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Autore: Mirin    19/06/2017    1 recensioni
Ispirato dalle note della canzone 'La chanson des vieux amants' di Jacques Brell.
“Quindi, permettimi di fare il sunto della situazione” Gen esordì dopo qualche secondo di silenzio, “mentre io ero a farmi una doccia ristoratrice dopo una prestazione sessuale alquanto intensa, tu per qualche motivo hai iniziato a frugare tra i miei cassetti. Hai trovato degli orecchini da donna che non erano tuoi e allora ti sei insospettita, hai sbloccato il mio cellulare -impresa molto ardua, tra l’altro- e hai spulciato le mie conversazioni assolutamente private, violando ogni tipo di privacy e di accordo tra di noi. Sei riuscita a risalire ad una conversazione di circa un mese fa -che sono certo tu non avresti nemmeno potuto leggere!- con una persona di nome Akamine Naomi che io ho incontrato a Kobe senza dirti nulla ed ad un’altra ancora precedente dove mi aveva mandato le fotografie di una bellissima ragazza che tu presumi essere la stessa Akamine Naomi, la mia amante. Ho saltato qualcosa?”
Quanto poco basta a spezzare un amore?
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Yamato nadeshiko.'
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DISCLAIMER E NOTE D’AUTORE: la seguente storia è frutto di deliri pre esame di stato. Essendo questa storia ambientata in Giappone, ecco alcune note per la trascrizione di nomi e luoghi:
Il sistema di trascrizione utilizzato è il sistema Hepburn secondo il quale le vocali si leggono come in italiano e le consonanti come in inglese. Inoltre va ricordato che: ch è una affricata sorda come la 'c' di 'cesta; g è una velare come la 'g' di gara; h è sempre aspirata; j è un affricata sonora come la 'g' di gita; sh è una fricativa come 'sc' in 'scelta'; y non va letta come la y inglese ma come la i italiana. Si è mantenuta l'uso giapponese di porre prima il cognome e poi il nome.
I personaggi presenti in questa storia sono stati estrapolati da una trama di ben più larghe dimensioni che forse un giorno verrà realizzata in un romanzo. Questo ‘piccolo’ lavoro è da considerarsi un test per verificare il gradimento del pubblico per i personaggi. Confido che questo racconto sia per voi un'esperienza piacevole e vi invito a lasciami un commento, una critica costruttiva o -chissà, magari!- una minuscola lode se l’avete apprezzato così tanto. Buona lettura dalla vostra Mirin.

Bien sûr, nous eûmes des orages
Vingt ans d'amour, c'est l'amour fol
[…] Mais mon amour
Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
De l'aube claire jusqu'à la fin du jour
Je t'aime encore, tu sais je t'aime
Jacques Brel – La chanson des vieux amans

 

