Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: koan_abyss    17/06/2017    5 recensioni
Il percorso di cinque giovani Serpeverde attraverso le influenze e le aspettative delle famiglie, della comunità magica, di alleati e rivali dai primi anni di scuola al culmine della II Guerra Magica.
Gli anni immediatamente precedenti e quelli narrati nei libri della Rowling visti dagli occhi di Severus Piton: le sue esperienze, i suoi legami, la sua promessa.
Mentre i suoi studenti sfogliano le canzoni dell'innocenza, si confrontano con le tradizioni, costruiscono a poco a poco la loro identità, Severus Piton, incastrato nel suo doppio ruolo di Direttore di Serpeverde ed ex-Mangiamorte, diventa suo malgrado una figura importante per loro e le loro scelte future.
La fanfiction non intende discostarsi dal canon, ma anzi seguire fedelemente la storia originale del punto di vista verde-argento.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Primo anno

Capitolo 1

 

Il binario era un delirio. Gli sbuffi di vapore della locomotiva scarlatta nascondevano a tratti alla vista il caos di ragazzini e genitori che trascinavano bauli e gabbie di gufi, i gruppi che si fermavano a scambiarsi saluti, i fratelli e le sorelle più piccoli che restavano accanto a mamma e papà mentre i più grandi salivano sul treno in cerca di uno scompartimento. Tuttavia, anche se il vapore celava i colori e il movimento, non faceva niente per attutire le voci eccitate degli studenti, il tono apprensivo di certi adulti, l’ansia di qualche piccolo del primo anno e qualche occasionale fitta di antipatia quando qualcuno ritrovava i propri rivali.

Euriale, smarrita in quella babele di emozioni, si aggrappava alla mano della madre tenendo lo sguardo fisso sulla pavimentazione della banchina. Anche la donna non era tranquilla: si guardava nervosamente attorno cercando il marito che era rimasto indietro con il baule di Euriale, e ogni pochi secondi tornava a lanciare occhiate angosciate alla sua bambina.

Euriale lottava per non soffocare nella sua paura per la vita che la aspettava a scuola, oltre che all’idea di dover convivere con tutte quelle persone e le emozioni che non si curavano di nascondere, e che lei avvertiva quasi come le sue. Inspirò a fondo, concentrandosi solo sulle linee della pavimentazione, bloccando fuori tutto il resto, come le avevano insegnato.

L’ansia di sua madre non le era d’aiuto, ma la sua preoccupazione era un sentimento familiare per la bambina: aveva da tempo imparato a gestirla.

“Sto bene,” le disse, alzando alla fine lo sguardo.

“Sei sicura? Oh, comincio a credere che sia una follia…Dov’è tuo padre?”

Mentre sua madre cercava il marito, continuando a borbottare tra sé in francese, tanto era nervosa, Euriale si mise a cercare con lo sguardo altri che sembrassero in procinto di partire per il primo anno ad Hogwarts come lei.

 

“Dobbiamo andare.”

“Oh, arrivo! Mamma, come sto, mamma?”

Isabel si aggrappò al braccio della madre, mentre il fratello maggiore sbuffava impaziente.

“Sembri uno spaventapasseri! Non posso fare tardi, muoviti!”

“Olivier, dovresti prenderti cura di tua sorella,” lo rimbrottò la madre, mentre si chinava a sistemare i capelli corvini della figlia.

Isabel fece una smorfia al fratello, che somigliava alla madre più di lei, con la sua stessa carnagione olivastra e gli occhi neri. Lei invece aveva la pelle chiara e gli occhi nocciola del padre.

L’uomo sorrise e fece l’occhiolino alla figlia, poi si rivolse al figlio.

“Rendimi fiero,” gli disse, dando un colpetto con l’indice al distintivo da prefetto appuntato sul blazer del ragazzo.

Olivier sorrise compiaciuto: “Sì, signore. Vieni, dai!” fece poi alla sorella.

Salirono sul treno salutando da lontano i genitori.

“Io devo raggiungere gli altri Prefetti nella carrozza di testa. Trovati uno scompartimento, ci vediamo a cena,” disse Olivier, poi voltò le spalle.

Isabel riuscì a controllarsi addirittura un paio di secondi, prima di chiamarlo: “Aspetta!” Si fece largo nella calca di studenti che cercavano un posto e raggiunse il fratello. “E se…e se non siamo nella stessa Casa?” gli chiese, mordendosi un labbro.

Olivier alzò le spalle: “Non cadrà il mondo, immagino. Ma vedremo se sarai ancora la principessa di papà, se dovessi finire a Tassorosso!”

Si avviò alla testa del treno. Isabel rimase a fissarlo, scioccata.

 

Liam trovava che finora il viaggio fosse stato piuttosto noioso: nessuno dei ragazzini nel suo scompartimento giocava a quidditch e una ragazzina con i capelli ricci seduta di fronte a lui aveva un rospo.

“È un rospo blu, è magico. Viene dalla Cornovaglia,” stava raccontando.

“Che cosa te ne fai? Sono animali inutili,” le aveva detto lui.

“Oh, no, affatto!” lo aveva contraddetto lei, sorridendo timidamente. “Tiene lontano le creature acquatiche, come gli avvincini, e mangia gli insetti, e…”

“Sarà utile se vivi in una palude, allora!” la interruppe Liam. “Vieni da una paluda fangosa, tu?”

