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Autore: Urban BlackWolf    19/06/2017    2 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il precipitare degli eventi

 

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Le due del mattino ed ancora non aveva trovato niente. Iniziava a disperare. In tutta franchezza era convinta che la ricerca sulla sorte che aveva accompagnato quelle due ragazze dai nomi incisi sulla stele dell'altopiano sarebbe stata molto più facile. Forte di accessi che ai più non era facoltà di possedere, Michiru era partita letteralmente in quarta la tarda sera precedente, entrando speranzosa negli archivi del castello di Montebello, spinta da una curiosità atavica prettamente femminile, ma dolcissima, per ritrovarsi ora a vagabondare per siti sconosciuti completamente spaesata.

Incollata al monitor con gli occhi semichiusi, il mento appoggiato al palmo sinistro, la mano destra dimenticata mollemente sul mouse, affranta, seduta sullo sgabello della penisola con la sua camicia da notte premuta addosso, sbuffò raddrizzando la schiena intorpidita.

Dovrei arrendermi ed andare a letto si disse stiracchiandosi per poi aprire l'ennesimo link di riferimento avvertendo un leggero crampo allo stomaco. Guardando il barattolo dal vetro trasparente con la faccia sorridente di un minion stampata sopra, si alzò per attingere alle scorte ipercaloriche che la sua dolce metà era solita lasciare in giro per casa. Afferrando un biscotto burroso si appoggiò spalle al pianale di granito affondando il primo morso. Due secondi e smettendo di masticare guardò con aria quasi disgustata quella bomba zuccherina.

Ma come fai anima mia a mangiare questa roba!?

Tornando al computer si risedette lasciando dondolare una gamba. Dov'è che Haruka aveva trovato i loro nomi? “Annuario del quindici del comune di Bellinzona?!” E digitò iniziando una ricerca del tutto nuova.

Muovendo freneticamente la matita gialla dal gommino rosso che aveva preso convinta che le sarebbe servita per appuntarsi chissà quali fantomatiche scoperte, iniziò a scorrere il cursore navigando nella sezione storica del sito comunale. Poi un nome catturò la sua attenzione e guardando la cartina di zona che aveva lasciato aperta sul tavolo, pensò che forse stava seguendo un approccio sbagliato. Continuava a “sbattere” la testa cercando nella loro zona, ma a quanto sapeva, Heles non era di Bellinzona. Poteva essere nata o cresciuta in una frazione vicina, lungo il corso del Ticino per esempio. Non poteva fare affidamento sull'altra ragazza chiamata Milena, perché ne sapeva ancora meno. Allora decise di entrare nella pagina del sito del primo comune con un archivio abbastanza fornito; Bodio e riprese la sua ricerca allontanando il sonno e le calorie del biscotto burroso.

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 5/6/1915

 

Siamo quasi arrivate all'orlo di quota.

Le ragazze stanno reagendo bene al nevischio che da

questa mattina continua a scendere.

Sono molto fiera di loro. Di ognuna.

Sarà che ho l’anima troppo carica di gioia

per vedere la negatività che i nostri inseguitori vogliono donarci.

Non mi interessa. Non voglio pensare ne a loro, ne a Daniel,

ne a quello che troverò a Berna. Nei miei pensieri c'è solo lei.

Nel mio cuore c'è solo lei. Solo lei. Haruka.

M.K.

 

Il sottile strato di ghiaccio scricchiolante sotto i denti di ferro dei suoi ramponi generava un suono ovattato che stava istillando nelle orecchie di Haruka un senso di lieve narcolessia, come se il mantra naturale generato dalla cadenza del suo incedere su per il sentiero che le stava portando allo scavallamento del passo, avesse avuto il potere benedetto di estraniarla da tutto ciò che la stava circondando; fatica, senso di nausea, stanchezza. Solo quello strano senso di felicità misto ad un continuo sfarfallare agitato dello stomaco le suggeriva che era ancora viva, in marcia, sotto una pioggerella gelida di acqua e neve, in fuga da due bracconieri che sapeva essere ancora li, dietro di loro, alla testa di un gruppo ormai ridotto al paradosso di un branco di comparse che si aggiravano tra le vette ancora imbiancate delle Alpi.

