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Autore: Alvin Miller    17/06/2017    0 recensioni
Questa storia parla di una terra lontana e perduta nel tempo, Uruma, patria di una piccola comunità di pony, ma anche habitat di feroci creature carnivore.
Ed era anche la sede della Congrega dei Cacciatori di Mostri, pony coraggiosi e dal cuore impavido, che mettevano in gioco la loro vita per la sicurezza della popolazione.
Ma da qualche anno le cose sono diverse: la Congrega è sfaldata, le condizioni di vita sempre più difficili, ed ora solo due Cacciatori sono rimasti a difendere la cittadina costiera di Capo Unicorn.
Quella che vi sto per raccontare è la loro storia. Io sono Liberty Spirit, sono un Cacciatore, e questa è la mia storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4: Un nuovo Cacciatore

Dunque, se siete d’accordo vi racconterò questa parte in maniera più sbrigativa.

Successero diverse cose in un arco di tempo molto più ampio, e nemmeno io so esattamente da quale punto sia più giusto iniziare. Spero solo di non tralasciare niente di importante.

L’altra volta ci siamo interrotti alla mia vittoria parziale sui Bubbleloc. Da quel giorno era arrivato per me il momento di cominciare ad allenarsi sul serio. Sapevo benissimo che combattere le granchio-scimmie era stato molto più simile a un gioco di quanto io stesso fossi disposto ad ammettere.

La penuria d’incarichi spinse mio Zio a trascorrere molto più tempo con me, in un periodo che spendemmo per piantare le basi di quello che sarebbe poi diventato il mio programma d’addestramento.

Mi svegliava all’alba tutte le mattine, e mi costringeva a galoppare con lui ad ampie falcate nella prateria, per poi sottopormi ad estenuanti esercizi di rinforzo muscolare che misero a dura prova la mia resistenza.

In quel periodo, di animali ne vidi ben pochi, ma in compenso fui costretto a dire addio alle comodità dell’infanzia e a svezzarmi al difficile mondo degli adulti. E guai a lamentarmi, altrimenti mio Zio arrivava con delle ramanzine che impiegavo giorni per farmi passare.

Brave era severo e non transigeva su niente, e avevo scoperto che la gentilezza che aveva avuto i primi giorni era solo un’apparenza, ed è svanita nel momento in cui entrambi abbiamo cominciato a fare le cose sul serio.

Poi, un giorno, arrivò il suo primo incarico dopo settimane di nulla assoluto, ed io tornai a stare da solo, con in zoccolo solo uno straccio delle indicazioni su come proseguire i miei allenamenti.

Ricordo che la pigrizia si era impadronita di me, e trascorsi quel pomeriggio a lavorare nell’orticello vicino alla baracca. Non mi andava di allenarmi, detto sinceramente.

Curai le piantine con poco interesse, perché tutto il mio pensiero era indirizzato a come la mia vita stava cambiando dall’oggi al domani, senza che io potessi in alcun modo dire la mia.

Poi mi fermai, e mi accorsi di non essere in alcun modo stanco, non com’era solito succedermi prima che cominciasse l’addestramento. Ero diventato più forte. Sentivo che il mio corpo non si affaticava più come un tempo, anche se sapevo di non avere speranza di rivaleggiare con mio Zio.

Per la prima volta in vita mia stavo vedendo i risultati di qualcosa che avevo iniziato, e che adesso dovevo solo scegliere se proseguire.

Improvvisamente fui colto dalla smania di andare a galoppare, così come Brave mi aveva ordinato di fare, osservando tutto il suo programma con fedeltà assoluta. Feci anche di più: quando tornai, decisi di provare ad arrampicarmi sulla parete rocciosa dietro casa. Guardai un punto sopra di me, che sarà stato sì e no a dieci zoccoli da terra, e cercai di salirci servendomi di tutta la mia nuova energia.

Ci riuscii con grande sforzo di volontà, e probabilmente lo annunciai a tutta Uruma, gridandolo a squarciagola.

L’unico problema fu che nella foga dell’istante, non pensai affatto a come avrei fatto a scendere. Ero più sicuro di me di quanto non lo fossi in passato, ma ciò non tolse che quell’altezza continuava a incutermi una paura dannata.

Decisi di mettere alla prova le mie ali. Da piccolo e ingenuo ipotizzai che, se tutto il mio corpo si era irrobustito, anche le mie ali sarebbero dovute esserlo altrettanto.

Quindi osai buttarmi dal costone… e finii per schiantarmi a terra.

Il dolore fu accecante, la Dea mi è testimone, e parlando con schiettezza, non so come feci a uscirne tutto intero. Mettendomi il cuore in pace, capii che per le mie ali non avrei potuto fare niente, qualsiasi allenamento le avessi sottoposte per rinforzarle. Erano troppo piccole per il mio peso, e come tali, avrei dovuto imparare a convivere con questa deformità. Ma per quanto riguarda il resto, sapevo di dovermi impegnare per superare i miei limiti, e diventare così il Cacciatore che mio Zio desiderava.

Una mattina di primavera era il mio nono compleanno e Brave, quel giorno, mi fece trovare pronte due sorprese. La prima fu una vecchia camicia ingiallita, della stessa tonalità della mia criniera, con almeno una taglia superiore, ma che accolsi con gioia, dato che finalmente avevo qualcosa con cui coprirmi le cicatrici sul petto. La seconda, invece (dovetti tenermi forte quando la vidi) fu la mia prima bardatura da combattimento!

Nella sua versione iniziale era formata da due protesi compatte in legno che si legavano alle mie zampe anteriori tramite dei cinturini. Avevo anche la possibilità d’innestare dei bastoni intagliati a forma di spade per servirmene in allenamento (o per una battaglia di basso livello, se mai ne avessi avuto bisogno).

«Provale.» M’invitò, ed io mi trovai subito in una situazione di disagio: i bastoni s’innestavano lungo le protesi e, quando retratti, si estendevano di almeno due zoccoli sopra le mie spalle. Per sguainarli avrei dovuto per prima cosa mettermi in posizione bipede, e quindi farli scorrere, manualmente, attraverso di esse.