La ragazzina riccia gli rivolse un’occhiataccia, poi incrociò le braccia al petto e si girò ostentatamente.

“Be’, a Hogwarts sarà utile, c’è il lago, no?” intervenne in sua difesa un altro ragazzo, fissando Liam con sfida.

Liam si strinse nelle spalle.

“Nel lago c’è anche una piovra gigante. Scommetto che si mangerà la tua rana!” aggiunse rivolto alla padrona del rospo.

Dal quel momento nessuno gli aveva più rivolto la parola e Liam si era dedicato al suo gufo. Mentre finiva di dargli il suo becchime la conversazione si era spostata sulla cerimonia dello Smistamento che si sarebbe svolta al loro arrivo.

“Io spero di essere a Corvonero,” stava dicendo un ragazzo con un grosso naso.

Liam lo sbirciò con la coda dell’occhio e pensò che aveva proprio l’aria del secchione. La padrona del rospo sarebbe stata una Tassorosso, ovviamente, e l’idiota che l’aveva difesa un Grifondoro. Glielo si leggeva in faccia. E difatti quello cominciò subito a blaterare del coraggio e della lealtà dei Grifondoro. Liam gli rivolse un sorriso di derisione.

“Scommetto che tu sai già dove finirai, eh?” gli chiese l’aspirante Corvonero.

“Lo sappiamo tutti, dove finirà!” aggiunse il Grifondoro, scostandosi un po’ da Liam.

Il ragazzo lo ignorò.

Sì, sapeva perfettamente quale sarebbe stata la sua Casa. E grazie al suo gufo avrebbe potuto farlo sapere alla sua famiglia quella sera stessa. Forse suo padre si sarebbe calmato un po’ e l’avrebbe lasciato in pace, quando fosse tornato a casa per le vacanze di Natale.

Suo padre lo considerava così molle e incapace, inadatto a diventare un Serpeverde. Liam sapeva che si sbagliava, e cercava in ogni modo di fargli cambiare idea. Peccato che Damian Warrington non amasse essere contraddetto, ricordò cupamente.

L’avevano accompagnato a Londra sua madre e sua zia, che viveva con loro. Le sue donne si somigliavano molto, alte e di corporatura robusta, sua madre con i capelli castano chiaro come i suoi e sua zia bruna. Nell’ultimo anno suo padre non era stato bene e accanto a loro appariva fragile e vecchio; forse per questo ultimamente era raro che lasciasse la loro casa.

“Non ti farà male stare un po’ lontano dal tuo vecchio,” gli aveva detto sua zia Heather, salutandolo. “Vorrei poter venire anch’io…” aveva sospirato.

Sua madre era l’unica in grado di calmare suo padre, ma non capitava spesso che prendesse le difese di Liam.

“È tuo padre e dovete trovare un terreno comune, o almeno un modo di convivere,” diceva.

Comunque fosse, Liam era d’accordo con sua zia, e l’idea di trascorrere i prossimi mesi in collegio gli sorrideva. Certo, purché incontrasse qualcuno di più interessante di quelle piaghe dello scompartimento.

 

Madeline si stava divertendo. La strega con il carrello era passata da poco e lei e gli altri ragazzi si stavano abbuffando di dolci scambiandosi figurine.

Lei era forse la più silenziosa, ma il suo amico William parlava con tutti e continuava a farla ridere. Ora stava convincendo un altro bambino ad assaggiare una caramella Tuttigusti+1 di un disgustoso giallo paglierino e dall’odore acido.

“Scommetto che non hai il coraggio di mandarla giù intera!” stava dicendo.

L’altro ragazzo, Kenneth, non intendeva lasciar cadere il guanto della sfida, ma quel colore… “Perché non l’assaggi tu? Potremmo dividerla.”

“Oh, no! Io ho lanciato la sfida e tu devi raccoglierla, o perdere.”

Madeline annuì, appoggiando l’amico.

“Ma se vinco io, qual è la tua penitenza?” insistette Kenneth.

“Facciamo così: mangerò io la caramella…ma solo se tu ammetti di essere troppo codardo per accettare la mia sfida!” Will incrociò le braccia con aria definitiva. 

Messo alle strette, Kenneth fece una smorfia e mangiò la caramella. Per un attimo sembrò che non dovesse succedere niente di che, poi il ragazzino cominciò a emettere versi disgustati, cercando qualcosa in cui sputare.

“Sembra latte andato a male!”

“Credo sia caglio,” puntualizzò Madeline mentre tutti ridevano, scambiando poi un’occhiata trionfante con Will. 

Aveva conosciuto Will a una festa di primavera organizzata tra le famiglie di maghi del villaggio dove vivevano i suoi. Sua madre e quella di Will erano state a scuola assieme e Madeline sapeva che il ragazzino aveva perso il padre l’anno prima. Sua madre sperava che alla festa si facesse qualche amico e si svagasse un po’. Lei e Will si erano trovati bene assieme e durante l’estate lui l’aveva invitata un paio di volte a casa sua in Scozia, a vedere i suoi cavalli e a nuotare sotto le scogliere.

Appena arrivata al binario 93/4 quella mattina, Madeline aveva trovato Will e gli aveva proposto di cercare assieme un posto sul treno. Intendeva tenersi stretto il suo nuovo amico.

