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Autore: _Frame_    11/06/2017    1 recensioni
[Human!AU][Gakuen!Verse]
[GerIta!Centric; accenni ad altre coppie]
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La festa di fine anno scolastico alla World Academy W si avvicina. Fra passeggiate all’ombra dei ciliegi in fiore, riunioni segrete da Starbucks, piani di intrufolamento in farmacia, e navigazioni in incognito su WikiHow, l’impavido e sfortunato Kiku Honda ha un’unica missione da portare a termine: organizzare la Prima Volta dei suoi due migliori amici.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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N.d.A.

Vi prego di prendere questa storiella, nata per tirarmi su in un periodo poco felice, per l’idiozia che è. Buon inizio della stagione estiva a tutti, gente! /( ^-^)/ Non è vero, io odio lestate...


 

Come perdere la verginità grazie a WikiHow e a un pacchetto di caramelle al malto

 

 



1. WikiHow

 

 

Lo squillo della campanella di fine lezione si estinse, lasciò l’eco di un ronzio cristallino sparso fra le pareti dei corridoi dove già si stavano riversando le ondate di studenti appena sgorgati fuori dalle aule appena aperte. La porta dell’aula di biologia C-3 si spalancò sbattendo l’anta sul muro, la spinta di un piede la tenne aperta, i ragazzi corsero fuori infilandosi le tracolle attorno alle spalle, altri indossarono la giacca della divisa primaverile che si erano tolti a lezione, uno studente si girò a lanciare una pallina di carta nel cestino accanto al portaombrelli, un altro ancora estrasse una merendina alla vaniglia e fragola dalla tasca della borsa e ne strappò un morso avido. L’eco della campanella si dissolse completamente, scavalcato dal frastuono di passi, di suole di gomma che singhiozzano sulle piastrelle, e di risa e di borbottii degli studenti che festeggiavano l’ultimo giorno di scuola.

Feliciano si fece spazio fra le spalle degli ultimi ragazzi che stavano uscendo dall’aula di biologia, strinse al petto i due volumi di “Scienze integrate: Biologia e Anatomia 1 e 2”, e si aggrappò alla mano di Ludwig con il braccio libero per aiutarlo a uscire dalla calca. Girò lo sguardo e alzò la voce per farsi sentire e continuare il discorso che aveva iniziato durante gli ultimi istanti della lezione. «Pensavo solo che prima della festa sarebbe bello passare da qualche altra parte per cenare» esclamò sopra le voci degli altri ragazzi che correvano nel corridoio. «L’anno scorso al buffet della palestra si sono spazzolati subito le pizzette e le tartine di tonno, ed erano rimaste solo quelle piccanti che io odio e che non riesco proprio a mangiare perché poi mi brucia la bocca per almeno tre giorni, e così ho mangiato patatine al formaggio per tutta la sera. Per tutta la sera! Solo patatine al formaggio!»

Anche Ludwig sgusciò in mezzo ai fianchi degli studenti che si spostarono di un passo per lasciarlo passare – alcuni guardarono in alto e fecero un passo all’indietro, intimiditi dalla sua stazza. Ludwig strinse la mano a Feliciano per non farselo sfuggire, si girò e chiuse di più anche quella che aveva avvolto attorno alla manica di Kiku per non perderlo in mezzo al trambusto. Uscirono tutti e tre. Kiku finì invaso dall’aria fresca del corridoio, rivolse a Ludwig un sorriso di cortesia per ringraziarlo di averlo tirato fuori dalla calca, e si spazzolò la manica stando attento a non far scivolare giù la borsa a tracolla. Feliciano lasciò la mano di Ludwig, girò la sua borsa all’altezza del ventre, aprì la prima tasca, e fece spazio fra i libri per infilare quelli che aveva in mano.

«Se arrivassimo alla festa già con lo stomaco un po’ pieno» continuò Feliciano. «E non dico tutto tutto pieno, ma almeno un pochino, uh, diciamo mezzo pieno, potrei pensare di più a divertirmi senza essere distratto dalla pancia che brontola.» Richiuse la cerniera, si sistemò la tracolla sul fianco, e un lampo di realizzazione e spavento gli attraversò gli occhi. Feliciano si batté la mano sulla fronte. «Oh, a proposito di distrarmi, mi sono dimenticato di segnare i problemi di matematica che ci hanno dato per le vacanze.» Si strofinò la nuca, piegò un risolino imbarazzato, e spostò lo sguardo su Ludwig e Kiku. «Uno di voi ha per caso...»

Ludwig e Kiku si scambiarono uno sguardo perplesso ma non stupito. Ludwig sospirò, infilò la mano nella tasca esterna della sua borsa ed estrasse due pagine di quaderno piegate in quattro. «Te li ho presi io.» Porse i compiti a Feliciano.

Feliciano sorrise, allungò le braccia per afferrare i fogli, ma Ludwig li sollevò prima che potesse sfiorarli. Squadrò Feliciano con occhi severi. «Vedi di non perderli» gli disse. «Non voglio trascorrere gli ultimi giorni delle vacanze a farti copiare i miei com’è successo a Natale solo perché tu avevi perso gli appunti con sopra le consegne.»

Feliciano giunse le mani davanti al petto, come in preghiera, e scosse il capo allargando un sorriso di gratitudine. «No, no, lo prometto, giuro, Ludwig!» Salì sulle punte dei piedi, prese le pagine dalle sue mani, si appoggiò a una sua spalla e gli schioccò un bacio sulla guancia. «Sei il ragazzo più speciale del mondo.»

Kiku girò lo sguardo arrossato al soffitto e tossicchiò con la mano davanti alla bocca. Anche le guance di Ludwig divennero rosse, le sue labbra tremolarono, gli occhi si spostarono su Feliciano luccicando di timidezza, e lui si spostò di un passetto all’indietro.

«Non fare queste cose imbarazzanti in corridoio, ci guardano tutti.»

Feliciano fece roteare lo sguardo, senza nascondere il sorrisetto di soddisfazione, e infilò gli appunti di Ludwig in mezzo ai due libri di biologia. Sistemò la tracolla sulla spalla, prese Ludwig per mano, si portò vicino a Kiku, e aprì strada a entrambi lungo il corridoio affollato da studenti e illuminato dai raggi di sole che picchiavano sulle finestre. I riflessi verdi e rosa dei ciliegi in fiore piantati nel giardino si riflettevano sulle piastrelle e sulle pareti bianche. Un delizioso profumo di polline e germogli freschi entrava dalle porte laterali che ora erano spalancate per far uscire gli studenti dalle entrate secondarie che davano sul giardinetto.

Kiku schivò la corsa di due ragazzini sgusciati fuori dall’aula di disegno, e chinò le spalle in avanti per rivolgersi a Ludwig e Feliciano, i capelli corvini gli scivolarono sulle guance. «Potremmo andare a quel nuovo ristorante che hanno aperto accanto alla biblioteca, prima della festa, se vi fa piacere.»

Feliciano fece un saltello di entusiasmo, gli occhi si illuminarono di gioia. «Oh, quello con le cameriere carine che indossano i vestiti alla tirolese?»

Ludwig sospirò e aggrottò un sopracciglio in segno di rimprovero. «Non si scelgono i ristoranti in base alle cameriere.»

«Io ci sto!» Feliciano fece un altro saltello, tirò Ludwig più avanti, e la borsa a tracolla gli rimbalzò sull’anca. «Speriamo però che abbiano ancora un tavolo libero per tre, perché ho saputo che è difficile trovare posto da un giorno all’altro, siccome hanno appena aperto e...»

«Per tre?» domandò Kiku, mimando sguardo confuso. «Pensavo che con noi venisse anche Lovino-kun.»

Feliciano scosse il capo. «Oh, no, quest’anno ha detto che non viene alla festa. Preferisce rimanere a casa e andare a fare compagnia ad Antonio.» Passarono davanti alla mensa, superarono una doppia fila di studenti immersi nel caldo profumo di pasta al ragù, di cotoletta, di patate al burro e di verdure bollite, e si diressero verso l’uscita principale. Feliciano fece dondolare la mano stretta a quella di Ludwig e abbassò lo sguardo in mezzo ai piedi. «Sapete, dato che lui e Francis e Gilbert sono stati espulsi dalla festa.»

Ludwig fece roteare gli occhi e sbuffò. «Già.»

«Espulsi?» domandò Kiku, e i suoi occhi si sgranarono per la sorpresa. «Non pensavo avessero preso un provvedimento così drastico.»

Feliciano annuì. «Mh-mh.» Sospirò sconsolato e volse lo sguardo su una delle finestre toccate da un ramo di ciliegio in fiore. «Si sono arrabbiati parecchio per quello che hanno combinato l’anno scorso, mi sa.»

«Arrabbiati un corno!»

Una voce squillante li sorprese alle loro spalle, fece fermare tutti e tre, e Ludwig lanciò un’occhiata più storta delle altre.

Mathias comparve accanto a Kiku, facendolo sobbalzare, sistemò la sua borsa sulla spalla con una mano e tenne l’altra intrecciata alle dita di Lukas, portandoselo dietro. Rivolse a tutti e tre un arrogante e pomposo sorriso di soddisfazione. «È stata la cosa più sballosa dell’intera serata» esclamò. «Altrimenti c’era da piangere dalla noia.»