Il fatto che rimanesse sorniona ad occhi chiusi come un gatto dopo un lauto pasto era indicativo di quanto si sentisse soddisfatta dal rapporto da poco concluso.
Grazie alla falce di luna d’argento che filtrava dalla finestra socchiusa dalla camera in penombra emergevano figure simmetriche, come quella del cassettone di design color ardesia contro il muro o dei due comodini dai pomelli argentati, e forme scomposte, come la giacca maschile abbandonata alla rovescia sul pavimento, un piccolo indizio della grande passione che aveva arso lei ed il suo uomo.
La donna, il cui nome era Yukinohana Yoshino, si rigirò tra le coltri prima di mettersi seduta contro la spalliera del letto con il lenzuolo a coprirle il corpo nudo.
Attraverso la porta di fronte a lei riusciva a sentire l’acqua della doccia picchiettare delicata sul piatto di marmo scuro, qualche spiffero di luce dorata trapelava e le illuminava di striscio il volto chiaro, pallido, asiatico. Quel sorriso divertito si allargò al pensiero del suo amato e una risata le vibrò tra i denti quando lo sentì cantare in maniera stonata le note di una di quelle vecchie canzoni blues che piacevano ad entrambi, melanconiche e tristi, forse melense, ma potenti oltre ogni immaginazione. O perlomeno erano così quando la voce che le interpretava dava davvero loro giustizia o che fosse anche solo vagamente intonata.
In quel momento le venne l’improvvisa voglia di qualcosa di dolce che le aggiustasse la bocca un po’ amara. Rimpianse di aver finito la scatola di bonbon francesi che il suo Genta, l’uomo impegnato a steccare ogni singola nota di ‘La chanson des vieux amans’ di Jacques Brel con il suo denso accento americano, le aveva portato dall’ultimo viaggio per lavoro. Sapeva però che lui ne aveva tenuti alcuni per sé, proprio per le occasioni come quella in cui lei voleva del cioccolato ma non ne aveva a disposizione: oh, se la conosceva bene!
Con un suono indolente e pigro la donna allungò un braccio tonico verso il comodino a sinistra, iniziando a tastare nei cassetti alla ricerca dei suoi bonbon: nell’ultimo cassetto non trovò nulla, quello di mezzo era vuoto allo stesso modo, mentre in quello in cima stette a cercare più a lungo. Prima le dita esili e allungate incontrarono il rigido perimetro di un pacchetto di sigarette, marca rigorosamente Marlboro rossa come quella che Gen aveva acceso dopo essere scivolato fuori dal letto, poi sentì il suono croccante di un involucro di plastica. Per un instante credette di aver toccato la carta attorno al cioccolatino, poi si rese conto che quell’involucro era troppo grande per contenere una piccola pallina di dolci prelibatezze francesi. Incuriosita, tirò fuori la bustina: all’interno di questa c’erano un paio di stupendi orecchini pendenti in quello che pareva oro bianco, lavorati in maniera minuziosissima fino quasi ad ottenere un ricamo puntellato da minuscoli frammenti di brillante. Yoshino rimase a bocca aperta, prima di notare che uno dei gioielli si era rotto: sul fondo della busta c’erano infatti un paio di piccolissime catenelle simili a quelle che pendevano dall’altro orecchino, probabilmente gli anelli dovevano essere venuti meno e avevano fatto spezzare le catene.
Lo stupore fu morso rabbiosamente dal sospetto. Quegli orecchini non erano suoi ed erano senza ombra di dubbio un modello femminile. Da dove erano spuntati fuori?
Genta era stato molto assente in quei giorni, preso da alcune udienze urgenti che erano sorte tutte misteriosamente nello stesso periodo. Prima non ci aveva fatto caso, ma ora che ci rimuginava le pareva tutto molto sospetto: certo, i loro mestieri erano completamente diversi (lui difendeva i cattivi mentre lei invece convinceva le giurie ad incriminarli e sbatterli al fresco), ma se il tribunale non era stato allertato molto negli ultimi tempi, non più del solito perlomeno, allora come mai un avvocato penalista avrebbe dovuto avere così tanto da fare?
‘Non voglio credere che lui davvero...’ ma poteva esserne certa? Nossignore. Non fino a che non avesse avuto la prova con i suoi occhi che le cose non stavano come era certa che stessero.
Prestando orecchio al ticchettio dell’acqua, la donna sgattaiolò fuori dal letto silenziosamente per cercare il cellulare nelle tasche della giacca di Gen. Appena lo trovò, tornò a nascondersi sotto le coperte, pronta a sbloccarlo per conoscere i segreti che lui le nascondeva, ma non aveva fatto i conti con la paranoia dell’altro avvocato per la sicurezza: l’accesso le era impedito da un codice numerico ad otto cifre. Il suo ex-compagno era un matematico, quindi il calcolo delle possibilità non le riuscì molto difficile… il numero le fece venire un enorme capogiro, che comunque era più piccolo rispetto alle combinazioni possibili.
Essendo ad otto cifre, Yoshino ipotizzò potesse trattarsi di una data scritta con l’anno in cifre complete. Provò ad inserire la data di nascita del figlio adottivo di Gen, ma il telefonò le vibrò nelle mani, segnalando che la serie di numeri inserita non era corretta. In basso a sinistra poté notare che aveva solo altri due tentativi. E altre 99999999 possibili soluzioni.
Si sentì persa e sconfortata per qualche secondo: non c’era verso che avesse potuto indovinare la combinazione giusta senza poter fare almeno qualche prova in più. Sapeva che il suo compagno era geloso del proprio mestiere ed odiava chiunque frugasse tra le sue cose di lavoro, e visti i ruoli professionali diametralmente opposti che i due ricoprivano avevano posto paletti ben definiti su quel tipo di faccende, ma ora più che mai Yoshino sentiva il bisogno di ficcanasare. Doveva scoprire l’identità della donna che le aveva rubato il suo uomo.
“Pensa, Shishi, pensa” si sussurrò da sola per farsi coraggio, strinse i denti e cercò di concentrarsi sull’obiettivo. Dopotutto, non era poi un ostacolo così insormontabile, si auto-mentì lei per illudersi. Le sue chance di riuscita erano esigue, ma ciò non significava che fossero pari a 0.
Un codice di otto numeri da 0 a 9. La risposta più ovvia sarebbe stata una data significativa, aveva provato con la data di nascita del figlio Kenshin, ma c’erano altre date di certo che lui riteneva importanti: il giorno in cui l’aveva adottato, quella giornata del ‘93 in cui si erano conosciuti in università, la notte durante la quale l’aveva riconquistata… e lei aveva solo due tentativi.
Una voce, nonostante tutto, le bisbigliava che non stava seguendo il giusto ragionamento. Per pensare come lui doveva pensare totalmente fuori dagli schemi: era impossibile che Gen, il suo bellissimo, adorato, maniacale Gen utilizzasse una semplice, fragile data per proteggere il suo intero mondo: le date erano semplici da indovinare. Doveva per forza esserci qualcosa di più creativo e folle dietro quell’enigma.
Otto cifre… o forse… otto lettere? Un codice a sostituzione, quello sarebbe stato decisamente più ‘alla Gen’: una parola di otto lettere latine traslata in una serie numerica particolare. Il numero di possibili combinazioni aumentava esponenzialmente, visto e considerato che l’alfabeto romaji era composto da ventisei fonemi diversi, tutti potenzialmente combinabili tra loro. Era probabile che nella scelta della password lui avesse utilizzato una parola nota solo a lui ed ad un gruppo ristrettissimo di persone, nel caso in cui gli fosse -il cuore di lei sobbalzò al pensiero- successo qualcosa: non era da escludere che avesse attinto al suo passato alla ricerca di un lucchetto perfetto. Una parola di otto lettere… un nome, magari, di una persona o di un luogo.
Contò sulle dita il numero di lettere dei nomi più importanti nel passato di Genta: Josephine, il nome della madre, ma era troppo lungo, quindi lo scartò; Fordham, la sua città di nascita, ma quello era troppo corto; Jones, il suo primo cognome, tenuto con orgoglio prima che il padre giapponese lo costringesse ad assumere un’identità ‘più nipponica’, era troppo corto anch’esso.
Jones, il suo primo cognome… il suo primo nome, invece, era Lawrence. L-A-W-R-E-N-C-E. Otto lettere per otto cifre. Perfetto.
Yoshino fece un rapido calcolo a mente: ricordava che nei vecchi cellulari a tastiera il numero 1 e lo 0 non venivano conteggiati nella distribuzione delle lettere, uno serviva per la punteggiatura e l’altro per gli spazi, quindi ne rimanevano altri 8, dal 2 al 9. Ma Gen avrebbe mai usato il 9? Lui era un uomo alquanto superstizioso e di certo non avrebbe mai inserito all’interno di una password così importante un numero generalmente considerato sfortunato. Rimanevano quindi 7 numeri tra i quali scegliere. A memoria, era abbastanza sicura che la distribuzione delle lettere per cifra fosse di tre per uno, con delle eccezioni: questo però se si consideravano 8 numeri a disposizione. Avendone soltanto 7, ed essendo 26 un numero non divisibile per tale cifra, ci sarebbero dovuti essere, per logica, gruppi da tre, da quattro e un ultimo da cinque. Il suo cifrario quindi aveva pressappoco questa forma:

2 -> ABC
3 -> DEF
4 -> GHI
5 -> JKLM
6 -> NOPQ
7 -> RSTU
8 -> VWXYZ

Yoshino ringraziò la sua buona stella per avere un’ottima memoria, e per essere stata vent’anni al fianco di un uomo amante degli indovinelli, degli enigmi e dei cruciverba. Procedette ad inserire il nome ‘Lawrence’ secondo il risultato ottenuto dal suo cifrario: 52873623.
Premette invio, speranzosa, fulgida di una gioia selvaggia per aver risolto un rompicapo così complicato ed labirintico come quello… ma il cellulare le vibrò nelle mani, irremovibile. Il codice inserito non era quello giusto. L’avvocatessa voleva morire, non riusciva a credere di aver sbagliato. Ma cosa aveva sbagliato? La costruzione del cifrario? La parola da sostituire? L’intero ragionamento? No, quello era giusto per forza. Era certa che Gen avesse usato un codice a sostituzione. Ed era anche altrettanto sicura che il cifrario fosse corretto, se Akira (il suo ex-compagno) fosse stato lì, le avrebbe fatto senza dubbio i complimenti per la sua bravura d’apprendista.
Era la parola scelta ad essere sbagliata. Una parola di otto lettere che lo riguardasse direttamente, ed un solo tentativo rimastole… scartò senza pietà i nomi, troppo banali e semplici, facilmente deducibili. Si trattava di qualcosa che lui adorava alla follia ma che fosse trascrivibile senza difficoltà in un indovinello il quale poteva essere rotto solo da qualcuno che lo conosceva nel profondo… lei. Yoshino. Lei era l’unica persona vivente che lo conoscesse bene quanto bastava per considerarsi davvero vicina a lui, anche se mai completamente. Nessuno poteva dire di conoscere Genta del tutto tranne lui stesso.
Yoshino però era una parola di 7 lettere, senza contare che era fondamentalmente un nome, sarebbe stato troppo facile da dedurre. Una cosa che soltanto lui e lei potevano sapere, qualcosa di intimo… un nomignolo. Il volto della donna si illuminò di trionfo, si sentì stupida per non averci pensato subito, lei più di tutti avrebbe dovuto sapere, dopotutto quella era la sua parola preferita.
“Snow-drop” sillabò con voce fioca ed arrochita, “76683766.”
Una parola estremamente semplice per un significato profondo, questo la faceva sorridere. ‘Snowdrop’ era il nomignolo affettuoso che Genta le aveva affibbiato sin da quando si erano conosciuti da giovani perché quella parola in inglese traduceva il suo cognome, ‘yukinohana’, letteralmente ‘fiore di neve’ (e quindi, di conseguenza, ‘flower of snow’) che indicava un tipo particolare di inflorescenza pre-primaverile, il bucaneve, che secondo una fantasia popolare aveva la capacità di fiorire anche attraverso il ghiaccio. Il cellulare si sbloccò senza un suono.
Lo sfondo del suo schermo era una foto di lei e Kenshin, ritratti mentre si affaccendavano attorno ad una vecchia auto che lui aveva comprato per il figlio. Yoshino sorrise con dolcezza, assaporando il ricordo: alla fine di quella giornata si erano ritrovati tutti e tre coperti di grasso, sporchi e sudati, ma ne era valsa la pena. Era stato un momento così intimo e familiare, un’occasione in cui lei e Kenshin avevano legato molto… Genta si era detto felice che i due condividessero una così forte intesa. Lo stesso Genta ciononostante aveva cercato rifugio tra le braccia di un’altra donna… maledetto!
Si stava giusto chiedendo se avesse dovuto cominciare a frugare prima tra i messaggi o prima tra le mail quando sentì l’acqua arrestarsi. Genta stava per uscire dalla doccia e nel giro di trenta secondi sarebbe entrato in camera… l’avrebbe colta in flagrante con il suo telefono tra le mani e si sarebbe arrabbiato da morire. Oltretutto sarebbe anche stato dalla parte della ragione, finché i sospetti di Yoshino non si fossero concretizzati.
Non aveva abbastanza tempo per lanciarsi sul pavimento ed infilarlo di nuovo nella tasca della sua giacca, senza contare che avrebbe fatto troppo rumore. Il morbido accappatoio in microfibra frusciò contro la sua pelle, i passi sicuri e pesanti suonarono sordi contro le mattonelle del bagno, la maniglia della porta girò… la donna fece l’unica cosa sensata che il cervello le suggeriva: nascose il cellulare dietro la schiena, schiacciandolo per bene contro il cuscino, ed ingoiò il nervosismo. Doveva solo guadagnare abbastanza tempo per poterlo riporre con calma dove l’aveva preso, poi avrebbe dovuto trovare un’altra occasione per spiare i segreti del suo compagno.
Lui uscì esattamente un secondo dopo e Yoshino non poté impedirsi di sospirare. Quell’uomo era un vero miraggio, bello come un dio: la pelle scura e lucida era tesa sopra i muscoli ben definiti del petto glabro, lasciato scoperto con studiata malizia dall’accappatoio decisamente troppo piccolo per lui, così bagnatoquesto metteva in risalto la curva dei polpacci, lo spessore degli avambracci allenati. Non c’erano rotondità nel suo uomo, era alto ed imponente come una statua di marmo nero, la mascella leggermente squadrata evidenziava il profilo del piccolo naso alto e dritto, le labbra spesse e larghe contornate da un corredo di baffi e pizzetto neri spuntati a dovere avevano il colore del palissandro ma Yoshino sapeva bene che erano morbide come brandelli di nuvola. Portava i capelli totalmente rasati, molto imbarazzato per la loro estrema liscezza, unico tratto che tradiva le sue origini asiatiche, insieme ovviamente agli occhi a mandorla scuri illuminati da un sorriso sghembo. Dimostrava esattamente gli anni che aveva, era un uomo maturo di 45 anni nel fiore della forma fisica con un fare divertito ed enigmatico che la irretiva ad ogni sguardo. Era innamorata persa di lui e lei credeva di essere ricambiata… evidentemente, la donna degli orecchini aveva uno charme diverso. Maledetto sexy bastardo.
Stette sulla soglia per un po’ ad osservarla, si reggeva con un gomito contro lo stipite e sorrideva in maniera alquanto beffarda.