Camminava Haruka, camminava, respirava e continuava ad andare avanti, mentre pensieri al limite della follia s'insinuavano ad ogni falcata dritti nella testa, come spine fastidiose, solleticandole la speranza che forse le parole di Giovanna e le richieste di Michiru avessero un fondo di verità. Forse anche lei avrebbe potuto vivere ed essere felice. Si era innamorata, è questo era un fatto, ormai l'aveva accettato non capendo come quel sentimento per lungo tempo repulso, avesse potuto colpirla ed atterrarla con tanta facilità e in un tempo così breve. Ed era bastato così “poco”; il sorriso di un essere brillante, il suo sguardo limpido e l'incuranza di fronte alle sconfinate paure di una bionda ragazzona testarda.

“Tu sei... promessa... ad un uomo...” Le aveva ricordato in un respiro al limite del silenzioso, sperando che bastasse a farla desistere, ma intimamente terrorizzata dall'essere ascoltata.

La voleva la sua Michiru e nel contempo ne era spaventata da morire, perché quella ragazza sembrava non voler rendersi conto di quanto la scelta di amarla avrebbe potuto mozzarle la vita.

Tu sei promessa ad un uomo. Formulò nuovamente nella testa continuando a camminare come un mulo desideroso dell'accoglienza famigliare della sua stalla.

“Io non ho niente. Non sono niente se non uno sbaglio.” Le aveva detto con dura timidezza concedendo alle sue dita di sfiorarle impercettibilmente i capelli.

“Io non vedo sbagli..., vedo solo splendore Ruka.” E come una scudisciata bene indirizzata, la bionda si era sentita pervadere il cuore da un calore talmente avvolgente e grato d'avvertire un senso di vertigine.

“Haruka vai troppo veloce. Aspetta!” Usagi la chiamò bloccandone i pensieri. Voltando il busto la vide arrancare e dietro a lei tutta la cordata.

“Come?”

Qualche secondo e la biondina riuscì a raggiungerla. “La corda è troppo tesa. Hai le gambe più lunghe delle nostre. Solo Mako riesce a starti dietro.” E scoppiando a ridere indicò le compagne che lentamente stavano salendo dietro di loro.

La guida le guardò non vedendo però nulla. Nulla compariva dinnanzi a lei, nulla tranne il ricordo del calore che quella fronte le aveva lasciato sulla clavicola non appena le altre avevano iniziato a far capolino provenendo dal ponte.

“Hai ragione Usagi. Scusa.” Sorridendo le piantò il palmo guantato con energica forza sulla testa schiacciandole il cappello per poi gridare alla sorella di raggiungerla.

“Che c'è?” Chiese arrivando rossa in viso per lo sforzo.

“Giovanna prendi tu la guida. Io non ho... la testa oggi. Rischio di far danno.”

“Non ti senti bene?” Corrugò la fronte mentre l'altra si staccava il gancio di cordata per spostarsi da un lato.

“No, ma non sono concentrata a sufficienza. - E mentre le parole le uscivano dalle labbra accompagnate dalle nuvole di vapore, nel cervello solamente lei. - Fammi il piacere. Resterò per un po’ accanto ad Usagi. Sei d'accordo ragazzina?” Sorrise sentendosi mortificata. Che cosa diavolo le stava succedendo!

“Come vuoi Haruka, ma bada a rimetterti in sesto. Guarda il cielo... a breve il nevischio si intensificherà e dovremmo trovare un riparo.” Disse indulgente lasciandole un colpetto su una spalla aspettando che le arpionasse il moschettone in vita per poi vederla scalare ed andare accanto alla ragazzina che tutta contenta se la guardò adorante.

Così marciarono riuscendo a scavallare prima che il nevischio fastidioso che le aveva accompagnate fin dalla fine della linea della foresta, non iniziasse ad essere una tormenta di ghiaccio. Raggiunsero un rifugio proprio prima del pranzo.

 

 

Valle del Ticino, Bodio.