Feliciano gli sorrise con naturalezza e sventolò la mano. «Oh, ciao, ragazzi.» Lukas non aveva nemmeno sollevato gli occhi dal libro che stava leggendo – “Genealogia della morale”.

Tino saltò in mezzo alla folla aggrappandosi a una spalla di Mathias, anche lui imitò il saluto sventolante di Feliciano. «Ehi, Feli! Ehi, Ludwig! Ehi, Kiku!» Berwald si fece spazio fra gli studenti che sgusciarono via abbassando gli sguardi spaventati, e si mise alle spalle di Tino – lui portava a tracolla sia la sua borsa che quella di Tino che esibiva i marchi dei Korpiklaani e dei Kivimetsan Druidi disegnati con l’indelebile più un portachiavi a forma di pupazzo di neve a pendere dalla bretella. Tino giunse le mani in segno di scuse e piegò una piccola riverenza. «Vi prego, non date retta a Mathias, dice così solo per...»

Mathias sguainò la stecca di plastica dalla sua borsa e la puntò al soffitto come la lama di una spada. «Perché lo scettro di Re della Festa di Fine Anno sta per passare in mani nordiche, ecco perché. Anzi, in mani danesi!» I suoi occhi arsero di entusiasmo, divennero due fiamme fra le orbite, e le dita si strinsero attorno alla stecca fino a farla vibrare. «Con quei tre fuori dalle scatole, spetterà a me il nobile compito di far –»

Berwald sfilò un libro dalla sua tracolla e gli sbatté il fianco della copertina rigida sulla nuca.

Mathias gemette. «Urgh!»

Lukas sollevò un piede e gli pestò la scarpa, stritolandola come un mozzicone di sigaretta.

«Ahi!» Mathias saltò in disparte mollando la mano a Lukas e si strinse la scarpa fra le dita. «Ma che cavolo!» si lamentò.

Una quinta sagoma passò fra Lukas e Berwald, sfilò davanti a Tino e procedette lungo il corridoio tenendo il broncio basso, gli occhi distanti e imbarazzati, e la fronte scura nascosta dietro la mano aperta. «Io vi precedo» brontolò. Emil si allontanò a passo svelto, facendo rimbalzare il portachiavi a forma di pulcinella di mare appeso alla sua tracolla.

Tino sollevò il braccio sopra la testa e lo chiamò con uno sventolio. «Oh, Emil, aspetta!» Gli corse dietro. «Ti devo ancora restituire il compasso che mi hai prestato a trigonometria e – Oh, oh, Ed, Ed, siamo qui!» Accelerò la corsa, superò Emil stringendogli una manica per non perderlo fra la folla, e fece due saltelli sul posto sventolando il braccio libero sopra la testa. «Ed, ragazzi!»

Fuori dall’aula di informatica contrassegnata dall’insegna A-9 la massa di studenti si stava disperdendo, alcuni diretti alle uscite laterali, altri già con i portamonete in mano per dirigersi ai distributori automatici di merendine, e altri sfogliavano pagine battute a computer e marchiate da timbri da consegnare in segreteria.

Eduard si girò al richiamo di Tino, con ancora una mano infilata nella borsa a tracolla a sistemare il quaderno ad anelli fra i libri, e sollevò il braccio a sua volta, sventolò un breve saluto scivolando in mezzo ai ragazzi fermi davanti all’entrata che dava sul giardino. «Tino!» Sottobraccio aveva ancora i tomi di “HTML: Corso avanzato” e “Programmare con Java: guida ufficiale”.

Raivis chinò la testolina riparandosi la nuca con il libro di informatica e si appiccicò al fianco di Eduard. Si appese alla sua tracolla, lanciò alle sue spalle un’occhiata intimorita, e gli strinse un braccio attorno al fianco per non finire trascinato via dagli altri ragazzi. Anche Toris riuscì ad aprirsi la strada: con una mano teneva l’agenda gonfia di carte e appunti sopra la testa, e con l’altra stringeva quella di Feliks che gli saltellò dietro buttando subito un felino sguardo di disprezzo in direzione di Mathias.

Tino corse vicino ai quattro portandosi dietro il braccio di Emil che già guardava le uscite assolate, e mostrò a tutti un sorriso smagliante. «Ragazzi, vi cercavo anche prima a ricreazione. Noi cinque andiamo a mangiare frozen yogurt al centro commerciale, venite anche voi, vero?»

Mathias fece un altro salto sul piede che Lukas non gli aveva schiacciato, staccò una mano dalla scarpa calpestata e la usò come amplificatore attorno alla bocca. «Ohi, Tino!» Lanciò un’occhiata d’odio agli altri quattro. «Lascia stare quei Sovietici, ti faranno diventare uno sporco comunista mangia-bambini!»

Eduard e Toris si scambiarono una bassa occhiata di esasperazione, Eduard sollevò un sopracciglio e squadrò Mathias con espressione compassionevole.

Feliks arricciò la punta del nasino in un’espressione da smorfiosa e si lisciò una ciocca di capelli biondi con la mano che non reggeva quella di Toris. «Io non vengo nemmeno per idea se c’è anche quel cretino di Køhler, vi avviso.» Si infilò sotto il braccio di Toris, allacciandoselo al collo – lui aveva la giacca dell’uniforme annodata attorno alle spalle come un piccolo mantello –, e guidò il suo ragazzo in mezzo alla calca in direzione dell’uscita sul giardino. Camminarono fra alcuni petali di ciliegio svolazzanti che erano finiti spazzati sul pavimento. «E spero che tipo sbattano anche te fuori dalla festa di domani sera, perché non ho la più totale intenzione di finire in un macello peggiore di quello combinato dai tre decerebrati dell’anno scorso.»

Mathias emise uno sbuffo scocciato e inorgoglito allo stesso tempo. Mollò il piede che gli aveva pestato Lukas, si massaggiò il collo e la nuca, dove Berwald lo aveva colpito con la librata, e puntò l’indice verso Feliciano, Kiku e Ludwig, ignorando Feliks. «Quello che hanno fatto i tre pivelli la volta scorsa sembrerà roba da bamboline rispetto a quello che vi regalerò io quest’anno, vedrete» annunciò.

Ludwig sollevò un sopracciglio con aria indifferente. «Temo di non essere interessato.»

Lukas passò di fianco a Mathias senza alzare gli occhi dal libro e lo acchiappò per il bavero della giacca. «Nemmeno noi.» Berwald lo imitò e agguantò Mathias di peso per il braccio, trascinandolo nella direzione in cui erano spariti Emil e Tino.

«Ehi, ehi, ehi», Mathias diede una scalciata all’aria, «dovreste sostenermi, voi due! Dov’è il vostro spirito vichingo?»

Feliciano e Kiku si sporsero per vederli svanire nella folla assieme agli altri, accompagnati dalla voce di Tino che si perse come un eco: «Ragazzi, ragazzi, e se dopo la festa andassimo tutti alla sala giochi? Potremmo...»

«Ehi, Feliks, ehi!» lo chiamò Mathias. «Ti eleggiamo reginetta del ballo, mi senti? Reginetta del ballo!»

Feliks si girò di scatto, ancora avvolto dal braccio di Toris che lo tenne più vicino a sé, e gli fece la linguaccia.

La massa di studenti in uniforme li inghiottì.

Feliciano salì sulle punte dei piedi e si portò una mano davanti alla fronte come una vedetta. Inarcò un sopracciglio mimando un’espressione preoccupata. «Speriamo che non succeda niente di grave.»

Ludwig alzò lo sguardo al soffitto e sistemò la sua agendina che stava scivolando fuori dalla tasca esterna della borsa. «Peggio dell’anno scorso non potrà essere.» Rimboccò la tracolla sulla spalla e si avviò anche lui verso l’uscita spolverata di petali di ciliegio sulla soglia. «A questo punto mi domando se sia più saggio anche per noi andare da un’altra parte invece che in palestra.»

«Oh, ehm, Ludwig», Feliciano gli saltellò davanti fermando il passo sia a lui che a Kiku, «a proposito...»

Ludwig e Kiku si fermarono, si scambiarono uno sguardo smarrito, e i loro occhi tornarono su Feliciano.

Feliciano chinò la fronte, le sue guance si imporporarono, e si grattò dietro l’orecchio, scompigliandosi i capelli. «Sai, credo che Lovino passerà tutta la serata con Antonio, a casa sua. Lovino non lo ammetterà mai, ma anche lui sta aspettando tanto domani sera, e ha già comprato le Coca-Cola, i barattoli di gelato alla stracciatella e all’amarena – e solo ad Antonio piace il gelato all’amarena –, i biscotti con le gocce di cioccolato, e ha anche tirato fuori dall’armadio i DVD di tutta la terza stagione di “Adventure Time” perché immagino vorranno vederla domani quando saranno assieme, e quindi non tornerà sicuramente a casa a dormire e...» Si strinse nelle spalle, giunse le mani sul grembo, giocherellò con le dita, e le guance tinte di rosa divennero di un rosso più vivace. «Ecco, in casa ci sarò solo io e...»

«Hai l’antifurto?» domandò Ludwig.

Feliciano sbatacchiò le palpebre, confuso. «Uh?» Flesse il capo di lato, le guance persero la tinta imbarazzata. «Cosa?»

«L’antifurto» ripeté Ludwig. «Hai l’allarme antifurto? Le serrature funzionano? Ti sei assicurato che le imposte delle finestre siano ben sigillate?»