Quando lo feci notare a mio Zio, lui sorrise, asserendo che era proprio quello che si aspettava che facessi.

Insomma, voleva che mi muovessi in posizione bipede, e questo fu ufficialmente l’inizio.

Capii presto da che cosa erano derivate le preoccupazioni del fabbro: i pony di terra, che saranno anche inadatti per la maggior parte delle mansioni più semplici delle altre razze, hanno però una costituzione fisica più robusta rispetto a pegasi e unicorni, quindi l’idea che uno di loro si cimentasse in uno stile di combattimento così “innaturale” non era poi difficile da concepire. Il pony sfregiato, dopotutto, ne aveva data una chiara dimostrazione.

Ben diverso fu quando toccò a me, che oltre ad essere un “pegaso terrestre”, ero ancora troppo inesperto per sapere come muovermi bene in quel modo.

Ogni mio tentativo si concludeva con una caduta umiliante, cui seguiva l’insistenza di mio Zio di riprovarci di nuovo. Ancora, ancora e ancora.

Imparare a volare rimaneva ancora il mio traguardo più inarrivabile, ma usare la bardatura si poneva proprio sotto di esso in termini di difficoltà.

Più mi sforzavo di abituarmi e più avevo la sensazione che qualcosa in essa non andasse bene. Le cinture, per esempio, mi stringevano troppo sugli stinchi, e quando le allentavo, le protesi dondolavano senza controllo lungo le zampe. Per di più, non potete immaginare quante volte mi sia accidentalmente colpito in testa con i due bastoni.

Realizzai che dovevo apportare delle modifiche, ma per farlo avevo bisogno di Argenti. Molti Argenti.

Mio Zio era via per altre missioni. Trovatosi come unico Cacciatore di Capo Unicorn, aveva cominciato ad assentarsi sempre più spesso per portare a compimento gli incarichi che gli venivano assegnati.

Io potevo scegliere se chiedere a lui i contanti per rifinire la bardatura, o fare da me per avere un assaggio della vita da Cacciatore adulto, ma sapevo che se avessi scelto la prima, lui non l’avrebbe presa bene. Così decisi di fare da solo.

I vincoli della mia licenza m’impedivano di accettare incarichi da Colton Nyx, perciò cominciai a rivolgermi ai privati cittadini: aiutare qualche contadino con i raccolti, o dare uno zoccolo agli scaricatori del porto, per esempio. Il fatto che fossi il nipote del famoso Brave Lion mi aiutò a fare presa sui pony, e anche se maldestro e probabilmente una palla al zoccolo per molti, raramente mi sbattevano la porta in faccia.

Erano tempi diversi quelli, dove anche se il decadimento era già captabile nell’aria, la città godeva ancora dell’influenza positiva del passato.

Andai avanti così per giorni, fino a quando non raccolsi abbastanza denaro da permettermi di migliorare la bardatura.

Una settimana di attesa e Cuttersmith mi sostituì i vecchi cinturini con delle nuove stringhe di cuoio. Notai subito che la stretta era molto più salda e allo stesso tempo confortevole. Finalmente non dovevo più temere le piaghe da costrizione che mi si formavano sotto gli strati del manto.

Ricominciai ad allenarmi, e malgrado la postura eretta restasse un’utopia per me, ero già diventato più preciso nei movimenti e nelle reazioni.

I mesi trascorrevano.

La carriera di Brave era piombata in una nuova fase di magra.

Da un lato era confortante sapere che Capo Unicorn e i suoi abitanti potevano godere di una stagione di tregua, ma d’altra parte stavano succedendo delle cose molto strane: gli Skinflai erano diventati rari, e portavano con loro solo poche gocce di pioggia alla volta, troppo poche per idratare i terreni e sostenere l’ecosistema, che era diventato sempre più debole e incapace di sostenere la vita, per non parlare delle specie apparentemente più popolose che via via svanivano senza lasciare alcuna traccia. Se ci si fermava a riflettere, era chiaro che a Uruma stava succedendo qualcosa, anche se nessuno era in grado di spiegarsi che cosa.

Per lo meno, ciò permise a Brave di supervisionare alcuni miei Contratti.

Nel tempo che trascorse, posso dire che feci veramente di tutto.

Alcune cose non si discostavano più di tanto da ciò facevo nel tempo libero, quando andavo a bussare porta a porta per offrire i miei servigi agli abitanti. In altri casi, invece, mi occupavo della cattura di piccoli animali invasivi come i Bubbleloc e altre creature che più che una minaccia erano un fastidio per la popolazione.

Un giorno, però, mi proposero d’imbarcarmi su una goletta che doveva far approdo su una baia a Nord; c’era un’intera stiva che non aspettava altro che di essere riempita di alghe da olio.

Cazzo, sarei bugiardo se vi dicessi che l’opportunità non mi aveva gasato non poco!

Ero così entusiasta di salpare per la prima volta per mare, che dimenticai completamente la ragione del mio ingaggio: proteggere il veliero dall’assalto di un banco di pesci volanti carnivori.

Anche quel giorno, la presenza di Brave si rivelò vitale. Fu grazie alla sua competenza se riuscimmo a terminare il nostro viaggio sani e salvi.

Quella era stata, a dirla chiaro e tondo, la mia ennesima figura di merda.

Ad un certo punto mio Zio pretese di cominciare ad addestrarmi nel combattimento. Per farlo, voleva che imparassi una volta per tutte a padroneggiare la bardatura.

Avevo compiuto dieci anni, e avevo già sostituito parte del telaio con una più pesante ma resistente scocca in lega di ferro, tuttavia, l’uso sul campo si era limitato a ben poche missioni, che di sicuro non mi avevano aiutato a fare pratica con l’attrezzatura.

Così, iniziò il periodo in cui, oltre agli allenamenti quotidiani che già ero tenuto a rispettare, dovevo anche regolarmente battermi con Brave in un duello di lame.

La postura eretta era già diventata più accessibile rispetto agli esordi, ma considerato chi avevo come Maestro, non avevo molte possibilità di cavarmela, ma piuttosto, di beccarmi un sacco di mazzate in testa.

