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Autore: ludo22    16/06/2017    3 recensioni
Sherlock deduceva ad alta voce, ma Mycroft non ne aveva bisogno. (…)
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La scena del ‘Ti amo’ Sherlolly vista dal punto di vista di Mycroft.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note:
 
 
-Contiene spoiler sulla quarta stagione (non so se dopo oltre sei mesi valga ancora definirlo spoiler, ma male non fa!).
-Brotp!Mollycroft (perché è sempre cosa buona e giusta e perché entrambi se la meritano).
-Accenni di Sherlolly (perché sono la mia otp suprema).
-Ringrazio Fisio per aver letto gran parte (salvo qualche aggiunta last minute) della storia in anteprima (e per avermi fatto da beta) e la mia cara amica Sabry.
-Sono consapevole che non sia il mio lavoro migliore ma meglio di così non veniva (credetemi! Ci ho provato! Una cosa come una quindicina di volte! L’ho riscritta talmente tante volte che mi è venuta la nausea).
 
 
 
 
 
But life goes on
 


 
You are
You singing now a song
But you heard it somewhere else I know
 
-Circles; Ludovico Einaudi ft. Greta Svabo Bech-
 
 
 
 
-La vuoi una cioccolata calda?- chiese una voce femminile.
 
Ma guarda te il caso!
 
La persona che stava seguendo, oramai da quasi un anno, gli chiedeva se voleva una cioccolata calda.
 
-Perché dovrei volere una cioccolata calda? Da un’estranea, poi! Tsk!-
 
La ragazza arrossì, ma rispose con un qual certo piglio.
 
-Forse perché è quasi Natale, Scrooge, e ti vedo tutti i giorni qui sotto, e siamo sotto un ospedale, ti ricordo, ma non sali mai a visitare nessuno.-
 
L’uomo sorrise.
 
-Beh, comunque la risposta è no!-
 
La donna sembrò offendersi mortalmente, perché gli rispose con uno scocciato:
 
-Perfetto! Ciao!-
 
 
 
****
 
 
 
 
 
Sherlock deduceva ad alta voce, ma Mycroft non ne aveva bisogno.
 
Molly Hooper.
 
Senza dire una parola -e cercando, anche, di non pensare-, l’uomo attraversò la cella, dirigendosi verso il coperchio della bara, pregando per quella che potrebbe essere la prima volta nella sua vita.
 
Non lei. Fa che non ci sia il suo nome. Chiunque ma non le…
 
Non c’era il suo nome, scritto a caratteri cubitali sul coperchio della cassa da morto; c’era impresso qualcosa di peggio.
 
Ascoltare le deduzioni di Sherlock stava iniziando a diventare insostenibile; lui non vedeva perché non voleva vedere.
 
Essere sentimentalmente coinvolti non è un vantaggio, Sherlock.
 
-Oppure possiamo guardare il nome sul coperchio.- Mycroft fece roteare ciò che chiudeva la bara, tenendolo come fosse uno scudo tra il fratello e ciò che rimaneva del suo cuore –e non era, forse, questo il compito di un fratello maggiore? Proteggere. Da qualsiasi pericolo, da qualsiasi cosa, a qualsiasi costo-, per il minore dei due che, in quel momento, stava tenendo in mano la freccia letale, anche se lui non lo aveva ancora realizzato.
 
-Quindi, è per qualcuno che ama qualcun altro?- chiese il dottor Watson.
 
Come diceva sempre Sherlock, il medico vedeva ma non osservava.
 
-È per qualcuno che ama Sherlock.- ma stavolta non sono io. –Questo è stato fatto per te. Tutto qui dentro.-
 
-Irene Adler?-
 
Mycroft ignorava perché una donna già da diverso tempo morta necessitasse di una bara. Gli veniva da vomitare.
 

(Forse più che quando il direttore di Sherrinford era morto, e… non era questo un pensiero orribile?
 