«I-io...» Feliciano tornò a strofinarsi la mano sulla nuca, il piccolo sorrisetto che aveva piegato prima cadde. «Credo di sì.»

Ludwig annuì. «Allora non hai nulla da temere» gli disse. «Accendi l’antifurto, tieni il telefono accanto al letto in modo che sia facilmente raggiungibile, lascia una piccola luce accesa, e assicurati di aver chiuso bene a chiave anche la porta della cantina.» Gli rivolse un’occhiata rassicurante. «Vivi in un quartiere sicuro e tranquillo, non ti succederà niente.»

«Oh.» Feliciano abbassò lo sguardo al pavimento, il ciuffo arricciato si ammosciò sulla spalla, e le punte delle sopracciglia si flessero in un’espressione delusa. Annuì lentamente. «Okay» mormorò.

Kiku sbatté due volte le palpebre, spostò gli occhi da Feliciano a Ludwig e da Ludwig a Feliciano, senza dire nulla. Riuscì a percepire una grigia nebbiolina di disagio spandersi fra loro, gettata dagli occhi distanti di Ludwig e riflessa nello sguardo basso e amareggiato di Feliciano.

Ludwig si rimboccò la tracolla della borsa sulla spalla, superò entrambi e si diresse verso l’uscita principale a passo svelto. «Scusate, ho l’ultimo autobus fra dieci minuti, devo sbrigarmi.»

Kiku annuì. «Certo.»

Feliciano rimase a capo chino. Sospirò. «Sì.»

Ludwig rivolse un’ultima occhiata alle sue spalle, guardando oltre le teste di altri ragazzi che stavano uscendo prima di lui. «Pensi tu a prenotare il ristorante, Kiku?»

Kiku raddrizzò le spalle e mostrò viso alto. Annuì. «Conta su di me.»

«Ottimo. Allora ci vediamo domani sera.»

«Oh, Ludwig, aspetta.» Feliciano si infilò fra le spalle di due studenti che si erano fermati a scambiarsi due libri accanto a una delle finestre, corse verso Ludwig, gli posò le mani su una spalla e salì sulle punte dei piedi, accostò le labbra alle sue, senza toccarle. «Bacio.»

Ludwig divenne rosso in viso, gettò lo sguardo in disparte arretrando di un passo, e aprì una mano sulla faccia di Feliciano, allontanandolo. «Ci guardano, Feliciano.»

Feliciano scese dalle punte dei piedi, si staccò dalla sua spalla e fece anche lui un passetto all’indietro, tornando a fronte china. Gli occhi di nuovo si intristirono, caddero ai suoi piedi.

Ludwig se ne accorse, e un rapido ma intenso sentimento di colpevolezza gli trafisse il petto. Sospirò, tornandogli vicino. «Fai attenzione quando torni a casa e non fermarti per strada ad accarezzare gattini come al tuo solito, intesi?»

Feliciano annuì. «Promesso.»

«Bravo.» Gli fece una piccola carezza fra i capelli, la mano scese e rimase a sfioro della guancia. «Ci vediamo domani.» Prima che Feliciano potesse ricambiare il tocco, Ludwig si allontanò verso l’uscita, un gruppetto di ragazzi appena usciti dall’aula di matematica e fisica si infilarono fra le pareti del corridoio, seguirono la stessa direzione, e nascosero il suo profilo di schiena che svanì in mezzo alla luce che profumava di fiori e di rugiada.

Feliciano continuò a guardare la calca di gente anche dopo che Ludwig era sparito. Lo sguardo abbattuto, gli occhi avviliti, e quella costante nebbiolina di disagio e amarezza a volteggiargli attorno in un’aura di malessere.

Kiku gli si avvicinò, sentendo fiorire il bisogno di soffiare via quel buio. «Feliciano-kun?» domandò con voce cauta ma amichevole. Flesse il capo per incontrare il suo volto. «È tutto a posto?»

Feliciano sollevò lo sguardo di scatto. «Uh, sì.» Tornò a strofinarsi la nuca, si strinse nelle spalle, e nei suoi occhi ricomparve quell’aura indecisa che lo spinse a guardare nella direzione imboccata da Ludwig. «Credo» farfugliò.

Kiku strinse le mani sul grembo, gli rivolse uno sguardo comprensivo. «Se c’è qualcosa di cui senti il bisogno di parlare...»

«Mh.» Feliciano lo guardò negli occhi, riacquistò un po’ di coraggio. «Kiku, hai da fare?» gli chiese. «Dovrei, ecco...» Prese un profondo respiro di incoraggiamento, raddrizzò la schiena, annuì a se stesso chiudendo i pugni lungo i fianchi, e rivolse uno sguardo agguerrito e deciso a Kiku. «Dovrei parlarti di una cosa.»

 

.

 

Feliciano pescò un macaron verde pistacchio dal sacchettino di plastica della pasticceria che lui e Kiku avevano posato sopra le due borse e le due giacche delle uniformi scolastiche ammucchiate in mezzo a loro sulla panchina. Una deliziosa brezza al profumo di fiori soffiava fra le fronde del parchetto. I rami del ciliegio che faceva ombra alla loro panchina si scossero, lasciarono piovere una nevicata di petali rosa. Uccellini cantavano svolazzando verso il cielo di un azzurro terso e limpido, da accecare gli occhi, si univano alle sottili risate di alcuni bambini che stavano giocando sulle costruzioni di altalene e scivoli poco lontano dalle panchine. Feliciano diede un morso al pasticcino, il ripieno di crema al pistacchio si sciolse in bocca, la pasta era freschissima, ma nemmeno il dolce sapore del macaron riuscì a trasmettergli un sorriso. Strinse le gambe incrociate, piegò il gomito sul ginocchio, poggiò le nocche alla guancia per sorreggere il capo, e volse lo sguardo malinconico al cielo sminuzzato dai rami in fiore che si stendevano sopra le loro teste. Sgranocchiò il boccone con aria svogliata, continuò il discorso con un sospiro profondo.

«Vedi, io prima ho cercato di dirglielo, sì, ecco, di farglielo capire, ma è come lo scorso mese.» Finì di mangiare il macaron al pistacchio e ne pescò uno viola al mirtillo. «Quella domenica prima della gita al tempio, ti ricordi?» Diede un piccolo morso, rivolse l’indice a Kiku. «Eravamo a casa sua perché Gilbert era uscito al cinema con Roderich ed Eliza, ed era stato bello, perché faceva ancora un po’ freddo e allora siamo rimasti sul divano a scaldarci con le coperte anche dopo aver finito di ripassare geografia. Io allora avevo provato a...» Feliciano si chiuse nelle spalle, dondolò le spalle avanti e indietro, la mano stretta alle caviglie intrecciate sgranchì le dita sulla stoffa dei pantaloni. «Sì, insomma...» Inspirò, e un lieve sorrisetto gli tinse le guance di un rosa più acceso. «A fare un po’ di più rispetto a quello che facciamo di solito.» Finì di sgranocchiare anche il macaron al mirtillo.

Kiku arrossì, chinò di scatto gli occhi verso le sue gambe incrociate e terminò di mangiare il suo macaron all’arancia a bocconi rapidi, cercando di non pensare troppo a cosa significasse quel “quello che facciamo di solito”.

Feliciano sospirò di nuovo, pescò dalla busta della pasticceria un macaron al cioccolato bianco e lo rigirò senza avvicinarlo alle labbra che avevano di nuovo perso il sorriso. «Ma in quel momento Ludwig mi ha bloccato dicendo che Gilbert sarebbe tornato presto. Ma erano solo le cinque. E anche quando eravamo a casa mia, poi, lo scorso weekend. Quando ha capito che io...» Si pizzicò la bocca fra gli incisivi, tornò a dondolare avanti e indietro. «Che volevo fare, uhm, qualcos’altro, si è affrettato ad andare a casa.»

Kiku dovette di nuovo sopprimere la nuvoletta di pensieri che era svolazzata sopra la sua testa facendolo arrossire.

Un uccellino volò cinguettando sopra di loro, la sua ombra attraversò un raggio di sole, passò attraverso i rami del ciliegio e fece piovere un’altra cascatella di petali che si depositarono fra i capelli dei due ragazzi.

Feliciano sospirò e chinò il capo, senza nemmeno accorgersene, e accostò il macaron al cioccolato bianco alla bocca. «A questo punto mi chiedo...» Tornò quella scura aura di sconforto e amarezza ad aleggiargli attorno: una macchia nera nel dipinto verde, rosa, giallo e azzurro della primavera. I suoi occhi luccicarono di tristezza, come quando stava per scoppiare in lacrime. «Se forse io non gli piaccio abbastanza.» Diede un morso di consolazione al macaron.

Lo sguardo di Kiku si addolcì, gli occhi profondi e comprensivi. Sulle sue labbra comparve un piccolo sorriso di rassicurazione. «Sono sicuro di sì, Feliciano-kun.»

Feliciano sgranò le palpebre. «Davvero?»

Kiku annuì e scelse un macaron giallo limone dalla busta sopra le giacche e le borse.