Dal canto suo, mio Zio cercava di venirmi incontro bandendo l’utilizzo della propria magia, ma anche così, era una battaglia che perdevo sempre in partenza; si serviva di un bastone, che faceva danzare tra gli zoccoli dando esibizione di una padronanza dei gesti e dell’equilibrio che io potevo solo sognarmi. Più mi rovesciava a terra, facendomi lo sgambetto o semplicemente affondando contro di me l’asta, e più mi risultava difficile sperare che un giorno sarei riuscito ad eguagliare il suo livello.

Considerata la crudeltà che sapeva mettere in combattimento, dovevo sentirmi fortunato se non aveva mai deciso di utilizzare contro di me la Green Blade (non durante quei combattimenti, almeno).

Ciononostante, continuavo ad allenarmi. E mentre le mie abilità crescevano un po’ alla volta, così anche il mio rango da Cacciatore aumentava.

Avevo raggiunto gli undici anni, e per tre anni non avevo svolto altro che missioni di poco conto.

Non avevo mai preso parte a una delle epiche battaglie che descriveva mio Zio nel suo diario, le stesse che avevano reso famosa l’intera congrega dei Cacciatori di Mostri, e anche se in principio questa cosa era per me un inconveniente decisamente gradito, presto avvertii che qualcosa interiormente stava cominciando ad andarmi stretto. E non era la mia bardatura, o il fatto che il mio corpo stesse cominciando a plasmarsi in quello che poi sarei diventato da adulto.

No. Il punto era che volevo mettermi in gioco.

Avevo faticato tanto nel corso degli anni, e poco o nulla di quello che avevo svolto mi aveva regalato emozioni come la prima volta che spesi i miei Argenti per sostituirmi le cinture.

Non potevo fare nulla con quella licenza, e le uniche occasioni che avevo per salire di grado erano quando Brave aveva del tempo libero da investire su di me.

Quando poi cominciai a diventare insofferente verso quello che svolgevo, al punto di rifiutarmi perfino di svolgere certi incarichi, venni a sapere che d’improvviso ero stato elevato al rango successivo. Quello che avevo bramato da ormai diverso tempo.

Se ciò fu possibile, non lo devo ai miei sforzi, ma a una circostanza che cadde dal cielo come un dono della Dea. Una missione di vitale importanza che richiedeva l’intervento forzato di due Cacciatori, e dato che non c’erano altri Cacciatori sotto la graduatoria, Colton Nyx si convinse, in via straordinaria del tutto straordinaria, di farmi bruciare le tappe.

Ora potevo dare la caccia ai mostri di rango maggiore.

La notizia me la diede Brave, il giorno in cui mi fece il terzo più importante dono che mai mi ha fatto.

Non era una ricorrenza particolare, non dovevo compiere di nuovo gli anni.

Se mi fece quel regalo era solo perché sapeva che mi sarebbe tornato utile nella missione che stavamo per compiere.

Me lo consegnò con un’espressione che era grave; forse riteneva che non ero ancora pronto per un passo del genere. In effetti, le mie precedenti esperienze non avevano votato a mio favore, ma la via dei Cacciatori spesso t’impone dei vincoli che tu puoi solo scegliere di accettare, o morire rifiutandoti.

La mia vita stava per cambiare una seconda volta, e il fallimento, stavolta, non era contemplato.

La siccità era ed è tutt’ora la più grande piaga che Uruma abbia mai affrontato.

Presto capirete che parte della responsabilità forse si dovrebbe imputare anche a me, ma allora la questione era diversa.

Senza regolari piogge, e con le acque che stavano via via scomparendo da Uruma, le fattorie non avevano più modo di coltivare i loro prodotti. Quella che un tempo manteneva un’economia florida e basilare per la città, stava diventando mese dopo mese un’agricoltura di sussistenza, dove ben poche famiglie producevano abbastanza da permettersi di vendere i propri raccolti. Così succedeva che molti se ne andavano, impoverendo ancora di più le ricchezze di Capo Unicorn, e chi restava doveva ingegnarsi per trovare una soluzione.

La Lacrima di Drago rimaneva l’unica fonte d’acqua da cui si poteva attingere, ma ben presto anche i suoi snodi (in particolar modo quelli che convergevano nella campagna) si disseccarono, e il letto principale divenne l’unica alternativa alla siccità incalzante. Ma c’era un problema: le terre selvagge.

In quegli anni il fiume percorreva, in tutta la sua lunghezza, i territori incontaminati, e non c’era modo per avervi accesso, se non percorrendo interi chilometri di pianura nelle stesse zone battute dalle creature selvatiche.

Per raggiungere quella fonte, era necessario estendere i confini della campagna, sottraendo in tal modo territori agli animali; costringerli ad allontanarsi, in modo da consentire la bonifica dei nuovi terreni, tramutandoli così in campi di coltura.

So che suona poco bene, ma era una questione di sopravvivenza, e la scelta era tra noi o loro.

Ad ogni modo, ciò ci porta all’aneddoto che sto per raccontarvi.

Era un’altra mattina, il giorno seguente al regalo di mio Zio.

C’incontrammo con Colton Nyx e un secondo unicorno.

L’unicorno, il suo nome era Deep Root, era uno dei più influenti proprietari terrieri di quegli anni, ed era stato anche il principale finanziatore della Barricata; la ragione del perché ci trovavamo lì quel giorno.

Quando arrivammo, lui mi guardò con sospetto, come se volesse scacciarmi. Forse perché non mi reputava in grado di adempiere al Contratto, forse perché il mio fianco bianco non era degno della sua vista. Alla fine non l’ho mai capito.

«È mio nipote, è in zampa!» Asserì mio Zio, spingendo Colton Nyx a fare spallucce di risposta.

Superato il momento, notai subito i lunghi pali della Barricata che si estendevano lungo il mio campo visivo, distanti quindici zoccoli gli uni dagli altri. Visto che sono diverse le cose che vi devo riassumere, e francamente non so bene da che cosa iniziare, credo che comincerò parlandovi proprio di questo:

Nelle distese della Savana, dove le zebre hanno i loro villaggi natii, per proteggersi dai predatori, e più in generale dagli animali pericolosi, le sciamane istruiscono le giovani discepole a creare queste barriere magiche incise su palizzate e alte barricate resistenti nel tempo, che quindi collocano intorno ai loro villaggi per un raggio di alcuni chilometri (questo a seconda delle necessità di ogni tribù, mi pare di aver capito). Le barriere, poste quindi in quel modo, hanno la capacità di tenere alla larga le minacce fintanto che i contorni delle rune son ben delineati nella materia scolpita.