Tutti cominciavano a calmarsi, mentre Kenneth si ficcava in bocca tre cioccorane alla volta per coprire quel sapore disgustoso, quando la porta dello scompartimento si aprì.

“Ehi, Maddie! Tutto bene?”

Suo cugino Tyrell si affacciò, torreggiando sui ragazzini di 11 anni che affollavano la carrozza. Insieme a lui c’era un suo amico con un distintivo da Prefetto che rivolse appena un’occhiata annoiata a Madeline e agli altri.

“Ciao. Sì, tutto a posto,” rispose lei.

“Sarà dei nostri?” chiese il Prefetto al suo amico, con aria scettica.

Tyrell la guardò, come per domandarlo a lei, poi fece spallucce: “Vedremo. Se hai bisogno cercami, ok?”

 Quando lei annuì, Tyrell si affrettò a seguire l’amico lungo il corridoio.

“È tuo fratello?” le chiese una ragazzina. “Ti somiglia.”

Lei e Tyrell avevano entrambi i capelli biondo cenere, ma Tyrell era una montagna, in confronto a lei.

“È mio cugino,” rispose, godendosi l’attenzione degli altri.

“È un gigante!”

“Gioca a quidditch.”

“Conosci uno più grande? Allora sai qualcosa dello Smistamento?”

Madeline dovette ammettere che non ne sapeva niente. In effetti la cosa la rendeva un po’ nervosa: chi sarebbero stati i suoi compagni di dormitorio?

“Sarai a Serpeverde?” le chiese ancora la ragazzina di prima. “Portavano divise con i colori di Serpeverde, no? Credi che sarai nella stessa Casa?”

“Non credo che mi piacerebbe essere un Serpeverde…” borbottò qualcun altro.

“Perché?”

“Non hanno fama di essere molto gentili…” fece Kenneth, con improbabile tatto.

“Né di seguire le regole!” fece qualcun altro.

Will sbuffò: “I Serpeverde sono ambiziosi, decisi e creativi.”

“Sì, creativi nell’infrangere le regole!”

“Be’, le regole sono fatte per essere interpretate, no?” intervenne Madeline.

Non sapeva se era ambiziosa, ma se voleva sapeva essere assolutamente decisa. Lo avrebbe dimostrato a tutti.

 

Quando finalmente l’Espresso per Hogwarts giunse nella stazione di Hogsmeade, Will non stava più nella pelle.

Per lui il viaggio era cominciato due giorni prima, quando lui e sua madre Andromaca si erano recati a Diagon Alley per acquistare la sua bacchetta magica e i libri di scuola; erano rimasti a dormire al Paiolo Magico e alle 11 lui era salito sul treno, partendo per un viaggio che da un lato lo riportava a casa, a Nord, in Scozia, e dall’altro lo portava più lontano di quanto fosse mai stato.

Era preoccupato all’idea di lasciare sua madre da sola, ma sembrava che lei avesse riallacciato i rapporti con alcuni vecchi amici da quando era rimasta vedova, e d’altronde lui le avrebbe scritto il più spesso possibile.

Era anche triste all’idea di lasciare i suoi cavalli. Loro sarebbero stati bene, l’uomo che lo aiutava a occuparsi di loro da quando suo padre era morto sarebbe andato tutti i giorni a dar loro da mangiare, li avrebbe portati in passeggiata e avrebbe cominciato l’addestramento dei puledri di tre anni. Tutto era sistemato, ma gli sarebbe mancato cavalcare.

 Si precipitò giù dal treno e con questo pensiero in testa fece per dirigersi alle carrozze con il resto degli studenti. Ma erano cavalli, quelli? Era troppo buio per distinguere bene, ma sembravano parecchio strani…

“Allievi del primo anno! Da questa parte!”

Una gigantesca figura ricoperta di pelli d’orso ruggiva sopra la testa degli studenti. Madeline afferrò la mano di Will e i due si affrettarono verso gli altri del primo anno.

“Bene! Ci siete tutti, del primo anno? Io sono Rebeus Hagrid, e ci ho il compito di portarvi al castello dal lago.”

La gigantesca figura era un uomo, alto due volte il normale, con barba e capelli aggrovigliati come le sue pellicce.

“Avanti, alle barche!”

Con qualche difficoltà, gli studenti salirono sulle barche a remi a piccoli gruppi. 

Will si ritrovò un remo in mano e cominciò a pagaiare nell’acqua nera.

Il rumore della banchina svanì nel buio alle loro spalle mentre seguivano la barca che Hagrid occupava da solo. Oltre il lago, la sagoma del castello era punteggiata da luci e finestre illuminate e Will si chiese come dovesse essere affacciarsi da lì e vedere le lanterne delle loro piccole imbarcazioni scivolare sulla superficie del lago.

Ci furono degli strilli e un po’ di trambusto, quando dall’acqua affiorarono due mastodontici tentacoli argentati. 

“La piovra gigante!” strillò qualcuno.

Will vide una ragazzina stringere spasmodicamente il suo rospo.

“State tranquilli, ci vuole solo fare un saluto,” gridò Hagrid.

Finalmente sbarcarono e l’enorme uomo-orso, come Will lo aveva battezzato nella sua mente, li accompagnò fino all’ingresso del castello.

