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Autore: Bad Devil    16/06/2017    2 recensioni
“Ti senti bene?” Aveva chiesto allora, non ben sicuro di dove avesse trovato il coraggio di porgergli quella domanda, ma il ragazzo aveva alzato la testa debolmente, mostrandogli un’espressione afflitta e uno sguardo languido.
[Segue da: "The Chronicles of the Scrawny Cat and the Boy who wanted better things"]
[PRE-SLASH Scriddler / RiddleCrow ][Menzione di Abuso e Violenza]
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L'Enigmista, Scarecrow
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
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Titolo: “Not a friend (but close enough)”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Edward "The Riddler" Nygma
Pairing: Nessuno; Pre-Scriddler
Genere: Missing Moments, Slice of Life, Riferimenti ad abuso e violenza
Rating: Verde
Avvertimenti: Menzione di Abuso e Violenza
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



Not a friend
(but close enough)



Segue da: "The Chronicles of the Scrawny Cat and the Boy who wanted better things"


Edward odiava i lunedì.

Erano chiassosi, caotici, pieni di false promesse. Illudevano che la settimana appena incominciata potesse essere in qualche modo differente da quella appena lasciata alle spalle, ma lui sapeva bene che non era così. Per lui il lunedì era un tedio rappresentato da una giornata infinita di noia e, come consuetudine, era costretto ad affrontarlo con la stanchezza residua della notte precedente, passata a lavorare in una delle caffetterie del centro. Aveva preso ordinazioni, servito ai tavoli, riscosso misere mance e mostrato un bel sorriso a chiunque avesse volto lo sguardo su di lui, abbassando gli occhi l’istante successivo solo per evitare che quel contatto si protraesse troppo a lungo. Talvolta i suoi turni erano più piacevoli di altri, a volte scorrevano senza intoppi, ma altre doveva farsi forza e coprire i lividi con strati e strati di correttore e pregare che nessuno dei clienti potesse riconoscerlo. Allora prendeva le ordinazioni ostentando meno falso entusiasmo, serviva quanto richiesto e ringraziava a mezza voce, chinava il capo più di quanto mai si sarebbe concesso di fare normalmente e aspettava che il suo turno finisse solo per dormire poche ore ed essere pronto l’indomani per la scuola. Una routine a cui era abituato, nonostante tutto, ma che era stata spezzata da una variabile che non aveva considerato: Jonathan Keeny.

Questi era entrato nella sua vita con la grazia e velocità di una palla demolitrice, spaccando sul suo cammino ogni protezione Edward avesse messo di fronte ai propri segreti. Alcuni, almeno, ma uno era già troppo e ben presto il ragazzo si era ritrovato a temere per le conseguenze di quegli avvenimenti. Non intendeva denigrare la qualità del tempo che avevano trascorso insieme, questi era stato fuor’dubbio piacevole, ma si odiava per essersi lasciato andare emotivamente con qualcuno che, per quanto ben intenzionato, restava ancora uno sconosciuto.
Il ragazzo non sembrava aver preso il suo piccolo crollo emotivo con disprezzo, anzi, appena si era trovato di fronte alla situazione gli aveva dato quanto più potesse sperare di ricevere da qualcuno.
Lo aveva abbracciato e, dal basso della sua esperienza in materia, Edward poté dire senza dubbio che fosse una cosa nuova anche per lui, ma ci aveva messo le migliori delle intenzioni nonostante l’evidente disagio. Odiava se stesso per aver ceduto così in fretta, evidentemente carente di contatto fisico da bramarlo dal primo disposto ad elargirlo, ma più di tutti odiava lui per essersi dimostrato disponibile a fornirglielo. Non era pronto a una simile evenienza, così come non si sarebbe aspettato che sarebbe capitata, men che meno con lui. Stanco e provato dall’accaduto, Edward avrebbe soltanto voluto dormire quella notte, ma l’idea che vi fosse qualcuno al suo fianco lo aveva confortato al punto che, sul momento, aveva osato chiedergli il permesso di appoggiarsi a lui nuovamente. Keeny lo aveva guardato un solo istante, col un biscotto tra le labbra, solo per poi colpirsi la coscia con la mano ed invitarlo a prendere posto. Invito che, con tutto l’astio che ora aveva il rosso in corpo, avrebbe voluto avere la forza di rifiutare. Invece vi si era appoggiato lentamente, nascondendo il volto contro la stoffa dei suoi pantaloni, chiudendo gli occhi e lasciando che anche quella giornata finisse, cullato dal basso sottofondo del portatile e dalla gentile carezza delle sue dita tra i capelli.