Mycroft evitò alla sua immaginazione di indugiarci ulteriormente.)
 

-Non sposata, pratica di morti, sola…-
 
Anche John Watson fu in grado di riconoscere il probabilissimo futuro proprietario della bara.
 
-Molly-
 
Ma tutto ciò che vedeva Mycroft dietro gli occhi chiusi era Eurus. Eurus che si rifiutava di dire loro che fine avesse fatto Victor Trevor, Eurus che minacciava il piccolo Sherlock, la sua intelligenza, la sua malattia, il suo genio innato nell’usare Molly Hooper.
 

(La più grande debolezza di Sherlock era proprio quella donna minuta e all’apparenza pacifica, molto più di quanto lo potesse essere una qualunque droga.
 
Mycroft lo aveva sospettato già da molto, moltissimo tempo.)
 

Eurus, nel frattempo, stava parlando.
 
Stava spiegando le regole del suo nuovo “gioco”, e parte del cervello dell’uomo stava seguendo meticolosamente la spiegazione, l’altra parte era impegnata a pensare che non era possibile che Eurus avesse messo lo zampino su dell’esplosivo, che non era possibile che fosse riuscita anche a penetrare nell’appartamento di Molly Hooper…
 
A Baker Street ha dovuto usare un drone, e non può, non può, aver messo le mani su dell’esplosivo…
 

(Il suo cervello si stava isolando, stava categorizzando tutto, si stava già preparando all’imminente esplosione, da sempre addestrato a farlo, al punto da non sentire nemmeno la necessità che, a farlo, fosse la sua coscienza.)
 

Ma Eurus era da sempre stata una dozzina di passi avanti a tutti loro –davanti a lui, il pensiero bastò a fargli venire ancora di più voglia di vomitare- e se si fosse sbagliato…
 
Dannazione!
 

(Se fossero riusciti tutti quanti ad uscire interi da quel pasticcio immane in cui si trovavano, Mycroft si ripromise che si sarebbe fatto stare simpatico anche John Watson.)
 

La donna stava ancora parlando, e lo stesso allenamento che Mycroft esercitava per impartire una lezione ai suoi giovani sottoposti lo aiutò a trattenere la parolaccia che gli sarebbe sfuggita altrimenti, mentre sua sorella svelava il limite, pressoché infinito, della sua depravazione.
 
Sherlock non avrebbe dovuto rivelare ciò che provava nei confronti della dottoressa Hooper, ma doveva manipolarla affinché fosse lei a palesare i suoi sentimenti.
 
Molly amava Sherlock, grazie tante!
 
Perfino un cieco sarebbe stato in grado di vederlo!
 
Era il modo in cui arrotondava la r del suo nome, il modo in cui i suoi occhi lo seguivano quando entrava in una stanza, il modo in cui cercava un minimo di contatto fisico con il minore dei due fratelli Holmes a farglielo dire con assoluta certezza.
 
E Sherlock –anche lui la amava. Lei era il suo tallone d’Achille emozionale, e Mycroft sapeva meglio di chiunque altro che Sherlock e le emozioni non si sposavano bene. Anche Eurus lo sapeva, lo stava testando sin dal principio, aumentando la difficoltà di ogni puzzle, di ogni stanza, fino al momento in cui erano arrivati lì –l’unico posto, l’unico punto debole, l’unica fessura in cui lei sapeva che Sherlock sarebbe crollato.
 
Mycroft osservò con assoluta fascinazione –e con il fiato sospeso- Molly girarsi al primo squillo del telefono, ma ignorare la chiamata, una volta buttato uno sguardo a chi la stava cercando.
 
Sherlock si meravigliò, ma in una maniera arrogante, al punto da spingere Mycroft a stringere i pugni.
 
Sherlock poteva averla, ma la dava per scontata, assumendo che ci sarebbe sempre stata, che l’avrebbe sempre perdonato, che l’avrebbe sempre amato.
 
