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Autore: Chemical Lady    17/06/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte quarta: Il caso Lisca.

 

 

Il corpo di Masa era già freddo al tatto ancor prima di venir raggiunta dal patologo. La voragine che aveva al posto dell’occhio sinistro, quello del kakugan, era così profonda da arrivare a mostrare la materia cerebrale dietro l’orbita. Aizawa non riusciva davvero a credere che fosse morta. Nemmeno dodici ore prima stavano pianificando il suo ingresso all’interno della struttura insieme a Komoto. “Un lavoro veloce e pulito”, diceva, “Andrà tutto bene.” Eppure l’epilogo era stato di gran lunga il peggiore di tutti. Avevano giocato con il fuoco e in quel momento Aiko giaceva morta sul suo tavolo autoptico, con il viso straziato, ma incredibilmente rilassato nella placidità del sonno eterno.

Ivak passò la mano fra i suoi capelli, spostandoli dalla fronte. «Mi dispiace tanto», sussurrò con tono spento, prima di prendere un respiro profondo. Dalla tasca del camice estrasse un paio di guanti di lattice, indossandoli rapidamente. Accanto a lui c’era Shimura, immobile e bianco come un cencio. Non gli disse niente quando lo vide aprire la mantella nera della ragazza, iniziando a sfilargliela. Con le forbici tagliò la maglietta, sporca di sangue, rivelando il busto martoriato da due grandi tagli, uno sulla spalla e uno più in basso, all’altezza delle costole che al tatto gli parvero rotte. Una mano era quasi completamente distrutta e così poteva dirsi anche della gamba sinistra, tenuta insieme solamente da un groviglio scomposto di muscoli e lembi di pelle.

«Certo che Hirako poteva evitare di andarci giù così pesante.» Quello fu il primo commento di Korito, il quale sembrava improvvisamente diventato incapace di parlare. Aizawa annuì alle sue parole, appoggiando tutti i vestiti nelle rispettive buste per le prove, infilando l’intimo in un sacchetto di carta più piccolo. Si appoggiò nuovamente al bancone con entrambe le mani, chinando il capo. «Non devi farlo per forza. Possiamo chiamare qualcuno del turno di giorno o magari un collega del laboratorio.»

«No. Lo farò io. Basta cazzate, basta menzogne.»

«Almeno aspettiamo i permessi.»

«No!». Gridò così forte da far sobbalzare il collega, che se possibile perse ancor più colore sulle gote. «Lo faremo adesso. Non mi importa se mi sospendono, licenziano o incarcerano! Se non sai cosa fare prendi una torcia luminol e passala sul corpo. Vedi se trovi impurità. Se ti senti in colpa o se ti senti male al pensiero di infrangere le regole, allora vattene fuori.»

Shimura non si mosse di un passo per diversi secondi, mentre l’altro attenteva una sua reazione. Poi, lentamente, prese il doccino dell’acqua e calibrando la temperatura come se volesse renderla tiepida per non infastidire la collega, iniziò a lavare il corpo partendo dalla punta dei piedi. Aizawa si diede dell’idiota per essersi dimenticato quel il primo passaggio, quindi si prese un attimo. Diede una pacca sulla spalla di Korito, per scusarsi e si avvicinò alla scrivania. Prese il suo registratore, controllando che fosse carico, poi tornò accanto all’altro, con un bisturi in mano e l’oggetto elettronico nell’altra.

«Sono il dottor Aizawa Ivak, sono le nove e dieci del cinque novembre 2016 e sto procedendo all’autopsia numero 6072, Masa Aiko.» appoggiò il registratore il tavolo, tenendo il bisturi con la mano sinistra mentre con la destra si faceva il segno della croce, borbottando qualche parola in una lingua che il collega non comprese. Dopo di che prese un respiro, alzando il bisturi. «Procedo con l’incisione a ipsilon.»

Appoggiò la lama affilata dello strumento sulla spalla della ragazza, ma esitò. Sospirò nuovamente, in modo rumoroso, notando che anche nella morte sembrava pronta a prendersi gioco di lui.

«Vediamo cosa hai da dirmi, Aiko?»

 

Non riuscì a fare niente. Uno degli agenti dell’internato bussò alla porta, dicendogli che il direttore Yoshitoki Washuu lo stava cercando. Venti minuti dopo usciva da quell’ufficio con una sospensione della quale non poteva importargli di meno.  Mezzora dopo era nell’ascensore con Urie e Higemaru.

«Perché ti hanno sospeso?», domandò con tono basso Hige, mentre Urie sembrava troppo chiuso nella sua mente, a doppia mandata, nel tentativo di prepararsi psicologicamente a ciò che sarebbe venuto appena messo piede nella sala del patologo.

Aizawa sbuffò una risata, attendendo a mala pena che le porte dell’ascensore si aprissero per iniziare a camminare veloce per il corridoio. «Il direttore ha detto che mi sospende per mancanza di rispetto verso il classe speciale Arima. In realtà mi ha tolto questo caso perché vuole coprire lo Shinigami di Merda. Ma glielo faccio vedere io. Niente mi impedirà di fare questa stracazzo di autopsia.»

Mai dire mai.

Messo piede nell’obitorio, Aizawa rischiò una crisi di nervi. «Shimura!», urlò con quanto fiato aveva in corpo, guardando il tavolo vuoto e lavato. Così lucido da poterci mangiare sopra, se l’avessero voluto fare. «Perché diavolo hai spostato il corpo?? Lo hai messo in una cella frigorifera?? Ti ho detto che sarei tornato subito!»