Il risveglio era stato tra i più imbarazzanti che avesse mai vissuto. Aveva aperto gli occhi prima ancora che suonasse la sveglia, solo per scoprire che l’altro ragazzo non si fosse mai mosso. Doveva essersi addormentato ad un certo punto, ne era sicuro, ma quando aveva aperto gli occhi la sua mano era ancora intrecciata ai suoi capelli, esattamente dove lo era stata ore prima. Keeny gli aveva sorriso in modo impacciato, senza proferir parola nemmeno alle sue scuse, si era alzato e aveva indossato nuovamente gli anfibi, probabilmente apprezzando il silenzio in cui Edward si era forzato per la vergogna. Come il giorno precedente avevano fatto colazione assieme, del latte coi cereali per sé e un caffè per lui, serviti tra mutismo obbligato e sguardi evitati. Aveva lasciato la sua abitazione immediatamente dopo, congedandosi con qualche frase di circostanza e senza mai dire nulla inerente a quanto accaduto. Sul momento Edward aveva apprezzato il suo evitare l’argomento, era comprensibile, ma qualcosa nella freddezza del suo atteggiamento lo aveva fatto sentire in colpa. Non che Keeny fosse mai stato più espansivo, ma Edward sapeva riconoscere l’imbarazzo e quella mattinata ne era stata pregna. Aveva continuato a ripensarci per tutto il giorno, chiedendosi le implicazioni possibili dei fatti e le relative conseguenze, aveva considerato possibile che la loro amicizia sarebbe colata a picco ancora prima di cominciare, ma la verità era che gli sarebbe toccato aspettare fino al lunedì per scoprirlo e lui odiava aspettare, almeno quanto stava odiando la propria poca mancanza di giudizio e il fatto che, per colpa di Keeny, avesse invertito le ordinazioni di due tavoli e sbagliato a servirne un terzo (“perché quell’hipster del cazzo aveva proprio bisogno del caffè al ginseng alle due e mezza del mattino”).

Era rincasato tardi, scivolato in abiti più comodi solo per passare una notte quasi insonne, ancora tediato da tutto ciò che avrebbe potuto andar storto l’indomani. Si era alzato quindi prima del suono della sveglia, si era forzato a fare colazione ed era uscito di casa solo per evitare di incontrare il padre e iniziare quella giornata in un modo anche peggiore. Aveva messo le cuffie e alzato il volume del proprio telefono, sperando che almeno quella riuscisse a calmare il flusso dei propri pensieri. Mancava poco in fin dei conti, ancora poco avrebbe avuto le risposte alle sue domande. Quando arrivò in classe non vi era ancora nessuno, allora aveva posato la propria tracolla, messo via le cuffie e aspettato, solo per ritrovarsi a camminare nervosamente per l’aula.
Keeny era arrivato puntuale, a dirla tutta un po’ in anticipo, con tra le mani un bicchiere di cartone pieno di caffè, bevanda che Edward aveva già capito fosse la sua droga preferita. Aveva preso posto anche lui, solo per poggiare la fronte contro il banco e lasciare che il peso della settimana ai suoi inizi lo investisse con ferocia. Edward si era seduto al suo fianco, prendendo un libro per fingersi impegnato, ma l’unica reazione dell’altro era stata quella di stringere le dita attorno al bicchiere, senza mai alzare la testa. Col passare dei minuti l’aula si era riempita del vociare dei loro compagni, chiacchiere superflue e futili, sterili al punto dal rendere quel lunedì mattina ancora più insopportabile. Keeny al suo fianco sembrava più nel mondo dei morti che in quello dei vivi, gli era bastato uno sguardo per rendersene conto e per un istante iniziò a pensare che non dipendesse da quanto successo due sere prima.

“Ti senti bene?” Aveva chiesto allora, non ben sicuro di dove avesse trovato il coraggio di porgergli quella domanda, ma il ragazzo aveva alzato la testa debolmente, mostrandogli un’espressione afflitta e uno sguardo languido. Aveva oscillato appena il capo, ancora con la fronte premuta contro il banco; la risposta per quanto ermetica fu esauriente. Dopo quella breve reazione Keeny sembrava aver trovato la forza necessaria per tirarsi a sedere più compostamente, si era portato il bicchiere alle labbra e doveva aveva sperato in un qualche miracolo a cui, però, nessun dio sembrava aver deciso di rispondere.

“Hai qualcosa da darmi?” gli aveva chiesto infine, con fil di voce, finalmente degnandosi di parlargli assieme. L’ira che Edward aveva convogliato nei suoi confronti era ormai quasi dimenticata, sostituita da una forte curiosità e una confusione senza pari.

