僕は孤独さ – No Signal
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Parte quarta: Il caso Lisca.
Il
corpo di Masa era già freddo al tatto ancor prima di venir raggiunta dal
patologo. La voragine che aveva al posto dell’occhio sinistro, quello del
kakugan, era così profonda da arrivare a mostrare la materia cerebrale dietro l’orbita.
Aizawa non riusciva davvero a credere che fosse morta.
Nemmeno dodici ore prima stavano pianificando il suo ingresso all’interno della
struttura insieme a Komoto. “Un lavoro veloce e pulito”, diceva, “Andrà tutto bene.” Eppure l’epilogo era stato di gran lunga il
peggiore di tutti. Avevano giocato con il fuoco e in quel momento Aiko giaceva
morta sul suo tavolo autoptico, con il viso straziato, ma incredibilmente
rilassato nella placidità del sonno eterno.
Ivak passò la mano fra i suoi
capelli, spostandoli dalla fronte. «Mi dispiace tanto», sussurrò con tono
spento, prima di prendere un respiro profondo. Dalla tasca del camice estrasse
un paio di guanti di lattice, indossandoli rapidamente. Accanto a lui c’era Shimura, immobile e bianco come un cencio. Non gli disse
niente quando lo vide aprire la mantella nera della ragazza, iniziando a
sfilargliela. Con le forbici tagliò la maglietta, sporca di sangue, rivelando
il busto martoriato da due grandi tagli, uno sulla spalla e uno più in basso,
all’altezza delle costole che al tatto gli parvero rotte. Una mano era quasi
completamente distrutta e così poteva dirsi anche della gamba sinistra, tenuta
insieme solamente da un groviglio scomposto di muscoli e lembi di pelle.
«Certo
che Hirako poteva evitare di andarci giù così pesante.» Quello fu il primo
commento di Korito, il quale sembrava improvvisamente
diventato incapace di parlare. Aizawa annuì alle sue
parole, appoggiando tutti i vestiti nelle rispettive buste per le prove,
infilando l’intimo in un sacchetto di carta più piccolo. Si appoggiò nuovamente
al bancone con entrambe le mani, chinando il capo. «Non devi farlo per forza.
Possiamo chiamare qualcuno del turno di giorno o magari un collega del
laboratorio.»
«No.
Lo farò io. Basta cazzate, basta menzogne.»
«Almeno
aspettiamo i permessi.»
«No!».
Gridò così forte da far sobbalzare il collega, che se possibile perse ancor più
colore sulle gote. «Lo faremo adesso. Non mi importa se mi sospendono,
licenziano o incarcerano! Se non sai cosa fare prendi una torcia luminol e passala sul corpo. Vedi se trovi impurità. Se ti
senti in colpa o se ti senti male al pensiero di infrangere le regole, allora
vattene fuori.»
Shimura non si mosse di un passo per
diversi secondi, mentre l’altro attenteva una sua
reazione. Poi, lentamente, prese il doccino
dell’acqua e calibrando la temperatura come se volesse renderla tiepida per non
infastidire la collega, iniziò a lavare il corpo partendo dalla punta dei piedi.
Aizawa si diede dell’idiota per essersi dimenticato quel
il primo passaggio, quindi si prese un attimo. Diede una pacca sulla spalla di Korito, per scusarsi e si avvicinò alla scrivania. Prese il
suo registratore, controllando che fosse carico, poi tornò accanto all’altro,
con un bisturi in mano e l’oggetto elettronico nell’altra.
«Sono
il dottor Aizawa Ivak, sono
le nove e dieci del cinque novembre 2016 e sto procedendo all’autopsia numero
6072, Masa Aiko.» appoggiò il registratore il tavolo, tenendo il bisturi con la
mano sinistra mentre con la destra si faceva il segno della croce, borbottando
qualche parola in una lingua che il collega non comprese. Dopo di che prese un
respiro, alzando il bisturi. «Procedo con l’incisione a ipsilon.»
Appoggiò
la lama affilata dello strumento sulla spalla della ragazza, ma esitò. Sospirò
nuovamente, in modo rumoroso, notando che anche nella morte sembrava pronta a
prendersi gioco di lui.
«Vediamo
cosa hai da dirmi, Aiko?»
Non
riuscì a fare niente. Uno degli agenti dell’internato bussò alla porta,
dicendogli che il direttore Yoshitoki Washuu lo stava cercando. Venti minuti
dopo usciva da quell’ufficio con una sospensione della quale non poteva
importargli di meno. Mezzora dopo era
nell’ascensore con Urie e Higemaru.
«Perché
ti hanno sospeso?», domandò con tono basso Hige,
mentre Urie sembrava troppo chiuso nella sua mente, a doppia mandata, nel
tentativo di prepararsi psicologicamente a ciò che sarebbe venuto appena messo
piede nella sala del patologo.
Aizawa sbuffò una risata, attendendo
a mala pena che le porte dell’ascensore si aprissero per iniziare a camminare
veloce per il corridoio. «Il direttore ha detto che mi sospende per mancanza di
rispetto verso il classe speciale Arima. In realtà mi ha tolto questo caso
perché vuole coprire lo Shinigami di Merda. Ma glielo
faccio vedere io. Niente mi impedirà di fare questa stracazzo di autopsia.»
Mai
dire mai.
Messo
piede nell’obitorio, Aizawa rischiò una crisi di
nervi. «Shimura!», urlò con quanto fiato aveva in
corpo, guardando il tavolo vuoto e lavato. Così lucido da poterci mangiare
sopra, se l’avessero voluto fare. «Perché diavolo hai spostato il corpo?? Lo
hai messo in una cella frigorifera?? Ti ho detto che sarei tornato subito!»
Il
poverino diventò microscopico, cercando di sparire contro la porta
dell’ufficio. «Mi dispiace Ivak», sussurrò a mezza
bocca, con gli occhi sgranati dietro alle lenti quadrate degli occhiali da
vista. «Non ho potuto impedire loro di farlo.»
