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Autore: stasiana    17/06/2017    0 recensioni
“dapprima, nella primissima ora del primissimo atomo, scaturì la gelida costernazione del Caos alle prese col minaccioso Cosmo”, mentre il poeta si consola in quest’ultimissima ora di ritardato riposo produttivo, compiacendosi di aver scelto quale filo seguire, e, al pari dell’originario generatore di orbite planetarie, e di cieli incastonati (“che si ingegnò, in seguito, a far rotolare in pista un habitat eccentrico dove le cose prendessero un mistico movimento vitale frenetico e sbellicante”), così il poeta si diverte a mostrare di quali meraviglie questa notte egli sarà capace. Dopo la morte del caos, dopo l’inevitabile vittoria del cosmo, e dopo la scelta definitiva del filo della narrazione, il dio, fattosi finalmente uomo, capisce che è giunto l’istante di far subentrare una nuova immagine : ma così non avviene, l’immagine diviene un ricordo, ed il ricordo si trasforma in pensiero, ed il pensiero s’articola in monologo, il monologo si frammenta, raddoppiando il proprio movimento interno, e diviene dialogo, il dialogo si moltiplica fino a raggiungere l’eco dei quattro venti, è dibattito: in altri termini, quando si mette nei panni del dio generatore, le sue emozioni, le stesse che il poeta vorrebbe suscitare, ristagnano in una palude da
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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1’ CAPITOLO: Il principio di Krono (da revisionare) In principio v’è stato il gran fracasso di un inizio. “un inizio è già qualcosa”, dice il poeta che non sa bene ancora cosa s’accinge a cominciare, quando è costretto a compiere l’opera celebrativa per riempire una sala, dove s’accalcano alle anteprime i figli dei sindaci, gli avvocati imberbi sostenitori del pd, e i giovani comunisti, figli di stirpi estraniate, di medici ed insegnanti. Ecco, da questo “qualcosa” di cui s’attendono, con trepidazione accaldata, le parole meno consuete e più sensazionali, “dapprima, nella primissima ora del primissimo atomo, scaturì la gelida costernazione del Caos alle prese col minaccioso Cosmo”, mentre il poeta si consola in quest’ultimissima ora di ritardato riposo produttivo, compiacendosi di aver scelto quale filo seguire, e, al pari dell’originario generatore di orbite planetarie, e di cieli incastonati (“che si ingegnò, in seguito, a far rotolare in pista un habitat eccentrico dove le cose prendessero un mistico movimento vitale frenetico e sbellicante”), così il poeta si diverte a mostrare di quali meraviglie questa notte egli sarà capace. Dopo la morte del caos, dopo l’inevitabile vittoria del cosmo, e dopo la scelta definitiva del filo della narrazione, il dio, fattosi finalmente uomo, capisce che è giunto l’istante di far subentrare una nuova immagine : ma così non avviene, l’immagine diviene un ricordo, ed il ricordo si trasforma in pensiero, ed il pensiero s’articola in monologo, il monologo si frammenta, raddoppiando il proprio movimento interno, e diviene dialogo, il dialogo si moltiplica fino a raggiungere l’eco dei quattro venti, è dibattito: in altri termini, quando si mette nei panni del dio generatore, le sue emozioni, le stesse che il poeta vorrebbe suscitare, ristagnano in una palude da lui stesso progettata, e con esse, egli dimentica le suddette immagini tanto attese. Al loro posto, necessariamente e quasi per riflesso, subentrano allora le opinioni, le analisi, le definizioni, che prendono vita propria se innestate nelle reti fragorose della collettività in subbuglio: “fu allora che il dio, per la vita mortale, rimase deluso”; è ora che il poeta nella sua vita virtuale, rimane confuso. Le idee hanno soppiantato le libere associazioni e gli estetismi delicati, le grida d’angoscia e il fagocitante desiderio, tanto che sembra quasi che tutto non abbia più significato, e così, “Dio pose fine alla razza umana”, come l’uomo pone fine alla vita. Ma la vita risorge, dai pochi, pochissimi, sempre così pochi, ma buoni, buonissimi, sempre così buoni sopravvissuti. Essi vivranno avventure di cui il poeta non può più, oggi, narrare: egli, nella sua superba contemporaneità, s’annoierebbe a morte a narrare favolette sanguinose e drammatiche. Noi diremmo forse: sfortunatamente. Ma questo è perfettamente spiegabile: nella mentalità della nostra sempre più evoluta specie, è escluso l’elemento vitale delle cose, cosicché lo scrittore, e osservatore, e