Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 3.413 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e un nuovo passo verso
i misteri di questo universo: nell'incontro dello scorso capitolo Kang
(non lo nascondo nemmeno, dato che tutti voi l'avete capito) ha dato
qualche risposta ma, in vero, ha lasciato poche domande? Come ha fatto a
raggiungere Rafael e a introdursi nei suoi sogni? Perché ha chiamato Kwon
in un certo modo? Risposte che, al momento, nessuno ha. E intanto
Nathaniel continua a pedinare Marinette, Ada prova ad affrontare la figlia
e...beh, non sto a dirvi altro.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Lemonish,
a conclusione della settimana di aggiornamenti.
Come sempre vi ricordo la
pagina facebook, per rimanere aggiornati ed avere piccole anteprime
dei capitoli.
Infine, come sempre, voglio ringraziarvi tutti quanti: un grazie a tutti
voi che leggete, commentate e inserite la mia storia in una delle vostre
liste.
Grazie tantissimo!
Rafael premette il campanello
dell’abitazione di Fu, voltandosi verso la ragazza al suo fianco e
donandole un sorriso tremolante e insicuro, lasciando poi andare il
respiro e voltandosi verso la porta in attesa dell’anziano maestro che
aprisse loro. Chiuse e aprì i pugni, mentre il tempo scorreva, quasi più
lentamente del solito, e si sentì sollevato quando gli giunse alle
orecchie il suono della porta che si apriva: «Ehilà» esclamò Alex,
comparendo davanti a loro e sistemandosi gli occhiali con una mano, mentre
l’altra stazionava sulla maniglia della porta: «Vi stavamo aspettando.»
«Ci sono tutti?»
«Io, Xiang e Felix. E il maestro, ovviamente» dichiarò l’americano,
facendosi di parte e lasciando andare un sospiro, mentre scuoteva la
testa: «Questa ancora non l’avevo sentita…»
«Nemmeno io, amico» commentò Rafael, sbuffando e sbottonandosi il
cappotto, mentre raggiungeva la sala e sorrideva alle persone all’interno,
seguito da Sarah e l’altro ragazzo.
Xiang si alzò, osservando i nuovi arrivati e aprì la bocca, pronta per
dire qualcosa, ma si fermò immediatamente, scuotendo poi la testa e
sedendosi nuovamente: «Rafael, Sarah» mormorò Felix, salutandoli con un
cenno del capo e sorridendo loro, spostando poi l’attenzione su Fu:
«Iniziamo?»
«Sì, non volevo fare una riunione di gruppo prima di avere qualcosa di
solido in mano» mormorò Alex, grattandosi la nuca e sbuffando: «Ho
chiamato solo voi perché…beh, conoscete l’argomento di questo incontro.»
«Kang mi ha contattato» dichiarò lapidale Rafael, sedendosi e intrecciando
le mani davanti a lui: «Quando ho usato la prima volta il mio Miraculous
ho avuto una visione e, ogni volta che lo usavo al di fuori della
battaglia, continuavo a vedere quella scena, con l’aggiunta di nuovi
particolari: Parigi distrutta si estendeva davanti a me, ed io ero
circondato da persone che, via via, si sono rivelate essere…» si fermò,
abbozzando un sorriso: «Beh, gli altri.»
«Poco tempo fa ha iniziato a fare questa visione anche senza Miraculous»
spiegò Fu, massaggiandosi il mento e giocherellando con la barbetta: «Solo
che non comprendevo come fosse possibile: l’unica influenza che i
Miraculous hanno su di noi è la nostra innaturale lunga vita e non avevo
mai sentito di un Portatore del Pavone che poteva vedere anche senza
essere trasformato.»
«E invece era quel deficiente di Kang» sospirò Felix, scuotendo il capo e
lasciandosi andare sulla sedia: «Ma come è possibile? Insomma. Sì, so
benissimo che era capace di vedere il futuro ma…»
«In verità non ha voluto dirmi chi era» mormorò Rafael, alzando la testa e
sorridendo appena: «Ma parlava come se sapesse tutto e…beh, lui è stato il
primo nome che mi è venuto in mente.»
«Sarebbe capacissimo di fare una cosa del genere» borbottò Felix,
portandosi le mani alle tempie e tirando indietro le ciocche bionde: «Ma
come ha fatto? E’ morto.»
