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Autore: Ghost Writer TNCS    17/06/2017    9 recensioni
Raémia è un mondo ricco di magia, dove i contadini vivono del lavoro nei campi, i soldati in armatura girano da un villaggio all’altro per garantire pace e sicurezza, e i saggi maghi offrono i propri servigi in cambio di cibo e rispetto.
I numerosi Reami, popolati da altrettante specie diverse, sono posti sotto il controllo di sei Re: persone illuminate che garantiscono pace e prosperità al mondo intero. O almeno così era un tempo. Oggigiorno i Re si preoccupano più che altro di godersi le proprie ricchezze, e i nobili cercano sempre nuovi espedienti per guadagnare maggiore potere.
In questa precaria situazione, Giako – un Gendarme solitario cresciuto da una strega – verrà a conoscenza di una grande macchinazione volta a ribaltare gli equilibri del mondo. Da solo non potrebbe fare nulla, ma questa volta non sarà solo: quante persone servono per salvare il mondo?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '2° arco narrativo'
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1. Il Gendarme e la fanciulla

Data:  3631 d.s., terza deca[4]

Luogo: pianeta Raémia, sistema Mytho

«Gian Romée?» ripeté Giako, diffidente. La sua pelle aveva una sfumatura grigio chiaro, indizio della sua natura di mezzelfo oscuro, e i suoi corti capelli corvini erano acconciati in una morbida cresta.

«È Jehanne» lo corresse la ragazza, un po’ seccata. Parlava con un leggero accento, l’uomo però non riuscì a identificarlo: quasi sicuramente non era originaria dei Reami Blu. L’aspetto era quello di un’umana – e gli umani vivevano nei Reami Gialli –, aveva due vivaci occhi azzurri e i ciuffi ai lati del capo sfumavano al rosa. Indossava un’armatura di metallo chiaro con una croce dorata sul cuore, e al fianco portava una spada dall’impugnatura dorata. Ma cosa ci faceva lì un’umana? E cosa poteva volere da lui?

Prima però di dare voce ai suoi dubbi, doveva riprendere la sua spada. Si trattava di un’arma a una mano e mezza con lama nera e dritta, adatta sia ai colpi di taglio che agli affondi. Il filo era finemente dentellato e la punta era abbastanza aguzza da perforare anche un rivestimento in cuoio o una maglia di ferro leggera.

Allungò cautamente la mano e la afferrò, traendola lentamente a sé. Il materiale dell’elsa offriva un’ottima presa con i suoi guanti e il pomo garantiva un bilanciamento eccellente.

«Perché mi cercavi?» le chiese. Ora che aveva di nuovo la sua spada, si sentiva molto più sicuro. Si chiamava Balmung e veniva tramandata nella sua famiglia da generazioni. «Se è per la mia assenza, ho ancora qualche giorno di licenza.»

La giovane per un attimo non capì, poi scosse il capo. «No, no, non lavoro per il Corpo di Gendarmeria. Ti stavo cercando perché mi serve il tuo aiuto.»

«Allora mi spiace, sono già occupato» tagliò corto Giako. Alisha gli aveva chiesto di uccidere il mostro, e anche se si trattava di una missione quasi impossibile, non si sarebbe tirato indietro. Piuttosto sarebbe morto provandoci.

Senza aggiungere altro si voltò e tornò dal suo ippolafo. La spessa pelliccia dell’animale, ideale per gli inverni rigidi di quella regione, aveva una colorazione insolitamente scura che si combinava alla perfezione con gli abiti neri del mezzelfo: stivali alti con la punta in metallo, robusti pantaloni di pelle rinforzata e una giacca in cuoio. Anche le piastre della sua leggera armatura erano molto scure e gli proteggevano il busto, le braccia, le mani e le cosce.

«No, aspetta, ti prego» provò a ribattere Jehanne raggiungendolo. «Io lavoro per gli Astrali, e loro sono venuti a sapere di un alchimista che sta facendo esperimenti sui demoni, forse per trasformarli in armi magiche. Sappiamo che si trova in questo Reame, probabilmente nella zona sud-est.»

