Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 2.974 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous
Heroes 3 e si comincia a tirar fili che sono abbandonati da un po', quindi
cosa si troverà quando tutto sarà stato tirato e la storia sarà
completamente palesata? Chi lo sa, dico io. Anche perché se vi dicessi
altro...beh, sarebbero spoiler enormi quanto case e castelli. E anche a
questo giro non ho molto da dirvi, non avendo toccato zone di Parigi o
altro ed essendo questo, alla fine, un capitolo di preparazione al
successivo, quindi vi lascio alle solite informazioni di rito...
Come sempre vi ricordo la pagina
facebook, per rimanere sempre aggiornati.
E vi ricordo che mercoledì ci sarà un nuovo capitolo di Inori,
giovedì come di consueto sarà aggiornata Laki
Maika'i e venerdì sarà il turno di un nuovo capitolo di Miraculous
Heroes 3, mentre sabato toccherà a Scene,
con la prima parte di Fuoco fatuo.
Detto questo, come sempre, vi ringrazio tantissimo per il fatto che
leggete le mie storie, le commentate e le inserite nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore.
Una persona poteva abituarsi a tanta
brutalità?
Poggiò le mani sui fianchi, facendo vagare lo sguardo sul panorama davanti
a lui e sospirando: avrebbe voluto dire qualcosa ai suoi compagni ma, come
sempre, erano semplici statue immobili che respiravano senza essere
protagonisti diretti di ciò che lui stava vedendo: «Immagino che attendevi
una mia visita…» commentò la voce infantile alle sue spalle, facendolo
voltare verso il ragazzino.
«Kang…»
Il piccolo piegò le labbra in un sorriso, che non arrivò fino allo sguardo
dal taglio tipico degli asiatici: «Non ho voluto dirti il mio nome, ma
sapevo che avresti capito chi ero…» commentò con un sospiro nella voce,
mentre lo affiancava e si metteva fra Tortoise e Hawkmoth, facendo notare
a Rafael la presenza di un nuovo elemento alle spalle del giovane eroe in
viola.
Un piccolo cambiamento, una piccola aggiunta, che non aveva notato
l’ultima volta.
Forse qualcuno che ancora doveva unirsi al loro gruppo?
«Sì. Presto si aggiungerà» commentò Kang, notando la direzione del suo
sguardo: «Molto presto.»
Rafael socchiuse gli occhi, massaggiandosi la fronte e scuotendo la testa,
prima di lasciare andare un sospiro: «Come fai?» domandò, portando la
conversazione su ciò che lo premeva e fissando il giovane: «Insomma, tu
sei morto…»
«Lo so» dichiarò tranquillo il ragazzino, regalandogli un sorriso: «Ed è
proprio con la mia morte che Kwon non può più usare le sue ombre…»
«Ma quindi…»
«Stai cercando di collocare la mia dipartita nella linea del tempo, vero?»
«Sì. Mi piacerebbe capirci qualcosa.»
Kang sorrise, intrecciando le mani dietro la schiena e alzando la testa
verso il cielo, nel quale si stagliavano le nubi grigie create dagli
incendi non domati che stavano divorando la città: «Sono morto mentre voi
combattevate contro Coeur Noir, contro Bridgette» mormorò, passandosi la
lingua sulle labbra: «Ho utilizzato il mio sangue, impedendo a Kwon di
poter usare il potere della sua famiglia e, alla prima occasione usata,
lui ha avvertito le catene della mia maledizione…»
«Della sua famiglia?»
Le labbra di Kang si piegarono in un sorriso, mentre il giovane rimaneva
immobile: «Sei figlio di tuo padre» mormorò, voltandosi e incontrando lo
sguardo sgranato dell’altro: «Non essere stupito, ho conosciuto tuo padre
quando era ancora un giovane avventuriero, in uno dei suoi tanti viaggi:
l’utopia dell’Impero perduto, l’ossessione per i Sette Dei. Chi credi che
l’abbia indirizzato?»
«Sei stato tu…»
«Le risposte che cerchi» Kang si fermò, sorridendo appena e scuotendo il
capo: «No, che cercate. Le risposte che cercate sono molto più vicine di
quanto credi…»
«Le ricerche di mio padre…»
«Esattamente. Quelle che, inconsciamente, ha messo al sicuro per non farle
giungere in mani sbagliate.»
«Ma che…?»