«Il gioiello di Routo?» buttò lì Xiang, intromettendosi nella
conversazione e attirando su di sé l’attenzione di tutti: «Utilizzando il
Quantum potrebbe essere possibile…»
«Dici? E allora perché Dì Ren non si è spostato allegramente nel tempo per
uccidere tutti noi quando ancora non avevamo nessun potere?»
«Forse non è pienamente consapevole di tutto ciò che il gioiello può
fare?» domandò Xiang, scuotendo la testa: «Oppure la morte di Kang è
servita, in qualche modo, anche per questo: oltre a creare creature di
Quantum e ad aver posseduto i quattro che si sono presentati…»
«Cinque, non dimenticarti la panterona.»
«Cinque, grazie Alex» mormorò Xiang, annuendo in direzione del ragazzo:
«Cos’altro ha fatto? Niente. E il gioiello è capacissimo di molto altro,
magari con la sua morte Kang ha bloccato alcuni poteri.»
«Forse ha bisogno di una fonte di Quantum?» buttò lì Fu, inspirando
profondamente: «Se il gioiello ha bisogno di molto Quantum, una fonte come
quella di Shangri-la potrebbe...»
«Potrebbe fornirgli l’energia necessaria per attraversare il tempo e
introdurre visioni nei sogni di un Portatore» mormorò Xiang, annuendo con
la testa: «Mentre qui a Parigi, dove non esiste una fonte diretta, è
costretto ad assimilare quello che riesce e ciò gli impedisce di poter
usare appieno il gioiello.»
«La fonte di Quantum più potente qui sono i Miraculous» commentò Felix,
inspirando e lasciando andare l’aria, incrociando le braccia al petto:
«Ecco perché è così desideroso di averli.»
«Che voleva i Miraculous lo sapevamo già» commentò Alex, sorridendo:
«Questo sono discorsi triti e ritriti. Kang. Sogno. Soffermiamoci su
questo.»
«Fa uno strano effetto sapere che, dopo Sarah, avrò una nuova Portatrice»
commentò Mikko, parlando per la prima volta e sorridendo: «Non è vero,
Flaffy?»
«In effetti…» commentò il kwami, alzando gli occhi dall’ereader e fissando
l’altra kwami: «Insomma, finora non sapevamo se ci saremmo risvegliati,
una volta lasciati i nostri portatori mentre adesso…» si fermò, poggiando
l’apparecchio sul tavolo e annuendo: «Ci sarà qualcun altro dopo Rafael.
E’ strano.»
«Molto.»
«Voi due state dando per scontato che noi vinceremo…» commentò Rafael,
scuotendo la testa e fissando i due esserini: «C’è sempre la possibilità
che…»
«Che perdiate? Ma per favore! Come se ve lo lasciassimo fare» dichiarò
Flaffy, volando in mezzo al tavolo e battendosi una mano sul petto: «Abbi
fiducia nel potere di noi kwami! Sono molti millenni, ormai, che
combattiamo, sappiamo quel che facciamo.»
«Vero, abbiate fiducia nel potere che avete e vincerete.»
Poteva sentire un brivido percorrerle la schiena, ma non alzò lo sguardo.
Poteva avvertire il suo sguardo sulla pelle e questo la fece muovere a
disagio sulla sedia, mentre girava la pagina del libro e tamburellava la
penna sul bloc notes.
Non l’avrebbe fatto.
Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla in una posizione di
inferiorità, di dimostrargli quanto la sua insistenza la stesse mettendo a
disagio.
Voltò nuovamente una pagina, guardando le parole stampate ma senza
riuscire a comprenderle: dovette rileggere più e più volte la prima riga,
prima di carpire il significato di ciò che era stato scritto e riuscire ad
andare avanti, mentre continuava ostinatamente a tenere la testa bassa e
ignorare la presenza del giovane, seduto a qualche tavolino di distanza.
Il cellulare, che aveva poggiato sul tavolo, vicino all’astuccio vibrò e
Marinette fu grata di quell’interruzione: prese l’apparecchio e si alzò
con tutta la calma del mondo, regalando solo in quel momento un’occhiata a
Nathaniel che, seduto in modo da essere completamente davanti a lei,
teneva le ginocchia puntate contro il tavolo e il blocco da disegno
poggiato contro di esse.