Svizzera meridionale – 5/6/1915

 

Avrebbe tanto voluto spaccargli la faccia, eviscerarlo, tritargli le ossa, in una parola sola, farlo soffrire abbastanza da sentirlo supplicare in tutte e quattro le lingue che adornavano la storia del suo paese. Stefano strinse le labbra cercando di contare fino a dieci, ormai sicuro che quel piccolo bastardo saccente medicastro austriaco lo stesse facendo apposta. Da quando erano partiti dal distaccamento non aveva fatto altro che infangare la sua terra con epitaffi al limite dell'offesa personale, continuando ad additare la Confederazione come un gruppo di burocrati economisti senza nerbo, più avvezzi ai guadagni che ad una presa di posizione armata. Affiancato al capo del piccolo gruppo di dieci soldati che erano stati dati in dotazione da Smaitters per aiutare il Sottotenente dei Dragoni a cercare la sua fidanzata, Stefano non ne poteva più ed anche se partiti da un paio di giorni, sentiva di essere già arrivato al culmine della sopportazione. Già era stato chiamato dal suo superiore a svolgere era un compito ingrato, ci si metteva anche quell'arrivista pieno di se a rendergli le cose ancora più complicate.

Stefano avrebbe fatto di tutto perché quella ricerca risultasse infruttuosa, sapeva benissimo che se fossero riusciti a raggiungere la signorina Kaiou, anche Giovanna, sicuramente ancora con lei e le altre ragazze, sarebbe stata trovata e l'arresto avrebbe dato il consequenziale seguito al furto del materiale tecnico. Ma purtroppo sia il suo Tenente, che Daniel Kurzh lo avevano preventivato, ed il fante sapeva di non poter tirare troppo la corda. Così aveva preso a percorrere tracciati zigzaganti avvolte totalmente inutili, cercando di dare al gruppo delle sorelle Tenou più vantaggio possibile.

 

 

Gli occhi di Rei Hino andarono a posarsi sulla cima delle vette che si stagliavano dritte di fronte a lei. Ferma dietro al vetro di una delle finestre del rifugio non riusciva a sentirsi tranquilla, anzi, appena varcata la soglia aveva preso a manifestare nervosismo ed un'insofferenza talmente violenta da farla quasi arrivata alle mani con Makoto. Michiru aveva additato quel comportamento al ricordo ancora fresco dell'incontro infelice che avevano avuto al “taglio dell'erba” e che stava condizionando il loro viaggio ancora adesso, ma in realtà non era così. La stessa Rei aveva notato come quel benedetto rifugio, sorto proprio dopo lo scavallo del passo, fosse diversissimo dal precedente. Solamente la struttura lignea poteva dirsi simile, tetto a falda, canonici due piani, un camino di pietra al lato di una grande sala che fungeva d’accoglienza e per il ristoro della clientela, ma per il resto nulla poteva far scaturire comparazioni di nessun genere con quel ritrovo di taglia gole. Le poche persone che avevano incontrato erano state degli alpinisti svedesi di una certa età, praticamente esuli di guerra, mentre i gestori erano stati sin da subito gentili e disponibili. Le avevano rifocillate dando loro tre stanze per poter riposare. Gli ambienti erano bel puliti ed accoglienti. Perché allora la ragazza si sentiva tanto agitata?

“Non l'ho mai vista comportarsi così.” Disse sottovoce Minako che tra tutte era quella che la conosceva meglio.

Seduta a crogiolarsi accanto al fuoco dell'enorme camino di pietra basaltica, Haruka rispose alzando leggermente le spalle non staccando gli occhi dalla danza rossa. “Che vuoi che abbia. E' semplicemente stanca. Non è facile condividere gli spazi con altre sette persone e un lupo.”

Guardandola bere la sua tazza di caffè fumante l'altra scosse la testa oltrepassandole poi con lo sguardo le spalle, tornando a puntare gli occhi chiari a quelle di Rei. Sempre ferma a quella finestra. Sempre la stessa espressione preoccupata sul viso.

“Non farti paranoie Mina.” La riprese la bionda che ormai aveva iniziato a comprendere il carattere di ognuna di loro.

Minako era colei che, perennemente in cerca dell'ammanto rosa della vita, vedeva in ogni cosa amore. Lo cercava. Lo bramava. Lo chiamava. Per un carattere schivo e pragmatico come quello dell’orso alpino, un vero supplizio.

“Sarà, ma siete tutte un po' strane ultimamente. Prendi te, per esempio.” E stirando un sorrisetto furbesco gettò la pastura aspettando che il grande squalo bianco arrivasse.

Incuriosita l'altra si concesse al dialogo guardandola da sotto la frangia ancor più chiara di quella della viennese. “Cosa c'entro io?!”

