9.
S |
e
essere bloccati in una villa abbandonata e infestata dai fantasmi poteva
apparire come un funesto scenario, essere bloccati in una villa abbandonata e infestata
dai fantasmi e andarsene in giro da soli era indubbiamente peggio. Ma non si
trattava né di un atto di coraggio o d’incoscienza. Era una necessità. Almeno
per quanto la riguardava. Certo, i pericoli erano dietro ogni angolo. Se
l’entità richiamata dal suo sonno l’avesse trovata e attaccata, Alex avrebbe
dovuto contare sulle sue sole forze per uscirne vittoriosa. Nessuno avrebbe
potuto difenderla, rassicurarla o, semplicemente, disturbarla. Per questo
saltellava in modo allegro, canticchiando tra sé e sé una canzone come se
stesse andando al parco vicino casa. A volte si ritrovò addirittura a
fischiettare, in modo da coprire le parti musicali. Eh già. Si stava cacciando
in un mare di guai e la cosa la divertiva. Perché mai avrebbe dovuto aspettare
il bel tenebroso di turno -demone, angelo, Taddeo¹, Hagrid², le era indifferente- per far sì che le incasinasse
la vita quando poteva provvedere da sé? Oltre che a incasinarla a lui, sia
chiaro. Al ricordo dell’espressione sconvolta di Ren le venne da ridere. In
quel momento il bel tenebroso di turno stava probabilmente perendo a causa di
un embolo provocato dalla sua fuga. E se ne prendeva tutto il merito.
«A bullet for
them/A bullet for you/A bullet for everybody in this room…³»
Le ombre la seguivano. Le percepiva vicine, nascoste
negli angoli più bui e remoti, in attesa. I loro occhi erano concentrati su di
lei, eppure non sembravano intenzionate ad avvicinarsi per instaurare un
contatto. Almeno non ancora. Non faticava a immaginarne il motivo. Nemmeno lei
avrebbe voluto invitarle a bere un tè per le opportune presentazioni, ma la
timidezza si rivelava un problema alla luce dei fatti. Già, gli agglomerati di
ectoplasma esistevano sul serio, chi l’avrebbe mai detto? Ma il suo quasi
stupore non cambiava il piano. Doveva trovare il modo di convincerle a uscire
allo scoperto e, a parte disegnarsi addosso un bersaglio gigante completo di
led, non sapeva che altro fare. Forse doveva semplicemente stendersi a terra e
fingersi morta?
«…Metaphorically
I'm the man/But literally I don't know what I'd do…»
Si ritrovò a sospirare dalla frustrazione. Ormai era a
corto di idee. Persino la sua mente claudicava nel tentativo di elaborare una strategia
di riserva, ma nel mentre riportò alla luce la bislacca idea di Emily e con
essa tutta la disapprovazione provata al riguardo. Non che la sua si stesse
rivelando geniale alla luce dei fatti, ma andiamo… Un piano basato sulla messa
in pratica di superstizioni popolari mai verificate prima in senso logistico
era del tutto fallimentare, oltre che uno spreco di risorse e tempo. Inoltre,
se mai fosse stato realizzabile e concreto, sarebbe andato a ostacolare il suo tentativo
di mettersi in contatto con le entità che si aggiravano per quei corridoi, il
che era del tutto controproducente. Affidarsi poi alla sua esperienza nella
pratica di una lingua morta per purificare quel luogo tramite il nome di Dio,
era l’equivalente di un suicidio. E mai avrebbe evocato quell’entità suprema nel
pieno delle sue facoltà mentali, figuriamoci richiedere il suo aiuto. Non c’era
posto per Dio nelle attività del Diavolo. Così come non c’era posto per il
Diavolo nelle sue attività extracurriculari. In fondo era giusto rispettare lo
spazio altrui per un mondo civile.
«…All these
questions they’re for real/Like who would you live for? Who would you die
for?/And would you ever kill?...»
Stette per passare al ritornello quando una forza
esterna la costrinse a fare una pausa. Si bloccò. Con una mossa infastidita
arricciò il naso e, camminando all’indietro, ritornò nel punto in cui aveva
visto il bambino scomparire. O meglio, credeva di averlo visto, dato che aveva
solo percepito un movimento con la coda dell’occhio. Tuttavia vi era una prova
inconfutabile; una delle lampade collocate nel corridoio laterale aveva
incominciato a emanare una lieve luce intermittente e tanto bastava a segnalare
la presenza di qualche entità ultraterrena. O almeno, così dicevano i film.
Sia ringraziato Hollywood e le sue pellicole
didattiche su cosa non fare mai e poi mai in una casa stregata. Anche se poi le
faceva comunque, giusto per godere appieno dell’esperienza. Altrimenti che
divertimento c’era? Il reparto souvenir prevedeva solo sangue dal naso,
maschere di pessimo gusto, armi di plastica e vomito verde: sai che bei regali!
«…Oh, oh/I'm
falling so I'm taking my time on my ride…»
Decisa a indagare, Alex s’inoltrò in quella direzione,
provando a ignorare il fastidioso lampeggio che le feriva le retine a ogni
battito di ciglia. Le bastarono solo pochi passi per comprendere di aver compiuto
un’infausta scelta. La sensazione di essere osservata ritornò, questa volta più
intensa. Più vicina. Esattamente quello che voleva. Sperando di cogliere in flagrante
uno spirito, si voltò all’improvviso, il corpo pronto a scattare all’occorrenza,
ma finì col l’incrociare il proprio sguardo riflesso in uno specchio.