Giako rimase in silenzio, troppo occupato a sistemarsi il suo caldo mantello di pelliccia intorno alle spalle. La sera prima l’aveva infilato sotto un’apposita fibbia della sella affinché non lo intralciasse durante lo scontro con il mostro, ma ora che l’inverno era alle porte era difficile farne a meno.

«Tu… sai chi sono gli Astrali?» fece Jehanne in tono leggermente preoccupato. «I tuoi genitori te l’hanno spiegato… vero…?»

«Mio padre è morto quando ero molto piccolo, e anche mia madre è stata uccisa alcuni anni dopo» ribatté il mezzelfo, lapidario. «Se anche me l’avessero detto, non me lo potrei ricordare.»

«Oh… mi spiace.» La giovane si portò le mani ai fianchi, lo sguardo mesto. «Beh, è un po’ complicato…» Un sorriso tirato apparve sul suo volto. «Se devo essere sincera, quando me l’hanno spiegato, non c’ho creduto nemmeno io. Il fatto è che…» Lo guardò dritto negli occhi, di nuovo seria, e Giako si sentì pervaso da quello sguardo: era come se un fuoco perpetuo ardesse nelle pupille della giovane. «Ascoltami: io vengo…»

Un rumore di zoccoli al galoppo interruppe il discorso della ragazza. Lei e Giako si voltarono in direzione del rumore e ben presto individuarono sei uomini diretti verso di loro a dorso di altrettanti ippolafi.

I due continuarono a osservarli, cercando di capire se fossero lì per loro o se erano semplicemente di passaggio. Il dubbio venne presto sciolto: i sei cavalieri – due elfi e quattro myketis[5] – si fermarono intorno a loro, circondandoli. Indossavano tutti delle protezioni di cuoio o metallo, ma nessuno poteva vantare una vera armatura. Molto probabilmente si trattava di fuorilegge.

«Ohì, ma non dovevà essèr solò?!» esclamò uno dei myketis.

In quel momento si trovavano a Grandeforêt[6], e lì la quasi totalità della popolazione era costituita proprio da myketis. Tale specie era imparentata più con i funghi che con i mammiferi, ed era facile riconoscerli perché i loro occhi erano completamente colorati, dunque senza distinzione fra sclera, iride e pupilla.

«È solo una donna, prèndetèla come òmajjio» ribatté uno dei due elfi. Parlava anche lui la lingua dei myketis, ma con un marcato accento straniero.

Jehanne si voltò verso Giako e il mezzelfo riconobbe subito la malcelata irritazione sul viso dell’umana. «Sono amici tuoi?»

«Direi proprio di no.»

La risposta sembrò soddisfare la ragazza. «Bene. Signore, perdonami; prometto che cercherò di non fargli troppo male.»

Il mezzelfo, che invece era tutto fuorché soddisfatto dei nuovi arrivi, valutò rapidamente la situazione. Era evidente che quelli non erano semplici banditi, bensì ribelli: dei comuni fuorilegge non avrebbero attaccato una coppia di persone armate, e a maggior ragione non avrebbero preso di mira un Gendarme come lui. Altrettanto evidente era che sarebbe stato quasi impossibile fuggire via indenni, così sguainò Balmung e diede una pacca sulla coscia del suo ippolafo per farlo allontanare. L’animale non se lo fece ripetere e si affrettò a cercare riparo nei pressi di un grosso albero. Anche un altro destriero sellato fece lo stesso pochi metri più in là: aveva il manto di un marrone assolutamente anonimo e probabilmente si trattava della cavalcatura di Jehanne.

Come Giako, anche la ragazza aveva impugnato la sua spada, tuttavia nel suo caso la lama era ancora coperta dal fodero. Quest’ultimo era addirittura assicurato all’arma da un paio di fibbie che avvolgevano la guardia, come per impedire all’utilizzatore di rimuoverlo.