Il poverino diventò microscopico, cercando di sparire contro la porta dell’ufficio. «Mi dispiace Ivak», sussurrò a mezza bocca, con gli occhi sgranati dietro alle lenti quadrate degli occhiali da vista. «Non ho potuto impedire loro di farlo.»

«Fare cosa?? E loro chi??»

«Gli affari interni», spiegò, sull’orlo di una crisi di pianto. «Sono arrivati con un mandato firmato dal presidente in persona e hanno preso il corpo. È successo poco dopo che sei uscito e mi hanno fatto largamente intendere che non avrebbero ascoltato una singola parola di ciò che io-»

«Hanno preso tutto? Anche i vestiti?!»

«Sì. Scusami, ti prego perdonami ma io… Sono solo una persona e loro erano così inquietanti. Con i cappotti neri e i cappelli.»

Ivak rimase immobile, realizzando. Poi si lasciò cadere sulla sua sedia, distrutto. Con una mano sul viso, sospirò piano. «Hanno preso anche il sacco dentro cui l’abbiamo trasportata dal piano di sotto fin qui?»

«Lo hanno richiesto. E hanno già smantellato la scena perché ho visto scendere di sotto la ditta di pulizie.»

Ivak si alzò di scatto, dando un calcio così forte alla scrivania da alzarla di una spanna da terra. «Non ci credo! Cazzo! Non abbiamo nemmeno una fottuta goccia di sangue!»

«Ti serve il suo sangue?» A parlare era stato Urie, rivelando che lui e Higemaru erano ancora lì, seppure la sua voce sembrasse arrivare direttamente dalla bocca degli inferi.

«Se avessi almeno un campione di sangue potrei analizzarlo e poi confrontarlo con il referto che quelle enormi palle di merda ci invieranno. Così sapremo da subito se ci stanno mentendo.»

«Allora non ci sono problemi.»

Kuki fece un cenno a Touma, che dalla tasca interna del suo trench prese una busta di carta marrone. La passò al dottore che, utilizzando un guanto, prese fuori dal sacchetto quella che sembrava una camicia nera. Era così impregnata di sangue essiccato da essere rigida. Poi si ricordò esattamente come aveva trovato Urie nel momento in cui era sceso a sua volta nel sotterraneo e si diede dell’idiota. Rimise accuratamente l’indumento nella busta,che chiuse, prima di guardare i due agenti.

«Ora anche noi abbiamo un’arma. Arriverò fino in fondo a questa storia, Kuki, te lo giuro. Fosse l’ultima maledetta cosa che faccio da vivo.»

I due uomini si guardarono negli occhi per qualche breve secondo e in quelli del più giovane, Ivak scorse una vaga parvenza di commozione. La porta che si apriva nuovamente, però, li costrinse a voltarsi.

Sull’uscio c’era Sasaki, che fissava perplesso e vagamente irato Urie. «Tu non dovresti stare qui, non è il momento per dire addio.» Poi gli occhi slittarono su Aizawa. «E lo stesso vale per te.»

«Senti mostriciattolo modificato chirurgicamente, questa è casa mia. Devi usare il tuo lungo e grosso kagune per buttarmi fuori.» Andandogli di fronte, Aizawa lo guardò attentamente. L’altro non si spostò di un singolo centimetro, come se l’intimidazione non fosse stata nemmeno vagamente colta.

«Potrei farlo», gli fece sapere, «Ma ora sono molto più interessato a vedere il corpo.»

Persino Ivak rimase di stucco. «Ma non lo abbiamo noi. Lo hanno preso gli affari interni.»

Sul volto del ghoul lesse la più totale confusione. «No. Non è possibile. Ho disposto io stesso che sia Shimura Korito a fare l’autopsia.»

«Allora abbiamo un bel problema, signor Shinigami Coccoloso. Un bel problema

 

Capitolo ventidue

«Non mi piace né l’ananas né il melone. Mettici qualcosa di rinfrescante, tipo le fragole e il cocco!»

Urie ficcò i due ingredienti nel frullatore, aggiungendo poi un’abbondante dose di latte di riso. Lasciò quindi lavorare l’elettrodomestico, mentre assaggiava l’abbinamento che avevano preparato poco prima, ovvero lamponi, ciliegie e mirtilli, storcendo la bocca per quanto era schifosamente dolce. «No, non ci siamo.»

«Invece questo per ora è il migliore.»

«Ti verrà il diabete entro i venticinque anni.»

Aiko gli fece una pernacchia, prima di appoggiasi al suo busto col capo, chiudendo gli occhi. Nonostante non fosse domenica, avevano qualche ora libera. Entrambi avevano chiuso i loro casi, relegando i rapporti a Higemaru e Hsiao e prendendosi un meritato riposo dopo quasi un mese filato. Agosto era praticamente concluso e  in attesa dell’inizio di settembre, le temperature non parevano aver voglia di abbassarsi.

Per quello avevano deciso di scongiurare l’afa con una colazione a base di frullati di frutta, sperando di trovare una combinazione che potesse piacere ad entrambi. Impossibile. A Urie piacevano i sapori forti, amari. Aiko non beveva nulla che non contenesse un intero sacchetto di zucchero sciolto.

«Dopo voglio provare la papaia e la banana», soppesò il ragazzo, passando una mano fra i capelli di Masa, sempre più lunghetti.

Lei scostò il ciuffo fastidioso dal viso, alzandolo poi per guardarlo. «Che schifo. Io voglio provare lampone, fragola e cacao.»

«….Non commenterò. Ti sei accorta di essere ingrassata, vero?»