Mettere gli zoccoli su artefatti del genere non era poi così difficile se si avevano i contatti giusti, e Colton Nyx a quanto pare, li aveva.

Non c’era stato bisogno di scomodare le vecchia Malaika per procurarseli: una nave che percorreva la rotta tra Uruma e la terra natia delle zebre era stata la soluzione ai problemi del nostro borgomastro. Dopo una trattativa e la stipulazione di un accordo vantaggioso, la stiva, carica di pali con le rune incise sopra, era stata svuotata nel molo di Capo Unicorn.

Una pila di questi pali era accatastata in un punto. Erano stati abbandonati di gran fretta dai manovali di Deep Root, dopo che la squadra chi li stava disponendo era stata attaccata da alcuni Rogueshar.

Ci fu riassunta la situazione in poche parole:

Colton ci mostrò il punto in cui gli operai si erano fermati, dove uno dei pali risultava spezzato a metà e riverso per terra, interrompendo la processione che altrimenti avrebbe dovuto avanzare per altri due chilometri, fino agli acri coltivati di Capo. La Barricata, infatti, avrebbe dovuto creare una cinta protettiva dalla riva della Lacrima, fino ai confini della campagna.

Alla conversazione, cui prese parte anche Root, si aggiunse che: «quelle bestie sono venute e hanno massacrato cinque operai. Quelli che sono scampati hanno riferito di averne visti tre (Rogueshar). Un assalto a tutti gli effetti. Una vera strage.»

Io l’avevo capito da tempo che quelle macchie scure che impregnavano i dintorni e la stessa Barricata erano il sangue di quei pony. Ero giovane, ma già allora sapevo di che colore diventava il sangue quando si  seccava.

«Da quale parte sono venuti?» Interrogò mio Zio, dopo aver studiato una serie d’impronte. Si era già messo all’opera.

«Loro dicono da nord» rispose Root «dalla Schiena del Drago!»

«Come pensavo, significa che il loro territorio di caccia è da quella parte. Siete certi che queste bastino per contenerli?» Domandò intanto che esaminava una delle colonne.

«Le zebre le usano per tenere lontani anche i Popobawa che attaccano i loro villaggi la notte, sono inviolabili sia da cielo che da terra!»

«A patto che si stia dalla parte giusta del recinto» ironizzò Brave «significa che se dovessero tornare, convergerebbero qui, dove la Barricata è ancora incompleta. Ti è andata di lusso, Nyx. Sembra proprio che i tuoi business continueranno indisturbati.»

«È con quelli che ci paghi il tuo grano, non te lo scordare!» Sbottò l’altro offeso.

Deep Root intervenne per sedare gli animi. «Sentite, non mi frega un culo di Dea se sono arrivati da nord, da est, o anche dal mare! Ho investito una montagna di Argenti per questi terreni, quindi voglio sapere se si può fare qualcosa, o se invece ho buttato via i miei soldi!»

Dovrei forse dirvi che Brave se la prese a male per la bestemmia che ci fu rivolta?

Dopo aver probabilmente riflettuto sull’entità dell’incarico, ricordo che disse:

«Per questa cosa vogliamo il doppio, oppure non se ne fa niente.»

«Il doppio di che?!» Obbiettò Nyx.

«Parlo della nostra parcella, i soldi che ci dovrai alla fine del lavoro, sai? In più, devi annullare la licenza a supervisione di mio nipote e consentirgli di prendere parte a missioni solitarie!»

Nyx puntò lo zoccolo verso di me e rispose incazzato: «Per quanto me ne importi, potrebbe anche farsi una camminata in un nido di Tygrus… » (disse proprio così, buffo.) «ma te lo sogni se pensi che andrò oltre il regolare compenso!»

Mio Zio gli fece una smorfia stizzita e quindi si girò dall’altra parte. «Allora siamo spiacenti, ma non possiamo accettare. Il “solito” non basta per ciò che ci chiedi. Non è colpa mia se prendi iniziative e vendi appalti senza prima consultare gli esperti. O così, oppure zampe in spalla e ce ne torniamo a casa!»

Qui devo per forza pensare che Brave abbia giocato con i loro cervelli a una partita che non sapevano di disputare, perché immediatamente fu proprio Deep Root ad accettare l’accordo con noi: «sentite, ve la pagherò io la differenza, basta che mi garantiate che libererete la zona da quei mostri!»

E quanta soddisfazione mostrò mio Zio a quell’offerta. «Su questo puoi metterci uno zoccolo sul fuoco.» Aveva risposto con un ghigno.

«Avido bastardo.» Sentì sibilare tra i denti a Colton.

I due stalloni se n’erano andati lasciando noi due da soli. Mezz’ora dopo, io ero intento a fare commenti sulle incisioni impresse sui pali. Malgrado fossi un giovane pegaso, e di magia ne sapevo meno che niente, riuscivo a captare molto bene la forte energia esoterica che trasudava attraverso il legno.

«Guarda Zio, assomigliano ai segni che ci sono sotto le tue calzature verticali!»

«È la magia delle zebre. Devo ammetterlo, la maggior parte di loro saranno sì delle tipe strambe, ma ci sanno proprio fare con gli incantesimi.»

Mentre mi parlava, aveva sguainato la Green Blade e la stava facendo danzare intorno a sé usando la telecinesi. Era un rituale di riscaldamento che lo vedevo fare ogni volta che stava per prepararsi a un’ardua battaglia. Lo aiutava ad acuire i sensi e a tarare la magia che avrebbe utilizzato in seguito.

«Cosa devo fare io?» Gli chiesi allora, sapendo che di certo non potevo buttarmi a testa bassa in uno scontro insieme lui, poco importava quanto mi avesse allenato.

