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Autore: queenjane    17/06/2017    4 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Nel 1904, la notizia dell’attacco giapponese giunse per telegramma, senza dichiarazioni di guerra o altro.
Pleve, ministro degli esteri russo, ne fu lieto. Infatti, riteneva che una "piccola guerra vittoriosa" fosse l’ideale per distogliere l’attenzione dai problemi interni, stimolando i patrioti e stroncando gli oppositori.
Santa Madre Russia aveva interesse a espandersi in Asia e il barbaro, pagano Giappone sarebbe stato stritolato dal gigantesco impero russo.
Mio zio Sasha Rostov-Raulov, era perplesso. Cresciuto insieme allo zar Nicola II e a mio padre Petr, era parte dell’esercito ed era molto attivo. Aveva le mani in pasta in ogni dove. E conosceva segreti rapporti che parlavano di deficienze e falle,avendoli stilati lui stesso, in ricognizione, oltre che da persone di sua fiducia.
Era cosciente che Port Arthur, avamposto russo nelle terre d’Asia, aveva una scarna guarnigione, poche le scorte e deficitari i collegamenti.
Con lo zar erano amici fin dall’infanzia e io avevo perpetuato la tradizione. Ero nata nel gennaio 1895, mi dividevano dieci scarsi mesi da Olga Nicolaevna, primogenita della coppia imperiale. Eravamo cresciute insieme, amiche e sorelle, come Nicola II e Sasha, che rimanevano sempre legatissimi, pure se ben di rado uno seguiva i consigli dell’altro, come per me e Olga.
Aspettate, Maestà, non siamo pronti, fu il consiglio di mio zio, e fu inutile..



Fu guerra, comunque, devastante, sanguinaria e rovinosa, un conflitto che acuì i problemi interni, portando scioperi e rivolte e sedizione. Infatti, i giapponesi sconfiggevano i russi senza rimedio.


Era il 12 agosto 1904, la zarina sedeva sul suo divano, ingrossata e oppressa da emicrania e cattivi presagi. Pochi giorni avanti si era rotto uno specchio in mille frammenti senza che nessuno lo avesse sfiorato, si era staccato mentre lei vi passava davanti, toccandosi protettiva il ventre ormai enorme.

Cose che capitano, peccato che i russi fossero molto superstiziosi, era certo un cattivo segno, per il bimbo che doveva nascere. Era mal fissato, osservai io, figurati se deve succedere qualcosa.

Si sperava in un maschio, dopo Olga erano giunte Tatiana, Marie e Anastasia, le mie sorelline putative. Peccato che fossero dinasticamente inutili, come osservava la loro nonna paterna, che, per la legge salica, solo un principe poteva ereditare il trono. Come se una donna non potesse regnare, la mia replica, io che mi chiamavo Catherine, come la grande Caterina II. Ovvero, il mio nome era Ekaterina Petrovna Raulov, principessa, tranne che io e Olga adoravamo il francese, come la zarina di cui sopra, così che lei (Olga) mi appellava sempre Catherine.
O Cat, quando imparava a parlare, per economia, che nome e patronimico erano troppo lunghi per quella solenne e paffuta bambina, che adorava i gatti e alle volte mi diceva addirittura Kitty Kat, gattina, e guai a me se non facevo le fusa.
Comunque, fusa o meno, verso le 12 mattutine la zarina percepì i noti dolori del parto, il quinto, dopo un'oretta giunse il tanto atteso bambino, un maschio, desiderato e cercato.
Alle una lo Zar si inchinò dinanzi a lei, che ancora non sapeva l’esito, appariva così debilitata che nessuno aveva osato darle la bella notizia, tuttavia, la lesse sul viso del marito.
“Non può essere, è davvero un maschio?”
“Sì..” Parole frantumate “ Sarà Aleksej..” come il padre di Pietro il Grande, il sovrano preferito dello Zar, fin qui nulla di male. Tuttavia quello era stato anche tranne il nome del figlio di Pietro il grande, che aveva complottato contro il suo stesso padre, morendo poi per suo ordine.


Aleksej Nicolaevic Romanov, lo Zarevic, atamano di tutti i cosacchi e.. una infinita lista di appellativi, considerai vedendolo nella grande culla dorata. Mi pareva troppo piccolo per quelle responsabilità, ed era splendido, pesava cinque chili e aveva un buffo nasino e le sopracciglia chiare, la bocca pareva un bocciolo di rosa, mentre orecchie erano buffe e tenere, come una conchiglia. Cacciò uno sbadiglio e mosse le mani
“ Lo puoi toccare, Cat, se vuoi, non si rompe” mi disse Olga, esperta, io ero figlia unica e di bimbi piccoli ne sapevo il giusto.
“Non me la sento”
“E dai..Non ti morde o manco si rompe..hai paura, allora”
“NO”
“E allora toccalo”mi sfidò, inchiodandomi.
Sporsi una mano vicina alle sue, osservando incantata le minuscole dita, fornite addirittura di unghiette, sfiorai un pugnetto con il pollice e mi ritrassi subito dopo.

