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Autore: Afaneia    18/06/2017    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Buonasera a tutti!

Devo dire che questi sono stati per me mesi un po' confusi, oltre che carichi di esami, di tesi da scrivere e quant'altro. Posso solo dire che aver sconfitto un boss in Legend of Zelda – Ocarina of time è stata la cosa migliore e più emozionante che mi sia successa da qualche settimana a questa parte, e ammetto che in tutto questo la pubblicazione ne ha un po' risentito. Ma spero che con l'arrivo dell'estate – e la fine della sessione estiva – finalmente le cose si facciano un po' meno pesanti per me.

Ciò detto, che dire? Questo capitolo è stato uno dei primissimi a essere scritti, probabilmente il primo che scrissi quando decisi razionalmente di inserire nella storia la malattia di Aima: sono cambiate tante cose da allora, e ho potuto ultimarlo e rifinirlo in un modo che personalmente mi soddisfa molto. I percorso di Max sta proseguendo pagina dopo pagina.

Prima di lasciarvi alla lettura, non posso che ringraziare come al solito cristal_93 e Persej Combe per le loro gentilissime recensioni.

Un abbraccio enorme a tutti!


Afaneia



Capitolo IX – La sua parte di cattiva sorte.


Nelle ultime settimane, la situazione si è aggravata tanto che si è reso necessario ricoverare Aima in ospedale. Le metastasi ai polmoni le hanno tolto il respiro, e i dolori si sono fatti insostenibili. Curarla a casa, anche con l'assistenza continua di sua sorella Samah e suo cognato, e di Ivan che trascorreva a Ciclamipoli quasi ogni minuto libero, non era più possibile. Hyra sta con loro, adesso.

È mezzanotte, Ivan ancora non è rientrato dall'ospedale. È normale, Max sa bene quanto ci voglia a tornare da Ciclamipoli, e che il suo ritardo non significa niente: Ivan e la sorella di Aima rimangono al capezzale della malata finché gli inflessibili infermieri non li allontanano.

Hyra, però, questo non lo sa. Max non si è sorpreso affatto quando ha visto la luce della cucina accesa, ma è rimasto un po' pensieroso, indeciso se entrare o meno. Sa che Ivan non vuole che sua figlia rimanga alzata fino a tardi e che probabilmente, se fosse qui, la prenderebbe in braccio e fingerebbe di sgridarla, con quella sua bassa voce roca e il tono da pirata, mentre la riporta a letto. Ma lui non è Ivan, e soprattutto Ivan non è qui: Max non ha idea di quando tornerà e sa bene che adesso, con tutti i pensieri e i problemi che ha, non può permettersi di chiamarlo e disturbarlo per qualcosa che dovrebbe essere perfettamente in grado di risolvere da solo. Non gli piace porsi con troppa autorità nei confronti di Hyra, ma in qualche modo bisogna che quella bambina vada a letto.

Schiarendosi discretamente la voce, Max entra in cucina e si sofferma sulla soglia. Hyra è seduta al tavolo, con le gambe che oscillano dalla sedia a un ritmo mesto, e ha davanti a sé una tazza di latte ancora piena. Sulla sua superficie bianca, egli scorge il riflesso del lampadario che vi si specchia in silenzio. Hyra sa che è lì – lo ha sentito – eppure non si muove.

«Ancora sveglia a quest'ora?» chiede ad alta voce in tono di conversazione. Non sa mai come prenderla, questa bambina. Forse, se non dà tanta importanza all'andare a letto, Hyra non si sentirà messa sotto pressione.

Finalmente, la bambina alza lo sguardo e si volta verso di lui. Ha gli occhi stanchi e tristi, gonfi, e Max si sente quasi male nell'accorgersi per l'ennesima volta di quanto siano simili a quelli di Ivan, persino nella tristezza. Le loro labbra hanno la medesima increspatura. Chissà come fa una persona così giovane a somigliare già così tanto a suo padre.