«Fare
cosa?? E loro chi??»
«Gli
affari interni», spiegò, sull’orlo di una crisi di pianto. «Sono arrivati con un
mandato firmato dal presidente in persona e hanno preso il corpo. È successo
poco dopo che sei uscito e mi hanno fatto largamente intendere che non avrebbero
ascoltato una singola parola di ciò che io-»
«Hanno
preso tutto? Anche i vestiti?!»
«Sì.
Scusami, ti prego perdonami ma io… Sono solo una
persona e loro erano così inquietanti. Con i cappotti neri e i cappelli.»
Ivak rimase immobile, realizzando.
Poi si lasciò cadere sulla sua sedia, distrutto. Con una mano sul viso, sospirò
piano. «Hanno preso anche il sacco dentro cui l’abbiamo trasportata dal piano
di sotto fin qui?»
«Lo
hanno richiesto. E hanno già smantellato la scena perché ho visto scendere di
sotto la ditta di pulizie.»
Ivak si alzò di scatto, dando un
calcio così forte alla scrivania da alzarla di una spanna da terra. «Non ci
credo! Cazzo! Non abbiamo nemmeno una fottuta goccia di sangue!»
«Ti
serve il suo sangue?» A parlare era stato Urie, rivelando che lui e Higemaru erano ancora lì, seppure la sua voce sembrasse
arrivare direttamente dalla bocca degli inferi.
«Se
avessi almeno un campione di sangue potrei analizzarlo e poi confrontarlo con
il referto che quelle enormi palle di merda ci invieranno. Così sapremo da
subito se ci stanno mentendo.»
«Allora
non ci sono problemi.»
Kuki
fece un cenno a Touma, che dalla tasca interna del
suo trench prese una busta di carta marrone. La passò al dottore che,
utilizzando un guanto, prese fuori dal sacchetto quella che sembrava una
camicia nera. Era così impregnata di sangue essiccato da essere rigida. Poi si
ricordò esattamente come aveva trovato Urie nel momento in cui era sceso a sua
volta nel sotterraneo e si diede dell’idiota. Rimise accuratamente l’indumento
nella busta,che chiuse, prima di guardare i due agenti.
«Ora
anche noi abbiamo un’arma. Arriverò fino in fondo a questa storia, Kuki, te lo
giuro. Fosse l’ultima maledetta cosa che faccio da vivo.»
I
due uomini si guardarono negli occhi per qualche breve secondo e in quelli del
più giovane, Ivak scorse una vaga parvenza di
commozione. La porta che si apriva nuovamente, però, li costrinse a voltarsi.
Sull’uscio
c’era Sasaki, che fissava perplesso e vagamente irato Urie. «Tu non dovresti stare
qui, non è il momento per dire addio.» Poi gli occhi slittarono su Aizawa. «E lo stesso vale per te.»
«Senti
mostriciattolo modificato chirurgicamente, questa è casa mia. Devi usare il tuo lungo e grosso kagune per buttarmi
fuori.» Andandogli di fronte, Aizawa lo guardò
attentamente. L’altro non si spostò di un singolo centimetro, come se
l’intimidazione non fosse stata nemmeno vagamente colta.
«Potrei
farlo», gli fece sapere, «Ma ora sono molto più interessato a vedere il corpo.»
Persino
Ivak rimase di stucco. «Ma non lo abbiamo noi. Lo
hanno preso gli affari interni.»
Sul
volto del ghoul lesse la più totale confusione. «No. Non è possibile. Ho
disposto io stesso che sia Shimura Korito a fare l’autopsia.»
«Allora
abbiamo un bel problema, signor Shinigami Coccoloso. Un bel
problema.»
Capitolo ventidue
«Non
mi piace né l’ananas né il melone. Mettici qualcosa di rinfrescante, tipo le
fragole e il cocco!»
Urie
ficcò i due ingredienti nel frullatore, aggiungendo poi un’abbondante dose di
latte di riso. Lasciò quindi lavorare l’elettrodomestico, mentre assaggiava
l’abbinamento che avevano preparato poco prima, ovvero lamponi, ciliegie e
mirtilli, storcendo la bocca per quanto era schifosamente dolce. «No, non ci
siamo.»
«Invece
questo per ora è il migliore.»
«Ti
verrà il diabete entro i venticinque anni.»
Aiko
gli fece una pernacchia, prima di appoggiasi al suo busto col capo, chiudendo
gli occhi. Nonostante non fosse domenica, avevano qualche ora libera. Entrambi
avevano chiuso i loro casi, relegando i rapporti a Higemaru
e Hsiao e prendendosi un meritato riposo dopo quasi un mese filato. Agosto era
praticamente concluso e in attesa
dell’inizio di settembre, le temperature non parevano aver voglia di
abbassarsi.
Per
quello avevano deciso di scongiurare l’afa con una colazione a base di frullati
di frutta, sperando di trovare una combinazione che potesse piacere ad
entrambi. Impossibile. A Urie piacevano i sapori forti, amari. Aiko non beveva
nulla che non contenesse un intero sacchetto di zucchero sciolto.
«Dopo
voglio provare la papaia e la banana», soppesò il ragazzo, passando una mano
fra i capelli di Masa, sempre più lunghetti.
Lei
scostò il ciuffo fastidioso dal viso, alzandolo poi per guardarlo. «Che schifo.
Io voglio provare lampone, fragola e cacao.»
«….Non
commenterò. Ti sei accorta di essere ingrassata, vero?»
A
salvare Urie fu solo il campanello che suonava. Masa si alzò guardandolo in cagnesco,
facendogli segno che l’avrebbe pagata a caro prezzo entro qualche minuto.