Eccolo all'amo. “Diciamo solo che negli ultimi giorni hai come la testa fra le nuvole. - E vedendo Haruka storcere la bocca sibilando con le labbra, continuò concludendo la pesca. - Cosa che ho notato anche in Michiru.”

Capita la malaparata la più grande si alzò di scatto cercando di salvare il salvabile e borbottando incomprensibilmente un qualcosa riferito al sonno o al dormire, si dileguò verso le scale che portavano al piano superiore. Non aveva nessuna voglia di discutere o controbattere. Sapeva infatti che Minako era sempre in ansia per le sorti del fratello Wolfgang e alla bionda proprio non andava di essere scontrosa con lei.

Rimasta sola a sorseggiare una buona tazza di te, Minako trattenne a stento una risata argentina non capendo perché quella donna non volesse ammettere di provare sentimenti tanto belli e tornando a guardare le spalle di Rei aspettò che si arrendessero al sonno. Appena l'ora fosse giunta l'avrebbe riaccompagnata in camera.

Arrivata al pianerottolo Haruka si fermò grattandosi la testa. Dio, era davvero tanto presa da Kaiou da lasciarlo intravedere cosi' impunemente? Doveva cercare di darsi una controllata. Aveva addirittura lasciato il suo posto di capo cordata alla sorella pur di non perdere quella sensazione d'incredibile beatitudine che il suo animo stava provando.

Tenou... smorza l’entusiasmo! E' solo una ragazza... che diamine! Bella da mozzare il fiato, con gli occhi intensi e profondi, il sorriso più dolce e prepotente che abbia mai solcato viso di donna, un corpo che non fa che farmi fare cattivi pensieri, ma… pur sempre una ragazza, porca miseria! Sospirò talmente forte che il suono prodotto sembrò riecheggiare nel silenzio del corridoio. Maledizione! E non appena ebbe ripreso a camminare, lentamente la porta di fronte alla sua camera si aprì e quella stessa benedetta dea, uscì sbattendogli contro.

“Oddio Haruka. Scusa.” Disse ritrovandosi le mani dell'altra arpionate ai fianchi.

In stallo, si fissarono qualche secondo, poi sentendo il tocco della bionda sciogliersi imbarazzato, Michiru le afferrò entrambe le mani perche' non si allontanasse dal suo corpo. Continuando a guardarla intensamente le chiese dove fossero Minako e Rei.

“Giù... da basso.” Rispose avvertendo il calore delle mani sulle sue e del suo corpo sotto i palmi.

“Bene. Allora vado a chiamarle. Non voglio che stiano sole in un ambiente che non conoscono.” Ma non riusci' a muoversi subito ed Haruka fece altrettanto.

“Ruka...”

“Mmmm...”

“Fai buon riposo.” Le sussurrò ad un orecchio dopo qualche secondo donandole un bacio sulla guancia, molto, molto vicino al labbro ferito.

Sorridendo leggermente arrossata Michiru le lasciò le mani dirigendosi verso le scale per scomparire subito dopo. Sfiorandosi con l'indice ed il medio della mano sinistra la pelle che aveva avvertito quel contatto, la bionda chiuse gli occhi. L'insegnante non le stava rendendo la difesa facile, tutt'altro, si sentiva come un forte sotto assedio, senza più acqua ne viveri, pronto alla più nera capitolazione.

Vinta e pronta ad un'altro paio d’ore d'agonia al pensiero di lei, entrò nella stanza che divideva con la sorella sollevata nel vederla già sotto le lenzuola. Completamente sfiancata dalla guida in cordata, Giò aveva optato per il riposo prima di tutte le altre, ritirandosi praticamente subito dopo cena. Infidamente Haruka sogghignò soddisfatta. Adesso sapeva cosa volesse dire avere la vita di sette anime sotto la propria responsabilità. Richiudendo silenziosamente la porta la bionda passo' oltre al suo letto con fare circospetto. Era da più di un anno che non condividevano gli spazi di una stanza e non avrebbe saputo che dire se l'avesse trovata sveglia, magari vogliosa di quattro chiacchiere com'erano solite fare da tutta una vita. Togliendosi il maglione di lana rossa dal collo lo gettò sul suo letto andando ai vetri della finestra. Nel tardo pomeriggio si era scatenata una vera bufera di vento e nevischio. L'indomani tutta la discesa sarebbe stata coperta di ghiaccio e avrebbero dovuto rallentare la marcia per non rischiare incidenti.