Hyra alza le spalle e annuisce appena, come colta in fallo, colle labbra strette, prima di tornare a concentrarsi sulla sua tazza di latte che non sta bevendo.

Dopo un po', Max parla ancora, in tono neutro. «Non sapevo che ti piacesse il latte freddo a quest'ora. Ti va un po' di cioccolata, magari?»

«No, grazie.» Hyra scuote il capo con tanta dolcezza che a Max fa quasi male.

Questa bambina è piena di ottimi motivi per non dormire. Suo padre non c'è, sua madre è in ospedale, e per quanto lui e Ivan e sua zia possano cercare di tranquillizzarla e di nasconderle la reale gravità della situazione, in realtà tutti sanno benissimo che Hyra ha capito tutto. Si chiede quanto debba sentirsi sola e triste e conclude che, al suo posto, neppure lui avrebbe voglia di dormire.

«Hai ragione, sai» dice infine, ma non più nel tono leggero e colloquiale che ha usato fino a ora. Ora la sua voce è sbrigativa e professionale ed egli marcia a passo deciso verso i fornelli. «La ciocccolata è una cosa da bambini piccoli. Gli adulti bevono caffè. Tuo padre te lo prepara mai?»

Quando finalmemte, nel lucido piano dei fornelli, Max vede il riflesso degli occhi di Hyra che lo fissano con attenzione, egli è certo di averla in suo potere.

«Papà dice che il caffè mi fa male» risponde sospettosamente.

«Tuo padre esagera sempre, lo sai. Ne vuoi un po'? Sarà il nostro segreto. Certo, se preferisci la cioccolata...»

Questa bambina che ancora non raggiunge il metro e trenta di altezza somiglia a Ivan più di quanto lei stessa creda, e proprio come lui non riuscirebbe mai a rifiutare una sfida. Max la vede raddrizzarsi all'improvviso sulla sedia, spingendo orgogliosamente via con la mano la tazza di latte freddo, e sente la sua voce squillante e decisa affermare: «Un caffè, grazie!»

Naturalmente Max non vuole veramente dare del caffè a una bambina di sette anni, e non solo perché sa che Ivan lo picchierebbe. Ragion per cui prepara con cura due cioccolate calde acquose e amare, vi spolvera sopra una minuscola quantità di caffè decaffeinato in polvere, quanto basta per ingannare Hyra, e le porta in tavola con aria d'importanza.

«Spero che non sia troppo amara per i tuoi gusti» soggiunge gravemente mentre si siede.

La cioccolata che ha preparato dovrebbe essere abbastanza cattiva da farle passare la voglia di bere caffè almeno fino alla maggiore età. Max la osserva attentamente berne un piccolo sorso coraggioso ma incerto e stringere un poco le labbra. Con la fronte stoicamente aggrottata, Hyra si pulisce la bocca sulla manica del pigiama e afferma: «Buona.»

Hyra è coraggiosa e testarda come Ivan, e i suoi occhi scuri e assenti hanno la medesima sfumatura triste dei suoi. Sono molto meno disillusi, però. Max ha sempre trovato disturbante questa somiglianza, fin dalla prima volta che ha visto questo scricciolo di otto anni e forse trenta chili di peso, e ora che per la prima volta si trova a guardarla negli occhi e basta, senza nulla da doversi inventare per tenerla impegnata, e che non ci sono luci o rumori o contrattempi o nient'altro a distrarlo da lei, capisce finalmente perché.