“Te la godi?” sussurrò poi, facendole l’occhiolino.
Yoshino fece un suono poco compromettente con la gola, non smentendolo ma nemmeno gonfiando il suo ego già fuori misura. Non che non ne avesse motivo, doveva ammettere a se stessa.
“Mh, I don’t like the sound of that” lui ridacchiò, si avvicinò a passo lento verso di lei come un predatore, calmo e senza fretta. Era come un puma che si gusti la vista di una cerbiatta azzoppata, assaporando il momento in cui avrebbe affondato i denti in lei e l’avrebbe spolpata di quella deliziosa, tenera carne fresca. “Non sono qui per lasciare la mia gattina insoddisfatta.”
Yoshino squittì. In circostanze normali quello sarebbe stato uno squittio d’eccitazione susseguito rapidamente dal lanciarsi tra le braccia di Genta ma in quel momento fremeva al pensiero che lui potesse scoprirla.
Gen, d’altro canto, non parve cogliere la differenza. Si abbassò quasi sulle ginocchia, schioccandole un bacio dolce sulla guancia. Si trattenne per qualche secondo, poi si mosse piano lungo l’asse del suo volto alla ricerca della sua piccola bocca rosea. Yoshino stava per farsi tentare e rapire dalla fantasia di un bacio quando con orrore si rese conto che le mani di Genta stavano per intrecciarsi dietro la sua schiena. Con un suono insofferente lo spinse con delicatezza sul petto, negandogli quell’attenzione. Lui, dubbioso, inarcò un sopracciglio.
“Perché non vai a prepararmi qualcosa da mangiare prima?” lei mentì in un miagolio seducente, subito gli scostò le dita dai fianchi e gli premette un bacio sulla bocca per accontentarlo. Fece strisciare la punta della lingua tra i denti di lui ma non appena lo avvertì tornare all’attacco si scostò, ridacchiando -forse troppo nervosa.
“Un sandwich. Qualcosa di semplice. Ho davvero fame.”
Genta la soppesò per un poco, la scintilla del sospetto si accese per un istante nei suoi occhi, ma alla fine si arrese con un sospiro greve. “Ah, fine. Tanto ho comunque bisogno di mettermi un po’ in forze prima.”
“Grazie” Yoshino piagnucolò per finta, stendendosi a letto. Il cellulare rotolò senza fare rumore e la seguì nel movimento, le premeva dolorosamente contro la spina dorsale, ma lei si comportò come non fosse successo nulla. L’uomo non fece una piega e, dopo averle passato una mano tra i capelli con gentilezza, si avviò verso il corridoio.
Yoshino si forzò ad aspettare cinque secondi, l’orecchio teso per captare ogni minimo rumore. Lo ascoltò camminare sul pianerottolo in punta di piedi, attento a non svegliare Kenshin che dormiva nella camera affianco, e progressivamente allontanarsi verso le scale. Pericolo scampato.
Presa dalla frenesia della curiosità e della gelosia afferrò il cellulare dell’avvocato e si sdraiò prona, tornando a sbloccarlo stavolta senza problemi. Decise di cominciare dalle mail: setacciò in lungo ed in largo ma non trovò nulla di compromettente, la posta elettronica di Genta sembrava votata solo ed esclusivamente ai contatti di lavoro, o almeno l’indirizzo con cui aveva effettuato l’accesso. Le suonava sensato, sarebbe stato un po’ imbarazzante gestire una tresca amorosa attraverso l’e-mail ‘studiolegalenishimura@tokyo.com’. Per quanto ne sapeva quello era anche l’unico indirizzo di posta elettronica di Genta, visto che non ne necessitava di uno privato non essendo un internauta. O meglio, ne aveva un altro ma lo condivideva con lei, e Yoshino immaginava che sarebbe stato ancora più spiacevole scambiare effusioni con la sua amante su ‘genshinoyukinomura@gmail.com’, oltre che stupido dato che lei aveva la password per accedere.
Anche le chat di Facebook Messenger, Telegram ed Instagram erano pulite. L’ultima cosa che le era rimasta da controllare era Whatsapp, però iniziava a provare un certo timore: come avrebbe reagito se avesse scoperto che Genta aveva davvero un’amante? La risposta la spaventava.
Già una volta le era capitato di essere tradita. Poco dopo la nascita di suo figlio Shinichi, Akira era andato a letto con una sua collega di lavoro, un’insegnante di Biologia all’università presso cui lavorava. Le liti furibonde che imperversarono nella loro abitazione dopo che lei aveva smascherato lui ed il suo imbroglio le erano ancora impresse nella materia grigia come un calco: lei ed Akira erano stati sul punto di mettere un punto al loro rapporto ma alla fine decisero di darsi una seconda chance per il bene del loro bambino. Tempo dopo -quasi vent’anni dopo, a dirla tutta- lei aveva rincontrato il suo amore di una vita, Nishimura Genta, ed il destino si era palesato. Ma se Genta ora avesse voluto abbracciare lascivamente un’altra donna, cosa avrebbe dovuto fare lei? A che dio si sarebbe votata? Le spezzava il cuore immaginare una donna senza volto che gli accarezzava le guance ispide di barba, lo baciava con trasporto, lo spogliava del suo completo elegante e faceva l’amore con lui.
Nonostante tutto doveva sapere, se lo meritava. Un segreto di questa portata non poteva essere ignorato, non da lei.
Sfiorò l’icona verde di Whatsapp sul touch screen e si preparò a spulciare tra le conversazioni in cerca della sua rivale, ma con orrore si rese conto che le dieci chat leggibili dalla home page erano tutte risalenti a quel giorno. C’era il socio di Genta, Ito Masaru, il capo della gemma mafiosa di cui Gen era il ‘consulente’; il figlio di Gen, Nishimura Kenshin; qualche altro contatto di lavoro e lei, Yukinohana Yoshino. Tutti erano segnati in caratteri latini ma a parte questo non c’era niente di anche solo vagamente distintivo. Yoshino si sentì persa: ed ora? Come poteva mai recuperare una chat cancellata?