Lo sguardo di Feliciano tornò ad abbattersi, lui fece un altro sospiro e le spalle caddero ammosciate, si resse la fronte con una mano per non far piovere i capelli davanti agli occhi. «Ma allora perché si tiene sempre così distante?» piagnucolò. Finì il macaron e strinse le mani sulle gambe incrociate, riprese a dondolare avanti e indietro, guardandosi le scarpe. «Io lo amo davvero tanto tanto, e vorrei che lo capisse. Anche se parlo tanto, io in realtà non sono così bravo a trovare le parole giuste per il momento giusto, poi rischio sempre di metterlo in imbarazzo perché lui invece è più silenzioso di me, ed è più timido, ed è più difficile capire quello che vorrebbe da me, e...»

«Io non credo che Ludwig-san abbia bisogno di una prova per dimostrare il suo affetto nei tuoi confronti» disse Kiku con tono sincero.

Feliciano sbarrò le palpebre, una scintilla di stupore gli attraversò lo sguardo. «Davvero?» Il peso al petto si alleggerì.

Kiku annuì, sollevò la punta dell’indice al cielo. «Semplicemente, Ludwig-san ha altri modi per esprimere i suoi sentimenti nei tuoi confronti.»

Feliciano sollevò lo sguardo pensoso ai rami che scoppiavano di fiori rosa, si picchiettò l’indice sulle labbra, aggrottando un sopracciglio. «Uhm.» Un lampo di illuminazione abbagliò anche lui. Sfilò l’indice dal labbo inferiore e lo puntò su Kiku. «Tipo quando mi lascia copiare nei compiti in classe? O quando mi stringe la mano prima di attraversare la strada anche se non ci sono auto? Oppure quando devo tornare a casa da solo e lui mi invia un messaggio ogni cinque minuti per sapere se sto bene e se non mi sono perso? O anche quella volta che è scoppiato a piovere all’improvviso e non avevamo gli ombrelli e lui mi ha fatto stare sotto la sua giacca per non farmi bagnare? Oppure quella volta che Francis mi ha toccato il sedere e lui gli ha dato un pugno, e poi...»

«Ehm, s-sì», annuì Kiku, «qualcosa di simile.»

Il viso di Feliciano si illuminò. «Ooh.» Raccolse il sacchetto di macaron in cui avanzava solo un pasticcino alla nocciola. Lo pescò dal fondo della busta, lo spezzò in due e ne diede metà a Kiku. Finì di mangiare il suo boccone, accartocciò la busta di plastica con l’adesivo della pasticceria, e lo infilò nella tasca della sua borsa per gettarlo via più tardi. Feliciano si leccò le dita sporche di briciole, le punte delle sopracciglia si incresparono, tornarono a donargli quell’espressione pensosa. «Però...» Si rivolse di nuovo a Kiku con viso che era tornato grigio e intristito. «Queste sono cose che farebbe anche per te che sei suo amico, no?» Si posò la mano sul petto. «E invece io dovrei essere...»

Il cellulare di Kiku squillò – bli-blip! – avvisandolo dell’arrivo di un messaggio.

Kiku sobbalzò per la sorpresa, alzò la sua giacca per scoprire la sua borsa sepolta e raggiungere il cellulare. «Perdonami.»

Feliciano scosse il capo e gli sorrise. «Non fa niente, rispondi pure.»

Kiku sollevò la manica di una delle giacche, infilò la mano nella tasca esterna della sua borsa, tastò fra l’agendina e l’astuccio, e trovò la consistenza del cellulare. Lo estrasse. Il ciondolo a forma di onigiri sorridente sbatté contro l’angolo della cover dove aveva incollato l’adesivo di Hatsune Miku intenta a brandire un porro sopra la testa. Sbloccò lo schermo, il cellulare indicò la chat contrassegnata con “Ludwig”.

Kiku sollevò le sopracciglia, sbarrò gli occhi con sguardo stupito.

Ludwig-san? Strano che non mi abbia contattato sulla chat di gruppo.

Pigiò l’icona, si aprì la conversazione.

Chissà cosa...

 

“Kiku, sei libero questo pomeriggio? Avrei bisogno di parlarti urgentemente di una questione che va risolta entro domani sera. È importante, riguarda Feliciano, e ho bisogno del tuo aiuto senza che lui lo sappia. Mi raccomando, non dirgli nulla.”

 

Kiku sollevò la punta di un sopracciglio, picchiettò l’unghia del pollice sullo schermo senza digitare nulla. Per Feliciano? Sbirciò Feliciano da sotto le ciocche corvine che gli sfioravano gli occhi – si stava spolverando i capelli da alcuni petali di ciliegio che gli erano piovuti sulla testa e sulle spalle – e un lampo di realizzazione gli attraversò la testa come uno schiocco di fulmine. Ah, che voglia dirmi di... «Solo un attimo, Feliciano-kun.» Si girò di profilo stando attento a non esporre lo schermo del cellulare, e digitò la risposta.

Feliciano annuì e tolse un ultimo fiorellino rosa da dietro l’orecchio. «Sì, non ti preoccupare.»

Kiku finì di comporre il messaggio, lo rilesse.

 

“Sì, certamente. Ti posso aspettare davanti a Starbucks alle quattro e mezza. Contattami pure se ti capita qualche imprevisto o se ti è più comodo un altro orario o un altro luogo. Sarò puntuale.”

 

Chiuse la chat, bloccò lo schermo, ma rimase con lo sguardo specchiato sul lucido nero in cui si rifletteva il suo viso coronato dai rami di ciliegio sopra di lui. Un’espressione di cruccio e indecisione gli corrugò la fronte e arricciò un angolo delle labbra.

Feliciano sospirò un’altra volta, dondolò avanti e indietro tenendo le gambe incrociate. «Sai, la verità è che...»

Kiku mise via il cellulare sotto le giacche che coprivano le loro borse, e tornò con lo sguardo attento su Feliciano.

Feliciano tenne lo sguardo basso, piegò un piccolo sorriso di imbarazzo, le guance si tinsero dello stesso colore dei petali di ciliegio che oscillavano sopra di loro, sospinti dal vento. Si strofinò la nuca, stringendosi nelle spalle, e oscillò ancora avanti e indietro con le spalle. «Ho immaginato tante volte come sarebbe stata la mia prima volta che...» Sfilò la mano dai capelli e la strinse assieme all’altra sulle caviglie. Il sorrisetto tremolò, gli angoli delle labbra rimasero incavati nelle guance imporporate, gli occhi ombreggiati dai rami del ciliegio e dai capelli si rivolsero a Kiku, luccicarono di timidezza. «Sai, no?»

Kiku restrinse le labbra per contenere un tremolio di imbarazzo e annuì con un gesto meccanico. Lasciò che un soffio di vento al profumo di fiori di ciliegio si portasse via la nuvoletta di pensieri indesiderati che era di nuovo sbocciata sopra la sua testa.

Feliciano sospirò. Si sporse di lato e poggiò la spalla allo schienale della panchina, lasciò ciondolare il capo e il suo sguardo si rattristò. «Quando io e Ludwig ci siamo messi assieme dopo tutti gli anni che ci conoscevamo io ero così felice, perché non potevo immaginare nessuna prima volta se non con lui.» Strinse un pugno davanti al petto, gli occhi luccicarono di aspettativa, le iridi ambra riflessero le intense sfumature dorate del sole. «E anche adesso so che solo con lui sarebbe perfetta» esclamò. «Anche più di quello che mi immagino!»

«Feliciano-kun...» Kiku chiuse gli occhi, prese un lungo respiro di incoraggiamento che gli gonfiò il petto e allargò le spalle, e riaprì le palpebre. Il suo sguardo intenso e profondo brillò di determinazione, sciogliendo tutto l’imbarazzo che lo aveva bloccato prima. «Tu vorresti che avvenisse domani dopo la festa in palestra, giusto?»

Le guance di Feliciano avvamparono di rosso, le labbra sbocciarono nuovamente in un sorriso di imbarazzo ed eccitazione allo stesso tempo. Feliciano raccolse le ginocchia al petto, si grattò dietro l’orecchio e spostò lo sguardo a terra, trattenendo un sottile risolino. «Be’, diciamo che è un bel po’ che mi immagino di come potrebbe essere, ma Ludwig non sembra che...»

Kiku si sporse scostando le loro borse e le giacche ammucchiate sulla panchina e gli strinse le spalle, chinò lo sguardo per incontrare il suo, gli mostrò due profondi e ardenti occhi colmi di coraggio e risolutezza. Due occhi da vero guerriero samurai. «Allora studieremo un piano assieme per far sì che avvenga.»

Feliciano sgranò gli occhi, sbatté due volte le palpebre, incredulo. «Davvero?» Batté le mani davanti al petto e allargò il sorriso. «Mi aiuteresti?»

Kiku annuì. «Senz’altro.»

«Oh, Kiku.» Feliciano spalancò le braccia e gliele strinse attorno alle spalle, lo tirò a sé sfregandogli la guancia sulla sua. «Grazie, grazie, sei il migliore amico del mondo!»

Sul viso di Kiku tornò quel sorrisetto di imbarazzo a fargli tremolare la bocca. Annuì di nuovo, un gesto più cauto, e batté delicatamente la mano sulla spalla di Feliciano, solo con le punte delle dita. «Dobbiamo sbrigarci, però.» Sgusciò via dall’abbraccio, prese un breve respiro, e tuffò di nuovo la mano sotto le giacche per raggiungere la tasca esterna della sua borsa. Pescò il cellulare e guardò l’ora sullo schermo. Le lame dell’attrezzatura per la manovra tridimensionale impugnate da Mikasa Ackerman, avvitata durante un salto sopra la spalla di un gigante, tagliavano in due l’ora proiettata in cima, sopra la data. Erano le quattordici e ventisei.