Lo sguardo di smeraldo, però, non guardava le pagine ma lei.
Vestiva ancora di nero e il cappuccio della felpa era stato tirato sui
capelli rossi, che risaltavano contro la stoffa scura: era sotto il
controllo di Kwon in quel momento? Oppure no, era semplicemente lui ma
risentiva dell’influsso che il loro nemico aveva?
«Adrien?» mormorò, accettando la chiamata e uscendo velocemente dall’aula
studio dove si era rintanata dopo la fine delle lezioni, avvertendo sulla
schiena gli occhi di Nathaniel: «C’è qualche problema?»
«Questo dovrei essere io a chiederlo a te» sentenziò il biondo con un
sorriso nella voce: «Va tutto bene con Testa di Pomodoro?»
«E’ solo inquietante, come lo è sempre negli ultimi giorni.»
«Si è avvicinato?»
«Mh. No, mi spia da lontano.»
«Cosa?» la voce del ragazzo si alzò di qualche tono e Marinette dovette
allontanare il telefono dall’orecchio, massaggiandosi poi il padiglione
auricolare: «Mi stai dicendo che adesso è vicino a te?»
«A una manciata di metri, più o meno.»
«Vengo e lo ammazzo.»
«Adrien, posso…»
«Posso gestire la situazione da sola» borbottò il ragazzo, falsando la
voce e tirando fuori un sospiro della ragazza: «Siamo un duo, ricordalo.»
«In verità, adesso saremo un gruppo.»
«Ecco. Esatto. C’è Willie lì, chiedi aiuto a lei.»
«Sta tenendo lezione al momento.»
«Vai alla sua lezione.»
«Adrien, devo studiare.»
«Marinette, ti voglio lontana da Testa di Pomodoro. Adesso. Possibilmente
con un oceano nel mezzo.»
«Un po’ complicato, non credi?»
«Volere è potere.»
«Adrien…»
«No. Niente, Adrien!» borbottò il ragazzo e Marinette sorrise, mentre lo
immaginava con un broncio in volto, lo sguardo verde offeso e le braccia
incrociate: «Non ti voglio nella stessa stanza con lui.»
Marinette sospirò, poggiandosi contro il muro vicino alla porta dell’aula
studio e alzando la testa verso il soffitto, osservando interessata il
neon incassato nella gabbia metallica: «Potrei tornare a casa…» mormorò,
giocherellando con l’orlo del maglione lungo che indossava: «O dai miei o
dai tuoi. In effetti, dovrei chiedere alcune cose a tuo padre…»
«Ecco, vai dai miei! La sicurezza là è purrfetta.»
«Adrien…»
«Parlo per esperienza personale, dico davvero!» dichiarò il ragazzo,
facendola sorridere appena: «Non hai idea della fatica a scappare, quando
non avevo Plagg.»
«Mh. Sì, mi avevi accennato a qualcosa…»
«Ecco, quindi vai a casa dei miei. Da brava.»
La ragazza sospirò, voltandosi di lato e fissando la porta chiusa vicino a
lei: «D’accordo» mormorò con tono dolce, dandosi una leggera spinta e
allontanandosi dal muro: «Ma solo perché devo parlare con tuo padre.»
«Sia mai che vuoi darmi una soddisfazione, eh?» sbottò l’altro, sospirando
lugubre nel microfono del telefono: «Beh, al di là di certe sodddisfazi…»
«Ci sentiamo dopo, Adrien.»
Marinette chiuse la comunicazione con un gesto stizzito e fissò lo schermo
spegnersi lentamente; sospirò, avvicinandosi alla porta e aprendola,
sobbalzando all’indietro quando trovò Nathaniel davanti a sé: il ragazzo
la fissò, lo sguardo smeraldo era spento come sempre, prima di scostarsi e
lasciarla passare, mentre lui usciva dall’aula diretto verso le scale che
portavano al piano inferiore.
Marinette fissò la schiena e la testa, ancora coperta dal cappuccio della
felpa, finché questa non sparì dalla sua vista: «E’ veramente strano»
commentò Tikki, facendo capolino dalla tasca del maglione e fissando anche
lei il punto in cui il rosso era sparito: «Veramente strano.»
«Hai ragione, Tikki.»