Dopo qualche secondo di smarrimento si fece forza. Non era possibile che Genta rinunciasse a dati così preziosi in maniera definitiva, doveva per forza avere una qualche applicazione dove teneva tutte le conversazioni più vecchie di un giorno. Cercò per almeno cinque minuti buoni prima di trovare nell’app-store del suo cellulare un app chiamata ‘lastleg_beta’ che non risultava nella lista delle applicazioni, l’installazione era risalente al gennaio di quell’anno. Da quanto leggeva nella descrizione (completamente in inglese) permetteva di salvare qualsiasi dato l’utente volesse in maniera permanente ed era protetto da una schiera di diversi codici alfanumerici. Era possibile collegarlo ad un account di posta elettronica o ad un numero di telefono in modo tale da salvare tutti i dati in un unico portfolio, come ultima risorsa -una ‘last leg’, appunto. Non importava il momento in cui l’applicazione veniva collegata, lastleg_beta recuperava ogni dato connesso all’account o al numero.
Yoshino voleva morire. Come avrebbe fatto a superare ‘diversi codici alfanumerici’ nei pochi minuti che le rimanevano prima dell’arrivo di Genta? Era assurdo. Impossibile.
Disperata, lanciò l’applicazione per farsi un’idea di quello che le aspettava. La schermata iniziale era molto basic, sfondo nero ed al centro un piccolo riquadro bianco rettangolare. Premette sopra di questo e dal fondo comparve una tastiera. Fece una prova per vedere quante cifre bisognasse inserire: 5 era il massimo.
Tentò qualcosa di incredibilmente stupido: ‘genta’. Ovviamente il codice non era giusto e Yoshino si diede dell’idiota: doveva contenere sia lettere che numeri.
Riprovò con ‘63nt4’. Genta l’aveva usata come password del loro account Netflix, si ricordava di averlo rimproverato di essere stato troppo egocentrico perché non l’aveva inclusa.
Funzionò. Lo schermo lampeggiò di bianco per un attimo, poi tornò nero con il riquadro. Bene, una password era andata. Uno su un numero all’ennesima potenza. Non poteva indovinarle tutte, nemmeno Akira poteva. Doveva trovare un altro sistema.
Un’illuminazione la colse e Yoshino sperò con tutto il cuore si rivelasse esatta. Accese la luce in camera ed cercò come un’ossessa la sua borsa. La trovò abbandonata distrattamente vicino all’armadio e dopo averla rivoltata da dentro in fuori riuscì a trovare il suo cellulare. Digitò nella barra di ricerca dell’app-store ‘lastleg_beta’ (scritto in alfabeto romaji) e scaricò il programma senza troppi problemi. All’avvio, lastleg_beta le chiedeva a cosa lei volesse collegarsi. Trepidante, Yoshino inserì il numero di cellulare di Genta. Oh, sarebbe potuto andare tutto così storto...
A leggere il messaggio successivo il suo cuore perse un battito. Inserted phone number is already registered in archive. Before proceeding, disengage phone number from original device.
Yoshino tradusse con il sudore freddo che le rigava la fronte. “Il numero di cellulare inserito è già presente nell’archivio. Prima di procedere, scollegare il numero dal dispositivo d’origine.”
Il cellulare di Genta, nello stesso istante, vibrò. Lei lo afferrò, terrorizzata di aver combinato un enorme pasticcio, ma si sentì sollevata a constatare che tutto era nella norma. Fu addirittura entusiasta quando lastleg_beta le domandò se intendeva procedere con il logout dall’applicazione per quel dispositivo. Yoshino sfiorò il sì, quindi il cellulare di lei brillò per qualche istante, un cerchio blu roteante apparve sullo schermo e all’improvviso, si ritrovò immersa nel mondo di Genta. E quindi c’è una falla nel tuo sistema di sicurezza, Misuta Chokoreto.
Le conversazioni, come poté notare in velocità, non erano archiviate per nome dell’interlocutore ma bensì in diverse cartelle catalogate per data, dalla più recente (il giorno prima) alla più vecchia (l’anno prima). Questo era un problema, dato che lei non sapeva di preciso quando Genta avesse sentito l’altra. Non poteva di certo mettersi a controllare più di quattrocento cartelle nella manciata di minuti che le rimanevano.
Pensa Shishi, pensa, si disse. Doveva calmarsi, mettere da parte l’ansia e l’eccitazione. Come poteva risalire ad una data probabile da cui iniziare a cercare? Era un rompicapo difficile da risolvere.
Era verosimile l’idea che Gen e la donna degli orecchini si fossero visti almeno una volta negli ultimi mesi, il suo uomo non era un tipo da relazione a distanza. Era carnale, focoso, passionale, sensuale… sì, era certa che si fossero incontrati. Magari davanti ad un bel bicchiere di vino rosso, Gen adorava berne un calice quando era in piacevole compagnia, lasciarsi andare un minimo e godersi un senso di dolce, leggero stordimento. Poteva averla portata fuori a cena in un posticino chic, avevano assaporato buon cibo, condotto una gradevole conversazione, flirtato un po’ e alla fine si erano ritirati a casa sua, magari quella sera in cui lei era andata a fare compagnia a Shinichi nell’appartamento nuovo. Il solo immaginare Genta che ridacchiava, brillo, mentre la stendeva nel loro letto e le sfilava gli orecchini la fece infuriare. Il viso sottile di Yoshino si accese di rosso carminio, le guance in fiamme e gli occhi ardenti. Che sudicio, lurido infame traditore!
Il posto più probabile in cui trovare un indizio era la sua agenda. Yoshino sapeva che lui preferiva utilizzare l’agenda cartacea che custodiva gelosamente nella sua ventiquattr’ore nera, ma sapeva anche che la sua segretaria Sumire aggiornava il calendario del suo cellulare giorno per giorno con tutti i vari appuntamenti, in modo tale che il suo capo avesse tutte le informazioni di cui aveva bisogno a portata di mano senza che diventasse apprensivo -e Genta era una tale noia quando diventava apprensivo!
Aprì dunque il calendario del suo cellulare ed iniziò a verificare data per data gli appuntamenti a cui aveva partecipato. Nella data corrente (7 febbraio) risultavano degli incontri con altri suoi colleghi, cosa di cui Yoshino era a conoscenza: era stata lei stessa a dirgli di non stressarsi troppo e di tornare presto a casa.