Un nuovo sorriso piegò le labbra del giovane che, voltandosi indietro,
scosse il capo e fece ondeggiare le corte ciocche chiare: «Ho già detto
molto» bisbigliò, i passi lenti verso la parte opposta dell’edificio su
cui si trovavano: «Rifletti, Rafael. La risposta la sai già, è dentro di
te.»
Rafael aprì le palpebre, osservando con il respiro ansante il soffitto
della propria camera: le luci della strada creavano dei giochi sulle
pareti mentre alcune voci strascicate giungevano dalla strada sottostante.
Con un sospiro, buttò le gambe fuori dal letto e raggiunse velocemente
l’imposta, guardando attraverso le fessure di questa e notando i due
ragazzi che, camminando traballanti per la strada, si appoggiavano di
tanto in tanto l’uno all’altro.
Rimase a fissarli, mentre si domandava dove volessero andare dato che quel
vicolo era senza sfondo e chiedendosi quanto avessero bevuto per essere in
quello stato: poteva comprendere il piacere di una buona bevuta, ma non la
mancanza di controllo che portava la gente a ubriacarsi, tanto da non
essere del tutto saldo suoi propri piedi.
Una risata sguaiata giunse alle sue orecchie e quasi voleva scendere per
mandare i due nella giusta direzione, salvando così la quiete notturna del
vicolo: «Rafael?» la voce assonnata di Sarah lo fece desistere
dall’intento di mettersi qualcosa di pesante e raggiungere la strada: si
voltò verso il letto, osservando la ragazza seduta che si stava
stropicciando gli occhi, guardandolo e inclinando la testa, mentre una
ciocca bionda le scivolava sulla spalla nuda: «Va tutto bene?»
Il ragazzo annuì, attraversando la camera e sistemandosi sul bordo del
letto, al suo fianco mentre lei si copriva con le lenzuola e la coperta:
«E’ tutta roba che ho già visto» la prese in giro, agganciando il lenzuolo
con l’indice e abbassandolo un poco, chinandosi e baciandole l’incavo dei
seni: «Ho incontrato Kang» mormorò contro la sua pelle, rialzando la testa
e incontrando lo sguardo di Sarah, adesso sveglio e attento: «E abbiamo
parlato un po’…»
«Che cosa ti ha detto?»
Rafael scosse il capo, lasciando andare un sospiro e stirando le labbra in
una smorfia: «Mi ha detto che ha incontrato mio padre quando era giovane»
mormorò, spostando lo sguardo verso la finestra della camera e fissandola
vacuo: «E’ stato lui a farlo interessare ai regni perduti e al culto dei
Sette Dei.»
«Quindi tuo padre conosce Kang?»
«Non penso che si sia presentato come Kang di Daitya, ma ha avuto il
piacere della sua conoscenza» Sarah annuì, allungando una mano e
carezzandogli la tempia, mentre il parigino riportava l’attenzione
completa su di lei: «Dopo che ha parlato di mio padre, Kang ha detto che
le risposte che cerchiamo sono vicine…»
«Le ricerche…» mormorò subito Sarah, portandosi l’indice al labbro
inferiore e facendo scivolare il polpastrello su questo: «Ma le ho lette e
non c’era niente…»
«Kang ha detto che, inconsciamente, mio padre le ha messe al sicuro.»
«Al sicuro? Da cosa?»
«Forse anche lui è coinvolto in qualche modo con Kwon…» mormorò Rafael,
scuotendo il capo e sbuffando: «Non lo so. Che senso avrebbe ciò che mi ha
detto Kang?»
La bionda annuì, spostando lo sguardo di lato e mordendosi il labbro
inferiore: «Ho lezione con lui domani, cioè oggi, posso provare ad
avvicinarlo e indagare un attimo…»
«Sarah, se mio padre è coinvolto…»
«Ehi, ricordati con chi stai parlando» dichiarò la ragazza, sorridendo e
regalandogli un occhiolino: «Combattevo Coeur Noir da sola, io. Non sono
rimasta a giocherellare con il mio Miraculous e a vedere orribili visioni
di distruzione…»
«Touché» mormorò il moro, allungando una mano e catturando fra i
polpastrelli una ciocca di capelli biondi: «Stai attenta, però.»
«Ci sarà Mikko con me.»
Rafael annuì, abbassando le spalle con un sospiro e voltandosi nuovamente
verso la finestra, accorgendosi che gli schiamazzi dei due erano finiti;
si chinò verso la ragazza, prendendole il viso fra le mani e baciandole la
fronte: «Vado a vedere un attimo il resto della casa e torno a letto»
mormorò, alzandosi e uscendo dalla camera, sotto lo sguardo attento di
Sarah.