A salvare Urie fu solo il campanello che suonava. Masa si alzò guardandolo in cagnesco, facendogli segno che l’avrebbe pagata a caro prezzo entro qualche minuto. Allacciò meglio il kimono che aveva addosso, sotto il quale indossava solo la biancheria, prima di arrivare all’uscio per spalancarlo. Di fronte a lei c’era un ometto che non aveva mai visto prima in vita sua. Lui non si presentò subito. Le gambe nude e lunghe della giovane lo distrassero e lei ebbe il tempo di alzare una mano per salutare Suzuya e Abara che se ne stavano andando dopo aver portato sin lì quell’improbabile avventore. Poi tornò a studiare lo strano giovane. Magrolino, in modo eccessivo, tanto che Aiko si chiese se dovesse offrirgli una bistecca per colazione per farlo rimanere in piedi. Sembrava davverp giovane, ma non era semplice a dirsi, perché era la persona più comune che avesse mai visto in vita sua dopo Take Hirako. Almeno questo sconosciuto aveva un taglio di capelli particolare. Rimaneva comunque così tanto anonimo da non avere nemmeno un odore caratteristico.

«Posso aiutarla?»

Lui si riscosse, avvampando dalla testa ai piedi. «Salve, io sono Nobunaga Jojiro e sto cercando l’investigatore Urie Kuki del ccg.»

Masa si scostò per farlo accomodare, prima di svolazzare in cucina, parlando nell’orecchio al caposquadra. «Dice di voler parlare con te. Un certo Nobunaga

«Chi?»

«A me lo chiedi?»

L’investigatore alzò un sopracciglio, perplesso, prima di togliersi il grembiule a stampa floreale per andare verso l’uomo. Aiko lo seguì con lo sguardo, spegnendo il frullatore e appoggiandosi al ripiano della cucina. Li guardò stringersi le mani e capì che no, Urie non aveva idea di chi diavolo fosse quel ragazzo.

Quando però gli rivelò il motivo della sua visita il giovane ricollegò tutto.

«Sono un collega e amico di Kurhei Shukumei. È scomparsa e ho paura che le sia successo qualcosa. La prego, agente, mi aiuti. Shukumei si fidava di lei.»

 

Mentre si preparavano per uscire e per tutto il viaggio in auto, Urie spiegò a Masa cosa stava succedendo. Lei non vedeva Shukumei dalla serata di gala annuale organizzato dal dipartimento alla fine di luglio e anche allora si erano scambiate ben poche parole. Le aveva dato una mano riguardo ai recenti problemi di Kuki, che faticava a mangiare – quelle pastiglie di ferro ed emoglobina erano una benedizione del cielo- e poi era sparita così come era arrivata. Nel nulla.

Urie invece l’aveva rivista una settimana prima. Era incazzato come una biscia per l’articolo contro la ccg, per il quale aveva ovviamente pagato anche Aiko, ma non si era comunque tirato indietro nell’offrirle una mano. Le aveva lasciato nuovamente il suo biglietto da visita, che lei aveva dato a Nobunaga, il quale era rimasto fermo e zitto sul sedile posteriore fino all’arrivo nell’appartamento che Mei utilizzava come nascondiglio.

«Dovrebbe essere qui, non ha un altro posto dove andare», spiegò sbrigativo il ragazzo, mentre i due agenti tenevano in mano una la sua valigetta di metallo e l’altro la katana nera. «Ho bussato molte volte, ma non ha mai aperto. Non è normale.»

«Che facciamo, sfondiamo?», chiese l’investigatrice, guardando perplessa la porta e constatando però che sembrava parecchio solida. «Tu o io?»

«Tu. Ci sono più possibilità tirando che spingendo.»

Il kagune di Aiko riuscì a penetrare la dura struttura della porta, conficcandosi contro di essa. Tirò poi verso di sé fino a che non l’ebbe completamente sfilata dai cardini. Quando l’ebbe appoggiata contro al muro, un odore sospetto le arrivò diritto al naso. «Lo senti?»

«Sì», Urie le ridiede Inazami, prima di appoggiare la mano destra sull’elsa della sua katana. Si rivolse quindi al giornalista, che fissava sconvolto la donna in loro compagnia. Sapeva che i due erano dei Quinx, ma tra il saperlo e il vederlo, la differenza era moltissima. «Rimanga qui fuori.»

«S-sì», rispose lui, comprensivo, andando a sedersi sui gradini per prendere un po’ di aria. Lasciato il giovane sul giro scale, i due entrarono nell’appartamento con le orecchie ben tese.

«Sento un odore molto forte di decomposizione», lo mise al corrente Aiko, mentre avanzano piano per il piccolo ma labirintico spazio. «E anche altro…»

«Liquido secreto dal kagune», confermò Kuki, vedendola annuire. «Niente di fresco però.»

«No. Qui c’è stato un ghuol. Non serve chiamare la polizia.» Si bloccò al centro di una stanza, puntando la piccola torcia verso un punto sulla moquette sfatta e vecchia. Un’enorme chiazza di sangue la segnava completamente. «Non è un bel segno.»

Urie fissò il pavimento, prima di guardarsi attorno. «No. Però non è questo che puzza così tanto. Controllo il bagno, tu pensa al salotto e alla camera.»

«Roger.»

La prima cosa che Aiko fece fu accendere la luce. Non c’era nessuno lì dentro, se non loro. L’avrebbe percepito attraverso il forte tanfo di morte e l’odore di chiuso. Appoggiò la valigetta a terra, laddove non sarebbe stata un intralcio e proseguì la ricerca. Trovò il liquido del kagune, ormai secco seppur aveva mantenuto almeno in parte la sua struttura gelatinosa. Era schizzato contro una parete, piuttosto in alto, segno che cercavano un kukako o un ukako. Aiko sapeva che Shukumei era  Lisca e che possedeva un kukako, mentre Urie no. Decise di tenere per sé quel segreto, arrivando a dimostrarlo solo con la scienza. Lasciò stare quella traccia, decisa a prelevarne un campione dopo, chinandosi poi sotto a una vetrinetta e trovando la fonte della puzza.