Allacciò meglio il kimono che aveva addosso, sotto il quale indossava solo la
biancheria, prima di arrivare all’uscio per spalancarlo. Di fronte a lei c’era
un ometto che non aveva mai visto prima in vita sua. Lui non si presentò
subito. Le gambe nude e lunghe della giovane lo distrassero e lei ebbe il tempo
di alzare una mano per salutare Suzuya e Abara che se ne stavano andando dopo aver portato sin lì
quell’improbabile avventore. Poi tornò a studiare lo strano giovane. Magrolino,
in modo eccessivo, tanto che Aiko si chiese se dovesse offrirgli una bistecca
per colazione per farlo rimanere in piedi. Sembrava davverp
giovane, ma non era semplice a dirsi, perché era la persona più comune che
avesse mai visto in vita sua dopo Take Hirako. Almeno questo sconosciuto aveva
un taglio di capelli particolare. Rimaneva comunque così tanto anonimo da non
avere nemmeno un odore caratteristico.
«Posso
aiutarla?»
Lui
si riscosse, avvampando dalla testa ai piedi. «Salve, io sono Nobunaga Jojiro e sto cercando
l’investigatore Urie Kuki del ccg.»
Masa
si scostò per farlo accomodare, prima di svolazzare in cucina, parlando
nell’orecchio al caposquadra. «Dice di voler parlare con te. Un certo Nobunaga.»
«Chi?»
«A
me lo chiedi?»
L’investigatore
alzò un sopracciglio, perplesso, prima di togliersi il grembiule a stampa
floreale per andare verso l’uomo. Aiko lo seguì con lo sguardo, spegnendo il
frullatore e appoggiandosi al ripiano della cucina. Li guardò stringersi le
mani e capì che no, Urie non aveva idea di chi diavolo fosse quel ragazzo.
Quando
però gli rivelò il motivo della sua visita il giovane ricollegò tutto.
«Sono
un collega e amico di Kurhei Shukumei. È scomparsa e
ho paura che le sia successo qualcosa. La prego, agente, mi aiuti. Shukumei si
fidava di lei.»
Mentre
si preparavano per uscire e per tutto il viaggio in auto, Urie spiegò a Masa
cosa stava succedendo. Lei non vedeva Shukumei dalla serata di gala annuale
organizzato dal dipartimento alla fine di luglio e anche allora si erano
scambiate ben poche parole. Le aveva dato una mano riguardo ai recenti problemi
di Kuki, che faticava a mangiare – quelle pastiglie di ferro ed emoglobina
erano una benedizione del cielo- e poi era sparita così come era arrivata. Nel nulla.
Urie
invece l’aveva rivista una settimana prima. Era incazzato come una biscia per
l’articolo contro la ccg, per il quale aveva ovviamente pagato anche Aiko, ma
non si era comunque tirato indietro nell’offrirle una mano. Le aveva lasciato
nuovamente il suo biglietto da visita, che lei aveva dato a Nobunaga,
il quale era rimasto fermo e zitto sul sedile posteriore fino all’arrivo
nell’appartamento che Mei utilizzava come
nascondiglio.
«Dovrebbe
essere qui, non ha un altro posto dove andare», spiegò sbrigativo il ragazzo,
mentre i due agenti tenevano in mano una la sua valigetta di metallo e l’altro
la katana nera. «Ho bussato molte volte, ma non ha mai aperto. Non è normale.»
«Che
facciamo, sfondiamo?», chiese l’investigatrice, guardando perplessa la porta e
constatando però che sembrava parecchio solida. «Tu o io?»
«Tu.
Ci sono più possibilità tirando che spingendo.»
Il
kagune di Aiko riuscì a penetrare la dura struttura della porta, conficcandosi
contro di essa. Tirò poi verso di sé fino a che non l’ebbe completamente
sfilata dai cardini. Quando l’ebbe appoggiata contro al muro, un odore sospetto
le arrivò diritto al naso. «Lo senti?»
«Sì»,
Urie le ridiede Inazami, prima di appoggiare la mano destra sull’elsa della sua
katana. Si rivolse quindi al giornalista, che fissava sconvolto la donna in
loro compagnia. Sapeva che i due erano dei Quinx, ma tra il saperlo e il
vederlo, la differenza era moltissima. «Rimanga qui fuori.»
«S-sì», rispose lui, comprensivo, andando a sedersi sui
gradini per prendere un po’ di aria. Lasciato il giovane sul giro scale, i due
entrarono nell’appartamento con le orecchie ben tese.
«Sento
un odore molto forte di decomposizione», lo mise al corrente Aiko, mentre
avanzano piano per il piccolo ma labirintico spazio. «E anche altro…»
«Liquido
secreto dal kagune», confermò Kuki, vedendola annuire. «Niente di fresco però.»
«No.
Qui c’è stato un ghuol. Non serve chiamare la polizia.» Si bloccò al centro di
una stanza, puntando la piccola torcia verso un punto sulla moquette sfatta e
vecchia. Un’enorme chiazza di sangue la segnava completamente. «Non è un bel
segno.»
Urie
fissò il pavimento, prima di guardarsi attorno. «No. Però non è questo che
puzza così tanto. Controllo il bagno, tu pensa al salotto e alla camera.»
«Roger.»
La
prima cosa che Aiko fece fu accendere la luce. Non c’era nessuno lì dentro, se
non loro. L’avrebbe percepito attraverso il forte tanfo di morte e l’odore di
chiuso. Appoggiò la valigetta a terra, laddove non sarebbe stata un intralcio e
proseguì la ricerca. Trovò il liquido del kagune, ormai secco seppur aveva
mantenuto almeno in parte la sua struttura gelatinosa. Era schizzato contro una
parete, piuttosto in alto, segno che cercavano un kukako
o un ukako. Aiko sapeva che Shukumei era Lisca e che possedeva un kukako,
mentre Urie no. Decise di tenere per sé quel segreto, arrivando a dimostrarlo
solo con la scienza. Lasciò stare quella traccia, decisa a prelevarne un
campione dopo, chinandosi poi sotto a una vetrinetta e trovando la fonte della
puzza.