Hyra ha gli stessi occhi di Ivan quando aveva vent'anni, al tempo delle grandi illusioni magnanime e generose della giovinezza, quando facevano parte di quella squadra da quattro soldi che aveva ambiziosi e nebulosi progetti di grandezza e che poi è svanita, a poco a poco, senza lasciare traccia sulla terra. A quei tempi, Max ritiene di aver parlato con Ivan forse sei o sette volte in tutto, e solo per litigare, dato che litigare e farsi grossi e alzare la voce sembrava l'unico modo per affermarsi e farsi notare in quella banda di ragazzetti spauriti che si atteggiavano a criminali e salvatori del mondo. Non si conoscevano bene, allora. Guidavano due gruppi diversi e con compiti opposti, e odiarsi in quell'ambiente era naturale, e Max provava un cordiale disprezzo per quel ragazzo grande e grosso, rumoroso e confusionario che era sempre circondato da squinzie e che portava sempre a termine ogni missione col massimo spreco possibile di risorse e di tempo e di uomini perché si divertiva così. Ma dell'Ivan di quegli anni, oltre al frastuono e alla confusione e alla vanagloriosa baldanza, Max ricorda ancora la franchezza limpida dei suoi occhi. Con l'età la franchezza è rimasta, certo, ma la portata delle sue illusioni, ovviamente, si è ridotta. È strano ritrovare quella medesima luce negli occhi di Hyra, a distanza di tanto tempo.

«Sei preoccupata per tua madre?»

Gli occhi di Hyra si riempiono improvvisamente di lacrime, eppure lei non piange. Mordendosi le labbra per ricacciarle indietro, con un orgoglio che Max non pensava che i bambini potessero provare, Hyra deglutisce e scandisce faticosamente: «Sono preoccupata perché nessuno mi dice mai niente.»

Nessuno sono Ivan, sua sia, forse anche lui, per quanto poco egli sappia davvero di ciò che sta accadendo. Max annuisce gravemente. Hyra ha ragione, dopotutto.

«Vedi, Hyra... tuo padre non ti dice alcune cose perché non vuole che ti preoccupi.» Gli occhi incupiti di Hyra hanno un lampo al di sotto delle sopracciglia scure, e Max si affretta a specificare: «So che ottiene l'effetto opposto, ma tuo padre vorrebbe solo che tu fossi tranquilla... e anche la tua mamma. È per questo che a volte non ti dicono qualche cosa, ma nessuno vuole tenerti all'oscuro.»

«Sì, lo so, però» borbotta Hyra senza alzare lo sguardo. A questo però non ci sarà alcun seguito: Max sta ormai imparando il linguaggio viscerale e istintivo dei bambini, con la sua vasta portata espressiva.

«È per questo che sei ancora sveglia?» domanda cautamente. «Vuoi aspettare tuo padre per sapere come sta la mamma?»

Hyra incassa il capo tra le spalle e fa cenno di sì con la testa. È ancora imbronciata, certo, ma quantomeno parlare sembra esserle di qualche conforto. «Ho pensato che se lo aspetto sveglia non potrà non dirmi niente.»

Certo che no. In compenso picchierà me per non essere stato in grado di mettere a letto una bambina di otto anni. Ma in realtà, per quanto cinico Max possa illudersi di essere dentro di sé, sa benissimo che non è per questo motivo che si trova seduto qui, al tavolo della cucina, a cercare di mandare a letto la figlia del suo compagno.

«Senti, io ho un'idea migliore. La vuoi sentire?»

Hyra alza lo sguardo su di lui, con l'aria di qualcuno che non abbia niente di meglio da fare che starlo ad ascoltare, e Max si sente autorizzato a parlare.

«Tuo padre sarà esausto quando tornerà e non gli farà piacere trovarti alzata. Invece domattina potrei pensarci io a farlo alzare presto e a mandarlo da te. Così potrebbe svegliarti lui e tu potresti mettertelo sotto torchio e fargli tutte le domande che vuoi. Ci penso io a non farlo scappare. Che te ne pare come idea?»

Quanto alle risposte, beh, gli dispiace, ma Ivan dovrà cavarsela da solo. Max ha un'idea molto chiara di dove finisce il suo rapporto di patrigno, se è così che può definirsi, e non ha proprio alcuna intenzione di spingersi oltre quel confine invisibile ch'egli ha ben delineato nella sua mente.