«Questa volta si fa sul serio, piccolo. Non è più come andare a caccia di Bubbleloc o cercare di stanare ratti giganti delle cantine. I Rogueshar sono belve pericolose. Forse tra le peggiori che Uruma ci abbia mai scagliato contro! Per questo voglio che tu faccia attenzione. Sbagliare oggi, significa rimetterci la vita, quindi nessun margine di errore!»

«Ho capito.» Annuii da fuori, anche se in realtà dentro di me stavo deglutendo piombo fuso.

«Bene, allora ascoltami, vedi queste rocce per terra» me ne mostrò alcune «vai in giro e raccogline quante più che trovi, e portale qui. Una ventina basteranno.»

Io lo guardai strano, senza capire se stesse scherzando o cosa.

«Rocce, sul serio?»

«Assolutamente, vengo a darti uno zoccolo anch’io tra poco, ma intanto inizia da solo.»

«E che ci faccio poi?»

«Lo vedrai a suo tempo, ora sbrigati.»

Così feci come mi aveva detto, anche se il suo fine mi era completamente oscuro.

Poco dopo mi aveva illustrato come avrei dovuto collocarle nello spazio, ossia singolarmente, distribuite in modo disordinato un po’ qua e un po’ là, tra gli spazi della Barricata e la sua estremità interrotta.

Verso la fine, lui mi aveva dato uno zoccolo, come promesso, e quando ritenne che ne avessimo raccolte abbastanza, beh, mi fece cenno di allontanarmi.

«Stai a vedere ora.»

Lo osservai mentre accendeva il suo corno e irradiava ciascuna delle pietre con un qualche tipo d’incantesimo. A quel punto spalancai la bocca dalla sorpresa: delle sagome di pony, anonime e indefinite nei contorni, si erano manifestate dalla base dei ciottoli.

Stavano ferme sulla posizione, e si muovevano in modi strani, dando l’illusione di star interagendo tra di loro. Il mio stupore era cresciuto ancora di più quando sentii che da quelle sagome eteree uscivano anche dei suoni. Parole nella nostra lingua, oppure pezzi di frasi incomplete, che ascoltate nell’insieme, però, non avevano alcun senso.

«Questo incantesimo si chiama “Incanto Esca”.» Spiegò Brave, anticipando la domanda che ero pronto a fargli. «Di solito gli unicorni lo utilizzano per pescare, ma in questo caso io ho voluto strafare.»

Non mi soffermai sul chiedergli perché mai un pony dovrebbe pescare, ma capii qual era il suo intento.

«Così i mostri dovrebbero venire da noi, no?»

Lui annuì. «Gli Shar sono animali territoriali, molto protettivi verso i loro confini di caccia. È per questo che hanno attaccato quegli operai, e ora noi sfrutteremo questa caratteristica a nostro vantaggio.»

Cercò qualcosa nelle bisacce dell’equipaggiamento, e ne cavò fuori un binocolo.

«Sali su quello sperone di roccia laggiù, oltre la Barricata, prendi questo con te e mettiti di vedetta. Non appena vedi avvicinarsi qualcosa, avvisami con un grido.»

«Aspetta, devo… arrampicarmi fin lassù?» Ecco, vi dirò che l’altezza era considerevole, ben oltre le pareti di roccia che ero abituato a scalare per allenarmi.

Mio Zio invece la prese sul ridere. «Non posso certo prestarti le mie calzature, non sono nemmeno della tua misura!»

«Sì ma… non potresti andarci tu?» Davvero, ero preoccupatissimo per l’altezza.

«Vuoi stare in prima linea quando i Rogueshar caricheranno?»

In effetti…

«E poi, devo stare qui per badare all’esca, non posso allontanarmi più di tanto dalla zona.» Terminò.

Gli dissi che avevo capito, ma non che la cosa mi facesse piacere. Per lo meno, il mio entusiasmo nel mettermi alla prova mi venne in soccorso motivandomi un po’.

«Un’ultima cosa, Spirit.» Mi fermò prima di procedere. «Quando quelli attaccheranno, io li bloccherò con lo Sguardo. A quel punto cercherò di ingaggiare lo scontro: se se ne dovesse presentare uno solo, non avrò problemi ad eliminarlo, ma se l’alternativa è l’altra, cioè: se dovessero arrivare in gruppo… »

«Dovrò aiutarti io… »

«Sì. Farò tutto il possibile per impedirgli di muoversi. Tu a quel punto corri più velocemente che puoi, e quando sei arrivato, punta subito al collo e sgozzali.» Usò queste parole.

Stravolsi gli occhi e lo guardai smarrito.

Mi arrampicai con grande fatica, e finii per trascorrere lì il resto della mattinata.

I miei occhi si muovevano costantemente lungo tutto l’orizzonte, in cerca di un indizio sull’avvicinarsi degli Shar.

Udivo gli echi delle finte-voci delle esche sull’estremità della Barricata, e mio Zio, in attesa, contribuiva di quando in quando battendo sui pilastri con la lama della Green Blade.

«Vedi niente?» Mi chiedeva a intervalli di tempo, ad alta voce, enfatizzando le grida, e io gridavo a mia volta ancora più forte.

Durante quelle ore riflettei molto, per tutto il tempo che vi rimasi.

Il sole era arrivato allo zenith e batteva forte sulla mia testa, così tanto che ero stato costretto a svestirmi per coprirmela (ma tanto ormai mi stavo abituando a quelle cicatrici sul petto, e presto cominciai a non avere più un bisogno così impellente di coprirmele). Avevo pure sete, e la scorta che avevo in borraccia era arrivata agli ultimi sorsi.

Per fortuna, Brave mi chiamò di nuovo, e stavolta mi disse di scendere giù per l’ora di pranzo.

Mangiammo, cercando di non fare caso alla calura di quel giorno, e mentre mangiavamo ricordo che gli chiesi: «Zio, qual è stato il mostro più grande che tu abbia mai sconfitto?»

Se non sbaglio, lui stava mangiando delle patate in quel momento, e smise subito appena glielo chiesi.

«In paese lo chiamavano il “Leviatano”, anche se tecnicamente non lo abbiamo sconfitto…»

«Ed era… grande?»