«Cookie», chiamò con tono alto. Lui si affacciò. «Ho trovato un braccio. Chiama Shimura, non posso toccarlo fino a che non c’è il patologo a darmi l’ok.  Però, essendo solo un braccio, probabilmente ci darà il permesso di spostarlo da soli.»

«Fantastico, tanfo di decomposizione in auto.» Lui prese un respiro, appoggiandosi allo stipite della porta, «Pensi sia di Shukumei?»

«Ne sono certa», rispose con tono deciso Aiko. «Riconosco il suo anello.» Si rimise diritta, passandosi un mano sulla fronte, poi guardò nuovamente il ragazzo. «Vai a prendere il mio kit in macchina. Questi reperti vanno fotografati e catalogati, prima di raccoglierli.»

«Tu hai l’abilitazione, puoi farlo.» Quella era una affermazione. Non aggiunse altro, sfrecciando fuori dalla porta, deciso anche a montare la segnaletica gialla e mettere un sigillo alla porta.

Aiko lasciò scivolare gli occhi nella stanza, notando alcune custodie vuote per cassette su una scrivania e tanti cavi su di essa. Qualcuno doveva aver portato via qualcosa, magari un computer. Un registratore, vista la presenza di cassette. Non c’era altro però.

Solo una camicia pulita appoggiata a una sedia e il braccio di Mei. Il resto degli effetti personali delle donna si trovava in camera da letto, stanza che sembrava non presentare alcun segno dello scontro che doveva essere avvenuto fra quelle pareti silenziose.

«Cosa diavolo è successo qui dentro?»

 

 

Urie si sentì un po’ un imbecille a pensarlo, ma Masa con addosso il camice blu scuro del laboratorio tracce e gli occhiali spessi di plexiglass per le analisi chimiche era sexy. Cercò di accantonare quel pensiero poco professionale, spiandola attraverso la parete di vetro, mentre lei armeggiava con fiale di composti chimici e smanettava con lo spettrometro di massa. Dopo circa tre ore di lavoro di analisi, uscì dalla stanza, con addosso di nuovo il trench lungo della ex squadra Hirako che non aveva mai smesso di indossare.

«Dottoressa Abbie Carmicheal, che notizie ha?»

Lei lo guardò compiaciuta, «Iniziamo a parlare la stessa lingua», soppesò, prima di farsi più seria. «Non posso dire che il braccio sia Shukumei Kurhei, però posso dirti che il dna corrisponde a quello dello spazzolino che ho trovato in bagno e anche alle impronte digitali sparse un po’ per tutta la casa. Non ce ne erano di diverse, sembra che non ci sia mai entrato nessuno lì dentro. Ho anche analizzato il liquido del kagune e indovina un po’.»

Urie prese in mano il foglio, proprio mentre entravano in ascensore. Lo lesse tutto, riprendendo a parlare solo quando uscirono verso la sala autopsie. «Lisca?»

Lei annuì. «Stupefacente, non trovi? È passata dall’anonimato all’uccidere. Forse ha ragione Kuramoto, che ha sempre sostenuto che Dente di Fata cacciasse per lei. Anche se non credo che Mei sia vittima di predazione. Dopotutto era una giornalista e mi ha anche chiesto di lui.»

«Ti ha chiesto di Dente di Fata? Aspetta, Mei

Aiko lo guardò impassibile. «Guarda che è un diminutivo di Shukumei. Era anche mia amica e mi ha chiesto lei di chiamarla così.»

Entrando nell’obitorio, trovarono Shimura chino sul braccio. «Notizie?», chiese il caposquadra, ignorando volutamente la macchia nera di odio per il mondo che si spargeva dal punto in cui sedeva Aizawa. Masa, invece, lo salutò con una pacca incoraggiante sulla spalla.

Korito si abbassò la mascherina dal viso, «Una novità che non mi aspettavo.» Fece cenno ai due investigatori di affacciarsi. «Guardate un po’ la ferita. Cosa notate?»

Tutti e due si chinarono sul resto e Aiko rispose per prima. «Linee perfette, nessuna sbavatura. Non c’è rilievo delle creste. Non è stato un kagune.»

«Una quinque», sussurrò Urie, sbalordito.

«L’ho detto io a Shimura», bofonchiò Aizawa, continuando a mangiare i suoi noodles come se niente fosse.

Masa guardò Korito. «Posso usare il tuo pc?» Negli occhi aveva una scintilla di puro genio. Quando Shimura annuì lei si mise a sedere accanto a Ivak, che si scostò per farle spazio. La guardò solo aprire il sistema del dipartimento, prima di tornare a chiudersi in se stesso, evidentemente scoglionato e desideroso di vederli sparire. Voleva il silenzio, nell’ultimo mese s’era fatto davvero intrattabile.

«Perché usare una quinque su una persona?», si chiese Urie.

Shimura alzò le spalle. «Io posso dirti solo che questo braccio è stato tagliato ad una persona viva. Vedi?», gli indicò il bordo. «Abbiamo degli evidenti ematomi perimortem. Il sangue scorreva quando è stato reciso.»

«Abbiamo una persona viva, un kagune morto e un sacco di domande.»

Aizawa si alzò, tenendo in mano il cono pieno di spaghetti di riso e verdure e una forchetta. Aveva fatto l’embargo anche delle bacchette. «Tecnicamente le quinque sono un kagune vivo.»

«Abbiamo anche quello», gli confermò Urie, guadagnandosi un’occhiata perplessa. «Il kagune di-»

«Cookie.»

