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Autore: stasiana    17/06/2017    0 recensioni
“dapprima, nella primissima ora del primissimo atomo, scaturì la gelida costernazione del Caos alle prese col minaccioso Cosmo”, mentre il poeta si consola in quest’ultimissima ora di ritardato riposo produttivo, compiacendosi di aver scelto quale filo seguire, e, al pari dell’originario generatore di orbite planetarie, e di cieli incastonati (“che si ingegnò, in seguito, a far rotolare in pista un habitat eccentrico dove le cose prendessero un mistico movimento vitale frenetico e sbellicante”), così il poeta si diverte a mostrare di quali meraviglie questa notte egli sarà capace. Dopo la morte del caos, dopo l’inevitabile vittoria del cosmo, e dopo la scelta definitiva del filo della narrazione, il dio, fattosi finalmente uomo, capisce che è giunto l’istante di far subentrare una nuova immagine : ma così non avviene, l’immagine diviene un ricordo, ed il ricordo si trasforma in pensiero, ed il pensiero s’articola in monologo, il monologo si frammenta, raddoppiando il proprio movimento interno, e diviene dialogo, il dialogo si moltiplica fino a raggiungere l’eco dei quattro venti, è dibattito: in altri termini, quando si mette nei panni del dio generatore, le sue emozioni, le stesse che il poeta vorrebbe suscitare, ristagnano in una palude da
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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CAPITOLO 4’ Diario di Ester, 5 Novembre: è il mio compleanno. Salve, il mio nome è Ester. Sono giunta fin qui per chiederti quanta strada mi sarà ancora percorribile lungo questa via. Ogni giorno mi avvicino a chi soffre, ogni giorno aiuto qualcuno di diverso. Mi chiedo spesso perché mi venga così naturale, tanto da rendermi difficile l’esistenza. Perché vivo in funzione di questo? Non posso farlo sul serio, mi prenderei in giro se lo credessi davvero. Una persona non può vivere in funzione della vita di qualcun altro: si deve vivere per se stessi. Me l’hai mostrato tu. “Non è vero, cari dottori?”, mi rivolgo a voi, che ora mi avete in osservazione, perché la mia povera madre ha sentito parlare me e mio padre, e ha deciso che avessimo entrambi perduto il senno in seguito all’uccisione del prete. Ma se così è, allora perché io proprio non potrei farne a meno? Perché sono dipendente dall’assistenza psicologica e morale, sia data che ricevuta? Eppure, non ho un carattere remissivo, non sono sottomessa a niente. Perché ? Perché ? Perché ? “Scende dal soffitto una coperta di neve tiepida: è sporca di caffellatte ed emana un odore di fumo e incenso, come provenisse da quel vulcano in miniatura appoggiato sulla scrivania in mogano che ondeggia davanti ai miei occhi... È forse cenere? Un uomo anziano dalla folta barba bianca, i capelli mossi e fluenti, mi parla dall'altro lato della scrivania ondeggiante (è forse Saturno?): ridicolo e grazioso, svetta il suo piccolo naso all'insù, da sotto gli occhialetti tondi, ogni volta che voglia essere sicuro che io abbia recepito chiaramente il suo concetto. Mi sta forse consigliando? Annuisco devotamente, se non altro per scandire il tempo invasore; ho smesso di ascoltarlo già da mezz'ora. Il problema è che in questa stanza si annulla lo scorrere delle ore, cosicché risulta impossibile mantenere l'attenzione. Mi sto solo chiedendo: perché il vecchio usa questo metodo? Le domande rimarranno per sempre senza risposta, perché qui non esiste inconscio. Vai a capire i motivi nascosti di questo rituale, quando i luoghi nascosti stanno in superficie! E poi, si tratta di un rituale? Non ha nemmeno un nome questo incontro, ma mi sembra che "rituale" sia la parola più vicina al suo significato. I suoi occhi scuri mi scrutano, come pozzi di fango che esplodono facendo breccia nei miei: mi sento penetrata dall'interno, e non capisco cosa stia succedendo dentro di me. Il terrore prende possesso dei miei pensieri, perché sento di non riuscire più a controllare lo spazio: l'interpretazione dell'attimo vivente si sta facendo sempre più ardua. All'esterno, la grandine picchia i vetri delle finestre, aggredisce il tetto, e il vecchio alza la voce con prepotenza, per adeguarsi al volume dell'agente atmosferico. Improvvisamente, blocca il flusso del discorso, e dopo un attimo, comincia a ritmare le parole. Allora una lenta litania si fa strada nelle mie orecchie. È riuscito a catturare la mia attenzione, di nuovo, lo sto ascoltando senza capire, le parole si sovrappongono, ma i suoi occhi terribili rimangono immobili, fissi nei miei. Sento scivolare dagli occhi invisibili cristalli liquidi, non riesco più a sostenere il suo sguardo, e la mia sensazione si sposta dal centro focale della vista a quello dell'udito: ora non posso fare altro che ascoltarlo, ascoltarlo senza poter dimenticare il suono della sua voce, né quel grumo di parole intricate. Nel frattempo, il pavimento si è fatto di un liquido senza consistenza, un liquido su cui crescono nere piante filiformi. Dietro di me un fiato, un sospiro mi riscalda i capelli: mi volto, non c'è nessuno, niente. Ma riesco a capire che cosa sia successo: "le parole del vecchio hanno rievocato quel respiro", penso, e tutto torna normale, le piante filiformi