Poggiando la fronte sul freddo del vetro ne avvertì il contrasto con il caldo della pelle. La sentiva ardere, soprattutto in punti del corpo ai quali di norma non pensava. Mortificata dal turbine di pensieri poco casti che la sua fantasia bacata stava avendo dal contatto delle labbra dell'insegnante con la pelle del proprio viso, si girò guardando il fagotto nel letto accanto al suo. Non era sola nella stanza, ma se avesse fatto piano forse avrebbe potuto dare un po' di sollievo al desiderio carnale che sentiva ormai incontrollato pulsarle nelle vene.

 

 

Un serpente dalle scaglie rosse e verdi la stava fissando. Non sembrava minaccioso, ma dormiente. Rei non vi badò andando avanti camminando per la pianura arida ricca di quella sabbia africana del quale si diceva fosse fatto il deserto del Sahara. Poi, improvvisamente il rettile visto poco prima si staccò da terra diretto con un balzo verso il cielo fattosi stranamente scuro e roteando su se stesso iniziò una trasformazione divenendo un dragone. Un dragone tutto bianco con paglie dorate e due occhi chiari. Questi la fissavano e lei li riconobbe. Poi vide Michiru camminare poco altre. Andava verso una distesa d’acqua pura ed incontaminata, ricca di palmeti ricolmi di datteri. Il dragone la osservò per qualche istante, poi l’attaccò rapido calando dalla volta, spalancando le fauci e mostrando il denti intrisi di veleno.

Rei urlò alzandosi seduta sul materasso mentre le braccia scattavano in avanti come per difendersi da qualcosa. Michiru, che stava riposando nel letto matrimoniale accanto al suo, le fu subito accanto seguita da Minako.

“Cara, che succede?” Chiese la donna più grande vedendola sconquassata da brividi di panico.

“Un incubo Rei?” Fece eco l'amica sapendo già la risposta. Nei due anni passati a dividere gli stessi spazi al San Giovanni non era stato raro vedere, o meglio, sentire le grida notturne di una ragazza molto incline alla preveggenza.

La mora guardò entrambe con aria sconvolta, ma in realtà non riuscì a capire bene dove si trovasse o chi avesse davanti, se non qualche minuto dopo, quando un bicchier d'acqua non le venne offerto da una preoccupatissima Usagi.

“Avrebbe bisogno di un bicchiere di grappa.” Bofonchiò Haruka tirata giù dal letto assieme alla sorella da quell'urlo raggelante.

Una gomitata di Giovanna e stirando le labbra in una grottesca smorfia incrociò le braccia al petto tornando ad ascoltare Michiru che nel frattempo stava cercando di capire cosa fosse successo.

Tranne lei e Minako che stavano condividendo la stanza con la ragazza francese, le altre si erano riversate in massa nell'ambiente ed ora, allontanati i malcapitati alpinisti svedesi, in un primo momento accorsi anche loro, in quelle quattro mura c'era una notevole mancanza d'ossigeno.

“Usagi apri la finestra per favore.” Ordinò l'insegnante continuando a stringere al seno una Rei esausta ed ansante.

“E' stato un incubo... tremendo.” Confermò dopo alcuni secondi staccandosi dalla donna.

“Erano anni che non facevo un sogno tanto terrificante.”

“Che cos'hai sognato?” Indice e medio sull'arteria del collo ed Ami si sincerò che i battiti fossero regolari.

La mora allora sembrò pensarci su per poi guardare Michiru che mani nelle sue mani stava continuando a sorriderle dolcemente.

“Non me lo ricordo.” Mentì continuando a fissarle le iridi. Mentì Rei, mentì e lo fece con coscienza. Non poteva certo rivelarle che il dragone bianco aveva gli occhi identici a quelli di Daniel Kurzh ed anche se quell'incubo non aveva ne capo ne coda, sentiva fin dentro alle viscere che il medico avrebbe portato tanto dolore a quella donna.

“Bene, io me ne torno al letto.” Scocciatissima e vergognandosi non poco nel vedere Michiru in camicia da notte sapendo di aver fantasticato fino a qualche minuto prima sul suo corpo completamente nudo, la bionda imboccò la porta sperando che Giovanna restasse a far comunella.