Forse non più, dopo quella giornata infernale.
 

(Mycroft pensò distrattamente che se Molly Hooper fosse uscita viva dalla situazione difficile in cui si trovavano e non fosse riuscita a perdonare Sherlock, che speranze avrebbe mai potuto avere lui, cardine –nonché fautore- di tutta quella tragedia?)
 

Molly continuava a ignorare la chiamata e l’uomo strinse appena gli occhi, desiderando più di ogni altra cosa sapere cosa si fossero detti su quell’ambulanza, appena qualche giorno prima.
 
Eurus attaccò il telefono prima che Sherlock potesse lasciarle un messaggio in segreteria.
 
Ridendo, richiamò e la tensione arrivò a toccare le stelle, tutti e tre gli uomini ben consapevoli del tempo perso.
 
Sottovoce, il medico del gruppo sollecitò la donna:
 
-Avanti, Molly, rispondi. Maledizione, rispondi!-
 
Se la giovane donna non avesse risposto al telefono sarebbe stato tutto assolutamente inutile.
 
Il cervello di Mycroft faceva gli straordinari quel giorno perché analizzò l’intera figura della dottoressa. La quantità di limone spremuto nella tazza da the indicava chiaramente un principio di raffreddore, di tosse, o comunque un qualche stato febbrile. Indossava un maglione presumibilmente lavorato all’uncinetto a righe gialle, blu, fuxia, azzurre e crema, e un paio di jeans, la coda di cavallo era portata più lenta rispetto a quando lavorava. Aveva senz’altro pianto da poco e aveva un’aria triste e dismessa, mentre la postura era quella di una donna sconfitta. Mycroft improvvisamente ricordò un altro uso medico del limone…
 
Quando Molly si asciugò le mani su un canavaccio giallo, tuttavia, le deduzioni che il suo cervello prontamente gli offriva si fermarono; la conversazione era troppo importante per fare più di una cosa in contemporanea. 
 
-Ciao Sherlock. Mi stai chiamando per un motivo urgente, perché non è stata una bella giornata.-
 
-Molly, voglio che tu faccia qualcosa di davvero molto semplice ma non devi chiedermi il perché.- l’uomo le rispose senza prendere fiato tra una parola e l’altra, per paura di perdere altri secondi preziosi.
 
La donna sospirò impazientemente:
 
-Oddio, cos’è uno dei tuoi giochini stupidi?-
 
Mycroft non poté impedire la leggera contrazione delle sue labbra; la patologa conosceva Sherlock davvero bene.
 
-No, non è un gioco. Ho… bisogno del tuo aiuto.-
 
-Senti, non sono al laboratorio…-
 
-Non ti cerco per quello.-
 
-Beh, allora veloce.- un altro sospiro. –Sherlock?-
 
Era davvero impaziente, più di quanto Mycroft avesse mai sentito sul suo conto, o di quanto le lunghe ore di guardia davanti al Barts, passate a controllare i traffici del fratello minore, glielo avessero suggerito. In un batter d’occhio il volto pulito di Molly venne rimpiazzato da quello sadico di Moriarty che canticchiava:
 
-Tick-tock, tick tock!-
 
I metodi di tortura psicologica di Eurus erano davvero ammirabili.
 
Se non fossero stati diretti al suo fratellino, certo!
 
Sherlock glielo chiese senza troppi giri di parole, sperando, forse, in una qualche botta di fortuna.
 
Ma Molly aveva smesso di farsi schiavizzare da lui e non perse tempo a dirgli di lasciarla in pace, già in procinto di attaccare il telefono.
 
Mycroft emise un piccolo rantolio, mentre Sherlock andò nel panico, avvicinandosi allo schermo, come se lei potesse vederlo e Euros, meccanicamente calma, ricordò a tutti loro le regole.
 