Con tutta la caparbietà e la cocciutaggine che ha ereditato da Ivan, Hyra ha comunque otto anni, e gli occhi esausti e piccoli di sonno e gonfi di pianto. La sua proposta, tutto sommato, dev'essere allettante.

«Davvero lo sveglierai presto?»

«Ehi, sono il grande Max, piccoletta. Pensi davvero che sia arrivato a essere quello che sono raccontando bugie?»

Beh, o almeno non aveva mai saputo che fossero bugie, il che, tecnicamente, non le rendeva tali.

«Se me lo prometti...» borbotta Hyra, che forse ancora non vuole ammettere che la sua idea tenta la sua stanchezza. Ma Max, che ormai sente d'aver vinto ogni sua possibile resistenza, non ha intenzione di demordere.

«Già, te lo prometto» ribadisce con calma, spingendo discretamente via la tazza del suo pseudo caffè poco meno che vomitevole. «E ora vai a letto, piccoletta. Ci parlo io con Ivan. E basta caffè. Siamo intesi?»

Finalmente, dopo questa lotta che Max ha combattuto e ha vinto con tutta la delicatezza di cui disponesse, Hyra accetta di abbandonare il campo. Allungando le gambe, scivola giù dalla sedia e si avvia verso la porta, e Max può tirare un sospiro di sollievo. Forse, dopotutto, Ivan non lo ucciderà per questa volta.

«Max, tu sei uno scienziato, giusto?»

O forse sì, dipende. Con un sospiro, Max si volta sulla sedia. Hyra è tornata ad appoggiarsi alla soglia, e a quanto pare è anche da lui che si aspetta delle risposte, questa notte. Le fa cenno di sì con la testa. «Già... una specie.»

«Pensi che mia mamma morirà?»

Max vorrebbe mentirle più di ogni cosa al mondo. Ma davanti a questa bambina estenuata e confusa, che non vuole nient'altro che il ritorno di suo padre e la salvezza di sua madre, tutto ciò che trova la forza di dire è: «Va' a dormire, Hyra. È tardi. Tua madre non è sola. C'è tuo padre con lei.»

E non c'è niente che né lui né lei possano fare, ora. Colle labbra strette e gli occhi lucidi di pianto e di delusione, Hyra fa cenno di aver capito e riprende lentamente la via della sua camera. Non ci saranno altre domande vane, per questa notte.


Max era così stanco che ha finito per addormentarsi, anche se si era ripromesso di aspettare Ivan. Ma dev'essere rincasato davvero tardi, o forse il suo sonno doveva essere davvero profondo, perché Max si accorge che il suo uomo è rientrato a casa solo quando si sveglia e se lo ritrova accanto a sé, già – o più probabilmente ancora – sveglio. La cosa lo lascia un po' spiazzato.

«Quando sei tornato?»

Ivan ha gli occhi assenti, infissi nel muro di fronte al letto. Non si volta verso di lui, ma aggrotta un sopracciglio a mo' di saluto, e questo sembra il massimo che sia in grado di fare, al momento.

«Penso fossero le tre. Aima è stata... molto male. Mi dispiace se mi hai aspettato.»

Puntellandosi al materasso, Max si solleva a sedere sul letto. Non ha più l'età per le notti piccole.

«Che cos'ha avuto?»

«Non l'ho capito bene. Una specie di crisi... ha vomitato. Ma poi le hanno messo un tubo dal naso ed è andata meglio, credo...»

Max fa cenno di aver capito, anche se non è sicuro che Ivan lo stia guardando. Pensa di aver capito cosa è successo e, se le cose stanno come pensa, non c'è nulla per cui essere ottimisti.

«Hai fatto bene a restare là.»