tornano amichevoli, il vulcano rassicurante, la scrivania armonica, e le finestre luminose. Ma il liquido nero è inquietante quanto il respiro sui miei capelli. “Ascolta senti un sospiro nel vuoto una paura che riempie ascolta e fissa un baratro di sale tu sai! cedere al sogno di" Sogno di? Di che cosa? Continua a ripetere questo ritornello, in maniera esasperante: quale sogno? Sta forse alludendo a Platone? Non riesco a recepire il messaggio, finché non cambia strofa: "io sono il io sono il volto di Orfeo che torna morto dalle ecatombe fatto a pezzi io sono l’acqua che scorreva su sulla sua testa io sono un'idea di Morte perse Persefone il mio corpo Ascolta senti il sogno di mille e mille millenarie cannibali sul bel prato di infranti lamenti fuggi da questa riva ascolta senti i tamburi della vendetta i tamburi dell’ incubo ascolta ascolta i battiti del mio palmo su questo tavolo scappa! Il fiato della tua paura sta mutando muta in lo vedi lo sai lo senti muta in" Si alza in piedi, sbatte violentemente un pugno sul tavolo, indurisce lo sguardo, assume un'aria minacciosa e pronuncia:"distruzione".  Reagisco meccanicamente guardandomi intorno, come se qualcosa ci stia circondando. Poi mi alzo dalla sedia, e con aria disperata chiedo al vecchio dove io debba fuggire, e come poter fuggire da lì. Le lacrime invisibili sono sull'orlo del baratro visibile sul mio volto, e cominciano a scendere quando mi viene risposto:"tu sai dove, tu sai come arrivare". L'enigma della risposta risiede nel motivo stesso per cui mi trovo qui ora, mi trovo qui ora per sapere da Saturno cosa io sappia. Perché la verità è che nessuno sa nulla, ed io lo sapevo bene prima di giungere fin qui”. Il viaggio di Ester comincia con un bruciore interno, all’altezza dello sterno: è la consapevolezza di avere sentimenti che si fa strada nel suo corpo, sotto forma di spora chimicamente trattata. Suo padre la accompagna, un padre che Ester non ha mai conosciuto prima: un dio, che le si rivela facendole ascoltare i canti degli antichi, facendole scorgere il futuro, e dimostrandole l’inconsistenza del divino. Ma non è sempre stato lui suo padre: prima egli era un contadino benestante, ignorante e violento, pieno d’invidie ed odio nei confronti di chi vive. Da quando lui non è più lui, Ester è felice, e sorride; scopre la verità, e ne gioisce! E’ finalmente libera, e lo sente. Ancora deve abituarsi all’idea di essere figlia del tempo, anche se in fondo, tutti, tutte le cose, sono figlie del tempo. Le parole pronunciate dal suo padre non padre, sono una melodia che Ester stessa canta, facendosi tramite tra il tempo e la vita. Sono parole che non vogliono dire nulla. Esse hanno un suono che ad Ester garba, un’atmosfera che per Ester è reale: quella dell’interiorità dell’uomo, delle immagini da lui stesso create, create dalle messinscene dei suoi sentimenti, e in particolare dal pensiero filosofico più ancestrale, quello che scaturisce dalla paura: nemmeno la filosofia è inutile e senza profitto, risponde ad un’esigenza ancor più vera della curiosità umana, la paura. E’ la paura che, in origine, sottomise l’uomo al tempo, e il tempo al fato. I corridoi dell’ospedale sono bianchi tunnel che proiettano, di notte, ombre spettrali dentro le camere; similmente all’icona del pensiero platonico, si fanno tramite tra la realtà supposta tale, e le realtà invisibili dei malati d’alzehimer ; le sale sono affollate, di strumenti musicali il venerdì, di vecchi il resto della settimana. Non è un vero e proprio ospedale, in effetti, ma una casa di riposo, l’unico posto nelle vicinanze del villaggio a trattare casi di supposte malattie psichiche. E’ stata sua madre ad internarla lì: al ritorno dalla passeggiata con il padre, durata due giorni, Ester non riusciva più a trattenere la verità su Krono, e svelò il segreto alla madre, e continuò ad insistere per giorni su quell’argomento, affermando la natura divina di suo padre, che ora lei sola chiama con il suo vero nome. Ma Krono non può svelarsi, e così aveva negato tutto quanto e aveva appoggiato la decisione di sua moglie: Ester aveva bisogno di cure. Giglia, sua madre, un giorno preoccupata aveva detto al marito: “Ma caro, è una casa di riposo, forse è meglio fare un piccolo sacrificio, e mandarla in città in un vero ospedale”, ma Krono non ne voleva assolutamente sapere: era stato il fato a scegliere per Ester quella casa di riposo, dove, ne era sicuro, Ester avrebbe appreso ad incanalare la sua innata attitudine a servire. Allora, Giglia, irritata dall’atteggiamento di lui, le aveva risposto:”bene, allora tu la seguirai: vi ho sentiti parlare, a quanto pare fai il doppio gioco, per non farla arrabbiare le credi e così le scombussoli la mente e le fai del male! Anche tu sei malato, caro”, detto ciò, Giglia aveva preso le cose a cui suo marito teneva di più e gliel’aveva ammassate fuori dalla porta, e con un gesto di stizza aveva invitato il marito a seguirle fuori di casa, poi si era messa a cucinare e contemporaneamente a preparare la piccola valigia di Ester. Krono non ha obiettato, e in silenzio, mentre Giglia cucinava, aveva già varcato la porta, pronto a seguire sua figlia nel suo viaggio di formazione.
   
 
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