«Cookie»,
chiamò con tono alto. Lui si affacciò. «Ho trovato un braccio. Chiama Shimura, non posso toccarlo fino a che non c’è il patologo
a darmi l’ok. Però, essendo solo un
braccio, probabilmente ci darà il permesso di spostarlo da soli.»
«Fantastico,
tanfo di decomposizione in auto.» Lui prese un respiro, appoggiandosi allo
stipite della porta, «Pensi sia di Shukumei?»
«Ne
sono certa», rispose con tono deciso Aiko. «Riconosco il suo anello.» Si rimise
diritta, passandosi un mano sulla fronte, poi guardò nuovamente il ragazzo. «Vai
a prendere il mio kit in macchina. Questi reperti vanno fotografati e
catalogati, prima di raccoglierli.»
«Tu
hai l’abilitazione, puoi farlo.» Quella era una affermazione. Non aggiunse
altro, sfrecciando fuori dalla porta, deciso anche a montare la segnaletica
gialla e mettere un sigillo alla porta.
Aiko
lasciò scivolare gli occhi nella stanza, notando alcune custodie vuote per
cassette su una scrivania e tanti cavi su di essa. Qualcuno doveva aver portato
via qualcosa, magari un computer. Un registratore, vista la presenza di
cassette. Non c’era altro però.
Solo
una camicia pulita appoggiata a una sedia e il braccio di Mei.
Il resto degli effetti personali delle donna si trovava in camera da letto,
stanza che sembrava non presentare alcun segno dello scontro che doveva essere
avvenuto fra quelle pareti silenziose.
«Cosa
diavolo è successo qui dentro?»
☸
Urie
si sentì un po’ un imbecille a pensarlo, ma Masa con addosso il camice blu
scuro del laboratorio tracce e gli occhiali spessi di plexiglass per le analisi
chimiche era sexy. Cercò di
accantonare quel pensiero poco professionale, spiandola attraverso la parete di
vetro, mentre lei armeggiava con fiale di composti chimici e smanettava con lo
spettrometro di massa. Dopo circa tre ore di lavoro di analisi, uscì dalla
stanza, con addosso di nuovo il trench lungo della ex squadra Hirako che non
aveva mai smesso di indossare.
«Dottoressa
Abbie Carmicheal, che
notizie ha?»
Lei
lo guardò compiaciuta, «Iniziamo a parlare la stessa lingua», soppesò, prima di
farsi più seria. «Non posso dire che il braccio sia Shukumei Kurhei, però posso dirti che il dna corrisponde a quello
dello spazzolino che ho trovato in bagno e anche alle impronte digitali sparse
un po’ per tutta la casa. Non ce ne erano di diverse, sembra che non ci sia mai
entrato nessuno lì dentro. Ho anche analizzato il liquido del kagune e indovina
un po’.»
Urie
prese in mano il foglio, proprio mentre entravano in ascensore. Lo lesse tutto,
riprendendo a parlare solo quando uscirono verso la sala autopsie. «Lisca?»
Lei
annuì. «Stupefacente, non trovi? È passata dall’anonimato all’uccidere. Forse
ha ragione Kuramoto, che ha sempre sostenuto che Dente di Fata cacciasse per
lei. Anche se non credo che Mei sia vittima di predazione. Dopotutto era una giornalista e mi ha anche
chiesto di lui.»
«Ti
ha chiesto di Dente di Fata? Aspetta, Mei?»
Aiko
lo guardò impassibile. «Guarda che è un diminutivo di Shukumei. Era anche mia
amica e mi ha chiesto lei di chiamarla così.»
Entrando
nell’obitorio, trovarono Shimura chino sul braccio. «Notizie?»,
chiese il caposquadra, ignorando volutamente la macchia nera di odio per il
mondo che si spargeva dal punto in cui sedeva Aizawa.
Masa, invece, lo salutò con una pacca incoraggiante sulla spalla.
Korito si abbassò la mascherina dal
viso, «Una novità che non mi aspettavo.» Fece cenno ai due investigatori di
affacciarsi. «Guardate un po’ la ferita. Cosa notate?»
Tutti
e due si chinarono sul resto e Aiko rispose per prima. «Linee perfette, nessuna
sbavatura. Non c’è rilievo delle creste. Non è stato un kagune.»
«Una
quinque», sussurrò Urie, sbalordito.
«L’ho
detto io a Shimura», bofonchiò Aizawa,
continuando a mangiare i suoi noodles come se niente
fosse.
Masa
guardò Korito. «Posso usare il tuo pc?» Negli occhi aveva una scintilla di puro genio. Quando Shimura annuì lei si mise a sedere accanto a Ivak, che si scostò per farle spazio. La guardò solo aprire
il sistema del dipartimento, prima di tornare a chiudersi in se stesso,
evidentemente scoglionato e
desideroso di vederli sparire. Voleva il silenzio, nell’ultimo mese s’era fatto
davvero intrattabile.
«Perché
usare una quinque su una persona?», si chiese Urie.
Shimura alzò le spalle. «Io posso
dirti solo che questo braccio è stato tagliato ad una persona viva. Vedi?», gli
indicò il bordo. «Abbiamo degli evidenti ematomi perimortem.
Il sangue scorreva quando è stato reciso.»
«Abbiamo
una persona viva, un kagune morto e un sacco di domande.»
Aizawa si alzò, tenendo in mano il
cono pieno di spaghetti di riso e verdure e una forchetta. Aveva fatto
l’embargo anche delle bacchette. «Tecnicamente le quinque sono un kagune vivo.»
«Abbiamo
anche quello», gli confermò Urie, guadagnandosi un’occhiata perplessa. «Il
kagune di-»
«Cookie.»