Telegrammi di congratulazioni piovevano a ritmo serrato, padrino onorario era ogni soldato e ufficiale dell’esercito, oltre all'imperatore tedesco e al principe di Galles. Tra l'altro, lo zarevic ebbe il titolo onorario di colonnello di molti reggimenti, nastri e decorazioni. Tra i doni e i regali ve ne era per tutti i gusti, ebbe addirittura un elefante.
Il battesimo venne celebrato il 3 settembre. Era un piovoso martedì a Peter Hof, io fremevo di eccitazione, che, indossavo una versione in piccolo formato del gran vestito di corte, di seta chiara con inserti e ricami meravigliosi, che vibravamo a ogni respiro, con annesso, prezioso copricapo di corte, posato sui capelli sciolti. A ciò andava aggiunta la fascia rossa di traverso sul petto,propria dell' ordine di S. Caterina (!!), come le granduchesse. Insomma, brillavamo, radiose. Facevamo un figurone, i ragazzi avevano una uniforme militare in miniatura. Eravamo adulti, solenni, buffissimi, investiti da una grande responsabilità, pomposi come pochi. Allora, per la snellezza e la statura superiore alla media, parevo un giovane salice, regale quando volevo al pari di un giovane sultano, ossequiosa e solenne. E aspettavamo, come tutti, la carrozza dorata che, scortata da un drappello di soldati di cavalleria lo avrebbe condotto al fonte battesimale.
Lo portava tra le braccia la principessa G., guardarobiera imperiale, su un cuscino d’oro, assicurato alle spalle della madrina da una fascia dorata, per precauzione aveva delle suole antiscivolo. Era avvolto in un mantello d’oro, ricamato di ermellino, come era uso, per l’erede al trono, pareva un essere fatato. Stranamente, pianse forte, come un bambino comune, quando venne immerso nell’acqua battesimale.
Lo mangiammo con gli occhi, dopo esserci coperte la bocca, con una mano, per discrezione, onde evitare che le nostre risatine si propagassero troppo, mentre Alessio scalciava sul cuscino con vigore, strillando come un'aquila, sdegnato per l'incontro con il sacro liquido, che era freddo.

Per tradizione russa, i genitori erano assenti al battesimo, tuttavia, finita la cerimonia, l’imperatore giunse in chiesa di gran carriera. Sia lui che l’imperatrice erano nervosi, che temevano che la principessa G. potesse far cadere l’infante o che l’anziano sacerdote affogasse il bimbo nel fonte battesimale.

“Pare una bambola” annotai dopo, mentre Olga lo cullava, era una delle madrine, come la sottoscritta, compito che la riempiva di gioia e orgoglio.
“Siediti, ora lo prendi in braccio..Muori dalla voglia Catherine, ci scommetto, e fidati, se la guardarobiera non l’ha buttato per terra, tu non potrai fare peggio”
“Sempre gentile, eh”
Me lo passò, delicata, spiegando che era bene che gli tenessi la testolina con il gomito, poi eccolo tra le mie braccia, un gesto che avrei ripetuto in un numero infinito di volte, sempre con amore.
“Ciao Aleksej” Lo confrontai con le bambole meccaniche con cui giocavamo, lui non aveva bulloni, solo era tenero e magico, e odorava di pipì e borotalco, latte e acqua di rose, avvolto nelle fasce e nei pannolini. Era luce e innocenza, anche quando non sapeva parlare comunicava con gli occhi, dentro vi è sempre stato un mondo intero.

Mi rispose con uno sbadiglio, io con un bacio. “Ciao tesoro.. Piacere mio” In inglese, francese e russo, affettuosa e poliglotta, sempre. Il giovane sultano si sciolse, adorante, con una manina sfiorò una ciocca dei miei capelli castani, nel sole erano lucidi come rame. Ero sempre a svolazzare nella nursery, un farfalla impazzita verso una lanterna. Il mio Aleksey. Il mio piccolo principe. Ricordo che in principio gli zar, orgogliosi, non trascuravano occasione per mostrarlo. Quando Nicola incontrò Aleksander Mosolov, capo della cancelleria di corte, gli disse “Non credo che abbiate visto ancora il mio caro piccolo zarevic, ora ve lo mostro” Entrarono, raccontò poi Mosolov, stavano facendo il solito bagno quotidiano al bimbo, che tirava calci nell’acqua. Lo zar prese il piccolino dall'accappatoio, i piedini nel cavo di una mano, reggendolo con l’altro braccio. Era nudo, colorito, paffutello, uno splendore, una bellezza, dopo lo zar informò sua moglie che aveva fatto sfilare lo zarevic. “Principessa Raulov” “Sì Maestà” “Qualcuno vuole stare con te” Mi ero tesa, prendendolo. “Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro. “Aleksej..sei bellissimo” lui gorgogliò, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto. Adesso, appena capitava l'occasione, lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero. E lo adoravo, ero rapita e estasiata dai movimenti delle mani e dei piedi, i mormorii, non vedevo l’ora che cominciasse a sorridere. Tutto il pacchetto, insomma. Piccoli miracoli, così scontati da non parere possibili e tanto era, stemperava la mia malinconia, anche quando sorridevo avevo sempre lo sguardo triste. Aleksey. Amore.

 
A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.
   
 
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