6 febbraio: brunch alla Ito Tower, ore 11.00.
5 febbraio: pranzo con Yoshino, ore 12.00 / telefonare all’assessore per la causa Gion, ore 15.00.
3 febbraio: incontro con Gion Nobu, ore 7.00 / Tribunale Minore, ore 9.00

La lista continuava così per un po’, fino a quando Yoshino non trovò qualcosa di sospetto.

13 gennaio: Aereoporto di Tokyo, ore 9.00 / Kobe, Akamine Naomi, ore 10.00 / Aeroporto di Kobe, ore 18.00

Genta non le aveva detto di aver volato fino a Kobe così di recente, e ora che ricordava bene quel venerdì di inizio gennaio l’avvocato era stato elusivo e molto frettoloso nelle sue spiegazioni. ‘Sono stanco’ aveva risposto quando lei gli aveva chiesto cosa c’era che non andasse, ‘it’s been such a long day, hun. Che ne dici di farmi un po’ di coccole?’
E chi era Akamine Naomi? Non era tra i suoi contatti di lavoro, Yoshino ne era certa: aveva conosciuto la maggior parte dei colleghi di Genta nelle varie cene a cui erano stati invitati e non c’era nessuno che si chiamasse Akamine Naomi. Naomi poi poteva benissimo essere un nome di donna. Che fosse lei l’amante di Gen?
Te la sei andata a cercare fino a Kobe, eh? Che razza di bastardo!, Yoshino era furibonda. Non le importava che lui fosse il triplo di lei, non appena lo avesse avuto tra le mani lo avrebbe spezzato come un fuscello. Maledetto, maledetto, maledetto!
Posò il cellulare di Genta dove l’aveva preso ed aprì senza esitazione la cartella del 3 gennaio. C’erano una decina di chat salvate in ordine alfabetico. La prima era quella con Akamine Naomi. Quando Yoshino vi accedette, l’applicazione si presentò come una normale chat di Whatsapp che lei poteva scorrere per leggere tutti i messaggi risalenti a quella data.