Il
modo in cui Masa lo chiamò era funereo. Tutti e tre gli uomini si voltarono
verso di lei. «Ho una corrispondenza certa per il dna del braccio.»
«Hai
trovato un modo per dimostrare che è di Shukumei Kurhei?»
Con
un tonfo i noodles caddero a terra. Ivak sgranò gli occhi. «Cosa hai detto?»
«Sì»,
Aiko si voltò lentamente verso di loro, recitando in modo così impeccabile che
si aspettò di vedere entrare Leonardo di Caprio con in mano il suo Oscar, per
darlo a lei. «Il dna del liquido secreto dal kagune ha tredici alleli in comune
con quello del braccio. Urie, Shukumei era Lisca.»
Successero
contemporaneamente tre cose. Shimura si chinò per
pulire il casino di Aizawa prima che qualcuno
scoprisse che lì dentro ci mangiavano, anche se non si poteva. Urie sgranò così
tanto gli occhi che divennero grandi come quelli di Aiko. E Ivak
perse totalmente il controllo.
Si
buttò praticamente sul computer, controllando la corrispondenza del dna, prima
di avanzare verso il tavolo autoptico, iniziando ad analizzare il braccio con
cura, passandolo al setaccio. Il tutto in pochi secondi. Poi si rivolse a Urie,
con una leggera punta di isteria nella voce che però voleva sembrare
controllata. «Voglio il caso.»
L’investigatore
lo guardò male. «Scordatelo», soffiò. «Non hai risposto alla chiamata, quindi
mettiti il cuore il pace. Il caso è di Shimura.»
«Per
me non ci sono problemi», tentò l’altro coroner, prima di ritrattare
all’occhiata omicida del caposquadra dei Quinx. «No, ok. Caso mio. Scusa Aizawa.»
Aiko
intanto aveva ripreso a digitare sulla tastiera, non riuscendo però a non farsi
un’idea sulla reazione di Ivak. Un’idea anche molto
precisa. «La quinque utilizzata non stata registrata nel nostro sistema. Strano.» Si alzò, lasciando la
postazione informatica. «Quindi teoricamente non l’abbiamo uccisa noi colombe.»
«Ok
ricapitoliamo», Urie fece mente locale, parlando ad alta voce per dare una
forma ai suoi pensieri, mentre Ivak lo fissava
granitico in volto. Sentiva gli occhi dell’investigatrice addosso, ma cercava
di non ricambiare. Non voleva che capisse, anche se sapeva che in realtà ci era
arrivata. Masa era maledettamente brava a leggere il comportamento delle
persone e lui non era molto bravo a dissimulare. Solo Urie poteva ignorare quel
modo di fare assurdo. «Shukumei era Lisca. Era nascosta per chissà quale motivo
in un appartamento che non era il suo e qualcuno, armato di quinque quindi
presumibilmente umano l’ha attaccata e uccisa.»
«Non
puoi dirlo», sputò fuori Ivak, mentre cercava di
darsi un contegno. Aiko continuava a guardarlo, innervosendolo, ma permettendo
anche a lui di farsi un’idea molto precisa di come muoversi. «Un ghoul si
rigenera con facilità.»
«Questo
è vero», soppesò Masa, annuendo. «Quindi dobbiamo mettere un’allerta di livello
quattro. Ghoul ferito e pericoloso. Il punto però rimane solo uno: chi l’ha
attacca e perché?»
«Avete
trovato qualcosa di utile dentro l’appartamento?», chiese Aizawa,
appoggiandosi con la mano al tavolo autoptico. Sembrava tornato in sé, ma
tremava. «Qualche… Oggetto, magari. Per esempio, se
la ragazza in questione non è schedata, come fate a sapere che è suo il
braccio?»
«Andiamo
per gradi.»
Urie
rispose per lei, avendo analizzato lui stesso gli effetti personali rinvenuti
sulla scena. «Custodie vuote per cassette. Di quelle vecchie, da walkie talkie.
Vestiti, un paio di parrucche e asciugamani nella camera. Il letto era ancora
sfatto, segno che se è successo qualcosa, magari è successo di mattina.»
«O
che non era una persona ordinata», fu il commento acido di Ivak.
«Poi?»
«Una
foto di due ragazzi con scritto dietro ‘estate del 95’ appoggiata al comodino.»
Ivak sbiancò.
Aiko
si inserì nella lista. «L’ultimo libro di Takatsuki
Sen. Una versione non rilegata, da editoria. Probabilmente doveva recensirlo,
era una giornalista.» Dondolò sui talloni. «Per il rispondere all’altra
domanda, abbiamo identificato il braccio perché indossava un anello molto
particolare che le abbiamo visto al dito diverse volte. Noi la conoscevamo e-»
«Lo
posso vedere?»
I
due investigatori guardarono Shimura, il quale si
sporse verso il tavolo autoptico. Nella parte posteriore, quella dove c’erano
appoggiati gli strumenti, c’era anche una bustina trasparente, già etichettata.
Ivak la prese in mano, facendo una strana espressione
al pensiero che tutto era avvenuto dietro di lui, mentre pranzava. Lentamente,
mentre passava gli occhi su quel piccolo gioiello, le sue spalle si
abbassarono, i polmoni si svuotarono in un sospiro e gli occhi assunsero una
virgola diversa. Rimase zitto e loro, che lo guardavano preoccupati ad
eccezione di Aiko, ormai definitivamente consapevole, non poterono far nulla.
Con
riluttanza, consegnò la bustina a Urie, che la infilò nella tasca del trench.
«Quindi,
come pensate di andare avanti ora?», chiese, ton tono spento, mentre tornava a
sedersi.
Urie
si preparò a lasciare l’obitorio, ora anche lui preoccupato per le condizioni
del dottore. Lo guardò, prima di sospirare. «Ora troviamo ed eliminiamo il
ghoul Lisca.» Appoggiò la mano sulla schiena di Aiko, attirando la sua
attenzione. Poi lasciò la stanza,
ringraziando Shimura.