“Eccoli, professoressa McGranitt. Tutto liscio, quest’anno: niente barche rovesciate o tuffi nel lago.”

“Si sono rovesciate le barche, l’anno scorso?” chiese Will.

“Oh, be’, sai, a volte i saluti della piovra sono un po’…troppo energici?” rispose Hagrid, agitando vagamente una mano.

“Da questa parte. Io sono la professoressa McGranitt, la vice-preside,” intervenne la strega con gli occhiali che li attendeva all’ingresso. “Vi metterò in ordine alfabetico e quando entreremo nella Sala Grande vi chiamerò uno per uno per procedere allo Smistamento.”

“Come funziona?” chiese qualcuno.

“È molto semplice: sarà il Cappello Parlante a decidere a quale Casa apparterrete. Non dovete fare altro che avanzare e indossare il cappello quando vi chiamerò”

Will si sporse dalla fila per cercare con lo sguardo Madeline, molto più avanti, e la vide concentrata. Lui cercò di immaginare la voce di un cappello e gli scappò da ridere.

Qualcuno gli lanciò un’occhiataccia, ma lui se ne fregò. Che fossero pure nervosi, loro. Si mise a canticchiare sottovoce.

 

La professoressa McGranitt sistemò lo sgabello e il Cappello Parlante davanti al tavolo degli insegnanti, mentre ai tavoli delle Case scendeva il silenzio. Fece poi cenno agli allievi del primo anno di entrare.

I bambini si disposero tra lo sgabello e il tavolo alle loro spalle, e il cappello cominciò a cantare. I bambini lo fissarono affascinati, sopraffatti dalla vastità della Sala Grande e del suo cielo trapunto di stelle.

Mentre ascoltava il cappello descrivere le caratteristiche delle quattro Case di Hogwarts, la professoressa McGranitt cominciò ad avvertire una strana sensazione, un senso di meraviglia infantile che non le apparteneva. La stessa sensazione sembrava pervadere anche gli studenti li vicino, come se si irradiasse da un punto nelle vicinanze.

La McGranitt scorse la fila di studenti in attesa di essere smistati e notò una ragazzina con dei boccoli scuri a bocca aperta. La ragazzina si accorse di essere osservata e si voltò verso la strega. Sussultò, accigliata, e la sensazione di meraviglia che la McGranitt provava cessò di colpo.

La ragazzina fissò con intensità per qualche secondo il pavimento e quando rialzò lo sguardo la professoressa non avvertì più emozioni estranee.

‘Un ottimo controllo,’ stabilì la strega.

Gli altri studenti non sembravano essersi accorti di niente, tanto erano eccitati e nervosi di loro. Il cappello finì la sua canzone e si inchinò in direzione degli applausi.

Cominciò lo Smistamento.

 

Madeline AshenHurst era tra i primi. Si sedette sullo sgabello e calzò il liso cappello magico.  “Uhm, vediamo…una ragazzina che sa quello che vuole e riesce a pensare a dieci modi di prenderselo! E ameresti brillare…chissà che con gli amici giusti…SERPEVERDE!” strillò alla Sala il cappello.

Madeline corse verso il tavolo verde-argento mentre i compagni applaudivano. Tyrell e i ragazzi del suo anno ulularono di gioia.

Isabel Gascoyne-De Atienza indossò il cappello come una corona.

“Sembra che qualcuno sia molto ambizioso, e pronto a sfruttare ogni suo talento, per sbaragliare gli avversari: SERPEVERDE!”

Isabel si concesse un sorriso di sollievo, poi raggiunse il fratello al tavolo di Serpeverde.

“Hai visto che non sono una Tassorosso, razza di idiota?” gli disse sottovoce.

Olivier la spinse a sedersi: “Piantala, Isabel! Era una battuta, sapevo che non saresti mai stata una Tassorosso. Loro sono gentili.”

Isabel si sedette, rifiutandosi di guardarlo ancora.

La professoressa McGranitt continuò a chiamare nomi, fino ad arrivare alla ragazzina che aveva attirato la sua attenzione poco prima.

Euriale Heartilly indossò il cappello.

“Oh, un potere particolare e una bella mente: forse Corvonero potrebbe andare.”

Euriale avvertì una punta di delusione. ‘Corvonero?’ pensò con disappunto. 

“Non sei d’accordo? Impareresti grandi cose…”

‘Hai detto tu che il mio potere è particolare…papà era Corvonero e io sono così diversa!’

“Tu vuoi essere speciale. Ebbene, c’è un luogo che accoglie chi si vuole distinguere da tutti gli altri, ma dovrai impegnarti parecchio, perché lì tutti vogliono primeggiare! SERPEVERDE!”

Sollevata e radiosa, dopo un’occhiata soddisfatta al tavolo degli insegnanti, Euriale si affrettò a raggiungere i propri compagni di Casa. Per un attimo le sembrò impossibile respirare, circondata da tanta gente diversa, felice, affamata, impaziente, indifferente…poi prese posto accanto alla ragazzina che per prima era stata smistata a Serpeverde.

Madeline le sorrise come chi ha tutto al mondo e Euriale sentì lo stesso. Più calma, riuscì a rimettere sotto controllo il suo potere e seguì il resto dello Smistamento.

William McIver sorrise alla professoressa McGranitt quando la donna chiamò il suo nome e si accomodò con calma sullo sgabello.