Fammi sapere quando atterri, Genta.

Sì, non preoccuparti, ti mando un messaggio quando arrivo.

A dopo allora!!

Senz’altro :)

Sono appena atterrato. Dimmi dove devo raggiungerti.

No, no, passo a prenderti io, sono qui vicino

Sei grande. Ti aspetto nel parcheggio :)

I messaggi si interrompevano lì e riprendevano poi alle 21.00 dello stesso giorno.

Arrivato?

Sì da parecchio

Il volo? Tutto bene?

Sì, è stato tranquillo

Lei? Sospetta di niente?

Nono, non ha la minima idea, rilassati

Allora spero di rivederti presto!

Per me è stato un piacere, volentieri!! però vieni tu a Tokyo la prossima volta ;)

hahahaha! Appena il lavoro me lo permette!! Fammi sapere poi

Ti aggiorno :)

Non riusciva a credere che Genta parlasse così di lei ad una delle sue amichette. Lei era la stupida ‘mogliettina’ insulsa credulona che si faceva mettere le corna dal compagno secondo lui, eh? Oh, Gen non aveva idea di che furia si sarebbe scatenata. La morbosa curiosità di sapere però fino a che punto Genta si era sarebbe rivelato un bastardo di prima categoria la spinse a scavare più a fondo. Spulciò le conversazioni tra i due nei giorni precedenti al 13 gennaio e vide che i contatti tra di loro (almeno su Whatsapp) erano iniziati il 22 dicembre.

Mi dispiace di averti fatto aspettare, purtroppo il lavoro è frenetico in queste date

Non ho problemi ad immaginarlo… non preoccuparti, va bene così

allora, quale preferisci? :)

Erano allegate due immagini. Yoshino le scaricò. Nella prima c’era una bellissima ragazza asiatica con la pelle bianca e gli occhi castano chiaro, i capelli neri le cadevano sulla schiena in una cascata di ricci, portava un tubino rosso da mozzare il fiato ed indossava gli orecchini di diamanti che lei aveva trovato nel suo comodino. Nell’altra invece la ragazza era avvolta in un vestito di seta blu, un paio di orecchini in oro rosa tondi tempestati di brillanti le mettevano in risalto la perfetta forma del viso e del collo.
Quella era Akamine Naomi? Yoshino sentì come se un onda di lava le rimescolasse tutti gli organi interni. Era bellissima e molto giovane, probabilmente aveva da poco finito l’università. Non aveva problemi ad immaginare Gen irretire una venticinquenne con il suo charme squisito, il suo fascino rude ed il suo accento yankee un po’ biascicato. Con gli occhi pieni di amarezza la donna continuò a leggere.

Dovresti saperlo già, Naomi. Mi conosci bene.

hahaha, mi lasci questo arduo compito?

va bene Gen, provvederò, lascia fare a me

so di poter contare su di te, sei il meglio.

Ci vediamo il 13 allora, confermi?

Sì, se non sorgono imprevisti

per ora i piani sono questi, per qualsiasi cambiamento ti telefonerò più avanti

Va benissimo, al 13 a Kobe allora :)

Auguri per le prossime festività a te e famiglia.

Altrettanto! Dai un bacio alla tua bella signora, mi raccomando! ;)

Yoshino controllò se ci fossero conversazioni più recenti e con orrore notò che era così. L’ultima chat risaliva proprio al giorno prima, Genta aveva contattato Naomi con una certa urgenza.

Buongiorno Naomi, mi dispiace disturbarti ma ho bisogno di vederti

Lei non gli aveva risposto, così lui l’aveva tartassata ancora.

Scusami la fretta Naomi ma devo parlarti. Sei in Giappone?

Ho tra due ore l’aereo per Dubai da Dublino. Ti serve qualcosa?

Sì ho davvero bisogno di vederti

ti posso chiamare? Ti disturbo?

Assolutamente, tu non disturbi mai Genta :)

Probabilmente si erano sentiti per via telefonica perché la conversazione poi riprendeva venti minuti dopo.

È un problema. Facciamo il 21 di questo mese?

così in là? Speravo in una soluzione più tempestiva…

mi dispiace Genta, ma il 21 mattina atterro a Kobe da Bruxelles

cerco di favorirti il più possibile, ti metto in capo all’agenda...

Me ne rendo conto. Sei veramente gentile. Grazie
Vedrò di sdebitarmi.