Il modo in cui Masa lo chiamò era funereo. Tutti e tre gli uomini si voltarono verso di lei. «Ho una corrispondenza certa per il dna del braccio.»

«Hai trovato un modo per dimostrare che è di Shukumei Kurhei

Con un tonfo i noodles caddero a terra. Ivak sgranò gli occhi. «Cosa hai detto?»

«Sì», Aiko si voltò lentamente verso di loro, recitando in modo così impeccabile che si aspettò di vedere entrare Leonardo di Caprio con in mano il suo Oscar, per darlo a lei. «Il dna del liquido secreto dal kagune ha tredici alleli in comune con quello del braccio. Urie, Shukumei era Lisca.»

Successero contemporaneamente tre cose. Shimura si chinò per pulire il casino di Aizawa prima che qualcuno scoprisse che lì dentro ci mangiavano, anche se non si poteva. Urie sgranò così tanto gli occhi che divennero grandi come quelli di Aiko. E Ivak perse totalmente il controllo.

Si buttò praticamente sul computer, controllando la corrispondenza del dna, prima di avanzare verso il tavolo autoptico, iniziando ad analizzare il braccio con cura, passandolo al setaccio. Il tutto in pochi secondi. Poi si rivolse a Urie, con una leggera punta di isteria nella voce che però voleva sembrare controllata. «Voglio il caso.»

L’investigatore lo guardò male. «Scordatelo», soffiò. «Non hai risposto alla chiamata, quindi mettiti il cuore il pace. Il caso è di Shimura

«Per me non ci sono problemi», tentò l’altro coroner, prima di ritrattare all’occhiata omicida del caposquadra dei Quinx. «No, ok. Caso mio. Scusa Aizawa

Aiko intanto aveva ripreso a digitare sulla tastiera, non riuscendo però a non farsi un’idea sulla reazione di Ivak. Un’idea anche molto precisa. «La quinque utilizzata non stata registrata nel  nostro sistema. Strano.» Si alzò, lasciando la postazione informatica. «Quindi teoricamente non l’abbiamo uccisa noi colombe.»

«Ok ricapitoliamo», Urie fece mente locale, parlando ad alta voce per dare una forma ai suoi pensieri, mentre Ivak lo fissava granitico in volto. Sentiva gli occhi dell’investigatrice addosso, ma cercava di non ricambiare. Non voleva che capisse, anche se sapeva che in realtà ci era arrivata. Masa era maledettamente brava a leggere il comportamento delle persone e lui non era molto bravo a dissimulare. Solo Urie poteva ignorare quel modo di fare assurdo. «Shukumei era Lisca. Era nascosta per chissà quale motivo in un appartamento che non era il suo e qualcuno, armato di quinque quindi presumibilmente umano l’ha attaccata e uccisa.»

«Non puoi dirlo», sputò fuori Ivak, mentre cercava di darsi un contegno. Aiko continuava a guardarlo, innervosendolo, ma permettendo anche a lui di farsi un’idea molto precisa di come muoversi. «Un ghoul si rigenera con facilità.»

«Questo è vero», soppesò Masa, annuendo. «Quindi dobbiamo mettere un’allerta di livello quattro. Ghoul ferito e pericoloso. Il punto però rimane solo uno: chi l’ha attacca e perché?»

«Avete trovato qualcosa di utile dentro l’appartamento?», chiese Aizawa, appoggiandosi con la mano al tavolo autoptico. Sembrava tornato in sé, ma tremava. «Qualche… Oggetto, magari. Per esempio, se la ragazza in questione non è schedata, come fate a sapere che è suo il braccio?»

«Andiamo per gradi.»

Urie rispose per lei, avendo analizzato lui stesso gli effetti personali rinvenuti sulla scena. «Custodie vuote per cassette. Di quelle vecchie, da walkie talkie. Vestiti, un paio di parrucche e asciugamani nella camera. Il letto era ancora sfatto, segno che se è successo qualcosa, magari è successo di mattina.»

«O che non era una persona ordinata», fu il commento acido di Ivak. «Poi?»

«Una foto di due ragazzi con scritto dietro ‘estate del 95’ appoggiata al comodino.»

Ivak sbiancò.

Aiko si inserì nella lista. «L’ultimo libro di Takatsuki Sen. Una versione non rilegata, da editoria. Probabilmente doveva recensirlo, era una giornalista.» Dondolò sui talloni. «Per il rispondere all’altra domanda, abbiamo identificato il braccio perché indossava un anello molto particolare che le abbiamo visto al dito diverse volte. Noi la conoscevamo e-»

«Lo posso vedere?»

I due investigatori guardarono Shimura, il quale si sporse verso il tavolo autoptico. Nella parte posteriore, quella dove c’erano appoggiati gli strumenti, c’era anche una bustina trasparente, già etichettata. Ivak la prese in mano, facendo una strana espressione al pensiero che tutto era avvenuto dietro di lui, mentre pranzava. Lentamente, mentre passava gli occhi su quel piccolo gioiello, le sue spalle si abbassarono, i polmoni si svuotarono in un sospiro e gli occhi assunsero una virgola diversa. Rimase zitto e loro, che lo guardavano preoccupati ad eccezione di Aiko, ormai definitivamente consapevole, non poterono far nulla.

Con riluttanza, consegnò la bustina a Urie, che la infilò nella tasca del trench.

«Quindi, come pensate di andare avanti ora?», chiese, ton tono spento, mentre tornava a sedersi.

Urie si preparò a lasciare l’obitorio, ora anche lui preoccupato per le condizioni del dottore. Lo guardò, prima di sospirare. «Ora troviamo ed eliminiamo il ghoul Lisca.» Appoggiò la mano sulla schiena di Aiko, attirando la sua attenzione.  Poi lasciò la stanza, ringraziando Shimura.