“Una mente acuta a cui piace osservare, elaborare, creare. Un animo d’artista. Ma il tuo cuore dov’è?”

‘Serpeverde,’ pensò senza esitazione Will.

“Leale alla tradizione, e leale agli amici! Bene, raggiungi pure i tuoi compagni SERPEVERDE!”

Will si avviò quasi saltellando, tanto era eccitato. E nel frattempo si chiedeva come descrivere la voce del cappello che aveva sentito nella sua testa.

Liam Warrington era ovviamente tra gli ultimi, ed era ansioso di farla finita. Non sapeva se era una sua impressione o meno, perché era stato troppo teso per prestare attenzione tutto il tempo, ma gli sembrava che il cappello avesse chiamato pochissimi Serpeverde. Si chiese se gli standard fossero così alti. E se fossero stati troppo alti per lui?

Il cappello gli scivolò sugli occhi. “Uhm…vedo la necessità di dimostrare il proprio valore, vedo l’ambizione. Ma vedo tanta rabbia, che forse potresti dimenticare in mezzo a compagni che mostrino senza paura la gentilezza.”

‘No!’ Liam si aggrappò con forza allo sgabello. ‘Devo, devo essere un Serpeverde! Devo dimostrargli che si sbaglia!’

“Se è così importante…ma spero che tu non dimenticherai la possibilità di una scelta. SERPEVERDE!”

Con il respiro corto per lo spavento, Liam si alzò e raggiunse il tavolo verde-argento, crollando a sedere accanto ai suoi compagni del primo anno.

 

Al tavolo degli insegnati, Albus Silente si alzò per il consueto, folle discorso di benvenuto e bentornato agli studenti. Espletata quella brevissima formalità, il banchetto cominciò.

“Un anno magro per Serpeverde,” commentò con gentilezza Filius Vitious.

Il Direttore della Casa di Serpeverde, Severus Piton, annuì senza distogliere lo sguardo dai nuovi acquisti del dormitorio. Solo cinque ragazzi.

“Sono sicuro che si riveleranno più che validi. Vengono quasi tutti da famiglie Serpeverde. Ho il fratello maggiore di una delle ragazze, De Atienza. È stato nominato Prefetto quest’anno.”

Anche Minerva McGranitt intervenne: “Avevi ragione sulla piccola empate, Severus.”

Piton accennò un piccolo sorriso e un cenno del capo.

“Un’empate? Quale?” domandò Vitious.

“Heartilly,” rispose la McGranitt. “I genitori temevano che non avrebbe potuto frequentare la scuola. Tutti questi ragazzi, tutte queste emozioni…temevano che sarebbe stato troppo, per lei. Hanno scritto a Silente l’anno scorso e il Preside ha inviato me e Severus a valutare la situazione.”

Scrutò la bambina attraverso la Sala. “Direi che si controlla piuttosto bene, dato lo stress che deve aver subito in questa giornata.”

“Chi glielo ha insegnato?” chiese Vitious. “Gli empati sono molto rari, oggigiorno…”

“Aveva già imparato a controllarsi. Deve esercitarsi in ambienti affollati: più usa il suo potere, meglio saprà sfruttarlo in futuro,” rispose Piton. “Il Preside ha suggerito che andassi a farle visita per valutare se qualche lezione di Occlumanzia le potesse essere d’aiuto. Penso che in poche sedute riuscirà a padroneggiare abbastanza la materia da servirsene, se sarà necessario,” concluse, cominciando a mangiare.

“E degli altri? Sai qualcosa?”

Piton prese un sorso di vino prima di rispondere: “Di AshenHurst non so molto, tranne che forse è parente di Plimmswood, ma non ricordo come. Conoscevo la madre di De Atienza e i padri dei due ragazzi. Thomas McIver è morto l’anno scorso.”

“Povero ragazzo,” commentò la McGranitt. Sospirò, facendo vagare lo sguardo per la Sala Grande. “In ogni caso, tutti abbiamo pochi nuovi studenti, quest’anno.”

“Né mi aspettavo che fosse diverso,” intervenne Pomona Sprite. “Ci sono state poche nascite, durante la Guerra.”

Vitious annuì gravemente.

Piton strinse il suo bicchiere con forza per un istante, poi lo posò, sospirando. Tornò a fissare i suoi nuovi studenti.

 

Piton e la McGranitt avevano fatto visita agli Heartilly i primi giorni di febbraio, un mese dopo che Euriale aveva compiuto 11 anni. Li aveva accolti la madre, una bella donna dallo spiccato accento francese e dall’aria piuttosto agitata.

“Accomodatevi, accomodatevi! Mio marito è di là, e la mia bambina è di sopra, in camera sua. Devo chiamarla subito?”

La McGranitt scosse la testa: “Può aspettare. Vorremmo prima parlare con voi.”

Amélie Heartilly annuì e fece graziosamente cenno di seguirla in soggiorno.

Marvin Heartilly si alzò e venne loro incontro: “Professoressa McGranitt, è un piacere rivederla!”

“Grazie, Heartilly. Posso presentarvi Severus Piton, Direttore di Serpeverde e insegnante di Pozioni?”

Piton accennò un minuscolo inchino.