«Beh, è successo quindici anni fa, anche di più forse; tu non c’eri ancora quando si manifestò. Era emerso dal mare portando con sé la tempesta più catastrofica che Capo Unicorn ricordi da generazioni.»

«Una tempesta? Era uno Skinflai?»

«Una specie, presumo, ma le dimensioni erano aberranti: cento metri di apertura alare come minimo. Quando volava generava una tale quantità di nubi che avrebbe potuto affondare l’intera costa se solo non l’avessimo fermato in tempo. Ma non credo che fosse un esemplare anomalo, come sostenevano tutti i pony. Un Flai normale non arriverebbe mai a quella taglia, neppure se fosse sottoposto a un incantesimo d’ingigantimento.»

In effetti, io per primo posso affermare di non averne mai visto uno che superasse i dieci metri, neppure quando da piccolo li guardavo trasportare le nubi in cielo, sognando di unirmi a loro.

Ve lo immaginate, un pegaso a controllare il meteo insieme a quelle creature…

Comunque, ero rimasto gelato dalle descrizioni di mio Zio, e rimasi in quello stato mentre lo ascoltai.

Scoprii in questo modo alcuni retroscena di cui fino ad allora non avevo mai sentito parlare.

Praticamente, un essere di quelle dimensioni era troppo grande perché un solo Cacciatore potesse batterlo, così Colton Nyx, che era sceriffo ma non si era ancora montato la testa con i più recenti complessi da politico ignorante, aveva convinto il borgomastro di allora ad appendere una cospicua taglia su chiunque fosse riuscito a liberare Uruma dalla presenza del Leviatano. La seconda mossa che fece fu di spingere tutti i Cacciatori di grado alto a collaborare insieme per portare a termine quella che era stata la più vasta mobilitazione di guerrieri al soldo di un solo Contratto della storia.

«E poi che è successo?»

«Beh, siamo andati a cercarlo. Eravamo tutti Cacciatori esperti, ma non è mai facile seguire le tracce di una creatura che vola, soprattutto quando ha le dimensioni di un Leviatano. E se noi eravamo costretti a terra, i pegasi che ci affiancavano facevano fatica a mantenere la rotta a causa dei venti che il mostro provocava sbattendo le ali. Alla fine, dopo averlo inseguito fino in capo a Uruma, lo abbiamo affrontato, ma purtroppo… »

Si era fermato e si era assorto in qualche pensiero, io allora lo avevo incitato a continuare.

«Alcuni di noi sono morti cercando di abbatterlo, tutti gli altri riuscirono solo a ferirlo. Ho motivo di pensare che questo lo abbia spaventato, perché aveva ripreso a muoversi e se n’era andato. Da allora non abbiamo più avuto notizie di lui. Ogni tanto qualche ciurma sostiene di essersi imbattuta in lui durante una tempesta, ma non saprei. Alberi abbattuti e vele spezzate non sono prove sufficienti per confermarlo.»

La mia curiosità, però, non era ancora sazia.

«Ed è stato lì che ti sei fatto… ehm, quella.» Allusi alla grande cicatrice che lo segnava sul ventre.

«Questa? Oh no. Diciamo che… » esitò ancora, prima di rispondermi «il Leviatano non è stato la cosa peggiore che abbia affrontato. Un giorno te lo racconterò, ma ora sbrigati a mangiare.»  

Fui tentato di chiedergli di parlarmene ora, avrei potuto insistere per delle ore sulle origini criptiche di quello sfregio, così come per la Green Blade. Ma quando ci provavo, lui semplicemente cambiava argomento, o trovava modi ingegnosi per eludere la mia domanda.

Ero in zoccoli accanto alle colonne della Barricata.

Il limite del mio campo visivo continuava a essere vuoto, e non si vedeva traccia di creature nel raggio d’interi chilometri.

Lo feci notare a mio Zio dopo aver sgomberato il pranzo.

Lui si guardò intorno e valutò la situazione. «Per quanto ne sappiamo, forse hanno trovato un passaggio e l’hanno attraversato… ma no, sarebbero comunque dovuti essere attratti dalle esche… »

«Hai in mente qualcos’altro?» Chiesi, più altro perché speravo di non dover tornare su quell’altura.

«Forse sì.»

Estrasse dalle bisacce le Rose della Vittoria, che come saprete avremmo dovuto utilizzare solo quando la missione sarebbe stata conclusa.

Immaginate, quindi, a che punto era arrivata la mia confusione quando lo vidi lanciarle per aria come se niente fosse.

Insomma, come, quando, e soprattutto perché l’aveva fatto??

Gli chiesi: «E adesso?» Sì, perché lui non mi diceva mai niente, quindi potevo solo starmene buono e fare come lui mi diceva.

«E adesso aspettiamo.» Rispose con orgoglio. E naturalmente mi chiese di tornare di sopra, cosa che io, ovviamente, dovetti fare.

Salto direttamente al momento in cui mi resi conto che il suo piano aveva funzionato: in pratica, dove delle semplici sagome di pony non erano state sufficienti per gli Shar, lui li aveva attirati sfruttando la loro propensione per l’odio verso i Cacciatori.

Altra cosa che avrei scoperto solo più avanti.

In quel momento, attraverso le lenti del mio binocolo stavo vedendo il primo di loro avvicinarsi di corsa. O almeno, era ciò che credevo fosse un Rogueshar.

Le due coppie di corna, lunghe e distese in avanti, che scintillavano sotto i raggi del sole, e la coltre di polvere che si sollevava ai lati del corpo… erano la sola cosa che distinguevo da quella distanza.

Urlai a mio Zio di fare attenzione, e scesi più velocemente che potevo per tornare da lui. Fu la prima volta che mi balenò l’idea di aggiungere all’attrezzatura un’estensione artificiale per le mie ali atrofiche, ma non avevo tempo di fermarmi per elaborare la cosa bene.

Come scesi, sembrò che lo Shar avesse deviato la carica verso di me, reputandomi la preda più indifesa e facile da raggiungere.

In fondo alla mia visuale, Breve urlava a pieni polmoni di sbrigarmi, di oltrepassare la Barricata.

