sedersi alla scrivania e a mettersi a studiare in santa pace. Tuttavia, la sfortuna pareva avercela con lui quel giorno, perché, poco dopo, dalla parete a sud, quella dove stava appoggiato il suo letto, sentì provenire degli strani rumori.

“Li senti anche tu?” chiese a Courfeyrac leggermente inquietato. Il ragazzo dai riccioli neri non parve sentirlo, quindi Marius provò a chiamarlo: “Courfeyrac!”

“Sì?” chiese lui voltandosi verso Marius.

“Lo senti anche tu?” chiese nuovamente Marius indicando con un dito la parete sud. Courfeyrac fermò il video, si tolse le cuffie e si mise in ascolto. Anche Marius si concentrò su quei rumori molto più di prima: riuscì a sentire qualcosa che sbatteva contro il muro e come dei… sospiri.

Courfeyrac stette in ascolto ancora un po’, poi constatò: “Ah… direi che Bossuet e Joly si stanno dando da far…” Non fece in tempo a finire di parlare che a quei rumori si unirono anche dei leggeri gemiti femminili. Marius sentì un brivido corrergli lungo la schiena. “Umh,” si mise a ragionare Courfeyrac con stampata in volto un’espressione serena, quasi come per lui sentire quei rumori fosse all’ordine del giorno, “sembra che oggi ci sia anche Musichetta.”

Basta: era troppo. I rumori non erano poi così fastidiosi, ma il pensiero di ciò a cui erano dovuti non riusciva a far rimanere concentrato Marius, che si sentì leggermente schifato ed imbarazzato da quell’immagine. “Io vado a studiare al parco!” disse alzandosi e prendendo le sue cose per uscire.

 “Ma no!” lo fermò Courfeyrac mentre lo osservava riporre libro e astuccio nello zaino e indossare la giacca. “Vedrai che tra poco hanno finito!”

Marius lo guardò in silenzio per qualche istante con la mano ferma sulla maniglia, sconvolto dal suo tentativo di trattenerlo, sentì un altro gemito provenire dalla stanza accanto e, chiudendo gli occhi, se ne andò dicendo solo: “Ciao, Courfeyrac.”

 

Arrivato al parco si sedette in una panchina sotto ad un lampione: non era ancora buio, ma se si fosse dilungato nello studio se non altro avrebbe avuto la luce senza spostarsi. I suoni del parco erano quasi piacevoli: sentiva le grida dai bambini che giocavano, gli schiamazzi di alcuni ragazzi che giocavano a pallone nello stesso campo che lui e i ragazzi avevano usato qualche domenica prima, i latrati eccitati dei cani che inseguivano frisbee e bastoncini. L’atmosfera del parco non lo disturbava affatto: gli piaceva udire quei suoni distanti e vaghi, sentire il profumo della rugiada che bagnava l’erba e gli alberi e quel leggero odore di umido, dovuto alla pioggia del giorno prima, rendeva ancora più fresca e pulita l’aria che Marius respirava in quel tardo pomeriggio di ottobre. Sentiva un leggero freddo ma non gli dava fastidio.

Erano già circa trenta minuti che stava studiando quando un bambino lanciò per sbaglio una palla sotto ai suoi piedi. Marius la sentì toccargli la caviglia e distolse lo sguardo dal libro: quando vide il bambino fissarlo timido e imbarazzato per averlo colpito, Marius gli sorrise, si alzò e gli lanciò la palla con il piede, ottenendo un ‘Grazie, signore!’ da parte del ragazzino. Marius tornò a sedersi e d’istinto si guardò un po’ attorno, finché i suoi occhi non si posarono su una panchina poco più in là e il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. Non seppe dire quando, ma mentre studiava su quella panchina si era seduta una ragazza davvero bellissima. Era una ragazza che, a prima vista, sembrava più piccola di lui: era minuta, esile come un giunco, con dei lunghi capelli biondi chiari, mossi, che le cadevano sulla spalla destra e circondavano un viso roseo, con un nasino piccolo e delicato, delle labbra carnose e dei grandi occhi verdi molto dolci. Marius non riuscì a fare a meno di guardarla: era così bella… La ragazza dovette sentirsi osservata, perché alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e si voltò verso di lui. Marius distolse lo sguardo imbarazzato, fingendo di studiare, ma poco dopo tornò a guardarla: non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. La ragazza lo vide osservarla e tornò a leggere imbarazzata. Marius pensò che forse era meglio finirla lì, quando vide la ragazza guardarlo ancora. Si guardarono per un po’, dopodiché lei gli sorrise, diventando ancora più bella. Marius rispose al sorriso e il suo cuore batté più forte di quanto già non facesse.

Stava per alzarsi e andare a parlarle, quando sentì una voce femminile chiamare: “Tesoro, andiamo?” Dietro di loro, apparve una donna piuttosto minuta, molto magra, con dei corti capelli castani.

La ragazza si voltò verso di lei velocemente e disse ad alta voce: “Arrivo, mamma!” Poi mise il libro nella sua borsetta, e, salutando Marius con un sorriso, se ne andò. Marius rimase a guardarla allontanarsi deluso: avrebbe voluto dirle ‘Aspetta, non andare!’, ma la voce gli si fermò in gola. Poi vide che la ragazza aveva perso qualcosa sulla panchina e, chiudendo il libro, si avvicinò: c’era un fazzoletto in stoffa bianco con alcuni ricami sul bordo e una piccola ‘U’ in corsivo cucita su un angolo. L’avrebbe rivista, Marius ne era certo: prima o poi le avrebbe ridato il suo fazzoletto e sarebbe riuscito a parlarle.

 

 

 

 

– Fine capitolo 4 –

 

------------------------------------------- Fine primo libro -------------------------------------------

   
 
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