Molly non doveva sospettare che la sua vita fosse in pericolo, non doveva trasparire niente dal tono di voce dell’uomo, non doveva sapere dell’urgenza…
 
Ma mancavano solo 68 secondi e, per quanto gratificante sarebbe stato normalmente ascoltare qualcun altro rimproverare il fratellino, Mycroft sperò soltanto che Molly facesse silenzio.    
 
Sherlock provò ancora, ma sembrò solo accrescere la rabbia della giovane, offendendola di nuovo. Mycroft si perse a guardare le scarpe mentre il fratello insisteva che lui e Molly erano semplici amici, irrazionalmente geloso della facilità con cui quella parola usciva dalla bocca del fratello.
 
Non sono solo, Sherlock.
 
Come fai a saperlo?
 
Dopo qualche istante Molly supplicò, supplicò Sherlock di non ferirla di nuovo, e Mycroft non seppe davvero cosa fosse più doloroso… La vulnerabilità nella voce di Molly o l’inconsapevolezza di Sherlock.
 
Il minore dei fratelli Holmes non riusciva proprio a capire cosa le impedisse di dirgli quelle tre semplici paroline.
 

(Mycroft, invece, lo aveva capito.
 
Per lei erano reali.
 
Era lo stesso motivo per il quale lui non le diceva ai suoi genitori o a Sherlock.
 
Perché quelle parole erano la verità e avrebbero rischiato di ingoiarli tutti quanti vivi.)
 

Lui la pregò di dirgliele.
 
Erano solo tre parole, d'altronde.
 

(Tre parole che avevano il potere di scacciare l’oscurità dal mondo.
 
Non erano nient’altro che una candela, ma anche quella era in grado di allontanare la più buia delle notti.)  
 

Un’altra breve apparizione del volto odioso di Moriarty, e Mycroft incrociò le braccia e si fece forza per l’inevitabile.
 

(Sia che lei glielo dicesse –sia che non lo facesse- lo stupido gioco di Eurus avrebbe finito per ferire qualcuno.)
 

Molly stupì tutti, invece. Con la stessa determinazione e la stessa audacia di un piccolo seme che cresce fino a diventare uno splendido fiore, piantato in un terreno brullo e arido, ordinò a Sherlock di dirlo lui per primo.
 
Eurus annunciò gli ultimi trenta secondi e la bocca di Mycroft si aprì involontariamente per l’orrore, certo che tutto fosse perduto. Sherlock non glielo avrebbe mai detto –forse, se gli fosse stato dato più tempo, tempo per assorbire l’idea e fargliela passare come un gioco, sarebbe riuscito a fingere, ma…-
 
-Io… io.-
 
Non ce l’avrebbe fatta, non ce l’avrebbe fatta, non ce l’avrebbe fatt…
 

(Il punto era che Sherlock non amava.
 
Certo, amava John, aveva amato Mary, amava Rosy, più per impostazione predefinita che per altro –amava i suoi genitori, e lei era per metà John e per tre quarti Mary, non aveva scelta se non amarla con tutto il suo cuore-, presumibilmente amava il maggiore degli Holmes, amava mamma Holmes e papà Holmes, aveva amato Victor Trevor, ma non amava nel modo in cui amano gli adulti, nel modo in cui “un uomo ama una donna” o, comunque, nel modo in cui i libri di poesia di sua madre, accuratamente nascosti nel salotto di casa Holmes, chiamavano quel sentimento.
 
Quello per lui era un mistero.
 
Uno di quelli che non era disposto a risolvere.
 
Non lo sapeva e non era nemmeno intenzionato a imparare.
 
Preferiva ignorarne l’esistenza.)
 

Non ci riusciva, non avrebbe saputo nemmeno come dirle…
 
-Ti amo.- disse, non totalmente convinto delle parole che gli erano uscite dalla bocca, prima di ripetere, più dolcemente e con più fermezza. –Ti amo.-
 
Molly prese il telefono con due mani e lo portò alla bocca, come per baciare il congegno elettronico. Come se stesse baciando Sherlock.
 
