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Autore: Feni_rel    11/06/2017    3 recensioni
[Gundam Iron-Blooded Orphans]
La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.
“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!”
What if della serie Gundam Iron blooded Orphans
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed ecco la nostra fanfiction concepita e scritta a quattro mani. E' nata dalle nostre chiacchere successive alla puntata 45 e da lì si è dipanata fino a diventare una vera e propria storia. Avendo sviluppato buona parte della trama nelle settimane successive alla puntata, ci sono ovviamente cose che si discostano dal finale ufficiale. Alcune le abbiamo adattate in corsa, altre sono rimaste uguali perchè... le avevamo indovinate e l'anime è andato effettivamente in quella direzione. Altre ancora sono rimaste nettamente diverse, e quindi alla fine la storia è diventata una What if?.
E' stato molto divertente e stimolante scrivere in questo modo, e spero che leggendo vi appassionerete tanto quanto ci siamo appassionate noi nel buttarla giù.
Non ci dilunghiamo oltre: buona lettura!

 
Capitolo 1

“… non ho intenzione di morire. L’obiettivo è in vista. E io vivrò per vederlo.”
Norba Shino si rese conto all’improvviso di non riuscire più a visualizzare il ‘futuro’. Ciò che aveva sempre desiderato e immaginato, cominciava a perdere chiarezza all’interno della sua mente, i contorni di quei luoghi e delle figure dei suoi compagni finalmente liberi diventavano sempre più sfocati, quasi evanescenti.
Faticò a ricordare cosa gli fosse successo: era salito con sicurezza sull’Hotarubi ormai vuota e aveva puntato il Super Galaxy Cannon contro la flotta di Arianrhod: Un solo colpo e l’avrebbe spazzata via. Qualcosa, però, non aveva funzionato, il suo cannone era stato falciato in due dal colpo di un qualche mobile suit nemico coinvolto nella battaglia e lui stesso aveva visto il raggio deviare tristemente e spegnersi senza successo nello spazio. La vista del nemico ancora intatto era impressa nel suo cervello.
Aveva gridato “maledizione!” con tutto il fiato in gola, ricordava di aver tirato un pugno violento sullo schermo laterale del cockpit. Poi, la frustrazione e il terrore per la sorte dei compagni lo avevano travolto, insieme a quella che era sempre stata la parte più forte della sua indole: l’impulsività. E così, d’istinto, si era lanciato contro la flotta nemica, finendo investito dalla pioggia di colpi dei dainsleif imbracciati dai mobile suit schierati a difesa di Arianrhod. Ricordò il boato di un’esplosione, le fiamme che divampavano nel cockpit, il dolore del fuoco sulla propria carne. Il Ryusei-go aveva tremato nel perdere i propri arti e nell’accartocciarsi delle lamiere della sua corazza.
In quel momento, però, non avvertiva più nulla. Non c’erano fiamme intorno a lui, ma neppure fragori, era come se tutto si fosse improvvisamente acquietato. Sforzandosi di mettere a fuoco davanti a sé, Shino notò di avere il cockpit squarciato e di riuscire a vedere oltre quell’apertura. Era strano il colore dello spazio: rosso, troppo rosso, pensò, mentre del sangue colava dal suo occhio destro. Intravide poi qualcosa fluttuare lungo il lato sinistro e riconobbe le bende con cui Yamagi gli aveva fasciato il braccio ferito, lo stesso che ora non riusciva nemmeno a muovere, perché non lo sentiva più. Ma non era soltanto il braccio, non c’era muscolo che rispondesse ai suoi comandi, tutto il corpo gli sembrava un pesante macigno e l’unica cosa che avvertiva era un dolore lancinante, come se fosse stato fatto a pezzi.
E pensò che, con tutta probabilità, era davvero così.
All’improvviso, il colore rosso dello spazio cominciò a mescolarsi ad uno più nero e tutto si fece più scuro, deformato. Shino si sentiva sempre più stordito, e comprese che ben presto avrebbe perso definitivamente conoscenza. Non sapeva se aveva fatto la cosa giusta, ma lo sperò. Sperò, con quel gesto spericolato, di aver dato ai suoi compagni una possibilità di salvezza e che ora fossero al sicuro da qualche parte nello spazio.
Quante volte aveva fatto preoccupare Yamagi per la sua imprudenza? Il ricordo del compagno gli provocò uno strano dolore fra stomaco e torace, diverso da quello che gli stava corrodendo le ultime forze.
“Yamagi”
Mosse le labbra ed ebbe l’impressione di sentire la propria voce pronunciare il suo nome. Yamagi, che gli era sempre stato vicino, che si era sempre preso cura di lui con discrezione, che l’aveva amato in silenzio.
Yamagi, che stava aspettando il suo ritorno.
Per la prima volta nella sua vita, Shino provò un profondo senso di inquietudine e abbandono e capì con amarezza di stare temendo la solitudine della morte. Dentro di sé chiese perciò scusa a Yamagi per non poter mantenere la promessa di andare a bere insieme. Ma, soprattutto, gli chiese scusa per non poter mantenere quella più importante: sopravvivere.
Non aveva ancora terminato il flusso di pensieri che ciò che gli era sembrato il proprio respiro si bloccò, il corpo divenne rigido e l’oscurità finì per inghiottirlo.
Ormai, Shino non poteva più sapere che sulla Isaribi Yamagi Gilmerton stava tremando, scosso da un’angoscia e da quel brutto presentimento che era sempre stata la sua più grande paura.