Ivan accenna un sorriso stanco, tirato, e questa è tutta la sua risposta. La verità è che Ivan è ancora , a Ciclamipoli, in quella stanza d'ospedale il cui odore indescrivibile di disinfettante e medicinali Max conosce bene quanto lui, per averlo sentito infinite volte sulla sua pelle e sui suoi vestiti. Vorrebbe che esistesse un modo per strappare la sua mente da quell'ospedale, almeno per qualche minuto, e da quell'odore terribile e dal volto morente di quella donna, ma sa bene che questo è impossibile.

«Ho parlato con Hyra, stanotte. Ho faticato un po' a mandarla a dormire. Le ho dovuto promettere che le avresti parlato tu, stamattina.»

Parlare di Hyra sembra riportarlo al presente, almeno un po'. Voltandosi lentamente verso di lui, Ivan annuisce. «Già, io... penso che dovrò farlo. Ieri l'ho lasciata da sola per tutto il giorno, e non penso che abbia capito perché. Ma grazie di essere stato con lei.»

Grazie. Forse che son cose per cui si debba dir grazie, queste? Ma di lanciarsi su una conversazione sopra i massimi sistemi dell'essere genitori e patrigni e condividere insieme la buona e la cattiva sorte e stronzate varie, francamente, Max non ne ha propria voglia e sicuramente non l'avrà mai.

«Non c'è di che. Ma se dovesse dirti che le ho dato da bere del caffè, tu non crederle. Era cioccolata amara, solo che lei non lo sa.»

Ma Ivan, che normalmente dovrebbe come minimo scoppiare a ridere della sua risata esplosiva e roboante, o infuriarsi, o qualsiasi altra cosa, non ha alcuna reazione.

Continuare a insistere non servirà a niente. Per il momento, Max decide di lasciar perdere e di rimanere in zona: Ivan gli parlerà quando e se ne avrà voglia. Nel frattempo, tanto vale andarsene un po' di là a fare qualcosa di utile, come preparare la colazione, e aspettare.

«Max.»

Il dolore negli occhi di Ivan è qualcosa che Max non imparerà mai a fronteggiare, eppure, per quanto male sappia già che questo gli farà, si volta quando si sente chiamato, e si prepara a sostenere la parte che di quel dolore gli spetta. La sua parte di cattiva sorte. «Sì, Ivan?»

«Il dottore è stato chiaro. Non ce la faranno mai più portare a casa. Non arriverà al prossimo compleanno di Hyra e forse nemmeno a questo sabato. Ma io come faccio a dirlo a Hyra?»

Max si augura con tutto il cuore che Ivan lo sappia che una risposta a questa domanda non può esistere in nessun luogo della terra, e che di certo, quand'anche esistesse, non potrebbe essere lui a conoscerla. Ma, in fin dei conti, egli lo sa che Ivan non gli ha posto questa domanda perché spera di poter ricevere da lui una risposta, e questo è se possibile più terribile ancora, perché in questo caso come può venirgli in aiuto?

Tutto ciò che per il momento può fare è non uscire dalla stanza e rimanere lì. Anche se il peso troppo greve di domande irrisolvibili sembra rendere la stanza opprimente e l'aria irrespirabile e lo spazio invivibile, per lui come per il suo compagno, e sarebbe così facile andarsene di là e fingere che tutto questo non stia accadendo.

Perciò, Max si ferma sulla soglia, coraggiosamente, e aspetta.

La voce di Ivan è così dolorosa che potrebbe piangerne.

« Non so cosa fare, Max. Vorrei che Hyra restasse con sua madre per le ultime ore che le restano, ma Aima ha un tubo nel naso e non riesce quasi a parlare. Come posso permettere che se la ricordi così?»

Non c'è niente da fare. Per quanto Max si sforzi di cercare qualcosa, dentro di sé, che possa almeno in parte costituire un conforto, egli non trova niente che non sia arido e desolato e disperato e del tutto privo di risposte. È questo tutto quello che ha da offrirgli, ma Ivan lo sa, ed è esattamente questo che gli sta chiedendo.

Max torna a sedere sul letto e aspetta.

   
 
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