Ma non muoveva le labbra.
 
Sherlock invocò il suo nome una… due volte… e la paura di Mycroft aumentò, non solo per Molly, ma anche per Sherlock. Se lei non avesse ripetuto la stessa formula –non solo avrebbe perso la vita, ma Sherlock aveva ormai confessato ciò che aveva sempre rifiutato di ammettere e lei ancora non diceva niente…-
 
Beh, non ci sarebbe stato modo di riportare suo fratello indietro.
 
Meno di dieci secondi… Mycroft fece un passo in avanti –per andare dove, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui. E, dopo quella che gli parve un’attesa infinita, le parole uscirono dalla bocca della donna.
 
-Ti amo.-
 
Il secondo dopo, il timer suonò.
 
Era finita.
 
Sherlock aveva superato la prova.
 
Un collettivo sospiro di sollievo uscì dalle labbra dei tre uomini, e Mycroft lasciò andare le braccia, buttando la testa all’indietro.
 
Non importava più.
 
Non importava più se le membra gli sembravano acqua, e le interiora gelatina.
 
Molly –e Sherlock- avrebbero avuto una possibilità.
 
Sarebbero stati felici, eventualmente.
 
 
 
****
 
 

(C'era un tempo in cui Sherlock Holmes non avrebbe saputo minimamente come amare. 

Era davvero divertente che fosse servita la minaccia di un'esplosione per dimostrargli come si faceva.)



 
****
 
 

Sherlock aveva la testa tra le sue mani e non si mosse per un paio di secondi e Mycrof avanzò di un passo o due per confortarlo. Per ringraziarlo.
 
-Sherlock, per quanto duro possa essere stato…-
 
Ma Sherlock non gli prestava già più attenzione. Si voltò verso Eurus, ripetendo che aveva vinto e richiedendo a gran voce il suo premio. Lei sembrò confusa… perplessa, e Mycroft ebbe un brutto presentimento.
 
Non era ancora finita.
 

(Mycroft si chiese se sarebbe mai davvero finita, adesso che Eurus aveva tre dei suoi balocchi preferiti.)
 

Spiegò loro che quel gioco era fatto a strati.
 

(C’era sempre un altro strato da giocare con Eurus, ricordò l’uomo con un brivido.)
 

Mycroft si girò dall’altra parte, per evitare di farsi vedere da lei e da Sherlock.
 
Aveva sempre avuto ragione, non c’era alcuna bomba nell’appartamento di Molly.
 

(Si permette, per la prima volta, di usare il suo nome di battesimo. Lei se l’era meritato dopotutto. E Molly glielo aveva chiesto parecchio tempo prima, comunque.)
 

Sarebbe stato un rischio troppo grande quello di assumere che Eurus stesse bleffando e rifiutarsi di prendere parte al gioco… ma Sherlock ci era caduto in pieno.
 
Aveva sempre permesso alle sue emozioni di dominare su ciò che aveva al posto della testa.
 
Mycroft non poteva affrontare la reazione di suo fratello, aveva bisogno di un minuto, un minuto soltanto (perché non poteva avere mai un minuto da dedicare solo a sé stesso?), prima di provare a limitarne i danni, prima di provare a riaggiustarne i pezzi. Sherlock sarebbe imploso –tutte quelle emozioni, tutta quell’onesta, tutto per niente. Dopo la scomparsa di Victor, Mycroft ci aveva provato –Oh, quanto ci aveva provato!- ad insegnargli...
 
Tutte le vite finiscono, tutti i cuori vengono infranti. Essere sentimentalmente coinvolti non è un vantaggio, Sherlock.
 
Ma, a volte, non era una cosa nemmeno volontaria.
 