«Ehilà, piccioncini!» esclamò Bridgette, avvicinandosi alla moto e
osservando la ragazza che, tolto il casco, lo passava al centauro in nero:
«Ci sarà mai una volta che vedo la mia allieva senza di te, Adrien?»
«Da quando in qua Marinette è tua allieva?» domandò il biondo, alzando la
visiera e scambiandosi un’occhiata divertita con la moglie: «Non mi avevi
detto niente…»
«Da quando faccio lezione qua?» sentenziò Bridgette, indicando l’edificio
alle sue spalle e posandosi poi le mani sui fianchi: «E tutto perché quel
genio di Maxime, prima di andarsene chissà dove dicendo che aveva bisogno
di una vacanza, mi aveva reso disponibile per questi corsi.»
«Povero Maxime» mormorò Marinette, sorridendo: «Gli hai dato un bel po’ di
gatte da pel…oh no!»
«Oh, oh, oh» esclamò Adrien, ridacchiando dietro il casco: «Qualcuno sta
imparando egregiamente.»
«Questo è perché tu non fai altro che fare stupidi giochi di parole tutto
il tempo!» bofonchiò Marinette, incrociando le braccia e girandosi su sé
stessa, rimanendo poi ferma con lo sguardo rivolto verso un punto preciso,
attirando così l’attenzione degli altri due che, seguita la direzione in
cui lei stava guardando, notarono la figura vestita di nero.
«Anche oggi è inquietante» mormorò Bridgette, incrociando le braccia e
fissando il rosso, finché non entrò nell’edificio: «Non mi piace per
niente…»
«Non dirlo a me» mormorò Adrien, chinandosi in avanti e poggiando le
braccia sul manubrio, in modo da gravare con il viso su queste:
«Bridgette?»
«Ci starò attenta, non temere.»
«Sai che posso cavarmela anche da sola, vero?»
«Sì, my lady. Purtroppo però so che hai anche un cuore tenero e non
saresti capace di fare del male a Testa di Pomodoro» dichiarò il biondo,
rialzandosi e sorridendole: «Quindi, onde evitare problemi, io mi affido a
Bridgette.»
«Mi stai sottovalutando.»
«Non potrei mai, my lady» dichiarò Adrien, facendole l’occhiolino, prima
di abbassarsi la visiera del casco e, accesa la moto, s’immise nel
traffico, scivolando agilmente fra le auto e sparendo velocemente nella
strada della capitale parigina.
Marinette rimase a fissare il punto dove la moto aveva svoltato, lasciando
poi andare un sospiro e, stretta nelle braccia, si massaggiò gli
avambracci coperti dal cappotto, guardandosi poi attorno e facendo
saettare la testa in ogni direzione, prima di rilassare la postura.
«Qualcosa non va?» le domandò Bridgette, posandole una mano sulla schiena
e massaggiandogliela, guardando in volto alla ricerca di una risposta.
«Io…» Marinette si fermò, scuotendo la testa e socchiudendo le palpebre:
«In casa mi sento nuovamente tranquilla, forse perché è lì che abbiamo
combattuto lo spirito invisibile ma quando sono fuori…» la ragazza si
fermò di nuovo, negando per una seconda volta con la testa e alzando lo
sguardo verso la donna: «Sento ancora quello sguardo addosso e poi...»
«E poi immagino che quel tipo inquietante non aiuti.»
«No, decisamente no.»
«Ne hai parlato con Adrien?» domandò Bridgette, voltandosi verso la scuola
ed esortandola a avviarsi: «Penso di no, altrimenti…»
«Conoscendolo, si preoccuperebbe troppo.»
«Non tenerlo all’oscuro, però.»
Marinette annuì con la testa, lasciando andare un sospiro e scrollando le
spalle: «Lo so, ma lo conosco e non farebbe altro che preoccuparsi e fare
qualcosa di avventato.»
«Come ogni buon micio che si rispetti.»
«Esattamente.»
Sarah infilò, più in fretta che poteva, i libri nella borsa a tracolla,
alzandosi poi e scivolando fra i posti, raggiungendo così la fine del
lungo banco con lo sguardo fisso sul professore che, flemme, stava uscendo
dall’aula: «Professore» esclamò, osservando l’uomo fermarsi e voltarsi
verso di lei, sbattendo più volte le palpebre, quasi facesse fatica a
mettere a fuoco e vederla: «Sarah» sussurrò la ragazza, poggiandosi una
mano sul petto e sorridendo.