Lei rimase ferma ancora un poco, guardando negli occhi chiari Aizawa.

Lui ricambiò lo sguardo con caparbietà, prima di aprire bocca. E facendolo nel modo sbagliato.

«Qualcosa non va, Aogiri

La sensazione che Masa provò fu quella di una coltellata in pieno stomaco. Esternamente non manifestò nulla, ma era convinta di aver perso anche lei un po’ di colore a quella affermazione. Che, ironicamente, era solo un’altra piccola conferma nel mare di rivelazioni che le stava dando con il linguaggio del corpo.

Si sistemò lo scollo del cappotto, prima di freddarlo con uno sguardo. «Troverò l’assassino della tua ragazza», sussurrò, consapevole che Shimura era tornato al suo lavoro e non li stava ascoltando. «Protettore di ghoul…»

Girò sui tacchi, salutando a sua volta Korito. Rimasto solo, su quella sedia, Ivak realizzò che non era mai stato così vicino a morire a sua volta. Si diede una pacca in mezzo alla fronte, si chiamò stupido.

Poi realizzò, guardando quel braccio, che non gli importava poi così tanto della sua vita.

 

Urie si era precipitato da Matsuri per riferire le scoperte recenti e chiedere l’apertura ufficiale dell’istruttoria. Aiko, dopo la frase di Ivak, aveva solo bisogno di un caffè.

Arrivò quasi alla macchinetta, realizzando tutti i doppi sensi delle frecciatine che il dottore le aveva iniziato a lanciare da maggio, quando una furia la prese per il cappotto, all’altezza del petto, e la sbattè con forza contro la parete.

Aiko urtò il muro di nuca e solo dopo aver visto gli uccellini sparire dal cerchio che le si era creato in testa realizzò che ad assalirla era stata Noriko.

«La pazza colpisce ancora!»

«Hai rubato dei documenti, la pazza sei tu!»

La mora sbuffò sonoramente, mentre attorno a loro si radunava qualche collega preoccupato. «Come lo proverai senza telecamere nel tuo ufficio?»

La dottoressa la lasciò andare, disgustata. Poi le puntò un dito sotto al naso. «Un giorno di questi», sibilò, profetica. «La tua fortuna finirà e finirai in galera o in obitorio.» Poi girò i tacchi, scontrandosi con una povera interna che non aveva fatto nulla e facendole cadere una cartella.

Masa la guardò allontanarsi grattandosi la nuca, mentre Take le veniva incontro.

«Buongiorno», le disse Hirako.

«Buongiorno un cazzo», fu la risposta irata che ricevette, prima di vederla sfrecciare via.

La sua giornata era ufficialmente finita.

 

 

Dopo un’oretta di breefing, Urie aveva ottenuto carta bianca per fare quello che voleva col caso Lisca.

Avrebbe lavorato di nuovo in coppia con Masa, visto che l’investigatrice aveva analizzato la scena del crimine e aveva provveduto praticamente a portare avanti le indagini. Matsuri di questo non era entusiasta, ma non poteva negare che in campo criminologico, quella ragazza bisbetica non aveva eguali.

Il caposquadra dei Quinx stava giusto per tornare a casa da solo, visto che Aiko aveva detto che avrebbe fatto spesa e si sarebbe fatta trovare allo chateau, lasciandogli anche la macchina.

Andò nell’ufficio della QS, prendendo la chiave della vettura dal cassetto e stupendosi quando qualcuno bussò. Non era giornata di internato per loro, quindi diede il permesso alla persona che si era palesata di entrare seppur perplesso. Il fatto che poi fosse la psicologa del dipartimento ad attendere alla sua soglia lo stupì ancora di più.

«Posso fare qualcosa per lei, dottoressa Noriko?», chiese, senza sedersi.

Lei gli piazzò in mano una cartella.

«Sì, primo livello Urie», gli rispose spiccia, avviandosi già all’uscita. Sembrava ancora incazzata per lo scontro di quel pomeriggio. «Leggi bene quel fascicolo e vergognati di non avermelo chiesto prima!»

Lui ci rimase di sasso. Rigido, con la schiena che pareva una tavola, abbassò gli occhi sul plico spesso di fogli e constatò che era una cartella clinica.

La aprì e scoprì che era la cartella psicologica di Masa.

Non poteva portarla fuori dal palazzo, quindi prese posto alla scrivania, vagamente preoccupato dalle cose che avrebbe potuto scoprire. C’era qualcosa dentro di lui che gridava di non farlo, che certe cose sarebbe stato meglio non saperle. Si aspettava disturbi di qualche tipo subito dopo l’operazione di sterminio del Gufo della ventesima, magari qualche disagio nel dormire.

Non si aspettava di sicuro le prime venti pagine di psicologia pre puberale in cui c’era, nero su bianco, scritto tutto quello che era successo fra le mura di casa sua da quando Aiko aveva undici anni, fino ai tredici. Più andava avanti a leggere, più raccoglieva informazioni sull’istruttoria che era stata aperta sul fratello, Hiroshi,  per abusi a minore, più gli veniva voglia di chiudere tutto. O vomitare.

Si ritrovò a chiedersi per quale vita l’avesse salvata suo padre.

Passò oltre.

Disturbi alimentari. Il processo che ha spaccato la famiglia.

Sindrome dell’abbandono. Il ritorno di suo padre a Kyoto.

Disturbo da stress post traumatico. La ventesima circoscrizione e quella notte.

Incapacità di contenere gli attacchi di rabbia. Morte del partner Orihara Daisuke.