Eurus girò il coltello nella piaga, scavando dove sapeva fare più male a Sherlock, lì dove stava Molly, nel suo cuore, per poi decidere di farli proseguire, aprendo una porta seminascosta nel muro.
 
Soltanto il rumore dei passi pesanti di John lo seguì nell’altra stanza e Mycroft si girò per controllare dove fosse finito il fratello. Si fermò quando vide una mano di Sherlock accarezzare la bara, come se fosse il volto di Molly.    
 
Lo strano atteggiamento del minore dei due fratelli Holmes mise i brividi al maggiore, ma prima che potesse anche solo muovere un muscolo nella sua direzione, Sherlock colpì con quanta forza aveva la bara, spezzandola in due, poi in quattro, poi in otto, fino a che non ne rimase altro che polvere e trucioli di legno.
 
Quello era un lusso che Mycroft Holmes non avrebbe mai avuto, tutto quel caotico rilascio di emozioni, quell’energia catartica.
 
Nessuno sapeva che, durante i mesi passati come spia da Sherlock, lui e Molly erano diventati una strana sorta di… amici.
 
Nessuno sapeva quanto tenesse a lei.
 
E, forse, era un bene.
 
Se Eurus avesse saputo quanto gli avrebbe fatto male vedere il corpo della patologa privo di vita, lo avrebbe usato ulteriormente a suo vantaggio.
 
Aveva scelto di concentrarsi su Sherlock e, con un po’ di fortuna (da quando in qua Mycroft Holmes si affidava a qualcosa di aleatorio come la fortuna?), ogni emozione che l’uomo aveva provato l’avrebbe attribuita all’umanità residua che gli rimaneva, o al suo amore per Sherlock.
 

(Nonostante come lui si fosse comportato con lei in tutti quegli anni di prigionia, Eurus non l’aveva mai considerato ‘L’Uomo di Ghiaccio’.
 
Lo conosceva troppo bene.)
 

Non gli rimaneva che appoggiarsi allo stipite della porta e rimettere su la sua maschera, mentre aspettava che Sherlock si calmasse. Osservò attentamente il dottor Watson fare la ramanzina che Mycrof non avrebbe mai potuto fare. Annuì nel più totale silenzio quando Sherlock descrisse i giochi cui li stava sottoponendo la loro sorellina “vivisezione”.
 

(Perché era esattamente quello.
 
Non era una tortura.
 
Non era nemmeno un esperimento.
 
Era l’agonia di una bambina di cinque anni che prendeva uno scalpello e lo spingeva nel petto del minore dei fratelli Holmes, alla disperata ricerca del suo cuore, fino a che non ne fossero rimasti che brandelli.
 
Era una stramaledetta dissezione di un corpo umano ancora vivo, ma Sherlock respirava ancora, il che era un bene, no?)
 

Quando l’ex medico militare riuscì a far alzare il suo fratellino dal pavimento e i due ebbero concordato di proseguire come soldati, Mycroft si meravigliò, per la prima volta, dell’immenso spirito di sacrificio e martirio esibito dai membri delle forze armate.
 
Per loro era un dovere e una responsabilità che non finiva mai per davvero, anche quando erano stati congedati.
 
Mycroft decise di usarlo come ispirazione per ciò che sarebbe successo dopo.
 
 
 
 
****



La rincorse con le parole, prima ancora che con il corpo.
 
-Ripensandoci, potrei accettare volentieri il tuo invito a prendere qualcosa di caldo, ma solo Earl Grey. Oh, e ovviamente accompagnato da una fetta di quella meravigliosa crostata ai mirtilli!- l’uomo alzò il naso aquilino al cielo, facendo scoppiare a ridere la ragazza.
 
-Molly- si presentò.
 
-Molto piacere di fare la tua conoscenza, signorina Hooper.- ribatté l’uomo, facendo un lieve inchino, come un gentiluomo d’altri tempi. –Il mio nome è Mycroft, Mycroft Holmes!- 
   
 
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