Molto spesso, soprattutto quando in televisione passavano alcuni programmi
di esperienze soprannaturali, si era domandato chi fosse stato nella sua
vita passata: un grande condottiero? Una persona comune? Un illustre
genio?
Di certo, doveva essersi macchiato dei peggiori crimini al mondo, vista la
tortura che stava sopportando in quel momento.
Sbuffò, tenendo il viso fra le mani mentre, accucciato per terra, fissava
il bambino dall’altra parte del negozio, riconoscendo un suo compagno di
sventura: lo sguardo di chi aveva visto cose che nessun umano doveva
vedere, la sensazione di essere sopravvissuto a stento a qualcosa di più
grande di loro…
Sì, era decisamente un compagno in quel girone infernale.
Lasciò andare un sospiro, alzando la testa verso la ragazzina, in piedi
accanto a lui, e la fissò: Manon non lo guardava, non degnava di abbassare
lo sguardo nella sua direzione, troppo intenta a soppesare i due oggetti
che aveva in mano, con un’espressione corrucciata e mordendosi, di tanto
in tanto, il labbro inferiore: «Ne hai per molto?» pigolò Thomas,
osservandola e dando voce a ciò che voleva chiedere da una buona manciata
di minuti.
«Ho quasi finito…»
«Cosa hai finito? Di contare le righe che ci sono su quel…quel…» Thomas si
alzò di scatto, indicando i due oggetti che l’altra tenevano in mano,
senza sapergli dare una definizione: «Manon, cosa sono?»
«Portafoto» dichiarò la ragazza, mostrandogli le due basi in tono pastello
e dalla forma arrotondata da cui partiva, per entrambe, un piccolo
filamento di metallo a cui era attaccata un clip: «Secondo te qual è
meglio? Questa con la base verde e le strisce nere o quest’altra con la
base rosa e le strisce bianche?»
«Non sono identici?»
«Beh, devo capire quale va bene per camera mia.»
«Uno qualsiasi?»
«Thomas!»
«Che c’è? Senti, mia sorella non è che mi porta sempre a fare shopping con
lei. Per mia fortuna. Non sono un esperto di certa roba» borbottò,
incrociando le braccia e annuendo, dimostrando così la sicurezza nelle sue
parole: «Portami in un negozio di videogiochi o chiedimi quali sono i
migliori scarpini per giocare a calcio e, allora sì, che potrò darti la
mia consulenza.»
«Sei inutile.»
«Cosa?»
Nooroo sbucò dalla felpa del ragazzo, scuotendo il capo e osservando il
modo in cui, il suo Portatore, stava conducendo la sua miserabile vita
verso la fine: doveva assolutamente fargli un corso accelerato di
sopravvivenza, altrimenti presto sarebbe finito in nuove mani e il gruppo
avrebbe dovuto adattarsi a un nuovo elemento.
Rientrò nella felpa e si mosse fino ad arrivare alle spalle del ragazzo,
scostò l’etichetta della felpa e, ben attento a non farsi scoprire dalla
ragazza, si avvicinò all’orecchio: «Dì quello rosa, per i Sette Dei.»
«Q-quello rosa?»
Manon spostò l’attenzione sul portafoto rosa, annuendo con la testa mentre
un sorriso luminoso le apparve in volto: posò l’altro sul banco, assieme
ai fratelli e, canticchiando la canzone che le casse del negozio stavano
mandando, si avvicinò alla cassa allegra: «Mi hai salvato» commentò
Thomas, afferrando il kwami: «Come facevi a sapere che era il rosa quello
giusto?»
«Il modello di ragazza che Manon aspira è Marinette e lei…»
«Marinette ha molte cose rosa, vero. Giusto» mormorò Thomas assentendo con
la testa e fissando la compagna di scuola: «Quindi d’ora in poi, se mi
chiede consigli…»
«Devi dire quello che pensi adatto per Marinette, sì.»
«Grazie amico.»
«Sono il tuo kwami, è mio compito guidarti.»
Lila si fermò sulla soglia della propria facoltà, lo sguardo fermo
sull’auto parcheggiata lì vicino e sulla donna che, in piedi, attendeva
con le mani strette attorno ai manici della borsa: strinse le labbra,
gettandosi indietro una ciocca di capelli e s’incamminò a testa alta nella
direzione della fermata della metrò, passando a pochi passi dalla donna e
ignorandola del tutto.