«Oh. Sarah» mormorò Emile, accompagnando le parole con un sorriso debole:
«Come…» si fermò, scuotendo il capo e muovendo le labbra, quasi come se
facesse fatica a far uscire le parole: «Come posso aiutarti?» le domandò,
dopo essersi schiarito la gola.
«Ho letto le ricerche e gli articoli che mi ha consigliato» iniziò
l’americana, portandosi una mano all’orecchio destro e scostando una
ciocca, sfuggita allo chignon: «E mi chiedevo se aveva altro per me. Sa,
sui sette animali e…»
«I sette animali?»
«Sì» mormorò la ragazza, aggrottando lo sguardo e inclinando la testa: «Ne
aveva parlato lei a lezione e mi ero interessata molto all’argomento.»
«Oh. I sette animali…» Emile annuì, quasi come se si fosse ricordato solo
in quel momento di ciò che stavano parlando: «Quando vuole, a casa mia, ci
sono tutti i miei lavori in attesa di essere letti…»
«Oh. Bene» Sarah sorrise dolcemente, sistemandosi meglio la borsa sulla
spalla e facendo vagare lo sguardo attorno a sé, mentre spostava il peso
da un piede all’altro: «Va bene se vengo…» si fermò, incassando la testa
nelle spalle e sorridendo lieve: «Stasera? Con Rafael?»
«Rafael?»
«Sì. Suo figlio» mormorò la ragazza, facendo un passo indietro e cercando
di carpire qualcosa nell’uomo mentre questi si portava una mano alla testa
e si guardava attorno, come se non capisse dove fosse e chi era: «Si
ricorda di Rafael, vero?»
«S-sì» mormorò Emile, sorridendole appena: «Non sapevo che lo conoscesse.»
«Sono la sua ragazza…»
«Oh. Lei è la ragazza di Rafael? Che coincidenza interessante» mormorò
l’uomo, continuando a sorridere vacuo e portandosi una mano alla testa,
massaggiandosi la tempia sinistra: «Mi perdoni, signorina. Adesso devo
andare: l’attendo a casa mia, stasera. Con Rafael.»
«Sì, certo» mormorò Sarah, osservando Emile andarsene con la testa
incassata fra le spalle e il passo lento, ogni tanto l’uomo si fermava
quasi a non capire dove fosse e dove volesse andare, per poi riprendere il
proprio cammino: «Questa cosa non mi piace…»
«Neanche a me, Sarah» mormorò Mikko, facendo capolino dalla borsa e tenendo
lo sguardo blu sul professore: «Forse Rafael ha visto giusto quando ha
detto che suo padre potrebbe essere collegato a Kwon.»
L’americana annuì, senza abbassare lo sguardo verso la piccola kwami e
continuando a fissare l’uomo che, lentamente, si allontanava da lei: «Sì.
Ma in che modo sono collegati?»
Wei mosse il collo, sentendo i muscoli dolere a quel movimento e
sospirando, mentre abbandonava la sacca accanto alla porta e si toglieva
gli scarponi, sistemandoli poi ordinatamente vicino al muro, pronti per
essere usati il giorno successivo: Wayzz volò per il corridoio,
precedendolo verso la cucina mentre lui lo seguiva con passo lento,
decidendo l’ordine in cui si sarebbe mosso.
Prima doccia e poi spuntino?
Oppure prima lo spuntino e poi la doccia?
Forse era meglio se, prima di ogni cosa, si toglieva di dosso il sudore
del lavoro e la fatica, concentrandosi poi sulla missione di rifocillarsi
e preparare infine la cena per tutti: «Oh» mormorò, una volta entrato in
cucina e notato la ragazza che, con una tazza di ceramica bianca in mano,
sembrava aspettarlo pazientemente: «Casa non è esplosa?»
«So farmi il caffè da sola» mormorò Lila, osservando i due kwami che,
ritrovatisi, avevano iniziato a chiacchierare fra loro.
Wei annuì, avvicinandosi a lei e sfiorandole le labbra con le proprie,
avvertendo il sapore del caffè che aveva iniziato ad associare alla sua
bella italiana: «Vado a farmi una doccia» mormorò, sorridendole appena:
«Oggi è arrivato un carico bello grosso da Mercier e sono distrutto.»
«Mia madre ti ha fatto un’offerta, vero?» domandò improvvisa Lila,
ignorando le sue parole e facendolo irrigidire: «Quella donna…» continuò,
storcendo la bocca in una smorfia e nascondendo poi il volto nella tazza.