Lei
rimase ferma ancora un poco, guardando negli occhi chiari Aizawa.
Lui
ricambiò lo sguardo con caparbietà, prima di aprire bocca. E facendolo nel modo
sbagliato.
«Qualcosa
non va, Aogiri?»
La
sensazione che Masa provò fu quella di una coltellata in pieno stomaco.
Esternamente non manifestò nulla, ma era convinta di aver perso anche lei un
po’ di colore a quella affermazione. Che, ironicamente, era solo un’altra
piccola conferma nel mare di rivelazioni che le stava dando con il linguaggio
del corpo.
Si
sistemò lo scollo del cappotto, prima di freddarlo con uno sguardo. «Troverò
l’assassino della tua ragazza», sussurrò, consapevole che Shimura
era tornato al suo lavoro e non li stava ascoltando. «Protettore di ghoul…»
Girò
sui tacchi, salutando a sua volta Korito. Rimasto
solo, su quella sedia, Ivak realizzò che non era mai
stato così vicino a morire a sua volta. Si diede una pacca in mezzo alla
fronte, si chiamò stupido.
Poi
realizzò, guardando quel braccio, che non gli importava poi così tanto della
sua vita.
Urie
si era precipitato da Matsuri per riferire le scoperte recenti e chiedere
l’apertura ufficiale dell’istruttoria. Aiko, dopo la frase di Ivak, aveva solo bisogno di un caffè.
Arrivò
quasi alla macchinetta, realizzando tutti i doppi sensi delle frecciatine che
il dottore le aveva iniziato a lanciare da maggio, quando una furia la prese
per il cappotto, all’altezza del petto, e la sbattè
con forza contro la parete.
Aiko
urtò il muro di nuca e solo dopo aver visto gli uccellini sparire dal cerchio
che le si era creato in testa realizzò che ad assalirla era stata Noriko.
«La
pazza colpisce ancora!»
«Hai
rubato dei documenti, la pazza sei tu!»
La
mora sbuffò sonoramente, mentre attorno a loro si radunava qualche collega preoccupato.
«Come lo proverai senza telecamere nel tuo ufficio?»
La
dottoressa la lasciò andare, disgustata. Poi le puntò un dito sotto al naso. «Un
giorno di questi», sibilò, profetica. «La tua fortuna finirà e finirai in
galera o in obitorio.» Poi girò i tacchi, scontrandosi con una povera interna
che non aveva fatto nulla e facendole cadere una cartella.
Masa
la guardò allontanarsi grattandosi la nuca, mentre Take le veniva incontro.
«Buongiorno»,
le disse Hirako.
«Buongiorno
un cazzo», fu la risposta irata che ricevette, prima di vederla sfrecciare via.
La
sua giornata era ufficialmente finita.
☸
Dopo
un’oretta di breefing, Urie aveva ottenuto carta
bianca per fare quello che voleva col caso Lisca.
Avrebbe
lavorato di nuovo in coppia con Masa, visto che l’investigatrice aveva
analizzato la scena del crimine e aveva provveduto praticamente a portare
avanti le indagini. Matsuri di questo non era entusiasta, ma non poteva negare
che in campo criminologico, quella ragazza bisbetica non aveva eguali.
Il
caposquadra dei Quinx stava giusto per tornare a casa da solo, visto che Aiko
aveva detto che avrebbe fatto spesa e si sarebbe fatta trovare allo chateau,
lasciandogli anche la macchina.
Andò
nell’ufficio della QS, prendendo la chiave della vettura dal cassetto e
stupendosi quando qualcuno bussò. Non era giornata di internato per loro,
quindi diede il permesso alla persona che si era palesata di entrare seppur
perplesso. Il fatto che poi fosse la psicologa del dipartimento ad attendere
alla sua soglia lo stupì ancora di più.
«Posso
fare qualcosa per lei, dottoressa Noriko?», chiese, senza sedersi.
Lei
gli piazzò in mano una cartella.
«Sì,
primo livello Urie», gli rispose spiccia, avviandosi già all’uscita. Sembrava
ancora incazzata per lo scontro di quel pomeriggio. «Leggi bene quel fascicolo
e vergognati di non avermelo chiesto prima!»
Lui
ci rimase di sasso. Rigido, con la schiena che pareva una tavola, abbassò gli
occhi sul plico spesso di fogli e constatò che era una cartella clinica.
La
aprì e scoprì che era la cartella psicologica di Masa.
Non
poteva portarla fuori dal palazzo, quindi prese posto alla scrivania, vagamente
preoccupato dalle cose che avrebbe potuto scoprire. C’era qualcosa dentro di
lui che gridava di non farlo, che certe cose sarebbe stato meglio non saperle.
Si aspettava disturbi di qualche tipo subito dopo l’operazione di sterminio del
Gufo della ventesima, magari qualche disagio nel dormire.
Non
si aspettava di sicuro le prime venti pagine di psicologia pre
puberale in cui c’era, nero su bianco, scritto tutto quello che era successo
fra le mura di casa sua da quando Aiko aveva undici anni, fino ai tredici. Più
andava avanti a leggere, più raccoglieva informazioni sull’istruttoria che era
stata aperta sul fratello, Hiroshi, per
abusi a minore, più gli veniva voglia di chiudere tutto. O vomitare.
Si
ritrovò a chiedersi per quale vita l’avesse salvata suo padre.
Passò
oltre.
Disturbi
alimentari. Il processo che ha spaccato la famiglia.
Sindrome
dell’abbandono. Il ritorno di suo padre a Kyoto.
Disturbo
da stress post traumatico. La ventesima circoscrizione e quella notte.
Incapacità
di contenere gli attacchi di rabbia. Morte del partner Orihara
Daisuke.