Disturbo del sonno. Sparizione del fratello Shinichi.

Disturbo da deficit di ansia. Morte del fratello Hiroshi. Uccisione di Osaki.

Disturbo della personalità Borderline.

Certificato di idoneità al progetto Quinx; test psicologico: non superato.

La cartella venne chiusa di botto, mentre uno strano senso di panico nasceva nel petto di Urie. Compose il numero a memoria, senza doverlo cercare il rubrica e attese, con una mano sulla bocca.

-Dica, capo.-

«Aiko, dove sei?»

Dall’altra parte della cornetta ci furono un paio di istanti di silenzio, perplesso.

-Sto andando al supermercato. Mi sono fermata a salutare un’amica, ma tra dieci minuti scendo, compro qualcosa per cena e prendo la metro. Tanto siamo solo noi due, no?-

«Vengo a prenderti. Dimmi solo dove.»

Una risatina che sembrò quasi nervosa gli arrivò alle orecchie, ma  Urie decise che era solo frutto della sua immaginazione. Stava perdendo il senso della realtà, non credeva di essere realmente così preoccupato.

-Allungheresti la via. Vai a casa e preparami un bagno, piuttosto.-

«Sarei più tranquillo se mi dicessi dove posso venire a prendere.»

-Perché, non sei tranquillo ora?- Non sentendo la risposta, Masa sospirò. –Cavolo stai prendendo proprio seriamente la nostra storia di recente, eh? Matsuri ti ha trattato male?-

Kuki strinse la mano sul bracciolo della sedia. «Aiko, per favore.»

-Va bene. Tra mezzora di fronte al centro commerciale, quello vicino alla sede, può andare?-

«Si, può andare», prendendo un lungo respiro, il ragazzo si decise a tranquillizzarsi. «Stai attenta, ok?»

-Prometto che quando passerò di fronte al banco della verdura, starò attenta che delle zucchine non mi attacchino. Tu piuttosto avrai delle spiegazioni da darmi.-

Oh no che non l’avrebbe fatto. Voleva solo vederla e realizzare che quella era sempre la stessa identica persona che lo faceva diventare matto. Ogni singolo giorno.

«A dopo.»

Lei aveva già riattaccato, in realtà. E lui non attese nemmeno un istante. Prese la cartella, deciso a restituirla subito a  Noriko.

Aveva anche un paio di domande da farle, in realtà.

E poi sarebbe andato al parcheggio. Subito.

 

 

«Piede a tavoletta! Piede a tavoletta!»

«…Oggi è il giorno in cui salterà la mia copertura, me lo sento.»

Tatara stava per ucciderle. Entrambe.

«Non capisco perché hai deciso di venire stasera se avevi il tuo capo col fiato sul collo», snocciolò l’albino con il tono leggermente incrinato dall’irritazione, seppure il suo viso si presentasse come di consueto in una granitica maschera di apatia. «Non capisco nemmeno perché Eto è venuta con noi.»

Dal sedile posteriore arrivò una lunghissima protesta. «Smettila di trattarmi come una bambina, signor Tatara. Sono venuta come supporto morale, ovviamente.»

Tatara aveva messo piede nell’appartamento di Eto da meno di un secondo e si era visto attaccato da entrambe, che avevano preteso un passaggio. Un’ora di macchina condensata in meno di venti minuti. Sarebbero arrivate al dottor Huang almeno una decina di multe, le quali sarebbero state pagate da quelle due stupide.

Aiko non parlava, bianca come un cencio e intenta a mordersi l’unghia del pollice, nervosa. Stava per esplodere. Tatara non capiva. «Se il tuo capo dovesse scoprire qualcosa, faremo come in ogni altro caso analogo: lo facciamo sparire»

«Sarebbe troppo strano se un altro mio collega morisse in circostanze strane. Dopo Osaki sono iniziate a girare voci sul mio conto. Quella stupida psicologa avrebbe un altro pretesto per diffondere calunnie sul mio conto»

Eto smise di controllarsi le doppie punte. «Allora a sparire deve essere lei, Ai-Ai

Un lieve sorrisetto increspò le labbra sottili di Masa. Il pensiero di far fuori Noriko era dannatamente allettante. Avevano però tempo per pensarci, magari poteva portare con sé Seidou e lasciarlo divertire un po’ con quell’arpia. Avvistò da lontano il centro commerciale, così si fece passare la spesa – aveva usato delle buste di tela neutre per non farsi beccare- e chiese a Tatara di accostarsi.

«Va bene qui, fammi scendere, Laoshi

« Irresponsabile. Spero che ti investano.»

Precisamente sull’isola spartitraffico, Aiko si sporse per prendere la mano di Eto, ignorando la crudele invocazione dell’albino. «Leggi i fogli che ti ho dato, voglio che tu mi dica cosa ne pensi.»

Il ghoul sventolò il rapporto sulle indagini sulla morte della famiglia di Mutsuki. «Oki doki Ai-Ai! A presto!»

«Laoshi», chiamò quindi in ultimo, che puntò gli occhi chiari coperti dalle lenti azzurre nei suoi. Poi prese un respiro e capì che non poteva ancora dirgli nulla su Mei. Sapeva che lei lo aveva amato molto in passato e che ancora lo amava, ma era totalmente all’oscuro dei sentimenti del maestro su di lei. Se avesse detto lui ciò che aveva trovato forse l’avrebbe fatto infuriare. Forse l’avrebbe ferito. Sicuramente non l’avrebbe lasciata andare via senza i dettagli che poteva fornirgli durante il viaggio. «Non importa. Te ne parlerò la prossima volta. Buona serata.»