«Oh» mormorò, sentendosi stupida. Si ricompose, fronteggiando
la superficie resa opaca dal tempo. Esaminò pigramente la cornice, prima di soffermarsi
sulla propria immagine riflessa. Forse aveva capito il motivo per cui nessuno fantasma
aveva provato ad abbordarla: con il cappuccio rosso calato sul volto e le
labbra corrugate in un broncio esasperato, chiunque l’avrebbe scambiata per
l’assassino di turno. Beh, a questo poteva facilmente porvi rimedio, dato che
la sua frustrazione stava filtrando senza ritegno con il nervosismo, rendendo
la loro relazione esplosiva e pornografica. Desolata per quel contrattempo,
fece per ritornare al punto di partenza, quando si rese conto che qualcuno le
stava sorridendo. E lei non ricambiava.
Si pietrificò.
Ritornò a fronteggiare lo specchio. Il luccichio emanato
da quegli occhi famigliari risplendeva attraverso la patina di sporco con
un’incauta malizia. Il suo riflesso le rivolse un sorriso tirato, spietato, che
le procurò una stretta allo stomaco. Eppure, nonostante il suo istinto le
gridasse di reagire e scappare, Alex non riuscì a muoversi. Nel notare la sua
espressione sconcertata, la smorfia della sua immagine si allargò sempre più,
fino a risultare contorta e disumana. Ma il ghigno che tanto la stava inquietando
all’improvviso si spalancò, trasformandosi in un orrendo e silente grido. Gli
occhi del riflesso si rovesciarono all’indietro mostrando la sclera percorsa da
capillari, mentre due mani nere, comparse dalle tenebre alle sue spalle,
l’afferrarono per il collo, scivolando lungo le spalle, il petto finché…
Il pugno di Alex sfondò lo specchio con una precisione
millimetrica, anticipando qualsiasi conclusione.
«Oh…» Battendo le palpebre come se si fosse appena
risvegliata da uno stato d’apatia, Alex ritrasse lentamente il braccio, facendo
cadere a terra diversi frammenti di vetro. Quando posò lo sguardo sul pugno
ancora serrato, storse il naso nel vedere i piccoli tagli comparsi sulle sue
nocche. Alcune gocce di sangue le scivolarono lungo la pelle, finendo
miseramente a far compagnia a ciò che rimaneva dello specchio.
«Perfetto» sbottò, scuotendo la mano prima di
portarsela verso le labbra. «Stupidi fantasmi.»
Succhiò le piccole ferite riportate, sentendo il
sapore del sangue sulla lingua. Stette per controllare di nuovo le nocche
provate nella speranza di vederle rimarginate, quando un ringhio la fece
scattare in allerta. Dimenticò il bruciore, i fantasmi, il piano… Il suo
sguardo si concentrò sul resto del corridoio, cercando di capire l’origine di
quel suono così fuori luogo. Ma la fortuna non venne in suo aiuto. La lampada a
muro emise un ultimo sfarfallio e si spense, facendo piombare i dintorni nella
penombra. Il ringhio risuonò più vicino.
Tutto ciò che le uscì dalle labbra fu una simpatica,
quanto innocente, esclamazione: «Merda!»
La luce si riaccese di colpo nell’udire la parola
magica, facendola sussultare. Alex si voltò di scatto, ritrovandosi a faccia a
faccia con un bambino dall’espressione irrequieta quanto la sua. Il piccolo
spalancò gli occhi scuri per la sorpresa quando si rese conto di poter essere
visto e, prima di permetterle di riesumare l’intero catalogo delle parole
magiche, si girò e incominciò a correre come un razzo nella direzione opposta.
«Ehi!» urlò Alex, partendo all’inseguimento. Per
quanto potesse essere veloce, nel giro di pochi istanti perse di vista la sua
preda. Cercando di trattenere l’urlo di frustrazione che le salì lungo la gola,
non si diede per vinta e continuò la sua ricerca, facendo capolino nell’androne.
I volti dei bambini dipinti sul quadro sopra lo scalone sembravano deriderla
per il suo fallimento. Desiderò tanto avere un pennarello a portata di mano.
Alex riprese fiato, chiudendo gli occhi nel tentativo
di calmarsi. Al diavolo gli specchi spiritosi, gli animali da compagnia
idrofobi e i figli illegittimi di Usain Bolt⁴. Quella caccia al tesoro non la stava portando da
nessuna parte; doveva provare un approccio più diretto. Dopotutto i suoi
genitori le avevano regalato un libro sulla comunicazione e, sebbene l’avesse
letto per solo metà dato che non le interessava l’argomento, era ben
consapevole della sua importanza. Doveva essere diretta, concreta e per nulla
intimorita. Ecco perché enunciò senza alcun preavviso: «So che siete qui, nei
dintorni, a spiarmi come dei piccoli stalker depravati. Vi conviene ascoltarmi
attentamente perché non mi ripeterò. Vi farò molto male, se me ne darete
motivo. E no, la vostra condizione non è un’attenuante. Cerchiamo dunque di
andare tutti d’accordo fin da subito. Non sono una minaccia per voi, così come
sono sicura che voi non siate una minaccia per me. Voglio solo andarmene da qui
e immagino che tale desiderio sia reciproco. Per cui vi propongo quest’accordo:
voi aiutate me e io tenterò di aiutare voi a passare oltre. Dopotutto non credo
abbiate chissà quali questioni in sospeso; siete solo…» deglutì, cercando in
non far trasparire il suo disgusto «…bambini. E ora forza. Uscite fuori.»