“Tu invece... come stai Haruka?” Si sentì chiedere alle spalle schiacciando i denti gli uni contro gli altri.

“No, perché mi è sembrato di sentirti ansimare.”

“Giovanna...” Si bloccò all'imbocco della loro camera alzandole l'indice destro davanti al naso.

“Ma che ho detto?”

“Non... un'altra... parola. Chiaro?!” E chiudendo definitivamente le comunicazioni si eclissò in un mutismo infantile fino all'indomani.

E l'indomani giunse puntuale annunciato da un'alba cristallina, tersa, foriera di tanto sole. Dopo il trambusto della notte precedente Rei cercò di dare nell'occhio il meno possibile, andando a scusarsi di persona con gli altri ospiti, per poi sedersi mestamente alla tavola con le altre per fare colazione. Le amiche decisero di non disturbarla capendone l'imbarazzo e cercando di far finta che nulla fosse successo, si comportarono come al loro solito; Makoto e Usagi che si ingozzavano, Minako che si godeva una lunga e calda tazza di te. Ma quando Michiru, incaricata sin dall'inizio della gestione monetaria, si alzò per andare a saldare il conto e Giovanna ed Haruka uscirono per finire di controllare il cordame che sarebbe servito loro per ridiscendere, Ami ne approfittò per sedersi un attimo accanto alla ragazza per controllarle ancora la temperatura.

“Non ho la febbre!” Abbaiò sentendosi da troppo tempo al centro dell'attenzione.

“Vorrei esserne sicura. Non troveremo altri rifugi lungo la strada per un bel pezzo, perciò... Ti ricordi cosa successe durante il primo mese del mio servizio in collegio?”

Allora si che la salute di Rei l'aveva preoccupata. Un attacco febbrile talmente violento che lei ed il medico che aveva preceduto Kurzh, avevano dovuto immergerla nell'acqua ghiacciata con il rischio concreto di una polmonite. Malattia che aveva invece colpito una loro compagna di scuola che qualche giorno dopo era spirata. Anche allora Rei aveva sognato, confessandolo solamente a Minako e all'infermiera. Da quella volta la viennese aveva definito come presagio ogni manifestazione notturna avuta dall’amica, mentre da donna di scienza aveva cercato di non badarci troppo.

“Credevo che non credessi alle mie doti di preveggenza infermiera Mizuno.” Canzonò la mora scansandosi dal tocco dell'altra.

“Infatti, ma non si è mai troppo previdenti.”

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Avevano finalmente lasciato il freddo alle spalle abbandonando l'immagine delle rocce dolomitiche spruzzate di bianco che dolcemente si bagnavano nelle acque del lago di San Carlo, ed ora, dopo due giorni di una marcia tutto sommato meno impegnativa di quella supposta, erano entrate nel cantone bernese avendo le sue montagne che si stagliavano dritte dinnanzi a loro.

I due bracconieri non avevano più dato segni della loro presenza tanto che la stessa bionda aveva iniziato a sperare che le notti passate all'addiaccio, con il nevischio che sputava loro addosso il freddo della quota, li avessero fatti desistere. Con gli stivali ben piantati sullo strato di roccia Haruka sorrise soddisfatta staccando gli occhi dalla cartina che stava stringendo tra le mani. Girando il busto verso le vette delle Lepontine, avvertì nel petto un enorme senso di soddisfazione. Il peggio era alle spalle. Da li in avanti sarebbe stato tutto molto, molto più facile. Nel ridiscendere avevano avuto solo un momento di criticità, ovvero quando una delle due chiodature degli scarponi di Ami non aveva fatto sufficiente presa sul ghiaccio e quest'ultima, scivolando, aveva rischiato di cadere in un crepaccio portandosi dietro tutta la cordata. Makoto che le stava dietro, era stata lesta ad afferrarla per la cintura dei pantaloni, bloccandola parzialmente, mentre Haruka, intravista con la coda dell’occhio che Michiru stava per afferrarare la corda, l'aveva anticipata con una mossa alquanto stupida e pericolosa. Puntando gli scarponi al primo spuntone trovato sotto i ramponi, aveva stretto la corda con entrambe le mani tirando indietro il busto per far leva. Se non avesse avuto i guanti e Makoto non avesse bloccato in parte la caduta di Ami, la bionda avrebbe perso almeno un paio di falangi. Tutto sommato era andata bene; l'infermiera aveva avuto solamente un grande spavento ed aveva provveduto a curare la leggera ferita per sfregamento che l'orso alpino si era procurata nel palmo della mano sinistra.