“Piacere. Cosa può fare per noi il Direttore di Serpeverde?” chiese un po’ spiazzato Marvin Heartilly, aggiustandosi gli occhiali squadrati dalla spessa montatura.

“Il professor Piton è un esperto di Occlumanzia, e come credo che Silente vi abbia spiegato per lettera, si tratta di una branca della magia che potrebbe aiutare vostra figlia,”

Amélie Heartilly scrutò dubbiosa Piton: quell’uomo giallastro e untuoso non le ispirava nessuna fiducia.

“Quando Euriale era piccola al San Mungo le hanno somministrato soprattutto pozioni e ci hanno raccomandato di tenerle in ambienti sereni e calmi…Non ci hanno mai parlato di altre cure.” Scambiò un’occhiata col marito.

Piton sbuffò: “L’Occlumanzia non è una cura per l’empatia. Si tratta di un metodo per difendere la mente dalle aggressioni esterne, che siano volute, come nel caso della Legilimanzia, o involontarie, come le manifestazioni di emozioni violente. Quanto alle pozioni che possono aver somministrato a vostra figlia al San Mungo,” e qui l’uomo arricciò le labbra con disgusto, “si trattava certamente di Pozioni Calmanti, poco più utili di una tazza di tè, in un caso di empatia particolarmente forte, come sembra essere il caso della bambina. C’è un preparato specifico, la Pozione Inibente, che ottenebra temporaneamente i poteri latenti dei maghi, ma non è consigliabile assumerla a lungo,” concluse.

“Quello che sarebbe più produttivo,” prese la parola la McGranitt, “sarebbe insegnare alla bambina a gestire il proprio potere, per imparare a conviverci per il resto della sua vita. Dovrà essere in grado di controllarsi prima di venire a Hogwarts, altrimenti il primo impatto con il castello potrebbe risultare traumatico,” concluse severamente.

Amélie Heartilly ruppe in un gemito angosciato e afferrò la mano del marito: “Forse potrebbe studiare a casa! Sarebbe più sicuro, e Azazelo sarebbe sempre con lei…”

“Amélie, renditi conto di quello che stai dicendo. Non può restare rinchiusa qui per sempre!” le rispose Marvin Heartilly.

L’uomo fece per rivolgersi alla McGranitt, ma Piton lo interruppe: “Perché non vediamo la bambina, prima di perdere la testa?”

“Sono d’accordo,” approvò la McGranitt, troncando sul nascere il dramma dei genitori.

“Va bene,” acconsentì Amélie Heartilly. Si alzò e chiamò la figlia. “Euriale! Est ce-que tu peut venir ici un moment?”

Dalla prontezza con cui Euriale apparve nella stanza, si capiva che era rimasta ad ascoltare gli adulti parlare fino a quel momento. Aspettò che la madre facesse le presentazioni prima di salutare e accomodarsi su una poltrona come una bambola di porcellana.

“Piacere di conoscerti, cara. Siamo stati inviati dal Preside di Hogwarts, il grande Albus Silente, per valutare se la scuola sia il luogo adatto a te e alle tue doti,” disse la McGranitt.

“Ci serve sperimentare il tuo potere. L’empatia è rara e abbiamo bisogno di vederti all’opera,” continuò Piton.

“È sempre…all’opera. Non decido quando farlo. È come pensare,” rispose Euriale.

Anche lei aveva un accento molto forte: era chiaro che in famiglia si parlava Francese.

La bambina fissò Piton, che le era seduto più vicino.

“Allora prova a rispondermi: cosa provano i tuoi genitori in questo momento?”

Euriale diede loro appena un’occhiata. “Mamma è preoccupata. Papà è indeciso,” rispose con indifferenza.

“Tu senti quello che sentono loro? Quando sono preoccupati, o arrabbiati…quando litigano, magari?” insistette Piton.

“Quando litigano a causa mia, sì.”

Amélie Heartilly trattenne il fiato.

“Cosa prova tua madre, ora?” incalzò Piton.

“Colpa,” rispose senza esitazione la bambina.

“E quando litigano per cose che non ti riguardano,” continuò Piton, chinandosi confidenzialmente verso di lei, “senti le loro emozioni ma non le provi, giusto?”

Euriale annuì e gli sorrise: quell’uomo sembrava capire.

“È davvero necessario insistere tanto sui nostri battibecchi?” si intromise Marvin Heartilly, stringendo le spalle della moglie.

“I bambini hanno molto chiaro il concetto della colpa,” gli rispose Piton, scrutando pensieroso la bambina.

Euriale era decisamente compiaciuta da tutte quelle attenzioni: di solito, gli adulti cercavano di lasciarla in pace, temendo di iperstimolarla.

“Ti farò un’altra domanda, ma vorrei che non mi rispondessi a voce. Cerca di farmi sentire quello che provi. Pronta?”

Euriale annuì decisa, gli occhi piantati in quelli di Piton.

“Che cosa ne pensi di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts?”

Euriale rifletté sulla questione, roteando gli occhi e mordendosi un labbro. Lasciò che il pensiero di lasciare mamma e papà e di andare nella nuova scuola le scendesse nella gola, nel petto e nello stomaco. Fissò di nuovo Piton.

“La senti, Minerva?” sussurrò lui, sbirciando con la coda dell’occhio la collega.

“La sento,” confermò lei. “Notevole.”

