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Autore: Generale Capo di Urano    13/06/2017    2 recensioni
[KazuBisha Week 2017] [Day Six: Domestic or Family] [May 19th]
Non ricordava di essere morto. Anzi, per la verità non ricordava neppure di essere mai vissuto. [...]
Una mano bianca e bollente gli carezzò i capelli e il volto, in un gesto rassicurante e affettuoso. Non avrebbe mai voluto allontanarsene.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bishamon, Kazuma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'F o r e v e r '
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KazuBisha Week 2017
Day Six (May 19th): Domestic or Family


 
Esisterò solo grazie al tuo sorriso


Non ricordava di essere morto. Anzi, per la verità non ricordava neppure di essere mai vissuto.
Fino a pochi momenti fa credeva di sentirsi etereo, inconsistente – forse una creatura oscura o celeste, composta da ombre o da luce, senza materia e corpo. Ora poteva vedere e sentire e pensare, era come un neonato che scoprisse per la prima volta di essere vivo e di potersi muovere e di poter urlare.
Sentì freddo e scoprì di essere vestito, ma di una sola veste bianca e leggera che non era in grado di proteggerlo dal vento gelido.
Aveva delle mani, le mosse. Osservò le proprie dita pallide e sottili che tremavano, le posò sulle vesti, sulle braccia e sul volto e si scoprì morbido al tatto. Le riguardò, si accorse di vederle sfocate – forse aveva gli occhi stanchi, ma pur sbattendoli più volte non riuscì a metterle a fuoco come voleva.
Deglutì e venne a conoscenza del sapore della bile. Aveva la nausea e la testa gli girava, a malapena sapeva come si stesse in piedi.
Non ricordava di essere morto, eppure non sapeva come dovesse comportarsi un vivo.
Udì delle voci, non gli sembrarono amichevoli; parevano sussurri e lamentele pronunciate con disprezzo e diffidenza. “L’ha trafitta”, dicevano, e d’un tratto si chiese se quello stato di malessere che credeva dover essere perenne fosse una sorta di punizione per qualche male che aveva involontariamente compiuto.
Si sentì però afferrare le mani e avvertì un tocco caldo e delicato – lo definì piacevole e il cuore che non sapeva di avere fece un balzo nel petto, se stupito o spaventato non avrebbe saputo dirlo.
Alzò il capo e con le pupille deboli e poco capaci poté intravedere un lampo dorato come le vesti degli dei e solo dopo qualche secondo capì che essi erano capelli – biondi, lunghi, setosi, che ricadevano come una ricca cascata su spalle candide e sconosciute.
Osservò meglio, e incontrò un paio di occhi viola come la lavanda e un sorriso dolce come quello di una mamma. Gli parve un angelo, e si convinse di essere giunto in un regno celeste popolato da sole creature meravigliose e gentili – dimenticò i sibili velenosi e contrariati che prima aveva avvertito, rapito da quel volto tanto bello da poter appartenere solo a una creatura divina e perfetta.
Una mano bianca e bollente gli carezzò i capelli e il volto, in un gesto rassicurante e affettuoso. Non avrebbe mai voluto allontanarsene.
Non ricordava di essere morto né vivo, ma sapeva di essere dove avrebbe dovuto e voluto.
Si chiese se avrebbe dovuto presentarsi – ma neppure si ricordava come si parlasse, e la propria lingua pareva voler rimanere incollata al palato secco e amaro.
Come si chiamava, poi? Aveva forse un nome?
Doveva per forza averne uno – almeno così credeva – ma non era in grado di ricordarlo, come non sapeva più fare nulla sembrava essere stato privato anche della stessa identità.
Prima, quando ancora non poteva né vedere né toccare, gli pareva di aver sentito una voce dolce e decisa esclamare: “Chouki!” e si domandò se il suo nome dovesse essere quello, dal suono morbido e caldo come le mani che lo carezzavano.
Ma non ebbe bisogno di tormentarsi ulteriormente, perché la splendida figura avanti a lui – non le aveva mai tolto gli occhi di dosso, e l’aveva riconosciuta come donna – gli aveva stretto i polsi e con quella stessa voce che poco prima aveva udito gli aveva mormorato: «Benvenuto nella nostra famiglia, Kazuma.»



   
 
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