 

I danni erano stati ingenti anche questa volta. C'era una lista infinita di riparazioni da fare, ma i pezzi di ricambio scarseggiavano, e la maggior parte degli interventi sulla nave e sui mobile suit non sarebbe stata possibile fino a che non avessero avuto nuovi rifornimenti.
Lui e gli altri meccanici avevano già sistemato il possibile, e infatti molti di loro non si trovavano nemmeno lì. Facevano bene a riposarsi e dedicarsi ad altro, visto che non sapevano cosa avrebbero dovuto affrontare una volta arrivati su Marte, ma lui non ci riusciva.
Yamagi aveva un bisogno disperato di lavorare, o sarebbe impazzito. Dopo lo sfogo con Orga, dopo aver parlato con Eugene, i suoi pensieri ed il suo dolore per la morte di Shino erano divenuti un'accozzaglia continua che si rimescolava nella sua mente senza ordine e senza interruzione. L'unico modo per rimanere lucido era tenersi impegnato, continuando a mostrare agli altri quella facciata impassibile e schiva che col tempo Shino era riuscito a smantellare almeno in parte, e che ora gli si era richiusa attorno come una tagliola, intrappolandolo.
Si posò su una delle piattaforme accostate al cockpit del Landman Rodi, e cominciò a scorrere le informazioni sul tablet. Se non poteva sostituire parti meccaniche, forse poteva dare un'occhiata alla sezione dei comandi. Non si orientava bene tra le informazioni di quel modello: si era sempre occupato quasi esclusivamente del Ryusei-go, e quando aveva copiato quei dati, nei giorni precedenti, non aveva nemmeno avuto la forza di organizzarli in maniera logica.
Quando, scorrendo le pagine, si trovò davanti agli occhi la schermata con i piani di montaggio del cannone dainsleif, l'apatia che lo aveva rivestito fino a quel momento venne squarciata da un dolore acuminato che gli bloccò il fiato in gola, offuscandogli la vista e facendolo accasciare a terra. Il tablet gli scivolò dalle mani e finì con lo sbattere contro il pavimento della piattaforma, per poi sollevarsi di rimbalzo e finire a fluttuare poco distante. Il rumore metallico produsse una eco contro le pareti dell'hangar deserto.
Si prese la testa tra le mani, stringendo gli occhi. Perché aveva accettato di montargli quel maledetto cannone? Avrebbe voluto piangere, ma il nodo che aveva alla gola era così stretto e doloroso che non lasciava passare nemmeno le lacrime.
 

“Non è colpa tua.”
La voce di Kassapa lo riscosse. Si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, completamente disorientato. Doveva essere fermo in quella posizione da un po', perché le spalle e le ginocchia gli fecero male quando provò a girarsi verso il capomeccanico.
“C-cosa?” Balbettò.
“Ho detto che non è colpa tua. - Ripeté l'altro, indicando con un gesto la schermata del tablet, ancora acceso su quella pagina. - E' stata una decisione di Shino.”
Yamagi non si stupì che l'uomo avesse capito perché si trovava in quello stato. In fondo lo conosceva da quando era un bambino.
“Non è vero! E' stata una decisione stupida, nient'altro che un suicidio! E io lo sapevo, lo sapevo nel momento stesso in cui me ne ha parlato... ma ho accettato. Sarebbe bastato che gli dicessi di no... e lui avrebbe rinunciato. - Strinse i pugni con rabbia, mentre finalmente le lacrime arrivavano fino agli occhi, senza però riuscire a staccarsene. - E invece gli ho montato quel maledetto cannone. Sono io che l'ho mandato a morire in quel modo!”
Kassapa rimase per un attimo spiazzato da tutta quella rabbia, ma poi si riscosse.
“Spettava a Shino decidere, e tu gli hai permesso di scegliere il proprio destino. Hai dimostrato coraggio lasciandolo libero.”
“Coraggio... - Ripetè amaramente Yamagi mentre si aggrappava al parapetto della piattaforma per rimettersi in piedi con fatica. - Non è stato coraggio, ma solo egoismo. Avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e io l'avrei fatta. Gli ho montato il dainsleif semplicemente perché... perché l'idea di deluderlo mi spaventava troppo.”
Il vecchio sospirò, sedendosi sul bordo del cockpit aperto.
“Se Shino non avesse fatto di testa propria, non saremmo riusciti a fuggire. Probabilmente a quest'ora molti di noi sarebbero morti.”
Yamagi strinse le labbra, abbassando lo sguardo. Kassapa ricordava le sue parole, mormorate tra i denti il giorno stesso della battaglia: per lui non aveva alcun valore un luogo in cui tornare, se non poteva condividerlo con Shino. Così il vecchio cercò di aggiustare il tiro.
“Yamagi, come credi che si sentirebbe ora Shino, se avesse rinunciato alla possibilità di salvarci? Forse sarebbe vivo, ma credi che starebbe bene?”
Il ragazzo sollevò lo sguardo verso di lui, sorpreso. Per un attimo sembrò soppesare quelle parole, ma poi tornò a guardare in basso.
“Io... non lo so cosa sarebbe successo. E non so come si sentirebbe lui. - Scavalcò il parapetto con un gesto nervoso. - So soltanto che Shino è morto, e questa è la mia punizione.”
E prima che l'altro potesse rispondere, si allontanò. Un paio di gocce d'acqua e sale rimasero sospese, brillando nel riflesso delle luci fredde dell'hangar.

   
 
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