Disturbo
del sonno. Sparizione del fratello Shinichi.
Disturbo
da deficit di ansia. Morte del fratello Hiroshi. Uccisione di Osaki.
Disturbo della
personalità Borderline.
Certificato
di idoneità al progetto Quinx; test psicologico: non superato.
La
cartella venne chiusa di botto, mentre uno strano senso di panico nasceva nel
petto di Urie. Compose il numero a memoria, senza doverlo cercare il rubrica e
attese, con una mano sulla bocca.
-Dica,
capo.-
«Aiko,
dove sei?»
Dall’altra
parte della cornetta ci furono un paio di istanti di silenzio, perplesso.
-Sto
andando al supermercato. Mi sono fermata a salutare un’amica, ma tra dieci
minuti scendo, compro qualcosa per cena e prendo la metro. Tanto siamo solo noi
due, no?-
«Vengo
a prenderti. Dimmi solo dove.»
Una
risatina che sembrò quasi nervosa gli arrivò alle orecchie, ma Urie decise che era solo frutto della sua
immaginazione. Stava perdendo il senso della realtà, non credeva di essere
realmente così preoccupato.
-Allungheresti
la via. Vai a casa e preparami un bagno, piuttosto.-
«Sarei
più tranquillo se mi dicessi dove posso venire a prendere.»
-Perché,
non sei tranquillo ora?- Non sentendo la risposta, Masa sospirò. –Cavolo stai
prendendo proprio seriamente la nostra storia di recente, eh? Matsuri ti ha
trattato male?-
Kuki
strinse la mano sul bracciolo della sedia. «Aiko, per favore.»
-Va
bene. Tra mezzora di fronte al centro commerciale, quello vicino alla sede, può
andare?-
«Si,
può andare», prendendo un lungo respiro, il ragazzo si decise a
tranquillizzarsi. «Stai attenta, ok?»
-Prometto
che quando passerò di fronte al banco della verdura, starò attenta che delle
zucchine non mi attacchino. Tu piuttosto avrai delle spiegazioni da darmi.-
Oh no che non
l’avrebbe fatto.
Voleva solo vederla e realizzare che quella era sempre la stessa identica persona
che lo faceva diventare matto. Ogni singolo giorno.
«A
dopo.»
Lei
aveva già riattaccato, in realtà. E lui non attese nemmeno un istante. Prese la
cartella, deciso a restituirla subito a
Noriko.
Aveva
anche un paio di domande da farle, in realtà.
E
poi sarebbe andato al parcheggio. Subito.
☸
«Piede
a tavoletta! Piede a tavoletta!»
«…Oggi è il giorno in cui salterà la mia copertura, me lo
sento.»
Tatara
stava per ucciderle. Entrambe.
«Non
capisco perché hai deciso di venire stasera se avevi il tuo capo col fiato sul
collo», snocciolò l’albino con il tono leggermente incrinato dall’irritazione,
seppure il suo viso si presentasse come di consueto in una granitica maschera
di apatia. «Non capisco nemmeno perché Eto è venuta con noi.»
Dal
sedile posteriore arrivò una lunghissima protesta. «Smettila di trattarmi come
una bambina, signor Tatara. Sono venuta come supporto morale, ovviamente.»
Tatara
aveva messo piede nell’appartamento di Eto da meno di un secondo e si era visto
attaccato da entrambe, che avevano preteso un passaggio. Un’ora di macchina
condensata in meno di venti minuti. Sarebbero arrivate al dottor Huang almeno
una decina di multe, le quali sarebbero state pagate da quelle due stupide.
Aiko
non parlava, bianca come un cencio e intenta a mordersi l’unghia del pollice,
nervosa. Stava per esplodere. Tatara non capiva. «Se il tuo capo dovesse
scoprire qualcosa, faremo come in ogni altro caso analogo: lo facciamo sparire»
«Sarebbe
troppo strano se un altro mio collega morisse in circostanze strane. Dopo Osaki sono iniziate a girare voci sul mio conto. Quella
stupida psicologa avrebbe un altro pretesto per diffondere calunnie sul mio
conto»
Eto
smise di controllarsi le doppie punte. «Allora a sparire deve essere lei, Ai-Ai.»
Un
lieve sorrisetto increspò le labbra sottili di Masa. Il pensiero di far fuori
Noriko era dannatamente allettante. Avevano però tempo per pensarci, magari
poteva portare con sé Seidou e lasciarlo divertire un po’ con quell’arpia. Avvistò
da lontano il centro commerciale, così si fece passare la spesa – aveva usato
delle buste di tela neutre per non farsi beccare- e chiese a Tatara di
accostarsi.
«Va
bene qui, fammi scendere, Laoshi.»
«
Irresponsabile. Spero che ti investano.»
Precisamente
sull’isola spartitraffico, Aiko si sporse per prendere la mano di Eto,
ignorando la crudele invocazione dell’albino. «Leggi i fogli che ti ho dato,
voglio che tu mi dica cosa ne pensi.»
Il
ghoul sventolò il rapporto sulle indagini sulla morte della famiglia di
Mutsuki. «Oki doki Ai-Ai! A
presto!»
«Laoshi», chiamò
quindi in ultimo, che puntò gli occhi chiari coperti dalle lenti azzurre nei
suoi. Poi prese un respiro e capì che non poteva ancora dirgli nulla su Mei. Sapeva che lei lo aveva amato molto in passato e che
ancora lo amava, ma era totalmente all’oscuro dei sentimenti del maestro su di
lei. Se avesse detto lui ciò che aveva trovato forse l’avrebbe fatto infuriare.
Forse l’avrebbe ferito. Sicuramente non l’avrebbe lasciata andare via senza i
dettagli che poteva fornirgli durante il viaggio. «Non importa. Te ne parlerò
la prossima volta. Buona serata.»