ascoltatore, trascurerà ogni forma di azione impetuosa, di slancio focoso. Egli l’ha, molto semplicemente, dimenticato, benché ne conosca il lessico e ne veda spesso delle rappresentazioni (per quanto fredde possano risultare). “Pagatemi, per le mie emozioni”, pensa oggi il dio-poeta, l’alienato onnipresente Peter Pan della piazza e del locale. Perché egli sa che nessuno lo pagherà, qualunque cosa sia in grado di esprimere in quanto dio. Avvicinandosi alla metamorfosi, Krono scopre l’esistenza di una dimensione mai esplorata: quella indicatagli con il sottile indice dalla giovane donna coi riccioli neri di Artemide. Ma Krono non sa che è stata lei ad indicargli il passaggio, infatti lo trova per caso, durante un pomeriggio sereno, di quelli dove la noia disperata risalente a secoli prima, continuava a persistere. Krono aveva conosciuto, esplorato, vissuto ogni cosa, luogo, sensazione: Krono è la meta ultima di quest’uomo dio che ha la presunzione di porsi dietro ad una storia, provando ad inventare l’esistenza di cose inesistenti mai esistite prima: perché egli lo fa? Ci si chiede: “perché alcuni - ebbene si, non tutti - uomini devono porsi dietro ad uno strumento per preparare il minestrone dell’irrealtà, l’arte?” Krono risponderebbe:”ma per noia! qualunque altro essere lo avrebbe fatto: c’è bisogno d’immaginare, meravigliarsi”, ma per noia noi non agiamo mai su questo livello di vita. Non è la noia che ci sospinge verso la sperimentazione di noi stessi. Anche Krono sperimentò milioni di volte sé stesso, sostenendo di averlo sempre fatto per noia. Il punto è che Krono non può, e non deve, darla a bere a quell’entità suprema che governa persino su di lui, il generatore originario di ogni cosa: ella conosce ogni verità, ogni risposta, sa cosa prova realmente Krono. Il poveretto crede di essere onnipotente, il poveretto non ha origini, ed è costretto a fare da origine ad ogni mondo. Non sospetta minimamente dell’esistenza reale dell’entità suprema, sulla quale pure, ha conosciuto molte storie: come quella della fatale fortuna, colei che toglie, aggiunge, svela e cela, a chi è sufficientemente potente da poterla in qualche modo conoscere, e così subire il proprio destino e la propria trasformazione in un inafferrabile “sé stesso”. Fu proprio ciò che accadde a Dio. Lo spiffero del vento e il fruscio degli alberi sono suoni che si disperdono nell'ignoto dei ricordi: sulla soglia di casa, il vecchio Krono pensa alle vite passate del suo gatto. "Chissà se qualcuno l'ha mai rinchiuso nella scatola nucleare di Schrodinger. Ah.. Sono un dio, e non so più divertirmi", il dio se ne sta fermo lì, a guardare il lago di piume che si estende davanti alla sua baita. Una delle sue figlie sta facendo il bagno, e sembra essere meno annoiata di quanto non lo sia Krono." Un tempo, mi divertivo molto, ma ora non c'è più nessuna creatura che mi chiami in causa", già, perché  la terra sotto Krono è divenuta così rapida da sfuggire persino al tempo. Così, per la maggior parte del suo tempo, al tempo non rimane che pensare a sé stesso, alle multi migliaia di teorie che lo hanno cresciuto. Era ancora un bambino quando scoprì il gioco dei dadi: un piccolo uomo con cui giocava, lo guardò negli occhi e gli disse:" divertiti, giovane Krono, finché ne avrai il tempo". Al piccolo Krono piaceva rubare le poesie e le musiche per farle sparire dal mondo. Al piccolo Krono piacevano molto questo genere di dispetti: era un ladruncolo, avido e insoddisfatto. Ogni cosa che l'universo inventasse, lui la rubava. Ma poi le creature impararono a conservare le proprie invenzioni, le proprie opere, e così a Krono non rimase altro che viaggiare attraverso le dimensioni. Ben presto, Krono arrivò a visitare l'infinità di spazi. Ora ripensa a quei viaggi, e pensa che quell'eternità in viaggio, sia stata l'eternità migliore della sua esistenza. E di nuovo, non può che desiderare di tornare a contemplare qualche cosa che non ha mai conosciuto. Meccanicamente, si alza dalla comoda nuvola dondolante. Krono muove un piede, barcolla in avanti, e oscillando l'altro piede, fa un passo, e poi un altro. Cammina lungo il vialetto, si accosta vicino ad un albero, si volta verso la soglia per un momento, con l'aria malinconica. Sente che è giunta l'ora di fuggire anche da quella baita. Non degna di uno sguardo la beata figlia, e fugge nell'intricato ammasso di rami, nel verde scuro che fiancheggia il lago.
   
 
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