«Ho tempo fino alle quattro e mezza.»

 

.

 

La frizzante brezza pomeridiana soffiò sopra il tavolino di legno del parchetto che si stendeva dietro l’edificio di Starbucks. L’aria inclinò il nastro di fumo che usciva dal bicchiere di cartone con scritto sopra il nome di Kiku – lui aveva preso tè verde con latte di soia – e il ricciolo di vapore toccò anche quello di Ludwig – lui invece aveva ordinato un caffè americano aromatizzato alla cannella con ghiaccio. Fra le due tazze marchiate con il pennarello nero, i due ragazzi avevano apparecchiato le sfogliatine di albicocche e miele sopra il sacchetto di carta con il marchio del locale.

Ludwig raggiunse il suo bicchiere freddo, lo accostò alle labbra tenendo gli occhi bassi come aveva fatto durante tutta la durata del discorso, e prese un piccolo sorso per bagnarsi la bocca che si era seccata dopo il monologo. Sospirò. «Questo è il problema.» Sorseggiò di nuovo il suo caffè, posò la tazza sul tavolino di legno ancora tiepido per i raggi di sole che lo avevano scaldato durante tutto il pomeriggio, e chiuse le mani attorno al cilindro di cartone. Vi tamburellò le unghie sopra. «Io non ho mai...» Si strinse nelle spalle, guardò per terra, in mezzo al prato, e corrugò le sopracciglia in un’espressione di imbarazzo. «Sì, non ho mai affrontato esperienze di questo genere, e... e non credo che nemmeno Feliciano lo abbia fatto, ma lui sembra essere sempre così impaziente, e questo sicuramente perché si aspetta qualcosa da me.» Rivolse lo sguardo a Kiku e aprì un palmo verso di lui. «Si aspetta che sia io a fare il primo passo, capisci? Si aspetta che sia io quello sicuro delle proprie azioni, ma io non sono certo di essere in grado di...» Di nuovo la voce cedette, un tremolio di tensione gli attraversò il viso e fece vacillare gli occhi come specchi d’acqua. «Di riuscire a...» Le guance arrossirono, un brivido gli attraversò la schiena, si pizzicò il labbro inferiore facendolo sbiancare. Dovette bere un altro sorso di caffè freddo per calmare i nervi. Il profumo di cannella lo rilassava.

Anche Kiku sorseggiò il suo tè verde e latte, sollevò un sopracciglio, e mormorò con le labbra ancora accostate al beccuccio di plastica del coperchio. «Soddisfarlo?» azzardò.

Un altro groppo di imbarazzo torse lo stomaco di Ludwig. Lui chinò il viso di scatto, si resse la fronte, e tossicchiò facendo il vago. «P-più o meno.» Soddisfarlo. Cosa dovrei essere in grado di fare per soddisfare Feliciano mentre... «Potrebbe non essere come pensa lui.» Posò la tazza di cartone, tornò ad avvolgerla con entrambe le mani, e il suo sguardo divenne di colpo serio, gli occhi freddi e meditativi, ma animati da una piccola scintilla d’ansia. «Potrebbe non piacergli, potrei rischiare di fargli male o di fare qualcosa che non devo, e questo potrebbe poi spingerlo ad allontanarsi da me, a non volermi più o a cercare qualcun altro.» Si strinse nelle spalle, sospirò, e scosse il capo con aria abbattuta. «E non mi sono mai sentito abbastanza sicuro da correre il rischio.»

Kiku raccolse una delle due sfogliatine di albicocche e miele, ma il suo sguardo rassicurante rimase fermo su quello di Ludwig. «Ludwig-san non dovrebbe sottovalutare le sue capacità così prematuramente.» Prese un piccolo morso del dolce, masticò lentamente.

Ludwig impennò un sopracciglio, sul suo viso si dipinse un’espressione di sconcerto che gli fece strabuzzare una palpebra. «Capacità?»

«I-intendevo...» Kiku posò la metà avanzata della sfogliatina e intrecciò le mani attorno alla tazza bollente del suo tè. «Se posso permettermi» disse, «Feliciano-kun ha molta fiducia in te, e se è stato lui a fare i primi passi significa che ha fiducia anche nel fatto che riuscirai a trattarlo bene e ad avere cura di lui anche...» Tamburellò le unghie, un groppo di indecisione gli abbassò la voce. «Anche, ehm, in una situazione di quel genere.»

Sul viso di Ludwig tornò un’espressione attenta e concentrata. Socchiuse gli occhi, si strinse il mento fra le dita, e rimuginò con aria pensosa come quando analizzava tutti i problemi in un compito di matematica prima di cominciare a eseguirli. «I primi passi.» Prese un altro breve sorso di caffè alla cannella, sollevò un sopracciglio e rivolse a Kiku un’occhiata fugace da sopra il coperchio. «Lui ti ha...» Una spolverata di imbarazzo mascherò la scura e seria espressione da calcolatore. Ludwig parlò con voce cauta, la paura della risposta gli formicolò fino alle ossa. «Ti ha per caso raccontato quello che io e lui abbiamo già...»

Kiku si affrettò a scuotere la testa e sventolare un palmo, rassicurandolo. «Ehm, n-no, non...» Si strofinò la nuca, anche lui guardò per terra. «Non nel dettaglio, ma...» La voce di Feliciano riecheggiò nella sua testa: “Quando io e Ludwig ci siamo messi assieme dopo tutti gli anni che ci conoscevamo io ero così felice, perché non potevo immaginare nessuna prima volta se non con lui.” Kiku mostrò a Ludwig uno sguardo sincero. «So che lui avrebbe desiderato...» Tornò a tamburellare le dita sul bicchiere di cartone con movimenti rapidi, accostò l’orlo alle labbra. «Qualcosa in più dal vostro rapporto.» Buttò giù un sorso. Si convinse che il rossore sulle guance fosse dovuto alla bruciatura del tè sulla lingua e non a quello che gli era passato di nuovo per la testa.

Ludwig annuì. «Lo so» disse con tono sconfortato. «Se non lo assecondassi rischierei di perderlo. Ma se lo assecondassi e facessi qualcosa di sbagliato rischierei di perderlo comunque.» Chinò le spalle, il senso di sconforto pesava come un carico di sassi sulla schiena. Perdere Feliciano... Scosse il capo, cercando di ignorare quel pensiero che gli feriva il cuore. «A questo punto non so davvero cosa dovrei fare.»

«Ludwig-san.» Il volto di Kiku riacquistò compostezza, gli occhi riflessero lo stesso sincero sentimento di appoggio che aveva mostrato a Feliciano. «C’è ancora tempo fino a domani sera» gli disse. «Potresti approfittarne per prepararti adeguatamente e assicurarti di non compiere errori quando verrà il momento di...» Strinse le unghie sul cartone bollente fino a scottarsi. Non immaginarlo, non immaginarlo, non immaginarlo.

«Prepararmi, dici?» domandò Ludwig. Esaminò il busto di Kiku per tre volte di seguito, allontanò le spalle, e di nuovo il suo viso arrossì di sconcerto. «Non dovremmo mica...»

«Oh, no!» Quell’espressione si riflesse anche negli occhi sgranati di Kiku. Kiku scosse più volte la testa e agitò anche la mano, scacciando via l’idea. «No, no, perdonami se te l’ho fatto credere, ma intendevo una preparazione...» Prese un respiro che gli raffreddò le guance. «Una preparazione teorica.»

Ludwig flesse le sopracciglia, non convinto. «Teorica?» Piegò un gomito vicino alla tazza e sporse le spalle verso Kiku, abbassò la voce che suonò più grave e cavernosa. «Non intendo andare a chiedere consiglio a Francis come quella volta in seconda media, se è questo che intendi.»

«Esiste qualcuno ancora più esperto e professionale di Francis-san.» Kiku infilò la mano in tasca, estrasse il cellulare e lo portò di fianco al viso. Il ciondolo con l’onigiri tornò a sbattere contro l’adesivo di Hatsune Miku sulla cover. Negli occhi di Kiku si accese una scintilla. «WikiHow.»

Anche Ludwig spalancò gli occhi, il lampo di illuminazione gli alleggerì il peso d’ansia raggrumato nel cuore. «Giusto!» Spostò la sua tazza di caffè freddo, spinse le spalle più avanti, e cercò i suoi occhiali da ipermetrope nella tasca della borsa di scuola.

Kiku posò il cellulare fra loro due e si mise con le ginocchia sulla panchina di legno per sporgersi in avanti. Sbloccò lo schermo, andò sul motore di ricerca, e digitò subito “WikiHow”. Si aprì la home, Kiku pigiò l’indice sulla barra bianca per far comparire il cursore, e fermò il dito, cercò lo sguardo di Ludwig. «A che voce cerchiamo?»

Ludwig inforcò gli occhiali, indicò lo schermo del cellulare senza toccarlo. «Prova qualcosa come “Perdere la verginità” oppure “Primo rapporto”.»