“Dipende da quello che ti serve.” Replicò ovvio, azzardandosi a toccargli la fronte per capire quale potesse essere la sua eventuale necessità. Il ragazzo non si era sottratto al gesto, sembrava anzi aver trovato giovamento nel fresco tocco della sua mano. Vi si era spinto contro a occhi chiusi, sospirando appena.

“Influenza... credo.” Aveva borbottato lui e Edward non si sentì di contraddirlo, certo com’era che questi avesse persino un po’ di febbre. Lo privò della propria presa solo per frugare nella propria tracolla e estrarne una compressa ed una bottiglietta d’acqua.

“Questo dovrebbe aiutarti.” Gli disse, più per attirare la sua attenzione che non per reale necessità, incerto sul da farsi. Non aveva mai condiviso la propria acqua con qualcuno, perché mio dio, piuttosto che mischiare i germi e la saliva di qualcuno con i propri avrebbe preferito morire, ma in quel momento gli era sorto come gesto spontaneo. Keeny sembrava non aver badato al dettaglio, aveva aperto il blister senza difficoltà e forzandosi la compressa tra le labbra la aveva ingoiata con un sorso di caffè.
Era stato così rapido e orrendo che Edward non era riuscito nemmeno a fermarlo.

“Grazie.”

Un mormorio che venne quasi soffocato contro le sue braccia, su cui Jonathan aveva nuovamente affondato il volto, cercando riparo dall’impietosa luce del mattino e dalle parole dell’insegnante che ancora una volta avrebbe ignorato. Il ragazzo riprese conoscenza intorno all’ora di pranzo. Edward era certo che fosse svenuto ad un certo punto, poiché nessuno avrebbe potuto restare sei ore di fila senza muoversi o reagire ai suoni dell’ambiente circostante, come lui aveva appena fatto. Era stato anche richiamato ad un certo punto, ma il rosso aveva colto l’occasione per vantare la propria sapienza, rispondendo al posto del compagno e beccandosi un richiamo che, almeno, era valso a sufficienza da eliminare l’attenzione dell’insegnante sul loro angolo della classe.

“Tornato nel mondo dei vivi?” Gli chiese con aria di superiorità, una volta che questi ebbe alzato la testa dal banco.

“Per quanto ho dormito?”

“Più o meno? Tutta la mattina.”

“Cosa mi hai dato? Quella pastiglia mi ha steso.” Borbottò Jonathan in risposta, portandosi una mano al volto per stropicciarsi gli occhi.
“Hai tentato di avvelenarmi, ammettilo.” Edward si voltò verso di lui molto indispettito a quell’accusa, pronto a ribattere, ma alla vista del suo viso davvero provato da quelle poche ore, perse la voglia di insultarlo.

“Come se non ti fosse mai successo!” replicò quindi seccato, solo per poi addolcirsi.
“Ti senti meglio?”

Keeny gli riservò un’occhiata eloquente quanto quella di poche ore prima; i suoi occhi erano ancora un po’ lucidi, ma Edward ne attribuì la causa al risveglio.
“Ricevuto. E’ ora di pranzo.” Lo informò il rosso alzandosi, pronto a lasciare l’aula. Avevano già passato degli intervalli insieme, loro due, scelta forzata visto che entrambi erano soliti rifugiarsi in terrazza, ma visti gli ultimi sviluppi il ragazzo pensò che sarebbe stato più cortese aspettarlo, piuttosto che precederlo. Keeny registrò l’informazione e mise mano alla tasca dei pantaloni, tirando fuori il portafoglio tragicamente vuoto.

“Credo che ne farò a meno.” La mano raggiunse il bicchiere di caffè ormai freddo e ne vuotò il contenuto con un lungo sorso, contorcendo le labbra in una smorfia di disgusto.

“Più ti conosco più credo che tu faccia del tuo meglio per non sopravvivere.” Gli disse sincero Edward, ancora un po’ inorridito dal gesto.
Stava prendendo tempo, perché sapeva perfettamente di essere tentato di condividere il proprio pranzo con lui. Richiesta che, sicuramente, l’altro non avrebbe rifiutato.
“Vieni su con me?”

Jonathan trovò la forza di alzarsi in piedi (non troppa, visto che dovette sorreggersi al banco per qualche istante) ma infine, con in mano il pacchetto di sigarette aveva mosso i primi passi verso l’uscita dell’aula e quindi verso la terrazza. L’andatura era incerta, lenta e a tratti barcollante, ma tutto sommato si reggeva abbastanza da togliere a Nashton il pensiero di doverlo raccogliere da terra da un momento all’altro.
L’aria era fresca, fuori, sufficiente da farli pentire entrambi di non aver portato una felpa, ma nonostante tutto si sedettero in terra senza lamentele, appoggiando la schiena al muro. Edward aprì la busta del proprio pranzo, due toast tra quelli avanzati la sera prima in caffetteria e che avrebbero finito con l’essere gettati. Ne porse uno a Keeny.