Ci avevo messo troppo a toccare terra, contrariamente a quanto mio Zio mi aveva raccomandato, e il mostro era ormai a poche decine di metri dal saltarmi addosso.

Io correvo, galoppavo a più non posso su quattro zampe, e tenevo gli occhi socchiusi senza neppure guardare cosa avevo di fronte a me. Udivo solo i passi sempre più vicini dello Shar, insieme al battito del mio cuore, che non sapevo se pulsava di paura, emozione, o fatica.

Per il fatto che non guardai dove stessi andando, finii per inciampare su una delle colonne della Barricata, e rovinare per terra, e quando i miei occhi si aprirono, vidi solo sabbia dovunque mi girassi.

Mi voltai di scatto, e potei ammirare da una distanza veramente privilegiata il Rogueshar che aveva tentato di acciuffarmi, il primo in assoluto che vedevo.

Non potevo immaginare che avesse una bocca così grande; avrebbe potuto ingoiare una carovana per intero e trovare spazio per il bis. E quella forma poi, a taglio verticale (aveva una forma un po’ equivoca, perdonate la battutaccia), mi fece domandare quale disegno della Dea avesse mai concepito uno scempio simile.

Con mio grande sollievo, il mostro non mi attaccò, ma questo perché la Barriera stava veramente funzionando. Le rune brillavano di un intenso rossore incantato, e lui non riusciva neppure ad avvicinarsi di un passo.

Sentii nuovamente la voce di mio Zio chiamarmi.

Correvo in parallelo alla Barricata, mentre il Rogueshar mi accompagnava dall’altra parte. Non ero sicuro di fare la cosa giusta a condurre quella bestia verso mio Zio, dove vi ricordo, non c’erano più pali a delimitare il confine. Ma lui mi aveva assicurato che sarebbe riuscito a ucciderla.

Come arrivai, mi ordinò di mettermi al riparo e di farlo il più in fretta possibile. Poi affrontò la creatura con il suo Sguardo.

«Hai corso abbastanza per quanto mi riguarda!» Disse, per quindi sguainare la Green Blade.

La lama verde dal filo inscalfibile tagliò con una precisione netta il collo della creatura, proprio nel modo in cui aveva spiegato a me. Il problema era che quella creatura non aveva un vero e proprio collo. Era un’enorme bocca, con quattro corni che sembravano zanne, attaccati a un corpo con quattro zampe. Chi poteva immaginare che il punto giusto dove incidere era proprio sotto quelle mandibole?

Riprendemmo entrambi il fiato mentre il Rogueshar finiva di contorcersi.

Il sangue usciva fuori a litri inondandoci gli zoccoli, ma non riuscivo ad inorridire di fronte a quella scena. Ero troppo sollevato dal sapere che me l’ero cavata senza neppure un graffio.

«Beh, è stato facile, non sei d’accordo?»

«Oh già… » e intanto annaspavo «divertentissimo… non vedo l’ora di rifarlo.»

Ridemmo entrambi, poi le sue orecchie si mossero, e tornò a guardare in direzione della Schiena del Drago. Anch’io lo feci.

«È il tuo giorno fortunato, mi sa.» Commentò lapidario.

Altri due Shar, i due restanti. Correvano in processione con la stessa grinta del loro compagno caduto. Non è illogico pensare che fossero attirati dall’odore del sangue.

Mio Zio, sicuro di sé, si era già messo in attesa per accoglierli, mentre io avevo solo pochi secondi per assimilare le ultime esperienze e tornare a concentrarmi sul lavoro. Avevo compreso che non aveva senso indugiare. Quando sai che un mostro ti sta per caricare, le uniche cose che puoi fare sono osservare… e combattere.

«Finché aspetto voi, faccio in tempo a morire di vecchiaia.» Una volta detto questo, mio Zio, in barba all’organizzazione che lui stesso aveva pianificato, si mise a galoppare verso il primo Shar.

Lanciò la Green Blade verso una delle sue zampe, recidendola a metà. Il mostro quindi cascò a terra per alcuni metri. Brave passò al secondo in rapido avvicinamento. Voleva placarlo con gli occhi, ma qualcosa andò storto.

Non capii cosa, ma lo sentii imprecare rumorosamente.

In effetti, era proprio una giornata per incazzarsi.

Insomma, mio Zio si vide obbligato a scansare la carica del mostro, che tuttavia non si fermò su di lui, ma proseguì.

E il Rogueshar che aveva atterrato prese a muoversi di nuovo.

In una tale situazione, mi trovai di nuovo a dover fare i conti con quelle assurde creature.

Quando si fece più vicino, mi accorsi di un particolare che prima avevo solo intravisto. I suoi occhi non c’erano. O meglio, si vedevano due profondi squarci al posto delle cavità dei bulbi. Ed erano freschi ed umidi, con il sangue che ancora gocciolava fuori da ferite che erano state inferte… da qualcosa di simile agli artigli delle loro stesse zampe.

E questo mi fece balenare un’ipotesi raggelante: che l’altro Shar avesse deliberatamente accecato il suo simile per permettergli di sfuggire allo Sguardo di Brave?

Riuscii a schivare la carica anch’io, probabilmente solo grazie alla sua menomazione. Ma il Rogueshar, stavolta, non sembrava puntare su di me.

Proseguiva la sua corsa risoluto, come se da quella parte ci sarebbero state chissà quali ricompense.

E io che altro riuscivo a fare, se non di starmene lì a guardare?

«Gli Shar hanno una rigenerazione accelerata, non lasciartelo sfuggire!!» Gridava Brave, costretto a restare immobile per bloccare la belva azzoppata.

La cosa più intelligente che mi venne da chiedergli fu: «Cosa?!»

E questo mandò mio Zio su tutte le furie. «Prendi quel dannato mostro prima che sparisca oltre la Barricata!!»

Risvegliatomi allora dalla catalessi, partii all’inseguimento.

La prima volta che ero io ad inseguire un predatore, e non il contrario.

Lo Shar, malgrado accecato, sembrava decisamente sicuro della sua meta, e accumulava metri su metri nel frattempo che io cercavo, al massimo, di non accumulare distanze.