Non le avrebbe parlato.
Non lo avrebbe fatto.
Anche se la voglia di fermarsi e buttare fuori tutto quello che aveva
detto era grande, ma ciò avrebbe dimostrato ad Ada Rossi quanto
l’aveva ferita, quanto la sua assenza e le sue parole l’avevano straziata
sempre, fin da piccola.
«Lila» la voce della madre la fermò dal proseguire il suo cammino; il
passo bloccato a metà, poggiò il piede per terra e rimase immobile sul
posto, con la schiena rigida e senza nessuna intenzione di girarsi: «Lila,
vorrei parlare con te» continuò la madre e si accorse che questa si era
avvicinata di poco, sentendo la sua voce più vicina rispetto al primo
richiamo: «Di Wei.»
«Vuoi insultarlo ancora?» domandò, voltandosi e fissando l’altra donna,
osservando il tono dismesso che sua madre aveva e di come teneva incurvate
le spalle e stringeva la borsetta all’addome: «O vuoi farmi di nuovo
cercare di capire quanto sia inferiore…»
«Lui ci ha provato. Con me. Ha proposto di diventare il mio amante.»
Rimase immobile, assorbendo con un respiro le parole che la madre le aveva
detto, socchiudendo poi gli occhi e alzando un angolo della bocca in un
sorriso patetico: «Inventane una migliore, mamma» sentenziò, aprendo le
palpebre e posando lo sguardo sulla donna, tenendola inchiodata nella luce
fredda che questo aveva: «Tu non conosci Wei, io sì e posso scommettere la
mia stessa vita che lui non ti abbia mai fatto una simile proposta ma,
forse, il contrario può essere avvenuto e considerato quanto era teso
qualche giorno fa, posso anche dirti quando.»
Lila osservò Ada irrigidire il proprio corpo, quasi accusando la propria
bugia che le si era ritorta contro; la guardò mentre stringeva le labbra e
le narici si dilatavano, la presa sui manici della borsa si fece più
serrata, tanto da farle diventare le nocche bianche: «Cosa c’è, mamma?»
domandò Lila, poggiando una mano sul fianco destro e inclinando la testa
dalla parte opposta: «Eri veramente convinta che avrei creduto a te? Wei
non mi ha detto nulla e posso intuire il motivo, soprattutto adesso che mi
hai buttato addosso tutta la tua falsità, mamma.»
«Io…»
«Evita di aggiungere altro, per favore» mormorò la ragazza, sentendo lei
stessa la stanchezza nella sua voce: «Diventeresti solo più ridicola.»
«Lila…»
«Basta così, mamma» sentenziò con voce dura la ragazza, aprendo le
palpebre e fissandola senza alcuna emozione in corpo: «Smetti di renderti
più ridicola di quella che sei» dichiarò, voltandosi e riprendendo la sua
strada, ignorando i richiami della donna, mentre si avvicinava alla
fermata della metrò e scendeva le scale, che la portavano lontana.
Gabriel osservò i disegni che gli erano stati messi sotto al naso,
annuendo con la testa e sorridendo alla ragazza al suo fianco: «Sei
migliorata molto» decretò, alzando lo sguardo e incontrando il sorriso
pieno di luce della nuora: «Però, al solito, quando disegni gli abiti
maschili…»
«Immagino che li indossi Adrien, sì» assentì Marinette, stringendo le
labbra e storcendole leggermente: «Non riesco a non pensare a lui.»
«Posso comprendere, i primi tempi creavo vestiti da donna solo ed
esclusivamente per Sophie» decretò Gabriel, poggiandosi contro lo schienale
della poltrona e tenendo lo sguardo fisso avanti a sé, un sorriso
malinconico in volto: «Ci è voluto del tempo, prima di riuscire a non
immaginare solo lei, quindi non avere fretta. Non avere mai fretta,
Marinette.»
«D’accordo» mormorò la ragazza, assentendo e allungando le mani per
riprendere i propri lavori: «Adrien è preoccupato per via di Nathaniel»
bisbigliò, chiudendo il blocco e tenendo le mani ferme su di esso, senza
alzare lo sguardo sull’uomo: «Lui…»
«Lui vuole proteggere ciò che ha di più caro a questo mondo»
commentò Gabriel, lasciando andare un lungo sospiro e intrecciando
le mani davanti a sé, mentre un sorrisetto gli piegava le labbra: «Posso
comprenderlo e, se ha in mente di segregarti in casa, chiamami.»