«Lila, io…»
L’italiana sbuffò, abbassando la tazza e poggiandola con un rumore secco
sul bancone della cucina: «E sai cos’è peggio? Che ha provato a servirmi
la storiella che tu avevi proposto di andare con lei.»
«Cosa?»
«Come se non riconoscessi una bugia lontano un miglio: sono un ottimo
bugia-radar» borbottò l’italiana, portandosi indietro le lunghe ciocche
castane e scuotendo il capo: «E se sparo battute del genere, vuol dire che
sono stata troppo a contatto con Adrien e Rafael.»
«Lila…»
«Non avrei mai pensato che mia madre arrivasse a tanto» riprese la
ragazza, scuotendo la testa e voltandosi da una parte, il petto che si
muoveva veloce con il respiro: «Lei…lei…» si fermò, puntando lo sguardo
chiaro sul cinese: «Immagino che vuoi lasciarmi, vero? Ecco, perché eri
così teso in questi giorni e adesso…»
«Lila» mormorò Wei, prendendole le mani e posandosele sul petto, tirandola
contro di sé e fissandola negli occhi con un sorriso mite in volto:
«Placati, per favore. Non potrei mai farti uscire dalla mai vita e lo sai.
Non ti lascerò libera, se è questo quello che pensi e per tua madre…» si
fermò, allungando una mano e carezzandole piano la guancia, timoroso di
vederla sgretolarsi davanti a lui, mentre il cuore gli doleva davanti allo
sguardo umido di lei: «Io non sapevo come dirtelo. Non volevo neanche
dirtelo, ferirti ancora di più per il suo comportamento e non pensavo che
lei sarebbe venuta da te, provando a proporti la storia che io…che io…» si
fermò, sorridendo appena: «Non riesco nemmeno a dirlo.»
Si fermò, osservandola chiudere gli occhi e cercare di trattenere le
lacrime, mentre lui l’avvolgeva nel suo abbraccio, sentendola rigida: la
sua forte e indomita volpe era stata nuovamente ferita dalle persone che
dovevano proteggerla e adesso era suo compito far sì che non diventasse
nient’altro che pezzetti di sé stessa.
Era suo compito difenderla, anche dalla sua stessa famiglia.
Soprattutto dalla sua stessa famiglia che, più di ogni altra cosa,
sembrava esser capace di ferirla in modo così profondo e devastante.
«Ti comprendo» sbuffò Lila, dopo un bel pò aprendo le dita sul petto di
Wei e carezzandogli la maglia: «Quale madre ci prova con il fidanzato
della figlia?»
«La tua, a quanto pare.»
«Se era una battuta, non era divertente.»
Wei sorrise, allontanandosi un poco e chinandosi, catturandole la bocca in
un nuovo e veloce bacio: «Vado a farmi una doccia e poi penso alla cena,
ok?» le propose, allungando una mano e carezzandole la guancia, mentre lei
tornava a essere una parte della sua Lila: lo sguardo si illuminò subito
di malizia e le labbra si piegarono in un sorriso che tanto preannunciava.
«Vuoi una mano?»
«E’ sempre gradita, lo sai.»
Strinse i pugni, tenendo lo sguardo sull’acqua scura della Senna e
osservandola mentre sciabordava placida contro la banchina.
Lui.
Doveva toglierlo di mezzo.
L’aveva visto quella mattina, mentre la guardava e parlava con lei.
Lui era l’ostacolo.
Doveva essere tolto, spianato, distrutto.
Ogni volta che lo vedeva, quella convinzione era sempre più forte.
Senza di lui, lei sarebbe stata sua.
Senza di lui…
Si fermò, guardandosi i palmi delle mani e osservando le proprie dita
piegarsi lentamente su sé stesse: se lui non fosse mai stato nelle loro
vite, adesso sarebbe stato tutto diverso.
Lei sarebbe stata al suo fianco, gli avrebbe sempre sorriso dolce e
innamorata.
Avrebbe portato il suo anello all’anulare.
Tutta colpa di lui.
Lui doveva cessare di esistere, solo così le cose sarebbero andate nel
giusto ordine.
L’acqua si ingrossò sotto il suo sguardo, mentre un tocco umido gli sfiorò
la guancia e il potere crebbe dentro di lui, circondandolo completamente e
i vestiti scuri vennero sostituiti dall’uniforme da generale di Kwon: «Lui
sarà annientato» mormorò, alzando la mano e osservando le dita, chiuse
fino a sentire le unghie conficcarsi nella carne: «Lui deve essere
cancellato.»