Contò mentalmente fino a dieci, battendo un piede per
terra per scandire il tempo. Al nono secondo, quello che assomigliava di più a
un ragazzo che a un infante comparve dalle ombre, avvicinandosi. Era alto e
dinoccolato; sulla sua pallida faccia erano ancora visibili le lentiggini che gli
chiazzavano le guance e il lungo naso. Doveva essere il capo della banda a
giudicare dallo sguardo fiero che le rivolse. Poco dopo, anche gli altri
bambini seguirono il suo esempio. Alcuni la guardarono con timore, altri invece
ostentarono una sicurezza che poco si addiceva ai loro occhi spaventati.
Avevano paura di lei, il che era un bene.
«Ottimo. Sono felice che siate piccole persone
giudiziose» sentenziò, studiandoli con attenzione. Il gruppetto che aveva
davanti era composto da sette bambini di età compresa tra gli otto e i dodici
anni nel constatare la presenza del loro capo. Nonostante l’apparenza slavata,
i loro tratti caratteristici erano ancora visibili, rendendole più facile avere
un riscontro con il quadro, unico suo punto di partenza. Nel notare i loro
sguardi indagatori dovette trattenersi dal ridere.
«Oh, non guardatemi così. Ho avuto tutto il tempo di
metabolizzare la vostra triste esistenza. In fondo mi hanno solo rinchiusa in
una fo…» si bloccò appena in tempo, ricordandosi all’improvviso le buone
maniere. E poi non poteva certo irretire fin da subito quelle povere anime. «…
folle stanza. A parte pensare alla remota quanto irreale possibilità di una
vita dopo la morte e alle tragiche macchinazioni che mi hanno condotta qui, non
avevo niente di meglio da fare» concluse in tono frivolo.
Il bambino più piccolo, una cosina bionda e paffuta
che fino a quel momento l’aveva studiata da dietro uno dei suoi compagni più
grandi, scoppiò in una risata silenziosa. Il ragazzino che lo stava schermando
gli rivolse uno sguardo irritato e gli diede un buffetto sulla testa, facendolo
ricomporre all’istante.
Annuì soddisfatta. «A quanto pare riuscite a capirmi,
risparmiandomi così tempo e bestemmie preziose. Dunque, prima domanda: perché i
gemelli non sono con voi?»
Accadde tutto in un istante. Il ragazzo dalle
lentiggini e i capelli rossi la fronteggiò senza darle il tempo di battere
ciglio. Il suo sguardo era furente, carico dell’odio che avrebbe riversato su
di lei se non si fosse spostata in tempo, vanificando così il suo tentativo di
spingerla all’indietro. Ma Alex non si preoccupò di quella reazione violenta.
L’aveva ipotizzata e ora aveva la prova che le serviva. Dunque i gemelli
inquietanti e il resto dei bambini sperduti formavano due gruppi distinti. Buono
a sapersi.
«Provaci ancora e ti farò pentire di non essere all’Inferno»
mormorò al giovane, prima che si allontanasse da lei. Una volta fuori dalla sua
portata, l’espressione di Alex mutò, perdendo la malevola luce che le aveva
illuminato lo sguardo. Ritornò a rivolgere ai bambini un’espressione leggera,
un po’ seccata. «Molto bene. Ora che abbiamo messo in chiaro che quei due non
si uniranno a noi nel prossimo futuro, direi d’iniziare a darci da fare. Punto
uno: ho bisogno di una mappa. Non conosco il posto e di certo non posso
mettermi a girare alla cieca; devo sapere dove andare. Ma per mia fortuna questa
residenza è stata ristrutturata qualche decennio fa, seppur in modo parziale. Ragion
per cui, da qualche parte, dovrà pur esserci una planimetria o dei progetti
originali…» Nel notare gli sguardi confusi dei bambini non riuscì a trattenere
un sospiro. «Un foglio con sopra disegnate le varie stanze della casa» spiegò.
I piccoli si guardarono l’un l’altro. Se per decidere
di aiutarla o di ignorare la sua richiesta era un mistero, ma non le scappò lo
sguardo furbo che i due mocciosi dai capelli castani si scambiarono;
probabilmente fratelli data l’assomiglianza, avrebbero passato un brutto quarto
d’ora se avessero provato a combinarle qualche scherzo.
Dopo qualche tentennamento, uno dei ragazzini più
grandi si fece avanti.
«Tu sai dove trovare ciò che mi serve?» gli chiese.
Lui annuì e, sotto lo sguardo scrutatore dei suoi
compagni, la precedette verso la giusta direzione.
«Certo che prima eravate più loquaci» borbottò Alex,
ignorando gli sguardi confusi dei bambini nell’udire quella constatazione.
Seguì il biondino verso quello che a una prima occhiata sembrava uno sgabuzzino.
La maniglia fece una debole resistenza quando provò a girarla ma, con una
delicata mossa definita in un calcio, alla fine la porta si aprì, andando a
sbattere contro gli scatoloni disposti sulla sua scia.
«Oh,
perfetto» sospirò Alex nel vedere le caotiche condizioni in qui versava quella
minuscola stanza. Non solo era gremita fino al soffitto, ma non sembrava
esserci alcun ordine nella disposizione del suo contenuto. Davvero allentante.