“Mangia.” Suonò un po’ come un ordine, ma non di meno l’altro sembrò apprezzare il gesto.
Ringraziò e lo prese, posandoselo in grembo solo per potersi accendere una sigaretta. “Che ti è successo?”

Jonathan inspirò profondamente e appoggiò il capo all’indietro, guardando il cielo. Dopo diversi istanti fu chiaro che non vi sarebbe mai stata una risposta concreta, così Edward sbuffò e diede un morso nervoso al proprio toast.

“Oh, certo, ti prego ignorami, adoro fare conversazione da solo.”
Jonathan rise appena, voltandosi finalmente verso di lui. Non sembrava essere intenzionato a fornirgli il trattamento del silenzio, tutt’al più sembrò enormemente a disagio.

“Ripensavo a due sere fa.” E a quelle parole, quello in difficoltà fu Edward. Poteva capirlo perfettamente, se aveva dei ripensamenti. Con tutto quello che era successo ne aveva avuti anche lui.

“Riguardo quello...” Era sul punto di scusarsi, quando Jonathan gli rivolse il più bello e impacciato dei sorrisi che avesse mai visto.

“Pensi che potremmo guardare qualcos’altro insieme?”
La domanda lo aveva spiazzato completamente, ma per quanto inaspettata questa era riuscita a rispondere a gran parte dei dubbi che il rosso si era posto durante il fine settimana.

“Se ti fa piacere...” Aveva distolto lo sguardo, privilegiando la ripugnante fuga delle mattonelle, tutto pur di non incrociare il suo sguardo, certo com’era che il sorriso sul suo volto fosse più che evidente. Keeny lasciò cadere la cenere in terra, presto portata via dal vento, solo per portarsi la sigaretta alle labbra.

“Se a te non dispiace, almeno.” Aveva quindi detto, reso insicuro dalla sua replica. In qualche modo Edward trovò il coraggio di dare una risposta esplicita e rassicurarlo, con molti giri di parole, che sì, lo avrebbe apprezzato tantissimo.

Restarono in silenzio a lungo, dopo quel piccolo scambio di battute e quando il ragazzo gettò via il mozzicone di sigaretta per dedicarsi al pranzo gentilmente offertogli, Edward si rese conto per la prima volta nella vita, che non tutti i silenzi andassero riempiti. Non era opprimente o forzato, sembrava quasi piacevole. Tuttavia non durò.

“Adesso si può sapere cosa ti è successo?”
Alla domanda Jonathan sembrò in conflitto tra il rispondergli sinceramente o il minimizzare; Edward non seppe mai quale delle due opzioni scelse.

“Ho preso freddo ieri notte.” Quella che ostentava era falsa tranquillità, era piuttosto evidente, ma il rosso scelse di non indagare per non sembrare troppo invasivo. Per una volta cercò di non sembrare troppo sgradevole al prossimo, si azzardò soltanto a toccargli nuovamente la fronte.

“Hai ancora la febbre.” lo informò, atono. “Avresti dovuto restare a casa, la tua bisnonna-”

“E’ tornata.” Disse soltanto, interrompendolo e lasciando cadere così il discorso. Accartocciò la stagnola del proprio pranzo e la posò in terra, reclinando il capo all’indietro e chiudendo gli occhi.

“Avresti dovuto almeno prendere qualcosa.” Ma quello mormorò qualcosa sul non avere medicinali a portata di mano e il non poterli comprare per mancanza di soldi. Ancora una volta Edward scelse di non fare questioni. Volse la propria attenzione alle sue mani, scorgendo delle piccole parti rossastre sotto le sue unghie, accumulate insieme allo sporco che aveva già avuto il dispiacere di notare giorni prima.

“E’ sangue, quello?”

Jonathan aveva alzato la testa di colpo a quella domanda e, senza bisogno che Edward dicesse altro, aveva rivolto lo sguardo alle proprie unghie per esaminarle. Fece del proprio meglio per raschiarlo via dai punti più evidenti, ma purtroppo la risposta si era palesata ugualmente.

“Spero almeno che non sia tuo.” Aveva detto quindi per fare una battuta, in modo da spezzare la tensione creatasi, ma Jonathan era rimasto impassibile, rispondendo in un sibilo.

“No, non lo è.” Aveva replicato forse troppo in fretta, nascondendo le mani in grembo, per poi aggiungere con un sussurro “Non del tutto.”

Non si rivolsero la parola fino al termine di quella giornata, quando si salutarono freddamente all’angolo della via in cui le loro strade si dividevano.
  
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