Probabilmente la sentivano anche i genitori, perché la fissavano entrambi ad occhi spalancati. Da Euriale scaturiva un misto di nervosismo, aspettative ed eccitazione che probabilmente lei non sarebbe riuscita ad esprimere a parole.

“Può bastare,” disse Piton, e il flusso di emozioni si ridusse e cessò in pochi secondi.

“Direi proprio che andrai ad Hogwarts, signorina,” disse la McGranitt con un sorriso soddisfatto.

Marvin Heartilly ne parve immensamente sollevato, mentre la moglie teneva una mano vicino al viso e sembrava sul punto di piangere.

Il padre si protese a prendere le mani della bambina: “È meraviglioso, Elly! Ci pensi? Forse ti metteranno a Corvonero come papà!”

Lo scetticismo sul volto di Piton era palese anche senza la minima traccia di abilità empatiche. Euriale si voltò a guardarlo, incuriosita.

“Che cosa ne penso?” le chiese Piton con un sorriso beffardo.

“Pensa che sia…” la bambina si interruppe e si consultò con la madre su un termine in francese.

“Euriale!” strillò lei.

“Pensa che sia una sciocchezza, per edulcorare un po’ la traduzione,” rispose Marvin Heartilly, fissando Piton con risentimento.

“Dove hai imparato quella parola?” indagò Amélie Heartilly.

“Da tua madre, certamente,” rispose il marito per la figlia.

Euriale guardò con aria divertita i genitori iniziare a bisticciare.

La McGranitt si schiarì la voce e i due si zittirono.

“Dovrai essere pronta per quando partirai per Hogwarts,” riprese Piton. “Voglio che ti eserciti, che usi il tuo potere in luoghi affollati. E se le emozioni degli altri sono troppe, o troppo forti, voglio che tu chiuda la mente. Devi concentrarti e chiudere fuori tutto. Immagina un muro o un vetro che ti circonda. Provaci ora, chiudi gli occhi.”

La bambina ubbidì.

Piton estrasse la bacchetta magica dalla veste e gliela puntò contro: “Legilimens!”

I genitori balzarono in piedi, ma la McGranitt li tranquillizzò aprendo le braccia: “Va tutto bene.”

Euriale sussultò e quasi cedette al panico, quando avvertì qualcosa premere sui suoi pensieri, ma quando Piton le ricordò di chiudere la mente si aggrappò con tutta la sua forza all’immagine di qualcosa che si serrava, che richiudeva su sé stessa.

Piton interruppe l’incantesimo quasi all’istante. Ci sarebbe stato tempo, per le lezioni più approfondite di Occlumanzia.

“Sei stanca?”

Euriale annuì, abbandonata contro lo schienale della poltrona.

“Ora puoi andare a riposarti. Sei stata brava,” concesse l’uomo.

“Azazelo!” chiamò la padrona di casa.

Subito un elfo domestico apparve nel soggiorno: “Signora?”

“Accompagna Euriale a fare merenda e poi nella sua stanza. Rimani con lei. Io ti raggiungo subito, amore,” aggiunse rivolta alla figlia.

La bambina scese dalla poltrona e prese la manina dell’elfo domestico.

“Viene, signorina. Azazelo prepara latte e biscotti per signorina.”

Uscirono.

“Era necessario?” chiese bruscamente Marvin Heartilly.

“Sì. Hogwarts è abitata da quasi un migliaio di persone. Deve avere qualche difesa. Per il momento sarà sufficiente, quando sarà al castello penseremo ai passi successivi,” rispose la McGranitt.

“Quindi che ne pensate?”

Piton rinfoderò la bacchetta.

“Ha imparato a controllare il suo potere da tempo. Probabilmente nel periodo più difficile, quando voi le trasmettevate le vostre peggiori paure, la sua mente ha trovato una difesa per non impazzire. Usa il suo potere per manipolarvi, lo avrete notato,” aggiunse con noncuranza.

I genitori si scambiarono un’occhiata: era vero.

“Ma questo non è indicativo: molti bambini sanno sfruttare i sensi di colpa dei genitori a loro favore. Il fatto che riesca a trasmettere le proprie emozioni, invece, è importante, perché dimostra che è in grado di usare e gestire l’empatia in maniera attiva. Non credo che avrà grandi problemi,” concluse Piton.

Lui e la McGranitt si alzarono. I padroni di casa li accompagnarono alla porta.

“Grazie per essere venuti. È stato un piacere rivederla, professoressa McGranitt.”

La McGranitt ringraziò Marvin Heartilly con un cenno.

“Professor Piton…la terrà d’occhio, non è vero?” chiese Amélie Heartilly.

“Ovviamente.”

I due professori attraversarono il giardino.

“Quindi non credi che la piccola sarà una Corvonero?” chiese sorridendo la McGranitt.

Piton le diede un’occhiata condiscendente: “È una Serpeverde.”

“Vedremo. Quel che è certo, è che ha un debole per te.”

Piton sbuffò, mentre si smaterializzavano.

 

Il banchetto di inizio anno era quasi finito.

“Ophelia, vero che muori dalla voglia di occuparti tu dei nuovi arrivati?” chiese ad alta voce Olivier Gascoyne-De Atienza a una ragazza che come lui indossava il distintivo da Prefetto. “Ora che so che mia sorella è a Serpeverde non vedo l’ora di dimenticarmi della sua esistenza,” spiegò alla compagna.