“Anche tu sei stato piuttosto bravo piccoletto.” Disse accarezzando la testa di Flint sedutole accanto.

Fattosi un po' più socievole le aveva seguite avvolte in testa, altre in coda, ma sempre a stretto giro, beandosi del tepore dei cibi caldi, del fuoco e delle coccole di Usagi e Michiru, ancora le uniche insieme alla bionda a poterlo avvicinare.

“L'hai tu la piccozza di Michiru?” Chiese la sorella raggiungendola sul basamento roccioso che dava su una gola abbastanza profonda da dove proveniva il lugubre ululato del vento.

“Si. Quella donna ha la testa in cantina. Dimentica praticamente tutto ciò che poggia. Tutto tranne il suo diario e quello stupido strumento al quale tiene tanto.” Rimproverò richiudendo con cura la carta per riporla nella tasca della sua camicia.

Giovanna rise all'ennesima critica. La sorella aveva iniziato a considerare quella donna come una di famiglia, borbottando come un vecchio coniuge ogni qual volta si trovavano a discutere.

“Ma piantala. Sei la prima a voler sentire la sua musica.” Ed afferrando la borraccia che aveva agganciata alla vita scuotendola si accorse di aver finito l'acqua.

L'altra strinse le labbra porgendole la sua. “Tieni... cammello.” E la guardò trangugiare la sua scorta.

“Grazie. Fa caldo. Abbiamo avuto un'escursione termica di svariati gradi.” Riavvitando il tappo le sorrise.

“Giovanna.... Davvero credi che io non sia diversa, sbagliata o... un mostro?” Improvvisamente. Così, di getto.

Ma che domanda era!? La più grande seguì lo sguardo dell'altra fisso sulla borraccia e comprese. “Mi fai questa domanda perché mi sono appena attaccata rischiando chissà quale contagio o perché ancora ti brucia il labbro?”

Come risposta un sorriso sbilenco. “Ringrazia nostra madre se non ti ho spaccato la faccia.”

“Lo so. Contavo sul fatto che ricordassi il tuo giuramento.”

“Si, ma se fossi in te non me ne approfitterei un'altra volta. Recepito il messaggio?”

La maggiore rise di cuore vedendo poi il mezzo lupo alzarsi intimorito e guardingo. L'osservò puntare il naso verso un piccolo avvallamento roccioso a meno di un metro dalla gamba destra di Haruka. Ondeggiando la testa e muovendo leggermente la groppa Flint iniziò a mugolare leccandosi i baffi infastidito da qualcosa.

A Giovanna morì il fiato nella gola non appena riuscì a vedere il serpente acciambellato proprio dietro l'avvallamento.

“Haruka... sta ferma.” Ordinò piatta spostandosi alle sue spalle.

“Che c'è? - Poi visto anche lei il rettile dalle scaglie verdi con riflessi rossicci, cercò di allontanare il mezzo lupo da lui. - Flint!”

Un leggero movimento del piede ed il serpente iniziò ad innervosirsi estraendo ripetutamente la lingua bifida.

“Haruka stai ferma ho detto!”

“Flint dannazione!” Ma alzando il tono della voce la bionda si rese conto di aver innescato la curiosità dell'animale. Facendosi forza del branco iniziò a sbattere le zampe anteriori come quando voleva giocare.

Abbaiando prese a girare intorno alla serpe che intanto non lo perdeva di vista.

“Flint! Che accidenti fai?!” Haruka mosse ancora il piede ed il grosso rettile spostò l'attenzione al suo scarpone.

Giovanna cercò allora un bastone o una pietra sufficientemente grande per schiacciarlo, ma un suono sordo squassò il cielo.

Flint venne letteralmente sbalzato in aria cadendo su un fianco poco distante da loro. Non appena Haruka intercettò con lo sguardo il sangue dell'animale chiazzare la roccia si mosse per andare a soccorrerlo ed il serpente attaccò. Avvertendo la spallata della sorella in pieno petto, perse l'equilibrio cadendo a sua volta. Un secondo colpo di fucile e la testa del rettile saltò in aria in mille pezzi. Ad una ventina di metri Makoto tornò a respirare togliendo l'occhio dal mirino della canna brunita del fucile di Haruka.