«Mi aiuterà a scappare?»
«No, lo aiuterò a rendere la casa a prova di bomba.»
«Allora vorrà dire che chiederò aiuto a Sophie» dichiarò giocosa la
ragazza, sorridendo e scuotendo la testa, riponendo l’album nello zaino:
«A proposito dov’è?»
«A far ammattire Nathalie, per l’evento della prossima settimana»
sentenziò Gabriel, togliendosi gli occhiali e, dopo essersi massaggiato il
setto nasale, li infilò nuovamente: «E pensare che è del marchio di
Willhelmina, nemmeno del mio.»
«Beh, sono amiche…»
«Vero anche questo.»
«Adrien ti ha informato, vero?»
«Sì, mi sto già disperando per cosa mettermi e per i tacchi che dovrò
indossare quel giorno» buttò lì Marinette, facendo sorridere l’uomo; la
ragazza si guardò attorno e lasciando andare un sospiro, guardando la
mobilia dello studio: «Adrien non vuole che io torni a casa, posso
rimanere qui finché non viene a recuperarmi?»
«Ovviamente, Marinette.»
Sarah si appoggiò allo stipite della porta del bagno, le braccia
incrociate al seno e lo guardo rivolto verso il ragazzo che, nudo, stava
uscendo dal box doccia: «Maledizione!» esclamò il moro, notando la sua
presenza e balzando all’indietro, cozzò con la testa contro la porta
scorrevole e, cercando di ignorare il dolore, si coprì le parti intime con
entrambe le mani: «Sarah!»
«Beh, non è niente che non abbia visto» dichiarò l’americana, lanciandogli
un asciugamano e fissandolo, mentre se lo sistemava attorno ai fianchi:
«Perché non gli hai detto di come Kang ha chiamato Dì Ren?»
«Perché vorrei esser certo di sapere qualcosa in più?»
«Pensi che ti verrà a visitare nuovamente?»
«Ormai la mia mente è un’area di sosta» bofonchiò Rafael, poggiandosi al
lavello e flettendo i muscoli delle braccia: «Beh, lo spero. E spero anche
mi dica qualcosa in più, sebbene sia diventato bravo a risolvere enigmi:
le visioni che ho quando sono Peacock…»
Sarah si avvicinò a lui, poggiandogli le labbra sul bicipite e inspirando
l’odore di pelle e bagnoschiuma al muschio: «Non ti ho mai chiesto com’è
il tuo potere» mormorò, strusciando il naso contro la spalla e sentendolo
muoversi, ritrovandosi poi catturata dall’abbraccio del moro e avvertendo
la maglietta bagnarsi appena al contatto con la pelle umida di lui: «Parli
sempre come se vedi o senti qualcosa…»
«Alle volte è tutto buio e sento una voce che mi dice qualcosa, che mi
informa in maniera criptica» commentò Rafael, intrecciando le mani dietro
alla schiena di Sarah e alzando la testa verso il soffitto: «Altre vedo
esattamente cosa succederà, altre ancora quello che devo evitare. Quelle
visioni non funzionano mai nello stesso modo…»
«E ogni volta le interpreti perfettamente» mormorò la ragazza,
carezzandogli la tempia e scendendo lungo lo zigomo: «Dovresti essere
fiero di ciò che sei.»
«Lo sono.»
«Bene, perché io ricordo ancora il ragazzo che non credeva in sé, ma che
mi ha comunque aiutato.»
«Ragazzo che non credeva in sé? Di certo non ero io.»
«Ah no?»
«No.»
«Posso garantirlo, ha talmente tanta boria da riempire la torre di
Isengard» commentò Flaffy, fluttuando nel vano della porta e guardandoli,
prima di strusciarsi gli occhi con la zampetta e regalando a entrambi un
enorme sbadiglio: «Rafael…»
«Arrivo, arrivo» commentò il giovane, sciogliendo l’abbraccio e
sospirando: «Sei viziato, Flaffy.»
«Mi dai sempre la cioccolata della buonanotte.»
«Questo perché sei viziato!»
«Ed io ti dico di no.»
«Ed io ti dico di sì.»