Kiku annuì, scrisse solo “verginità”, e la lista incolonnata di risultati sfilò attraverso lo schermo. «Oh, questo, che ne dici?» Indicò il terzo articolo a partire dall’alto, in mezzo a “Come sapere se sei pronto per fare sesso in ventuno passaggi” e “Come fare sesso senza che i tuoi genitori lo sappiano”. «“Come perdere la verginità senza dolore”» lesse Kiku.

Ludwig annuì. «Sì, bravo, clicca su quello.»

Kiku pigiò sul titolo di anteprima, fece scivolare il polpastrello attraverso lo schermo, e passò subito ai punti elencati in grassetto. «Dunque» rimuginò, «qui dice che c’è bisogno di un’adeguata preparazione psicologica, è necessario valutare a fondo la propria scelta, ed è fondamentale tenere una comunicazione aperta con il proprio partner prima e durante il rapporto.»

Gli occhi di Ludwig caddero su una delle immagini di anteprima, lui trattenne il fiato, si morse il labbro, realizzò qualcosa. «Ehm, Kiku...»

«Uno dei primi passi è trovare l’angolo di inclinazione dell’imene e assicurarsi che non provi dolore mentre...» Kiku si rimangiò le parole, il viso sbiancò, gli occhi sgranati affogarono nella vergogna, sudori gelati gli bagnarono la fronte.

Ludwig ruotò lentamente gli occhi verso di lui, Kiku fece lo stesso, si guardarono a bocche ammutolite, visi di pietra. Un soffio di vento fischiò in mezzo a loro, fece scricchiolare la busta di carta che faceva da vassoio alle sfogliatine, i rami dell’albero che faceva da ombra al tavolino di legno frusciarono riempiendo il pesante silenzio che era calato in mezzo a loro.

Ludwig guardò in disparte. «Credo...» Strinse una mano davanti alla bocca e tossicchiò per nascondere il rossore. «Credo che questo articolo non sia quello che cerchiamo.»

Kiku chinò la fronte, mortificato. «Sono desolato.» Pigiò l’indice sulla schermata del telefono e chiuse la pagina di WikiHow, raccolse il cellulare e lo rimise in tasca.

Rimasero con gli sguardi lontani l’uno dall’altro. Kiku scese dalle ginocchia, bevve un altro po’ del suo latte e tè reggendo il bicchiere di carta con entrambe le mani, e a ogni sorsata nascondeva il viso dietro il profilo della tazza. Ludwig sospirò, prese la sua sfogliatina di albicocche e miele che non aveva ancora toccato e mangiucchiò un morso di consolazione, si addolcì la bocca dopo l’amarezza che era scaturita dalla ricerca. Le immagini di anteprima dell’articolo sulla verginità però tornarono a corrergli nella testa, Ludwig smise di mangiare, sgranò gli occhi, e realizzò qualcosa di importante che gli scaricò una scossa di allarme alla base della nuca. Lo raggelò.

«Oh, no.»

Kiku abbassò il suo bicchiere di cartone e sollevò un sopracciglio, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

Ludwig posò la sua sfogliatina, piegò i gomiti sul tavolo, si prese la fronte fra le mani. «Non ho i...» Si massaggiò le tempie, sollevò lo sguardo e tenne l’espressione di cruccio nascosta dalle dita tremanti. Sbirciò Kiku attraverso gli spazi delle falangi aperti davanti alle lenti che non si era ancora tolto. Il riflesso sugli occhiali diede l’impressione che il suo sguardo vacillasse ancora di più. «Non ho i, ehm...» Si rosicchiò il labbro, una fiammata di bruciore gli arroventò le guance.

Kiku sbatacchiò le palpebre due volte, piegò il capo di lato, corrugò un sopracciglio, e capì. Si posò la mano davanti alla bocca. «Oh.» Arrossì anche lui.

Ludwig emise un altro profondo sospirò, girò il capo tenendosi la guancia riparata con una mano, e si strofinò la fronte con le dita. «Quelli sono importanti» borbottò.

Kiku annuì. «Sì.» Tamburellò le dita sul bicchiere che si era intiepidito.

«Ma non...» Ludwig si strofinò la nuca con gesti più rapidi e nervosi, lo sguardo si caricò di tensione, un nodo di agitazione gli chiuse lo stomaco, uno sciame di farfalle gli riempì il ventre. «Con che faccia potrei andare a comprarli e...»

«Potrebbe recarti disagio?» domandò Kiku.

Ludwig annuì, tornò a stringersi il viso con entrambe le mani. «Parecchio, temo.»

«Capisco.» Kiku chinò lo sguardo, si posò una nocca fra le labbra, corrugò un’espressione seria e pensosa, gli occhi attenti. Un lampo di realizzazione gli schioccò nei pensieri. Sfilò la nocca dalle labbra e tese l’indice verso Ludwig. «Forse Gilbert-san potre –»

«Nein!» scattò Ludwig, tirandosi in piedi. «Cioè...» Tornò a sedersi sulla panchina, si nascose la fronte sbiancata con una mano e scosse l’altra in direzione di Kiku, scacciò via quell’ipotesi che lo faceva rabbrividire fino alle viscere. «No, no, assolutamente no, mio fratello non deve sapere niente di tutto questo.» Poggiò il peso sul gomito, continuando a massaggiarsi le dita sulla fronte, e sospirò sconfortato. «È da quando mi sono messo insieme a Feliciano che continua a punzecchiarmi. Se dovesse succedere qualcosa fra me e lui e mio fratello venisse a saperlo, entro il giorno dopo lo scoprirebbe tutta la scuola.» Si sfilò gli occhiali, ripiegò le stanghette, e li rimise nella custodia dentro la sua borsa. «Gilbert lo direbbe inevitabilmente anche a Francis e ad Antonio.» Richiuse la zip della borsa, un altro brivido di timore gli scosse il volto. «E se lo sapesse Antonio, lo scoprirebbe anche...»

Lo stesso lampo di terrore si trasmise anche a Kiku.

La stessa immagine si materializzò sopra di loro: Lovino che emergeva da una spirale di fuoco, la stessa che ardeva anche nel suo sguardo infuriato. Gli occhi si erano tramutati in due fiammate di rabbia, il viso era tinto di nero, denti aguzzi emergevano dalla bocca torta in un ghigno famelico, una lingua biforcuta, da serpe, si scuoteva fra le labbra, corna da diavoletto sbucavano dai ciuffi di capelli, le sue mani gonfie e dalle vene pulsanti erano strette attorno a una mazza chiodata già gocciolante di sangue sul cui manico vi era scritto: “Ammazza-Crucchi”.

Ludwig soppresse il fremito di dolore che già sentiva premergli nelle ossa. «Sarebbe pericoloso, capisci?»

Kiku annuì. «Temo di sì.» Prese la sua mezza sfogliatina dalla busta di carta di Starbucks e finì di sgranocchiarla leccandosi le briciole dalle dita. «Ma come farai a procurarteli, allora?»

Ludwig si strinse il mento, aggrottò la fronte, i freddi e sottili occhi azzurri si misero a scavare nella testa, in cerca di una soluzione. Ruotò la coda dell’occhio verso Kiku, concentrò lo sguardo sul suo visetto tondo e innocente, sull’indice sporco di briciole di sfogliatina ancora infilato fra le labbra, sui profondi occhi neri così dolci e insospettabili.

Ludwig restrinse le palpebre, la soluzione scoccò nella sua mente come un dardo che centra l’area rossa del bersaglio.

Non per nulla il suo migliore amico possedeva le capacità di intrufolamento di autentico ninja giapponese.

 

.

 

«Il piano è questo.»

Ludwig abbassò gli occhi dalla croce verde lampeggiante appesa all’esterno della farmacia, infilò la mano nella borsa a tracolla, rimestò il tocco in mezzo ai libri in cerca del portafogli. 

«Entriamo a distanza di tre minuti uno dall’altro in modo di non far capire che siamo assieme.» Trovò il taccuino di pelle e lo porse a Kiku. «Teniamoci a una distanza fisica ravvicinata ma non inferiore a un metro uno dall’altro, ed evitiamo di prolungare il contatto visivo. Non oltre i sette secondi a occhiata, e fra un cenno e l’altro ne dovranno passare almeno dieci. Io ti dico quali prendere e tu vai alla cassa a pagare. Una volta fatto, esci e io ti raggiungo tre minuti dopo.»

Kiku raccolse il portafogli di Ludwig con entrambe le mani, annuì con decisione. «Sì.» Guardò l’amico negli occhi e gli mostrò uno sguardo leale e coraggioso. «Farò del mio meglio.»

Ludwig annuì a sua volta, rincuorato, e tornò ad alzare gli occhi sulla facciata della farmacia. Immaginò lui e Kiku vestiti con abiti da guerrieri: mantelli a svolazzare dalle spalle, spade e mazze appese alle cinte, corsetti di cuoio a proteggere i torsi. Davanti a loro, l’arcata della farmacia all’angolo della fermata dell’autobus si trasformò nei cancelli dell’Inferno: avvoltoi neri volavano sopra le fiammate minacciose che sbucavano oltre le porte dell’Oltretomba da cui provenivano latrati e grida di uomini divorati dagli incendi e dalle pozze di olio bollente. Una visione comunque più rassicurante rispetto all’avventura che stavano per intraprendere. Ludwig strinse un pugno davanti al petto, prese un profondo respiro di incoraggiamento, e rafforzò il tono per spronare anche Kiku. «Allora facciamolo.»

 

.