Mi sforzavo di non pensare a quello che avrei fatto in seguito, e ripetevo a me stesso, come un mantra, che dovevo dimostrare il mio valore. Sapevo anche che se avessi fallito, questa volta mio Zio non sarebbe intervenuto a rattoppare i danni. Questa volta ero io il suo zoccolo, e quindi non dovevo deluderlo.

Ma la bestia correva come se per lui non ci sarebbe stato un domani, e vi posso assicurare che malgrado la stazza, i Rogueshar sono tra i predatori più veloci che galoppano su Uruma, superati solamente dai Razorgor.

Anch’io cavalcavo a pieno regime; gli allenamenti di Brave Lion avevano plasmato i miei muscoli, e i miei polmoni potevano resistere al caldo e alla fatica per quanto il mio corpo lo richiedesse. Ma la velocità era una questione a parte, e quel mostro era molto più veloce di quanto io sarei mai stato capace di diventare.

La Dea, però, scelse di stare dalla mia parte anche stavolta.

Qualcosa di piccolo, forse una pietruzza sporgente dal terreno, fece inciampare il Rogueshar, che si schiantò a terra.

Io lo raggiunsi prima che potesse rimettersi in zampe.

Brave mi aveva avvertito della loro capacità rigenerativa, ma non avrei pensato fosse così rapida: potevo già osservare i nuovi bulbi oculari riformarsi al posto di quelli vecchi, e la ferita lentamente ricucirsi.

Era ancora cieco, ma non escludo che potesse già intravedere alcune ombre attraverso la grana pallida, o comunque avere consapevolezza degli spazi e delle distanze degli oggetti che lo circondavano.

Di certo percepiva la mia presenza, e tentava di tenermi a distanza agitando le zampe davanti a sé. Guizzava la sua lingua (vi ricordo che hanno una lingua prensile), cercando di ghermirmi.

Io cercai di far uscire da me Mr.Coraggio, che da tempo voleva mettersi in gioco, ma si era sempre trovato contro un muro di mattoni.

Mi alzai sugli zoccoli posteriori – la mia prima battaglia in posizione bipede – e feci scorrere le leve sulle protesi, facendole uscire. La mia prima volta con delle spade vere. Il regalo che mi fece Brave il giorno precedente, ce l’avete presente?

Erano lame katana, come quelle che ho adesso, ed erano sottili, ma anche affilate.

Non posso mentirvi dicendo che sapevo esattamente come utilizzarle, perché non erano qualcosa a cui ero abituato, non erano bastoni di legno. E io non ero ancora abituato a combattere su due zampe, perché non avevo mai combattuto per davvero.

L’unica cosa che potevo fare era osservare i movimenti del mio nemico e stare attento ad anticipare le sue mosse. Capire quando era in guardia e quando abbassava le difese.

Feci finta, fin dove mi era possibile, di avere di fronte a me mio Zio, di stare ancora seguendo una mera lezione all’arma bianca. In fondo, anche quella di adesso era una lezione, l’insegnamento era: se sbagli, muori.

Mandai dei colpi a vuoto, spaventato dalle zampate del Rogueshar, ero tutto fuorché un Cacciatore in quel momento. Ero solo un puledrino spaventato, che s’immaginava di essere Mr.Coraggio-da-Vendere.

Ma non era così proprio per niente.

Affondai di nuovo una lama sullo Shar, e incredibilmente, la punta aveva cominciato a trapassargli la carne.

Senza pensare a dove miravo, sferzai l’altro braccio all’incirca sul punto del collo che avevo visto fare a Brave.

Ci fu del sangue che uscì fuori, e la bestia emise suoni gutturali.

Mi allontanai subito, non sapendo cos’altro fare a quel punto.

«Ottimo lavoro!» Disse mio Zio, che era comparso alle mie spalle. Dallo scatto di paura che ebbi, quanto fui teso, gli avevo sferzato contro una spadata, che lui fermò nell’aria con la magia.

«Ci stai prendendo gusto, eh?»

Dalla mia bocca uscirono solo versi sconclusionati. Più in là, un altro cadavere stava colorando la terra con i suoi fluidi.

«Per un attimo stavo credendo che te lo saresti perso. Invece sei riuscito ad abbatterlo! Molto bravo, figliolo!»

“Sì, ehm… grazie”. Era più o meno ciò che pensavo.

«Ora però, finiscilo.»

Che cosa voleva dire con quello?

Mi girai, e notai che il “mio” Shar si stava ancora muovendo. Aveva perso molto sangue, ma combatteva ancora. La ferita non era stata sufficientemente profonda per provocargli una lesione mortale.

Deglutì altro piombo fuso.

«Devo proprio?» Gli chiesi.

«È quello che vuole il Contratto, ed è giusto che sia tu a farlo. È la tua preda. L’onore spetta a te. Solo, stai attento. Anche se è moribondo, non significa che sia inoffensivo.»

C’è un modo di dire che si adegua bene alla circostanza: ormai c’ero dentro fino al collo. Tanto valeva andare fino in fondo.

Mi mossi cautamente su due zampe, facendo attenzione alle sue.

Cercai i suoi occhi vitrei, che erano però del tutto ricostruiti. Credo che a quel punto, il Rogueshar avesse deciso di lasciarmelo fare. Come se mi supplicasse di concedergli quella grazia, anche se non aveva senso, pensandoci.

Mio Zio mi parlò ancora, ma non credo di avere ascoltato le sue parole. Seguii solo le sue indicazioni su dove quella creatura dalla grande bocca nascondesse il cuore. Un punto pulsante nel petto, che una volta raggiunto, avrebbe siglato la fine della missione, e della sua vita.

Quando fui sicuro di averlo localizzato, agii meccanicamente e d’impulso, facendo ciò che le parole di Brave Lion mi guidavano a fare. Infilai la lama nel suo costato e premetti fino in fondo, con tutta la mia forza. Il tutto, mentre ignoravo i suoi guaiti sommessi.

Qualche istante di dolore, e la carcassa non si mosse più. Era morto.

Avevo undici anni, e quella era stata la mia prima uccisione.


   
 
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