Il mezzelfo non ebbe modo di chiedere spiegazioni in proposito perché anche i due elfi e i quattro myketis scesero dai rispettivi ippolafi e sollevarono le armi. Uno dei funghi umanoidi brandiva una mazza ferrata, tutti gli altri invece disponevano di classiche spade. O meglio, quattro di queste erano spade normali, al contrario quella nelle mani di uno degli elfi era alquanto insolita: il filo era minacciosamente frastagliato, la guardia era lavorata con sorprendente precisione per imitare la forma di due coppie di dita artigliate, e sul piatto della lama si potevano intravedere delle rune.

«Ohì, bambolinà, la spadà la devi estràrr» ironizzò uno dei myketis, e i suoi compagni non poterono esimersi dallo sghignazzare malignamente. Anche Giako dovette sforzarsi per celare la propria ilarità.

Jehanne sorrise – un sorriso tirato tutt’altro che amichevole – e come un lampo scattò in avanti. Con un poderoso affondo colpì la pancia del giovane che l’aveva derisa, strappandogli un rantolo d’agonia e facendolo cadere in ginocchio. Se non fosse stato per il fodero ancora al suo posto, di sicuro il bandito se la sarebbe vista brutta.

I compagni del myketis sembravano pietrificati, al punto che l’elfo con la spada frastagliata dovette intervenire esclamando qualcosa nella sua lingua madre. Era il più vecchio dei sei e il suo viso era una maschera dura e inflessibile, da condottiero; perfino la sua arma parve riconoscere la sua veemenza, infatti le rune sulla lama ebbero un tenue bagliore arancione.

Ritrovata la fiducia – questa volta priva di sfacciataggine – i tre myketis rimasti in piedi e l’altro elfo si misero in posizione di guardia per affrontare i nemici.

Giako, che stava studiando la situazione per elaborare una strategia, capì subito che i suoi avversari sarebbero stati un myketis e l’elfo con la spada strana. Quest’ultimo era molto probabilmente il capo della banda e il più forte dei sei, il che avrebbe spiegato come mai gli altri tre si erano concentrati su Jehanne.

Doveva fare attenzione, ma non si considerava affatto sconfitto: lui era un Gendarme solitario e non era la prima volta che affrontava una banda di fuorilegge. Senza contare che non aveva alcuna intenzione di morire proprio adesso che Alisha contava su di lui.

Si mise in posizione di guardia, studiando i suoi avversari per capire quale fosse il momento giusto per attaccare. Ma l’elfo lo anticipò: ignorando la distanza proibitiva che li separava, sollevò la sua spada. Il Gendarme pensò a un trucco per permettere al myketis di attaccare, tuttavia le rune sull’arma si accesero di luce arancione: un bagliore che ben presto avvolse tutta la lama. Fu in quel momento che capì che tale magia non era solo un trucco per intimorire gli avversari.

Il colpo arrivò rapidissimo. All’elfo bastò eseguire il fendente e l’onda di energia partì in direzione del suo avversario. Il mezzelfo si riparò d’istinto dietro Balmung, ma non riuscì a bloccare completamente l’attacco. Il flusso arancione raggiunse la sua armatura, scalfendo lo spallaccio destro e aprendo uno squarcio sul fianco sinistro.

In un attimo la mente di Giako corse a un paio di giorni prima, quando ancora stava inseguendo il mostro: sulla strada aveva trovato i cadaveri di una decina di Gendarmi, tutti avevano due linee verticali tracciate col sangue dalla tempia alla mandibola, ma soprattutto le loro armature erano state letteralmente squarciate da quelli che sembravano colpi di spada. Si era chiesto quale arma potesse causare simili danni, e ora aveva trovato la risposta.

Non riuscì a trattenere un’imprecazione.

Con una rapida occhiata valutò che Balmung non aveva subito danni, tuttavia avvertiva una sgradevole sensazione al fianco colpito: probabilmente l’onda di energia, oltre ad aver danneggiato l’armatura, aveva anche raggiunto la pelle.