«Spero che siate bravi negli scavi archeologici perché…»
Non completò la frase. Una forza misteriosa la spinse
all’interno del cubicolo, mandandola a sbattere contro i contenitori stipati sul
fondo. La porta si richiuse alle sue spalle con un botto deciso, bloccando così
la luce proveniente dal corridoio e lasciandola nell’oscurità totale. Supina,
dolorante e scocciata da quel trattamento, Alex provò a rimettersi in piedi ma,
prima di poter esclamare un’imprecazione liberatoria, la mano gelida di uno dei
bambini le coprì la bocca. Rivolse al ragazzino uno sguardo irato, tuttavia lui
si limitò a portarsi un dito davanti alle labbra, intimandole di tacere. Poi
con un cenno del capo le indicò la porta chiusa. Attese qualche istante. Nel
silenzio, udì chiaramente dei passi risuonare all’esterno. Passi pesanti, dalla
cadenza calma e dalla falcata troppo ampia per poter appartenere a uno dei
bambini. No, quello che si stava avvicinando era qualcos’altro. Un’ombra
distorse la luce proveniente dallo spiraglio inferiore della porta, decretando
che, effettivamente, qualcuno la stava cercando. Alex trattenette il fiato e,
seppur non gli servisse, fu certa che il bambino al suo fianco fece
altrettanto. Non osarono muovere un muscolo mentre l’entità si fermava davanti
la soglia, in attesa. Rimase lì per attimi che parvero infiniti, scomparendo
all’improvviso quando un rumore lontano attirò la sua attenzione. Alex, che non
si fidava di se stessa, stette in silenzio ancora per qualche momento, per poi
raddrizzarsi con un sospiro.
«Gallivan?» chiese, cercando una conferma alle sue
supposizioni, ma non ottenne alcuna risposta; il bambino era scomparso. E ti
pareva… «Dovete proprio rivedere le vostre buone maniere» sbottò, cercando di
togliersi quanta più polvere possibile dalla mantella. Impazientita, riaprì la
porta con un calcio, in modo da far entrare abbastanza luce da poter distinguere
gli oggetti stipati in quell’ambiente minuscolo. Si ritrovò così -davanti a uno
scaffale posato lungo la parete, quasi del tutto invisibile a causa della mole
di arnesi e scatole che sorreggeva. Grattandosi il naso e lasciandovi sopra una
macchia di sporco, Alex si preparò a passare in rassegna ogni centimetro di
quell’ambiente, sperando in cuor suo che i bambini non l’avessero presa in
giro. In tal caso avrebbe dovuto rivedere il suo piano, perché li avrebbe
esorcizzati seduta stante.
Si mise al lavoro senza indugiare oltre. Nonostante la
propria impazienza, controllò meticolosamente ogni ripiano finché, spostando
l’ennesima scatola, notò dei tubi portadisegni stipati sull’ultimo scomparto.
Esattamente il sogno di tutte le persone provviste di gambe da lillipuziano.
Mettendosi sulle punte, Alex si sbracciò cercando di raggiungere l’oggetto dei
suoi desideri, riuscendo solamente a sfiorarlo con la punta delle dita. Dopo
diversi tentativi, dovette arrendersi.
«Un aiuto sarebbe gradito!» chiocciò al nulla.
Silenzio.
Stette per enunciare l’ennesima minaccia, quando una
vibrazione improvvisa fece sussultare gli oggetti sullo scaffale, avvicinandoli
al bordo. Impressionata, non riuscì a complimentarsi di quell’aiuto eccezionale
perché vi fu un altro colpo, e un altro ancora… finché l’intero ripiano non tremò
e s’inclinò pericolosamente, incombendo su di lei. I tubi scivolarono, rimbalzandole
sulla testa, ma si ritrovò troppo impegnata a reggere l’intero scaffale con
entrambe le mani per preoccuparsi di recuperarli dal pavimento sudicio.
«Oh, grazie. Così va molto meglio!» ringhiò, mentre il
peso che sopportava diveniva sempre più ingestibile. Digrignando i denti, cercò
di far scivolare la tracolla dei tubi su un piede, in modo da calciarli verso
la porta. Inutile dire che quell’attimo di distrazione le costò caro. Sempre
più schiacciata contro gli scatoloni alle sue spalle, Alex decise di tentare il
tutto per tutto. Con fatica riuscì a spostare i tubi e a tirarli lungo la
giusta traiettoria. Una volta al sicuro, mollò la presa e si tuffò verso l’esterno
prima di finire schiacciata, chiudendo la porta dietro di sé. Un frastuono
soffocato risuonò alle sue orecchie, ma liquidò il tutto con un’alzata di
spalle, dato che aveva recuperato ciò che le serviva. Svitò il tappo e osservò
con un sorriso il contenuto dei tubi. Ora non le serviva altro che un posto
dove poterli esaminare con tranquillità.
Il posto in questione si rivelò un piccolo studio al
primo piano. Nonostante non fosse illuminato e l’aria all’interno fosse
avvizzita a livelli quasi irrespirabili, si trovava in una posizione ideale per
continuare le sue attività senza visite sgradite. Ormai poteva percepirli: i suoi
sventurati compagni d’avventura avevano lasciato il salotto per esplorare
meglio la villa in cerca di ciò che li serviva per fare… chissà cosa. E non era
ancora pronta a tornare tra loro. Non prima di aver ottenuto le informazioni
che le servivano.
Senza indugio, liberò la scrivania sul fondo della
stanza dal telo che la tappezzava, sollevando una nuvola di polvere che la fece
tossire. Una volta esposto il piano, vi rovesciò senza troppi complimenti il
contenuto dei tubi, dispiegandoli al meglio. Diede poi qualche colpetto alla
piccola lampada posata su un angolo, sebbene fosse del tutto inutilizzabile.
«Vi dispiace?» chiese, nonostante al suo fianco non ci
fosse nessuno. Come per magia, la lampada riprese vita, emanando una lieve e
calda luce che illuminò i dintorni.