Mai fuga fu più veloce. Per poco la investono davvero. Non poteva affrontare anche quello, anche se era andata a casa di Eto principalmente per dirlo a qualcuno. Sperava che la ragazza non l’avrebbe tradita, ma conoscendola non le importava poi un granché dell’intera faccenda. Era sempre Eto, dopotutto. Sembrava sempre al di sopra di tutto ciò che concerneva la sfera dei rapporti interpersonali, degli affetti.

Non era davvero giornata.

Ivak le aveva fatto esplicitamente intendere che sapeva che faceva parte di Aogiri, palesando il fatto che Mei l’aveva tradita rivelandoglielo. Noriko aveva quasi provato a scatenare una nuova rissa. Tatara le avrebbe strappato ogni singolo lembo di pelle per poi ricoprirla di sale marino se non si fosse fatta viva in fretta per dirgli il motivo per il quale l’aveva tenuto sulle spine. Ci mancava solo Matsuri e avrebbe coronato l’intera situazione con una cornice di sterco.

Girò attorno all’enorme stabile, entrando di lato per uscire sul davanti dove la macchina di Urie già la aspettava con il guidatore all’interno.  La giornata finì ufficialmente nel momento in cui appoggiò il culo sul sedile del passeggero. Potevano giusto fare un incidente stradale durante il ritorno. Era l’ultima spiaggia insieme all’eiaculazione precoce, anche se voleva solo mettersi a letto e dormire quindi avrebbe sventato l’eventualità infilandosi in un pigiama antistupro con sopra i Muppets.

«Eccomi!», canticchiò civettuola, appoggiando la borsa sui sedili posteriori e voltandosi a guardarlo. Il sorriso le si gelò sulla faccia quando i suoi occhi cercarono in vano quelli del collega. «Cosa è successo ancora?», guaì, disperata.

Lui non ricambiò lo sguardo. «Oggi è stata una giornata impossibile.»

«A me lo dici, eh?» Urie si mantenne apparentemente normale, ma Aiko capì  che qualcosa non andava. Stava sudando leggermente, aveva allentato il nodo della cravatta e continuava ad evitare con risoluzione il contatto visivo. La mora iniziò a farsi un’idea molto chiara di cosa poteva essere successo e per poco si mise a piangere. «Cosa ti ha detto Aizawa

«….No aspetta, cosa c’entra Aizawa

Il suo stupore fu un chiaro indizio del fatto che il dottore, grazie a Dio, non c’entrava niente. La ragazza riprese a respirare normalmente, sporgendosi a prendere una lattina di lemonsoda dalla borsa, bisognosa di reintegrare gli zuccheri appena persi. «No è solo che oggi è stato strano tutto il giorno e pensavo ti avesse fatto uno dei discorsi catastrofisti dei suoi.»

Lui scosse il capo. «Non mi ha detto niente nessuno. Sono solo molto nervoso per ciò che abbiamo scoperto su Mei

Lei lo guardò attentamente. «Quando menti guardi a sinistra», gli rivelò, prendendo un sorso della bibita leggermente amara che, in fin dei conti, aveva comprato per lui. «Senza contare che mi hai chiamato nel panico più totale. Quindi, quale è il problema?» Lui sembrò restio a dirlo, così lei sospirò rumorosamente, allungando una mano per scostargli i capelli dalla fronte. «Cosa devo fare con te?»

«Ho parlato con Noriko. Di te.»

A quel punto si voltò a guardarla, ma fu lei a scostare gli occhi verso l’esterno del finestrino, sul parcheggio frequentato. Rimase ferma, con la mano ancora alzata, prima di ritrarla in fretta, come se si fosse ustionata. Rimase ferma, a boccheggiare, ritirandosi su se stessa come se fosse stata lei ad esporsi troppo.

Valutò che l’omicidio di Noriko era un’ottima idea e che avrebbe portato avanti il progetto.

Valutò anche che non voleva sapere quanto l’altro avesse scoperto. Lui non sembrava intenzionato a dirglielo. Urie si appoggiò con il capo al sedile, sfinito. «Sto pensato che potremmo passare dall’ospedale prima di tornare a casa. Passiamo a trovare la sorella di Shirazu e poi torniamo, tanto siamo soli a cena.»

E Aiko capì. Si era sempre chiesta come Urie andasse avanti certe volte, come affrontasse determinate situazioni riuscendo a rimanere sempre freddo e razionale. Ora lo sapeva.

Non le affrontava.

Scansava gli ostacoli, li accantonava e fingeva che non esistessero. Se una cosa rischiava di scioccarlo, allora non la considerava più.

Le andava bene, c’erano cose che non avrebbe mai e poi mai potuto discutere né con lui né con nessun altro. Solo Eto poteva capirla davvero su quel fronte, perché erano simili. Urie non avrebbe mai capito e avrebbe iniziato a vederla come una vittima, facendone risentire tutta la loro relazione, sia personale che lavorativa.

Così gli sorrise, seppur pallidamente, appoggiando una mano sulla sua coscia. «Sì, va bene. Volevo comunque passare in settimana.»

Lui, senza esitare, le strinse la mano. «Allora andiamo», disse, chiudendo così definitivamente il discorso.

 

….Aiko contemplò il fatto che forse, se avesse scoperto di Aogiri, sarebbe stato meno umiliante per lei.

Lo rimangiò in fretta, perché se Urie in quel momento stava provando dispiacere, forse dolore o pena per lei, il sentimento che l’avrebbe smosso scoprendo del grande tradimento, sarebbe stato infinitamente peggiore.

L’avrebbe odiata.

E per lei sarebbe stato peggio sentirsi compatita, perché l’avrebbe perso.

 

Non poteva permetterselo.

 

Continua….

 

 

 

 

  
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