 

C’era un buon profumo all’interno della farmacia. Un delicato aroma di camomilla mescolato a quello dolce e fresco di pastiglie per la gola al mentolo e alle erbe di montagna. La tenue e soporifera musica vaporwave soffiata dalle casse dell’impianto stereo rendeva l’atmosfera della situazione ancora più surreale di quello che fosse.

Kiku si pizzicò il labbro inferiore per contenere una smorfia di imbarazzo, le guance si chiazzarono di rosso, gli occhi ristretti e luccicanti di vergogna sfilarono lungo lo scaffale, esaminandone gli scomparti. Le mani irrigidirono lungo i fianchi, le dita tastarono l’aria sciogliendo il formicolio che gli stava ghiacciando il sangue. Finissime perline di sudore gocciolarono dall’attaccatura dei capelli, gli rigarono il viso che stava friggendo di vergogna.

Deglutì, inspirò una profonda inalata d’aria che trattenne nel petto, e scollò un braccio dal fianco, avvicinò la mano a una delle confezioni. Sfiorò il pacchetto rosso e oro contrassegnato dall’insegna “RealFeel”, agitò le dita, ci ripensò, e le spostò sulla confezione gialla che ritraeva una mela, una fragola, una banana e un’arancia: “Tropical”. Kiku ritirò la mano, si rosicchiò l’unghia dell’indice e spostò il peso da un piede all’altro per scaricare la tensione che gli gorgogliava nel petto e che gli ingarbugliava lo stomaco. Lo sguardo paonazzo volò fra le confezioni “Contatto Comfort” e “Pleasuremax”, e lui iniziò a sentire il fumo fischiargli fuori dalle orecchie.

Una sagoma scivolò lungo il pavimento da dietro il bancone che esponeva i termometri e le apparecchiature per misurare la pressione, e si spostò di un passo verso lo scaffale a parete con i barattoli di latte in polvere per neonati, i biberon, i biscotti Plasmon, le buste con le miscele per tisane. Ludwig acchiappò un depliant che pubblicizzava una crema idratante all’aloe per il viso, lo aprì davanti alla faccia, scivolò di un altro passo più vicino a Kiku e piegò una pagina del cartoncino per cercargli lo sguardo.

«Kiku» mormorò. «Hai trovato qualcosa?»

Kiku sobbalzò, si girò di scatto. «Ludwig-san» mormorò anche lui. Tornò a tendere il braccio verso lo scaffale e scelse l’astuccio dall’aspetto più innocente, viola e blu, “No Latex”, confezione da sei. Lo girò verso Ludwig. «Quale dovrebbe andare meglio, secondo te?»

Ludwig scosse il capo da dietro il depliant della crema. «No, no, non le confezioni multiple.» Tese l’indice verso il bancone della cassa, tre scaffali più in là, dietro il quale due farmaciste stavano servendo un’anziana signora e un ragazzo con la giacca da motociclista. «Prendine uno singolo dalla cesta che c’è alla cassa accanto al distributore di burro cacao.»

Kiku posò lo sguardo sull’astuccio che teneva in mano, sbatté le palpebre con aria confusa. «Perché non la confezione?»

Ludwig chinò la fronte, sollevò la pagina di cartoncino. «Perché sono troppi e io...» Si spostò di un altro passo più vicino a Kiku per parlare a voce ancora più bassa. «Non so se potrebbe succedere di nuovo, non so quando potrebbe succedere di nuovo e non so nemmeno se succederà domani. Se ne comprassi una confezione intera e la cosa non funzionasse andrebbero sprecati.»

Kiku rimase a occhi sbarrati, un sopracciglio corrugato. «Oh.»

Alla cassa, la farmacista con uno chignon biondo pinzato da un fermaglio a forma di libellula finì di servire l’anziana signora, le diede il sacchettino di plastica, e lo sguardo le cadde su Kiku e Ludwig. La donna diede una piccola spallata alla sua collega, corti capelli corvini striati di henné le incorniciavano il viso dalla pelle bruna, e le fece un cenno con il mento verso i due ragazzi. Non riuscì a trattenere una ridacchiata.

Kiku mise giù la confezione “No Latex”. «Allora solo uno.» Si spostò in direzione della cassa.

«Aspetta, fermo.» Ludwig gli strinse l’orlo della manica, gli mostrò indice e medio aperti a forma di V. «Due, due. Facciamo due, per sicurezza» farfugliò. «Uno potrebbe rompersi e...»

«Va...» Kiku annuì, di nuovo rosso in viso, e compì un altro passo. «Va bene.»

«No, fermo, fermo.» Ludwig lo bloccò di nuovo, nascose anche Kiku dietro il depliant della crema.

La farmacista dai capelli all’henné si posò la mano davanti alla bocca e chinò la fronte per sopprimere un risolino senza farsi vedere. La bionda con il fermaglio a forma di libellula sistemò i soldi della signora dentro la cassa e anche lei rise piegando il viso contro la spalla.

Ludwig rimase chino dietro il depliant, sollevò lo sguardo scorrendo con gli occhi gli scomparti dello scaffale che arrivava al soffitto. Tese la mano, superò le caramelle alle vitamine, i pacchetti di caramelle alla propoli, i bastoncini di radice di liquirizia in barattolo, le pastiglie alla menta, e si fermò sui sacchetti di caramelle al malto d’orzo artigianali. La busta di plastica era fissata da un adesivo che ritraeva un frate barbuto che passeggiava in un orticello aiutandosi con un bastone. Ludwig prese due confezioni di caramelle al malto e le diede a Kiku.

«Anche queste.»

Kiku le rigirò fra le mani, guardandole con occhi sospetti. «Caramelle al malto? Per...» Rivolse a Ludwig uno sguardo smarrito, si strofinò la nuca. «Per la gola?» Che sia un dono di cortesia al posto dei fiori?

Ludwig scosse il capo. «No, come diversivo.»

Kiku sollevò un sopracciglio, rimase a labbra socchiuse. «Non capisco.»

Ludwig scoccò un’occhiata bassa alle caramelle fra le braccia di Kiku, poi alla cassa dove esponevano la cesta con le infami bustine singole, e di nuovo il suo sguardo tornò su Kiku. «Se tu andassi alla cassa comprando solo i due...» Si strinse nelle spalle, guardò in disparte per nascondere il rossore e alzò di nuovo il depliant della crema. «Ecco, la farmacista li noterebbe subito, comincerebbe a farsi delle domande su di te e a giudicarti. Se invece tu distrai la sua attenzione comprando anche qualcos’altro, qualcosa di ingombrante come grossi pacchetti di caramelle, allora lei non baderà troppo ai...» Inspirò. «A quelli, perché la sua attenzione sarà mirata sulle caramelle che occupano uno spazio più grande.»

Lo sguardo di Kiku si illuminò. «C-capisco.» Ludwig-san è sempre così calcolatore, pensò con ammirazione. Sarà il sangue tedesco?

«Bene.» Ludwig tornò a dare una sbirciata alla cassa, aspettò che il ragazzo con la giacca da motociclista si allontanasse sventolando un ringraziamento alla farmacista mora. Girò Kiku e gli diede una piccola spintarella alla spalla. «Ora vai.»

Kiku annuì, raccolse un nodo di coraggio nel petto. «Sì.» Si avviò a passo deciso alla cassa, spalle dritte e sguardo alto.   

La farmacista bionda si avvicinò a lui e gli mostrò un dolce sorriso di benvenuto. «Ciao.»

Kiku piegò un mezzo inchino di cortesia. «Buon pomeriggio.» Posò i due pacchetti di caramelle al malto sul bancone, i suoi occhi caddero sull’infame cestino accanto al distributore dei tubetti di burro cacao. Ruotò lo sguardo verso Ludwig da sopra la spalla, incrociò il suo, e gli indicò il cestino con un movimento delle sopracciglia.

Ludwig annuì, il suo viso s’ingrigì di tensione.

Kiku inspirò, spostò lo sguardo sul bancone, e pescò due bustine argentate senza guardare. Le posò in mezzo ai due pacchetti di caramelle e ritirò subito la mano sul fianco, sgranchendo le dita come per scrollarle da una pellicola di colla.

La farmacista bionda passò alla cassa le due bustine e i sacchetti di caramelle con quattro blip! del registratore. Tornò a sorridere a Kiku. «Basta così?»

Kiku annuì, riprese a respirare, e le chiazze di imbarazzo sulle guance sbiadirono. «Sì, grazie.» Estrasse il portafogli di Ludwig, sfogliò il denaro e passò due banconote alla farmacista.

La bionda aprì il registratore di cassa, ordinò le banconote, estrasse tre monete, strappò la linguetta dello scontrino, e diede tutto a Kiku. «Eccoti il resto. Vuoi anche un sacchettino?»

Kiku richiuse il portafogli e tornò a girarsi verso Ludwig, gettandogli uno sguardo interrogativo. Ludwig si girò di profilo con uno scatto, chinò il viso dietro il depliant e annuì con un gesto rapido e distratto, senza farlo notare.

Kiku annuì a sua volta. «Ehm. S-sì, la ringrazio.»

La farmacista inserì tutto in una busta di plastica bianca marchiata dalla croce verde e dal Bastone di Esculapio, e la porse a Kiku. «Prego.» La sua collega si girò e camuffò una risata con tre colpi di tosse.