«Grazie!» esclamò Alex, senza alzare la testa dalle
carte che aveva davanti. La planimetria era consunta e macchiata dal tempo, ma
ricca di note e informazioni utili. Il tutto era a nome di un certo Gilman⁵; il suo collegamento con i Pennington le era del
tutto sconosciuto, ma forse si trattava di una povera anima che aveva deciso di
tentare la sorte comprando la proprietà a poco prezzo in modo da rimodernarla.
L’uomo però le risultò di grande aiuto. Aveva appuntato ogni dettaglio, riportando
sia le modifiche, sia la conformazione originale delle varie stanze. Il pian
terreno aveva una pianta piuttosto semplice. Composto principalmente da stanze di
varia grandezza trasformate in aule per i bambini, possedeva la cucina
-orientata verso nord rispetto all’androne- con accanto la lavanderia, una
grande sala da pranzo probabilmente riutilizzata come salone da ballo durante
gli eventi mondani, un paio di salotti, una biblioteca e tre bagni: uno per
ogni ala e quello destinato alla servitù. Le varie aree erano collegate da
diversi corridoi principali, ma ve ne erano alcuni più piccoli e stretti,
utilizzati dai domestici per le varie mansioni. Con sua grande sorpresa, vicino
al salotto che avevano utilizzato come base operativa vi era pure un’aula di
musica. I suoi occhi sondarono la pianta con attenzione, finché non fu certa di
aver memorizzato ogni più piccolo particolare. Una volta finito, distese sulla
scrivania il progetto del primo piano. Questo, a differenza del precedente, era
per di più organizzato per scopi abitativi. Vi erano gli uffici personali di
Mrs. Pennington e i suoi appartamenti privati. Il resto era suddiviso in varie
stanze degli ospiti e aree relax; la sezione dormitorio utilizzata dalla
servitù era orientata verso l’ala est, mentre quella destinata a ospitare i
bambini era…
Il suo istinto agì per lei. Prima ancora di capire quale
fosse la minaccia, Alex scattò all’indietro, evitando per un pelo la lama del
coltello che andò a conficcarsi nella pianta, esattamente nel punto che stava
analizzando. Se non si fosse spostata in tempo… Scrollandosi di dosso lo
stupore, alzò gli occhi verso la porta. Ebbe solo un momento, ma riuscì a
scorgere i due fratelli scomparire oltre la soglia. Rimase immobile, cercando di
assimilare quello che era appena accaduto. Poi la sua mano scattò, estraendo il
coltello dal legno con uno strattone e riponendolo nella sua borsa, il posto
dove era stato collocato precedentemente.
«Stupidi fantasmi» bofonchiò nuovamente, ritornando a
osservare la planimetria ormai rovinata. Si accorse subito che il foro lasciato
dalla lama indicava un punto ben preciso: il dormitorio dei bambini, il luogo
dove era avvenuta la carneficina. Inclinando il capo vi passò sopra un dito,
domandandosi se quell’attentato alla propria vita non fosse in realtà un
avvertimento. Ma quando mai aveva dato retta a qualcuno che non fosse la
fastidiosa vocina nella sua testa? Inoltre, il fatto che avessero reagito in
modo così drastico, le diede da pensare. Forse avrebbe potuto trovare lì le informazioni
che le servivano. Come punto di partenza era l’ideale, considerando gli eventi
che vi si erano verificati.
Decisa ad arrivare al fondo della questione, arrotolò
nuovamente i fogli e li depose al sicuro all’interno dei tubi, preparandosi al
punto successivo della sua lista delle cose da fare. Fece per fare il giro
della scrivania quando il bambino più piccolo le comparve davanti, guardandola
con i suoi grandi occhioni insicuri.
«Che cosa c’è?» chiese seccata, cercando di non essere
troppo brusca. Il piccolo rimase in silenzio, per poi afferrare un lembo della
sua mantella. La costrinse a indietreggiare, allontanandola così dalla porta.
Quando Alex cercò di liberarsi dalla sua presa, lui s’impuntò, gonfiando le
guance e mettendo il broncio.
«Oh, smettetela di fare i…» Finì la frase con un
sospiro desolato. «Ascoltate. Vi ringrazio della preoccupazione e apprezzo il
vostro aiuto, per quanto possa essere discutibile. Sebbene siate dei fantasmi e
per di più dei bambini, in quest’avversità mi risultate più utili di quei
sacchi di carne dei miei compagni. E poi non posso certo biasimarvi per le
vostre condizioni: nessuno è perfetto. Tuttavia dovete capire che sono io a
decidere quando e cosa fare e in questo momento desidero perlustrare il vostro
dormitorio.»
Dall’ombra comparvero gli altri ragazzi. Si guardarono
nervosi, incerti sul da farsi, a eccezione del più grande. Il suo sguardo continuava
a sfidarla e ciò le piacque, anche se non poteva attendere oltre; più
aspettava, più le possibilità di passare inosservata svanivano nel nulla.
Sbuffò. «Ok, datemi una buona ragione per non farlo. E
questa volta senza usare i coltelli altrui» esclamò, incrociando le braccia al
petto.
Quello che seguì, fu uno dei silenzi più irritanti al
mondo. Non solo i piccoli aprirono la bocca all’unisono come tanti pulcini
affamanti, ma dalle loro labbra non uscì una singola parola, nemmeno il più
piccolo singulto. Si ritrovò a sospirare dalla frustrazione. Di nuovo. A quanto
pareva, c’erano dei limiti ben precisi su cosa uno spirito poteva fare e non
sul piano dei vivi.