Mai
fuga fu più veloce. Per poco la investono davvero. Non poteva affrontare anche
quello, anche se era andata a casa di Eto principalmente per dirlo a qualcuno.
Sperava che la ragazza non l’avrebbe tradita, ma conoscendola non le importava
poi un granché dell’intera faccenda. Era sempre Eto, dopotutto. Sembrava sempre
al di sopra di tutto ciò che concerneva la sfera dei rapporti interpersonali,
degli affetti.
Non
era davvero giornata.
Ivak le aveva fatto esplicitamente
intendere che sapeva che faceva parte di Aogiri, palesando il fatto che Mei l’aveva tradita rivelandoglielo. Noriko aveva quasi
provato a scatenare una nuova rissa. Tatara le avrebbe strappato ogni singolo
lembo di pelle per poi ricoprirla di sale marino se non si fosse fatta viva in
fretta per dirgli il motivo per il quale l’aveva tenuto sulle spine. Ci mancava
solo Matsuri e avrebbe coronato l’intera situazione con una cornice di sterco.
Girò
attorno all’enorme stabile, entrando di lato per uscire sul davanti dove la
macchina di Urie già la aspettava con il guidatore all’interno. La giornata finì ufficialmente nel momento in
cui appoggiò il culo sul sedile del passeggero. Potevano giusto fare un
incidente stradale durante il ritorno. Era l’ultima spiaggia insieme
all’eiaculazione precoce, anche se voleva solo mettersi a letto e dormire
quindi avrebbe sventato l’eventualità infilandosi in un pigiama antistupro con
sopra i Muppets.
«Eccomi!»,
canticchiò civettuola, appoggiando la borsa sui sedili posteriori e voltandosi
a guardarlo. Il sorriso le si gelò sulla faccia quando i suoi occhi cercarono
in vano quelli del collega. «Cosa è successo ancora?», guaì, disperata.
Lui
non ricambiò lo sguardo. «Oggi è stata una giornata impossibile.»
«A
me lo dici, eh?» Urie si mantenne apparentemente normale, ma Aiko capì che qualcosa non andava. Stava sudando
leggermente, aveva allentato il nodo della cravatta e continuava ad evitare con
risoluzione il contatto visivo. La mora iniziò a farsi un’idea molto chiara di
cosa poteva essere successo e per poco si mise a piangere. «Cosa ti ha detto Aizawa?»
«….No
aspetta, cosa c’entra Aizawa?»
Il
suo stupore fu un chiaro indizio del fatto che il dottore, grazie a Dio, non
c’entrava niente. La ragazza riprese a respirare normalmente, sporgendosi a
prendere una lattina di lemonsoda dalla borsa,
bisognosa di reintegrare gli zuccheri appena persi. «No è solo che oggi è stato
strano tutto il giorno e pensavo ti avesse fatto uno dei discorsi catastrofisti
dei suoi.»
Lui
scosse il capo. «Non mi ha detto niente nessuno. Sono solo molto nervoso per
ciò che abbiamo scoperto su Mei.»
Lei
lo guardò attentamente. «Quando menti guardi a sinistra», gli rivelò, prendendo
un sorso della bibita leggermente amara che, in fin dei conti, aveva comprato
per lui. «Senza contare che mi hai chiamato nel panico più totale. Quindi,
quale è il problema?» Lui sembrò restio a dirlo, così lei sospirò
rumorosamente, allungando una mano per scostargli i capelli dalla fronte. «Cosa
devo fare con te?»
«Ho
parlato con Noriko. Di te.»
A
quel punto si voltò a guardarla, ma fu lei a scostare gli occhi verso l’esterno
del finestrino, sul parcheggio frequentato. Rimase ferma, con la mano ancora
alzata, prima di ritrarla in fretta, come se si fosse ustionata. Rimase ferma,
a boccheggiare, ritirandosi su se stessa come se fosse stata lei ad esporsi
troppo.
Valutò
che l’omicidio di Noriko era un’ottima idea e che avrebbe portato avanti il
progetto.
Valutò
anche che non voleva sapere quanto l’altro avesse scoperto. Lui non sembrava
intenzionato a dirglielo. Urie si appoggiò con il capo al sedile, sfinito. «Sto
pensato che potremmo passare dall’ospedale prima di tornare a casa. Passiamo a
trovare la sorella di Shirazu e poi torniamo, tanto siamo soli a cena.»
E
Aiko capì. Si era sempre chiesta come Urie andasse avanti certe volte, come
affrontasse determinate situazioni riuscendo a rimanere sempre freddo e
razionale. Ora lo sapeva.
Non le
affrontava.
Scansava
gli ostacoli, li accantonava e fingeva che non esistessero. Se una cosa
rischiava di scioccarlo, allora non la considerava più.
Le
andava bene, c’erano cose che non avrebbe mai e poi mai potuto discutere né con
lui né con nessun altro. Solo Eto poteva capirla davvero su quel fronte, perché
erano simili. Urie non avrebbe mai capito e avrebbe iniziato a vederla come una
vittima, facendone risentire tutta la loro relazione, sia personale che
lavorativa.
Così
gli sorrise, seppur pallidamente, appoggiando una mano sulla sua coscia. «Sì,
va bene. Volevo comunque passare in settimana.»
Lui,
senza esitare, le strinse la mano. «Allora andiamo», disse, chiudendo così
definitivamente il discorso.
….Aiko contemplò il fatto che forse,
se avesse scoperto di Aogiri, sarebbe stato meno umiliante per lei.
Lo
rimangiò in fretta, perché se Urie in quel momento stava provando dispiacere,
forse dolore o pena per lei, il sentimento che l’avrebbe smosso scoprendo del
grande tradimento, sarebbe stato infinitamente peggiore.
L’avrebbe
odiata.
E
per lei sarebbe stato peggio sentirsi compatita, perché l’avrebbe perso.
Non
poteva permetterselo.
Continua….