Kiku raccolse la borsa con braccio tremante, si affrettò a girarsi, si avviò verso l’uscita cercando Ludwig con lo sguardo.

La farmacista bionda sventolò un cordiale saluto. «Buona giornata, ragazzi.»

Kiku rispose senza accorgersene. «Buona gior...»

Ragazzi, ragazzi, ragazzi.

Ludwig gettò il depliant in mezzo ai campioni della crema all’aloe, saltò di due falcate verso Kiku che era raggelato come una statua di sale, lo acchiappò per la mano e lo trascinò fuori dalla farmacia. Lasciandosi alle spalle il profumo di mentolo e camomilla e la musica vaporwave, entrambi scapparono inseguiti dalle risatine delle due farmaciste.

 

.

 

«Se non altro...» Kiku rivolse lo sguardo crucciato a Ludwig, si strofinò la nuca dove sentiva ancora accumulato il peso dell’imbarazzo e il bruciore che lo aveva colto durante la fuga. «Ce l’abbiamo fatta.»

Gli occhi vitrei e disperati di Ludwig rimasero fermi sull’insegna della farmacia. La luce verde lampeggiante si riflesse sul suo viso, sulla sua espressione piatta e senza più vita. Annuì con un gesto lento. «Già» mormorò.

Kiku fu colto da un guizzo di preoccupazione. Si avvicinò di un passetto al fianco di Ludwig e chinò il capo per incrociare il suo sguardo. «Ludwig-san?»

Ludwig sbatté le palpebre, sospirò senza spostare il viso. «Cosa, Kiku?»

Kiku flesse le sopracciglia. «C’è qualcosa che non va?»

Ludwig scosse il capo. «No» rispose. «Sto solo memorizzando la facciata di questa farmacia per ricordarmi di non entrarci mai più.»

Kiku spostò gli occhi sulla busta di plastica che pendeva dalla mano di Ludwig stesa sul fianco. La indicò con un gesto timoroso. «Ma almeno abbiamo rimediato i...» Non finì la frase.

«Già.» Ludwig abbassò gli occhi dalla croce lampeggiante dalla farmacia, rivolse uno sguardo di scuse a Kiku, la sua espressione rimase piatta e velata da quell’alone di disperazione che si infossava attorno alle palpebre. «Mi rincresce averti trascinato in tutto questo.»

Kiku giunse le mani sul ventre, raddrizzò le spalle. «È mio dovere, Ludwig-san» disse con tono sincero. «Da amico.»

«Lo so» annuì Ludwig. «Ma se domani dovesse...» Sollevò la mano che non reggeva la borsa di plastica e passò le dita fra i capelli, spostò lo sguardo. «Andare storto qualcosa, comincia a pensare a un piano per consolare sia me che Feliciano. Separatamente.»

«Conta su di me.»

Il muso dell’autobus Numero Cinque svoltò la curva della via sulla quale si affacciava l’edificio della farmacia, si avvicinò al cartello della fermata che faceva da ombra a Ludwig e Kiku.

Ludwig si sporse di un passo verso il ciglio del marciapiede, l’autobus cominciò a rallentare. «È già qui.» Aprì la borsa di plastica della farmacia, estrasse un pacchetto di caramelle al malto d’orzo e lo porse fra le mani di Kiku. «Scusami per quello che ti ho fatto passare.»

Kiku aprì i palmi verso Ludwig, fece un passo all’indietro schivando le caramelle e scosse il capo. «Non ce n’è bisogno, davvero.»

«No, tienile tu.» Un altro sguardo sconsolato attraversò il volto di Ludwig. «A me nemmeno piacciono le caramelle al malto.»

Kiku abbassò gli occhi, provò un sentimento di colpevolezza nel non riuscire a consolare Ludwig. Non poté fare altro che raccogliere il sacchetto di caramelle e ringraziare con un breve inchino di spalle.

I freni del Numero Cinque stridettero, l’autobus si fermò davanti a Ludwig, sbuffò un fischio rilassando le ruote, le porte a soffietto si spalancarono e dall’uscita posteriore scese una donna intenta a digitare su un cellulare assieme un ragazzo che teneva per mano un bambino più piccolo. Ludwig salì sull’autobus, si appese alla sbarra di ferro e si voltò a rivolgere un ultimo sguardo a Kiku.

«Ci vediamo domani sera.»

Kiku strinse le caramelle al petto e ricambiò il gesto del capo. «Sì. Fai attenzione durante il tragitto per tornare a casa.»

Le porte a soffietto si richiusero, l’immagine di Kiku si specchiò nel lucido delle ante. L’autobus ingranò la marcia, sbuffò due getti di fumo nero dalla marmitta e ripartì lasciandosi dietro una scia di smog dall’odore acidulo.

Kiku si sporse, lo vide sparire portandosi dietro Ludwig e la sua espressione sconsolata, quell’aria abbattuta che lo seguiva come una nuvoletta di pioggia, e sospirò anche lui.

Mi chiedo se sia davvero questo lo stato d’animo ideale per affrontare l’esperienza che lo attende.

Aprì il pacchetto che gli aveva dato Ludwig strappando l’adesivo che ritraeva il monaco nel giardino di erbe, tranciò il vecchietto in due. Pescò una caramella incartata singolarmente e scartò l’involucro di plastica. La tuffò in bocca, la ruppe con un morso solo e succhiò i grani di zucchero al malto d’orzo. Il sapore dolce della caramella gli distese i nervi, alleviò tutta l’ansia che si era accumulata durante la scorribanda in farmacia, lo fece davvero sentire con i piedi affondati in un prato di erbe di campagna, a respirare l’aria di sole e il profumo dei fiori selvatici. Era davvero buonissima.

Una vibrazione proveniente dalla borsa a tracolla si trasmise al suo fianco, la suoneria del cellulare lo fece sobbalzare di sorpresa. Kiku si affrettò a ingoiare la caramella, pescò il cellulare dalla tasca esterna, portò la schermata all’ombra, lontano dal riflesso dei raggi di sole, per riuscire a leggere bene. Accanto all’insegna del telefonino verde si leggeva “Alfred”.

Kiku storse un sopracciglio. Alfred-san?

Pigiò l’insegna del telefonino verde e accostò il cellulare all’orecchio. «Pronto?»

«Kiku! Dove sei? Sei libero, vero? Sì che lo sei! Devo assolutamente chiederti un favore e ho bisognissimo di te!»

Kiku dovette staccare il cellulare dal viso per non finire assordato. «E-ecco...»

«È successo un guaio, Kiku!» esclamò la voce di Alfred. «Sai che domani Mattie non verrà alla festa in palestra, vero? Perché terrà compagnia a Francis dopo che gli hanno impedito di venire per l’incidente dell’anno scorso. E allora io mi sono detto: “Ehi, questa è la mia occasione per stare da solo con Arthur!” Ma prima Arthur si è arrabbiato con me perché ha scoperto che ho detto in giro che l’ho baciato quella volta della partita di baseball e non mi parla più. E sicuramente non vorrà venire alla festa, anche se volevo invitarlo, e lo sai com’è testardo e permaloso quando s’impunta. Non riuscirò mai a fargli cambiare idea!»

«A...» Kiku sbatacchiò le palpebre, costrinse le labbra a smettere di balbettare. «Alfred-san, io...» Un barlume bianco e blu scintillò all’angolo dell’edificio della farmacia, catturò la sua attenzione facendolo sporgere con le spalle in avanti. Ma quello?  Kiku restrinse le palpebre, si avvicinò di un passo.

«Ma io ho un piano iper-geniale!» continuò la voce di Alfred dall’altro capo del cellulare. «E mi serve la tua eroica partecipazione per farlo funzionare. In pratica, tu fingi di venire alla festa con me, facciamo ingelosire Arthur, lui mi perdonerà e così si sistemerà tutto! Sono un genio, vero, eh, vero? Stai al piano, vero, Kiku? Ti prego, dimmi di sì!»

Kiku raggiunse il riverbero bianco e blu che colorava il marciapiede e la parete dell’edificio. Si bloccò, la mano che reggeva il cellulare ancora accostata all’orecchio, il pacchetto di caramelle stretto al petto, gli occhi sbarrati e le labbra piatte. Sbatté le palpebre. Non volle crederci. Le sbatté di nuovo.

Sul retro della farmacia c’era un distributore automatico.

Le labbra piatte di Kiku vibrarono, il braccio sollevato a reggere il cellulare tremò, le dita strinsero sul pacchetto di plastica e lo fecero scricchiolare.

Si rivide a far sfilare il tocco fra le varie confezioni colorate disposte in ordine sullo scaffale, ad avvicinarsi alla cassa con le caramelle al malto strette fra le braccia, a raccogliere le due infami bustine singole dalla cesta, a schivare gli sguardi delle farmaciste, a correre trascinato dalla mano di Ludwig mentre lui si era pietrificato dall’imbarazzo in mezzo al corridoio della farmacia.

E fuori c’era il distributore automatico.

«Kikuuu? » squillò la voce di Alfred attraverso il cellulare. «Ci sei ancora?»

Kiku inspirò profondamente dal naso, strinse le labbra, socchiuse le palpebre, contenne un vagito di sconforto, e trattenne la voglia di pianto che bruciava fra le ciglia.

Una singola ma autentica lacrima di disperazione gli rigò la guancia.

 


Continua...

   
 
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