“Ragazze!” Urlò Michiru vedendo Giovanna addosso ad Haruka ed il povero mezzo lupo disteso leggermente oltre.

“Che cos'è successo!?" Chiese la bionda spostando di peso la sorella correndo poi verso l'animale.

Vedendo il pelo grigio macchiato e l'addome riverso in una pozza di sangue capì che qualcuno gli aveva sparato. Guardò allora Makoto che scuotendo la testa le fece intendere di avere esploso un solo colpo.

Mugolando Flint cercò di alzarsi non riuscendoci. “Piccolo... Sssss, non muoverti.” Disse dolcemente Haruka accarezzandogli la testa mentre accorreva anche Ami.

“Ami...” Una supplica. L'altra controllò lo sterno arrivando al foro d'entrata, per poi vedere anche quello d'uscita. Ammettendo di non sapere nulla sull'anatomia animale pote' solamente costatare quanto grave fosse la ferita tamponandola con le bende del kit medico da viaggio che si portava sempre nella borsa a tracolla.

“Ragazze guardate.” Urlò Minako indicando un punto dalla parte opposta del crinale. Erano i due bracconieri. La caccia era ripresa. O forse non era mai stata interrotta.

“Muoviamoci. Andiamo via da qui!” Disse Giovanna alzandosi a fatica sentendosi la gamba destra leggermente intorpidita. Il polpaccio le stava bruciando come se due spiedi arroventati le fossero stati conficcati a forza nella carne.

Non vedendo alcuna reazione nella bionda, Michiru le andò vicino ed estraendo la sua coperta dallo zaino la distese accanto al mezzo lupo chiedendole poi di aiutarla a portarlo al sicuro. “Ruka muoviti! Dobbiamo andarcene.”

Ma l’altra non ascoltò. Scattando verso Makoto e strappandole l’arma dalle mani, puntò, mirò e sparò nella direzione dei bracconieri.

“Sporchi bastardi!” Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e avrebbe premuto il grilletto ancora se avesse potuto.

Michiru le serrò l’avambraccio strattonandola. “Ruka. Antiamo. Dai, aiutami. Portiamo Flint e le altre in un posto più riparato.” E cercò dolcezza e risolutezza. Avvertiva il bicipite del braccio destro di Haruka gonfio e pulsante di collera.

“Se muore io li faccio secchi. Dio mi è testimone,… li faccio secchi!”

“Andiamo.”

Riuscirono ad allontanarsi, Haruka e Michiru che tenevano la coperta con il povero Flint agonizzante al suo interno e Makoto che, ripreso e ricaricato il fucile, lo stringeva sotto l’incavo ascellare chiudendo la fila. Prima di lasciare quel poggio, l'occhio di Rei cadde sul cadavere del serpente abbattuto dalla precisione dell'amica e nel riconoscerne il colore delle spire avvertì un fremito di paura squassarle la schiena. La sua chiaroveggenza aveva nuovamente fatto centro e la cosa angosciante era che il tutto non si era ancora compiuto.

Scelsero una strada abbastanza coperta. Gli alberi in quella zona erano radi e fino a quando non si fossero sentite al sicuro non si sarebbero fermate. Michiru sentiva dolore alle braccia, ma non avrebbe ceduto, ma quando avvertì la voce di Usagi intimare a lei e alla bionda di fermarsi, ringraziò il cielo di potersi riposare un po'.

“Haruka!” Chiamò vedendola voltarsi.

“Per carità fermatevi. Giovanna sta male!”

Alla bionda sembrò che tutto il mondo rallentasse, con molta probabilità uno scherzo dell'adrenalina che le stava pompando copiosa nelle vene del cervello. Stringendo i lembi della coperta solcò la fronte con una profonda ruga. La sorella si era fermata e stava respirando a fatica. Poggiava entrambe le mani sul tronco di un giovane albero portando la schiena a piegarsi in avanti colta da ripetuti spasmi. Ami le fu accanto appena in tempo per sorreggerla prima che le ginocchia non cedessero ed iniziasse a rimettere sangue misto ad acqua. Fu allora che Haruka capì che Giovanna era stata morsa dal serpente.

   
 
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