«Ci serve un modo migliore per comunicare» sbottò,
stropicciandosi il volto con una mano. «Non ho la pazienza necessaria per
giocare a indovina indovinello con voi. Se avessi almeno una ouja, una lavagna…
i dadi che Emily ha bruciato. Grazie tante…» sospirò Alex, in preda allo
sconforto. Dato che il suo piano stava procedendo a rilento a causa di complicazioni
tecniche che andavano oltre le sue competenze, non le rimaneva altro da fare
che provare a giocarsela con l’astuzia. Era riuscita a instaurare quel primo
contatto e, sebbene le avversità, si era dimostrato alquanto fruttuoso. Forse
poteva incanalare l’attenzione dei suoi nuovi aiutanti in qualcosa che avrebbe
potuto avvantaggiarla, oltre che darle il tempo necessario di sgattaiolare via
da loro. Ma cosa? Iniziò a giocherellare con la catenina che portava al collo,
decidendo il da farsi. Le informazioni in suo possesso erano troppo
frammentarie per poter fare un quadro generale. Non sapeva il motivo del gesto
di Gallivan, né il ruolo dei gemelli in tutta quella faccenda e tanto meno come
annullare la barriera che li teneva imprigionati in quel rudere. Oltretutto le
risposte che le servivano erano a pochi passi da lei, inutilizzabili, e questo
rischiava di sviarla dalla rabbia. Finché non avrebbe trovato un modo per
comunicare con i bambini, avrebbe dovuto provvedere da sé. Ordinaria
amministrazione. Fu allora che si bloccò, ricordandosi un dettaglio che il suo
subconscio aveva decretato futile fino a quel momento. Un sorriso le distorse
il volto. Forse c’era qualcosa che quei demonietti potevano fare per lei nel
frattempo.
«Ho un nuovo compito per voi» sentenziò, attirando la
loro attenzione. «Nulla di strano o pericoloso, s’intende. Credo che abbiate
già avuto l’occasione di farlo questa sera, dato che sono piuttosto sicura che
dietro a tutto questo ci sia il vostro zampino. Vi andrebbe di giocare un po’?»
Fortunatamente, tale proposta ebbe fin da subito dei
risvolti positivi.
Non solo era uscita senza altre complicazioni dallo
studio, aveva evitato Dakota e scansato per un pelo Gregory e John mentre
controllavano le stanze, ma i bambini se ne andarono per la loro strada senza
disturbarla oltre, probabilmente eccitati per il compito che li aveva affidato.
Una tale vivacità l’aveva presa in contropiede, ma ciò che sarebbe accaduto non
sarebbe stato un suo problema. Anzi, tutto l’opposto.
Approfittando di quell’attimo di distrazione da parte
dei suoi ospiti, decise di passare al successivo punto della sua lista mentale.
Ora che aveva memorizzato la pianta dell’abitazione, muoversi si stava
rivelando piuttosto semplice, fatta eccezione per la polvere che continuava a
caderle in testa. Dopo l’ennesimo starnuto, Alex sollevò il capo, osservando
rabbiosa il soffitto. Una lieve cadenza di passi tamburellava contro il
pavimento sovrastante, mettendo a dura prova la sua pazienza. Quando al
concerto di scricchiolii se ne aggiunse un’altra, dovette raccogliere tutta la
sua determinazione. Forse la fortuna avrebbe continuato a sorriderle e sia
Dakota che Ren sarebbero precipitati in un buco, mettendo fine a quella
sofferenza; la sua.
Scuotendo il capo e stringendo più forte la torcia tra
le mani, ritornò a concentrarsi sulla sua missione. Non doveva distrarsi. Camminò
per un po’ e, una volta svoltato l’ennesimo angolo, Alex rallentò,
improvvisamente a disagio. Non era il genere di persona che si lasciava
intimorire dai pettegolezzi e le superstizioni, ma quando mise piede nel
dormitorio, incominciò ad avvertire un’opprimente sensazione sulla pelle. Si
fermò al centro del corridoio, osservando l’ambiente tetro che la circondava. Su
entrambi i lati, spiccavano quattro porte chiuse; porte che conducevano alle
stanze un tempo appartenute ai bambini. Illuminandole con la torcia, notò che
erano state sostituite. Il legno era meno consumato e danneggiato rispetto al
resto della dimora e ciò non lasciava presupporre a nulla di buono. Ma sapeva
in cuor suo che non era l’aspetto desolato di quel luogo ad angustiarla. L’oscurità
che vi aleggiava era più densa, l’aria rarefatta e malsana; l’atmosfera era
pesante, quasi soffocante, come se la strage avvenuta tra quelle mura avesse
lasciato un segno indelebile e perpetuo. Non si era sbagliata quando aveva
ipotizzato che fosse quello il centro del loro piccolo inferno casalingo.
Iniziava persino a comprendere il motivo per cui i bambini lo evitavano.
Per un attimo il suo coraggio venne meno. Sapeva che
una volta superato quell’ambiente avrebbe potuto raggiungere lo studio di Mrs.
Pennington, eppure qualcosa la frenava. Si sentiva le membra intorpidite, ma
ciò che serpeggiava dentro di lei era ben peggiore. Risultava quasi
terrificante nella sua contraddizione. Si era già sentita in quello stato, per
l’esattezza poco prima dell’attacco che era venuto all’interno del suo corpo.
E, anche il quel momento, la medesima sensazione minava la sua sicurezza:
conforto. Era strano. Avrebbe dovuto essere inorridita o per lo meno cauta, e
invece il suo corpo era invaso da un tepore confortevole. Era proprio questa
sensazione a spaventarla a dispetto dell’ambiente in cui si trovava.