Tyrell Plimmswood ridacchiò e si alzò assieme all’amico. Fece un piccolo cenno alla cuginetta, ma non le rivolse la parola: Olivier aveva ragione, meglio non dare l’impressione che si potesse correre da loro per ogni sciocchezza.

La ragazza Prefetto li mandò al diavolo senza troppa enfasi: “Sei proprio deciso ad essere all’altezza del tuo distintivo, eh?”

“Ne farò buon uso, nei momenti opportuni!” le rispose Olivier con un inchino ironico.

Ophelia alzò gli occhi al cielo, poi si concentrò sui nuovi arrivati: “Avanti, Serpeverde, andiamo!”

Li guidò fuori dalla Sala Grande.

“Dovrete memorizzare la strada per la sala comune di Serpeverde, e non rivelarla mai a nessuno: è segreta, e nessuno che non sia di Serpeverde ci è mai entrato.” Li guardò, seria: “È molto importante. Non la rivelerete mai, neppure sotto tortura.”

I ragazzi del primo anno annuirono, impressionati.

“Bene, partiamo dall’inizio.”

Ophelia raccontò loro del fondatore della Casa, Salazar Serpeverde, e di alcuni dei suoi più illustri frequentatori. Liam e Will ogni tanto la interrompevano per dire qualcosa al suo posto o suggerire nomi di famosi maghi o streghe che erano stati Serpeverde.

“E poi c’è il Signore Oscuro,” fece Liam, prima di zittirsi incerto.

Quelle non erano cose di cui si parlava a cuor leggero.

“Be’, sì, anche lui,” ammise Ophelia, poi passò ad altro.

“Il Signore Oscuro?” chiese Euriale, sottovoce.

Avvertiva una specie di tensione, quasi come quando i suoi sfioravano argomenti di cui non volevano parlare per non litigare.

Isabel si sporse verso di lei per sussurrarle all’orecchio: “Si intende Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.”

Euriale si fece sfuggire on piccolo ‘oh!’ di paura e Madeline si mise un dito davanti alle labbra. Euriale annuì. Quello sì che era un argomento spaventoso e lei ne aveva sentito parlare solo da suo zio e suo padre, nello studio e mai a lungo, perché anche loro ne erano terrorizzati.

Ophelia li stava guidando ai sotterranei.

“Il Direttore di Serpeverde è il professor Piton, che insegna Pozioni. Può essere spaventoso, ma con noi è a posto. Ci favorisce sempre, se può.”

Arrivarono infine alla sala comune del dormitorio. Era una lunga sala con mura di pietra. Alle due stremità opposte della stanza stavano due giganteschi camini di marmo lavorato. Davanti ad essi, perfetti per godersi il calore e la luce dei camini, c’erano divani, poltrone e sedie intagliate, e tavoli affollati di studenti. Qualcuno lanciò un saluto.

Sulla parete di fronte a loro si aprivano due immense vetrate nere.

“Che ci fanno delle finestre nei sotterranei?” domandò Madeline.

“Quelle affacciano sul lago. Ora è buio, ma domattina vedrete l’acqua e la luce che riesce ad arrivare fin qui,” spiegò Ophelia.

“È grandioso!” esclamò Will, correndo verso le vetrate.

Vi accostò il naso e schermò i lati del viso dalla luce dei camini e delle torce: “Potremo vedere la piovra gigante, e gli avvincini, e…”

“E le sirene,” concluse Ophelia con un sorriso.

Will aveva un’espressione talmente sorpresa ed estasiata che Liam rise. Anche le bambine lo imitarono e Will arrossì un poco.

“Dovreste andare a letto,” li interruppe Ophelia, “su per quella scala, le ragazze a sinistra e i ragazzi a destra. Troverete i vostri bauli e le vostre cose. I gufi sono alla guferia, la vedremo domani.”

Liam emise un breve lamento: avrebbe voluto scrivere subito a casa.

I ragazzi salirono le scale e si separarono.

“Be’, buonanotte!” augurò Will per tutti.

 

Note:

Quando mi sono affacciata al mondo delle fanfiction (secoli or sono) era quasi d’obbligo riscrivere il primo anno ad Hogwarts inserendo se stessi o un personaggio originale che rappresentasse l’autore/autrice.

Ho sempre detestato quel genere di storie, eppure eccomi qui, a partire dal primo anno dei miei cinque protagonisti, perché ho un debole per i racconti corali.

Sono anni che ho in testa questi personaggi e il loro arco narrativo (anche se tecnicamente, Warrington non è un personaggio originale: la Rowling lo nomina in diverse partite di quidditch e i ‘HP e il Calice di Fuoco’: è su questi riferimenti che ho basato l’ambientazione temporale della storia), ma non avevo mai pensato seriamente di scrivere di loro. Poi, tempo fa, rileggendo i libri per l’ennesima volta, mi sono ritrovata a riflettere criticamente su Piton, da sempre il mio preferito, e a domandarmi cose come: ma a questo punto della trama, Piton quanto sa? Di cosa è al corrente e cosa Silente tiene nascosto anche a lui?

Ho unito i miei personaggi al tentativo di darmi una riposta, ed ecco il risultato. Spero sia interessante per qualcuno.



   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: koan_abyss