Doveva sbrigarsi a chiudere la faccenda.

Con uno scatto deciso si lanciò contro l’elfo, costringendolo sulla difensiva. Il suo avversario era piuttosto abile, nemmeno il fatto di affrontare un mancino sembrava impensierirlo.

Ben presto intervenne anche il myketis, costringendo Giako a creare uno scudo di energia verde. Al contrario della maggior parte degli elfi, lui non aveva mai avuto abilità magiche, ma come tutti i Gendarmi aveva un pendente che, oltre a fungere da distintivo, gli permetteva di sfruttare la Magia dei Re per eseguire semplici incantesimi.

Il mezzelfo, bloccato sulla difensiva, continuò a parare i colpi nemici, in attesa del momento giusto per contrattaccare. Il fungo umanoide non aveva la tecnica, la forza o la rapidità del suo compagno, però dimostrava anche lui una certa destrezza.

La buona notizia era che la spada dell’elfo non si era più illuminata. Forse aveva bisogno di tempo per ricaricarsi, ma non aveva idea di quanto tempo gli restava: doveva sbrigarsi a eliminare almeno un avversario.

Con uno scudo d’energia bloccò un attacco del myketis, deviò un affondo dell’elfo e gli tirò un pugno in faccia, facendolo indietreggiare. Era il suo momento: con uno scatto improvviso si avventò sul fungo umanoide, lo sbilanciò con una finta e menò il tondo decisivo. La testa del giovane cadde a terra, imbrattata da uno spruzzo di sangue arancione.

Meno uno.

Senza perdere tempo si rimise in posizione di guardia, pronto a fronteggiare l’elfo. La rabbia negli occhi di quest’ultimo era tangibile e le rune sulla sua spada brillavano con preoccupante intensità. Degli strani simboli neri erano anche apparsi sulla pelle dell’uomo, simili a tatuaggi tribali, e si stavano lentamente espandendo a partire dalla mano dove teneva l’arma.

Giako non si fece impressionare e mantenne la calma. Lanciò una rapida occhiata a Jehanne e valutò che se la stava cavando piuttosto bene con i suoi tre avversari: poteva concentrarsi sul suo nemico.

“Alisha, aspettami. Ti prometto che ti porterò il cadavere del mostro, costi quel che costi.”



Note dell’autore

Rieccoci XD

Ovviamente dopo un prologo e un capitolo non si possono dare giudizi, ma spero di avervi incuriositi a continuare la lettura.


Per quelli che hanno già letto la vecchia versione della storia (quando ancora si chiamava La strega e la bestia), posso dire che questa versione si diversificherà sempre di più andando avanti coi capitoli, che in totale saranno una ventina (quindi più del triplo di quelli che c’erano prima).


Ringrazio le beta che mi hanno dato una mano a sistemare la prima metà della storia: Hesper M., Stainless_ e TortaMillefoglie.


Per mantenere la “tradizione” iniziata con L’ascesa delle bestie, vi propongo un disegno (chibi) fatto da me di Giako:

Giako Duivelzoon (AoD-1)

Nei prossimi capitoli ne aggiungerò altri per i personaggi principali ;)


Per il momento è tutto, vi do appuntamento tra un paio di settimane per il secondo capitolo (lo pubblicherò il primo weekend di luglio).

Per essere sicuri di non perdere nemmeno un aggiornamento, vi consiglio di dare un’occhiata ai vari canali offerti da Segui TNCS.

A presto! ^.^


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[4] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Nota bene: questa storia è ambientata su un pianeta tipicamente fantasy, quindi privo di tecnologie avanzate e tantomeno di tecniche per raggiungere altri pianeti, ciononostante utilizzo la datazione spaziale per uniformità rispetto alle altre mie saghe.

[5] Specie originale di TNCS. Il termine deriva dal greco mykes, che significa fungo.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[6] “Grande foresta” in francese.

   
 
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