Socchiuse gli occhi, inclinando il capo. «Sì, lo so»
mormorò. «Non dipende da me. Non adesso, almeno.» I sussurri si acquietarono.
Si fece coraggio e avanzò di un passo. E poi un altro
ancora. Aveva quasi raggiunto la metà del corridoio quando si bloccò di nuovo,
la fronte corrugata dall’incertezza. L’aveva percepito solo per un istante, ma
ne era certa: qualcosa di fronte a lei si era mosso e non si trattava di un
nanerottolo. Sollevò la torcia, puntandola contro il muro in lontananza. Nulla
avrebbe potuto prepararla a tale visione. Sebbene il fascio di luce, le tenebre
che scivolavano sulla parete formavano un agglomerato talmente denso da
resistere a quel contrasto. Fluide e viscide come tentacoli, si contorsero
sotto i suoi occhi, finché non si schiusero nel punto in cui la torcia le
feriva. E fu da lì che eruppe una sagoma umana forgiata negli incubi. Nera,
ricoperta da una sostanza oleosa, emise un sibilo graffiante. E si accorse
della sua presenza. Il volto privo di dettagli dell’ombra si focalizzò su di
lei, puntandola come una fiera pronta a colpire. Alex non ebbe nemmeno il tempo
di reagire. L’ombra alzò un braccio e la sollevò in aria, scaraventandola
all’indietro come una bambola. Cozzò duramente contro il pavimento, lampi
bianchi di dolore le distorsero la vista. La torcia le sfuggì di mano, rotolando
lontano da lei e illuminando la figura che l’aveva attaccata. Sollevandosi sui
gomiti, Alex non perse tempo e provò ad allontanarsi dall’essere che, con
grandi falciate, incombeva su di lei sempre più minaccioso. La sua corsa ebbe
però vita breve: finì per sbattere la schiena contro la parete opposta. Il suo
aggressore si fermò a pochi passi da lei, consapevole di averla alla sua mercé.
Ormai in trappola, Alex si rialzò con difficoltà, fronteggiando il suo
avversario a testa alta. Questo tuonò in un grido profondo che la fece
rabbrividire fino alle ossa e le si scagliò contro. Ma lei non si spostò.
Attese fino all’ultimo istante prima di gettarsi a terra, lontana dalla portata
di quelle nerborute mani pronte a ghermirla. Ricominciò a respirare solo nel
momento in cui ebbe la conferma che quella cosa era sprofondata nel muro,
scomparendoci dentro.
Con i polmoni in fiamme, il corpo dolorante e la mente
colma di domande, Alex incominciò a comprendere la gravità della situazione.
L’anima che l’aveva attaccata era corrotta o in qualche modo occultata. Era
forse Gallivan? Era a causa delle sue azioni che si era ridotto in quello stato,
a dispetto degli altri spiriti che aleggiavano in quella dimora? Era davvero
così perverso da voler perdurare il gioco iniziato un secolo prima?
Confusa, fece per rialzarsi, quando dall’intonaco
rovinato fuoriuscì una mano che provò ad agguantarla. Il suo corpo questa volta
fu pronto. Scattò in piedi come una molla e corse via, in direzione delle
scale. Con la coda dell’occhio, percepì altre due sagome scomparire nelle ombre
poco lontano da lei; minute, silenziose, imperscrutabili. Qualcuno a lei
famigliare.
Ma non fece in tempo a formulare alcun pensiero. Girò
l’angolo, finalmente giunta all’androne, e si scontrò con un essere vivente. Eh
già, aveva quasi dimenticato che in quella casa vi era ancora qualcuno a sangue
caldo. Colta alla sprovvista, lanciò un urlo di sorpresa, imitata poco dopo da
John, che esplose in un grido di puro terrore degno di un Oscar. Entrambi
caddero a terra in un intrico di arti e lamenti.
«Ma che cazz…» imprecò il giovane, massaggiandosi la schiena.
Quando la vide, la sua espressione mutò del tutto. Ma non durò. Non appena Alex
incrociò il suo sguardo, scorse la meraviglia nei suoi occhi sparire per
lasciare posto al disagio. Repentinamente, si toccò la testa, accorgendosi di
non essere più riparata dal cappuccio. Altra parola magica!
«Alex!» Gregory comparve al suo fianco, aiutandola a
rimettersi in piedi con delicatezza. Ignorò John completamente. «Grazie al
cielo, stai bene? Che cosa è successo?» La esaminò accuratamente in cerca di
ferite. Quando la felicità nel ritrovarla sana e salva fu superata, l’amico
cambiò rotta e la guardò iracondo. «Ma ti rendi conto di quanto ci hai
spaventato? Andartene via così, senza nemmeno una spiegazione! Aspetta di
vedertela con Emily e rimpiangerai quello che hai fatto!»
«Sì, Gregory. Ti trovo bene anch’io» commentò Alex in
risposta, seppur a disagio. L’amico però non le lasciò scampo: continuò a
osservarla con le braccia conserte finché non ottenne una risposta sensata. «E
va bene, ti chiedo scusa. Sto bene, solo un po’ ammaccata e ho perso la mia
torcia. Quello che è successo non lo vuoi sapere, fidati.»
Si allontanò da loro di qualche passo, rimettendosi
sul capo il cappuccio. Stette per stringere il nodo della mantella, quando
qualcuno alle sue spalle vanificò il suo operato. Stupita e ignorando i capelli
che le ricoprirono la faccia, Alex si voltò, incrociando lo sguardo di Ren.
Perfetto. Perché non era rimasta nel dormitorio a farsi smembrare da quella
cosa?
L’espressione del ragazzo fu così indecifrabile da
mettere a tacere sul nascere le lamentele di Gregory, il quale, capendo di
essere di troppo, si prodigò a dare una mano a John a raccogliere gli
attizzatoi che gli erano sfuggiti di mano durante l’impatto. Ah, quindi a loro
era toccato il ferro.
Alex si guardò nervosamente in giro, cercando una via
di fuga, ma non poté evitare di squadrarlo incuriosita. Perché
non le aveva ancora gridato contro?
«Non sei
arrabbiato.» Non era una domanda.
«Servirebbe a
qualcosa?» le domandò semplicemente, senza abbandonare quell’espressione
imperscrutabile che incominciava a metterla a disagio.
Scosse la
testa.
Il giovane
sospirò. «Esattamente come immaginavo. Ecco perché ho deciso di sprecare il
fiato per altro.»
A quel punto Alex
si bloccò, intimorita. «Sai, credo di preferire la parte dove mi sbraiti
addosso senza riserbo. Mi spaventa quello che tu possa intendere per “altro”.»
Ren rimase in
silenzio per qualche istante. Decine di emozioni turbinarono nei suoi occhi,
scurendoli in un modo così profondo da inquietarla. Alla fine sbuffò. «Se non
vivessimo in una società basata sul perbenismo e l’ipocrisia, in questo momento
ti picchierei senza riserbo. E no, questo non è sessismo» mormorò serio.
Alex sollevò un sopracciglio. «Sono più che sicura che
lo sia, dato che non hai contemplato la possibilità di perdere qualche dito nel
tentativo di sfiorarmi.»
«Ti piacerebbe…»
«Ma non dovevi recuperare Campanellino idrofobo?» gli
domandò allora a tradimento, mettendo fine a quel confronto verbale. Tuttavia
Ren non fece una piega. Si limitò a farle cenno di anticiparlo giù per le
scale, come se preferisse non averla alle spalle. Mossa furba. Alex accettò il
suo invito e lo precedette, ignorando le occhiate indagatrici che Gregory
continuava a lanciarle.
«Ci raggiungerà a momenti» esclamò Ren, lo sguardo
puntato sulla sua schiena. Alex fece per rimettersi il cappuccio, ma si bloccò
appena in tempo: sarebbe stata solo fatica sprecata. Si limitò quindi a
voltarsi per lanciare al ragazzo un’occhiataccia.
«Oh, certo. Prima deve sistemarsi…» S’interruppe.
«Alex?»
Non gli rispose. Scese l’ultimo gradino e si bloccò, i
suoi occhi che scrutavano febbrili i dintorni. «L’avete sentito?» mormorò a
nessuno in particolare.
«Che cosa?» le chiese Gregory, preoccupato dalla sua
reazione.
Alex aprì la bocca nel tentativo di rispondere a
quella domanda, quando una scheggia di legno le cadde davanti al viso. Si
spostò appena in tempo. Uno schianto agghiacciante echeggiò nei dintorni.
Qualcosa precipitò dal soffitto, interrompendo la sua rocambolesca caduta
cozzando contro il pavimento. Alex si ritrovò sballottata all’indietro, cadendo
malamente su un fianco, circondata da una miriade di pezzi di legno e intonaco.
Quando sollevò lo sguardo per capire che cosa fosse la sagoma responsabile di
un tale disastro, incrociò il volto cereo di Dakota. Come una bambola di pezza,
riposava a terra con gli arti ripiegati in angolazioni disumane, il bianco dei
frammenti ossei che rilucevano al chiarore delle lampade.
Trattenendo il fiato, Alex rimase immobile, osservando
la luce svanire dagli occhi della ragazza.
«Avevi ragione…. Ci ha raggiunti» ansimò, rimettendosi
in piedi. John e Gregory erano pietrificati dallo shock. Ren, dal canto suo,
era sbiancato così tanto da poter far concorrenza alla ragazza che giaceva
morta ai suoi piedi.
Dei passi frenetici risuonarono nella loro direzione.
Poco dopo, il resto della banda fece la sua apparizione nell’androne. Il viso
di Emily s’illuminò di gioia nel scorgere la figura di Alex davanti a lei, ma quando
si accorse di ciò che giaceva a terra s’immobilizzò. Il suo urlo rimbombò nei
meandri della villa, fino al suo cuore oscuro.
¹ Personaggio dei Looney Tunes
² Personaggio di Harry Potter.
³ Testo di “Ride” dei Twenty One
Pistols
⁴ Famoso velocista giamaicano.
⁵ Tributo a Walter Gilman,
protagonista de I sogni della Casa Stregata di H. P. Lovecraft.
Eccomi qui,
finalmente con un nuovo capitolo. Ammetto di non essere pienamente soddisfatta
di tale cosa: un po' perché ho tentato di essere sintetica (sì, non sembra), un
po’ perché Alex sta ai guai come Ryan Reynolds sta a DeadPool e un po’ perché
volevo concludere il prima possibile…
E sì, mi sa che lo
riprenderò in mano.
Comunque, ringrazio
le povere anime che sono riuscite a sopravvivere fin qui. Porterò un cero in
chiesa per voi, promesso! Ridendo e scherzando… grazie, sul serio. So di dover
riprendere il ritmo, ma vi prometto che i prossimi capitoli saranno molto più
contenuti… almeno credo.
Grazie a tutti
quelli che, nel bene e nel male sopportano me e questa storia e che si prendono
il disturbo di lasciare un commento… E non so più cosa dire senza sembrare una
ruffiana di quattro soldi.
Beh, spero che tale
capitolo non sia del tutto un disastro.
Alla prossima :3