Con te non ce n’è mai bisogno!! Allora al 21

al 21 senz’altro. Buona giornata :)

Altrettanto!! :)

Che razza di bastardo.
Knock knock” la voce di Genta la fece sobbalzare così forte da farle cadere il cellulare che rimbalzò sulle coperte. Yoshino si voltò lentamente ad osservarlo: portava un piatto di ceramica con dentro un sandwich perfettamente triangolare su vassoio all’americana, assieme ad un calice di spremuta d’arancia ed un mazzolino di fiori selvatici strappato al loro giardino.
“Ci ho messo un po’, scusami” si avvicinò al letto e le posò il vassoio sulle ginocchia, baciandole la tempia, “però ho rimediato con la qualità. Ci ho messo tutto il mio amore.”
Quel cibo la disgustava. Le labbra di Gen sulla sua pelle la disgustavano mentre con lentezza tracciava un sentiero di languidi baci giù lungo la sua guancia, poi nella piega del collo, sfiorando la carotide in una carezza romantica che le faceva venire i brividi per il ribrezzo.
God, you’re so beautiful, baby...
Come osava? Come osava comportarsi con lei in quel modo?
“Sei un bastardo” lei sibilò, la voce rotta da qualcosa che suonava minacciosamente come pianto.
Genta si raggelò con il volto immerso nei suoi capelli. Le dita scure stavano risalendo il profilo della sua coscia ma si arrestarono bruscamente, impietrito da quella considerazione così inaspettata.
“È una specie di roleplay e mi sono perso qualcosa?” domandò, intimorito. “Nel caso, mi va bene, però dovresti avvertirmi prima.”
“Mollami!” lei gli ingiunse, stavolta le parole tremarono forte prima di abbandonare la sua gola. Genta si scostò con garbo e poggiò la testa contro la spalliera del letto, la squadrò da capo a piedi con aria stranita ma non collerica. Collerica invece era la posa di Yoshino che, troppo insofferente ed arrabbiata per rimanere distesa a letto con lui, gettò il vassoio sul comodino affianco, si alzò in piedi e prese a marciare avanti ed indietro per la stanza, calpestando i vestiti sparsi ancora sul pavimento e pestando con gusto la camicia Valentino di lui.
“Mi spieghi che sta succedendo?” Genta non riusciva a sopportare quella vista. Fu bravo a nascondere i suoi veri sentimenti e far trapelare solo l’irritazione, ma sotto la cenere si stava accendendo uno spinoso senso di ansia: quella scena lui l’aveva già vissuta vent’anni prima quando Yoshino lo aveva lasciato per Akira.
“Dovresti spiegarmelo tu!” sbottò lei, non riusciva nemmeno a guardarlo, “sei tu quello che si è scopato un’altra nel nostro letto!”
L’espressione di Genta a quell’accusa così grave era impagabile. “Excuse me?
“Non fare il santarellino con me, Gen!” abbaiò lei, “so tutto. Ti ho beccato, eh? Credevi di essere furbo, mh? Credevi di potermela fare sotto al naso? Sei un vero idiota, un illuso, un bastardo, ecco cosa sei! Dio, non riesco nemmeno a pensare ad un insulto abbastanza pesante! Sei un pidocchioso figlio di-...”
“Aspetta un secondo, Shishi” anche Gen si stava scaldando, fece per alzarsi ma lei gli ringhiò contro e lui decise che per il momento era meglio restarsene lì dov’era. “Calmati. Dimmi tutto per filo e per segno.”
“Calmarmi?! Calmarmi?! Io ti uccido, Nishimura Genta!” Yoshino sbraitò, le mani le si serrarono a pugno da sole ma ponderò saggiamente di non lanciarsi contro un bestione di quasi due metri che conosceva l’Akido.
“Questo l’avevo afferrato” Genta rispose mellifluo, roteando gli occhi, “recepito, forte e chiaro. Perché, di grazia, siamo passati dal fare l’amore a fare la guerra? È questo passaggio che mi sfugge.”
Yoshino emise un suono da presa in giro, guardandolo con compatimento mentre andava a recuperare la bustina di plastica con dentro gli orecchini. Quando Genta la vide il suo incarnato color cioccolato divenne giallastro come latte in polvere.
“Come hai--?”
“Questo non ha importanza” lei lo incalzò e gli lanciò addosso la bustina. Gen era così allucinato al momento che non la vide nemmeno fino a quando non gli sbatté sul petto ampio. “Perché non vai a Kobe a portarli alla tua Naomi-chan? Sono certa che le mancheranno, sono degli orecchini stupendi.”
Naomi-chan? Ma di che diavolo stai parlando? Come fai a conoscere Naomi?” Genta era allibito, stralunato, del tutto pietrificato. Le parole gli uscivano in un refolo di respiro. “Non credo che voi due vi siate mai visti.”
“Grazie al cielo!” lei sbottò con aria schifata, “sarebbe stato un vero colpo basso se tu mi avessi tradita con una che conoscevo! Oh, ma invece tu sei stato un cavaliere e te la sei andata a cercare in un altra città, in un’altra prefettura addirittura! Mi fai orrore, Genta!”
“Ci sono alcune cose che mi sfuggono ancora” Gen stava a mano a mano riprendendo colore, anche se molto lentamente, “gli orecchini… come sei risalita a Naomi?”
“Ho-...” Yoshino si morse il labbro, le guance le si imporporarono per l’imbarazzo ma ignorò il fatto con caparbietà, “ho frugato nelle tue cose. Ho visto che il 13 gennaio sei andato a Kobe per incontrare una certa Akamine Naomi e sei tornato a casa in giornata. Avevate preso accordi durante le festività natalizie. E ora hai addirittura intenzione di rivederla questo stesso mese!”
I see” Genta disse lentamente. “Però non capisco ancora come l’hai collegato agli orecchini.”
Yoshino recuperò il cellulare dove l’aveva lasciato e cercò la foto che aveva visto tra i media ricevuti. Trovata l’immagine della bella ragazza con indosso gli orecchini pendenti di diamante, girò lo schermo verso Genta con gli occhi un po’ lucidi. La rabbia omicida stava scemando, sostituita da una dilaniante tristezza ed un invalidante senso di impotenza. Ricordava bene quelle sensazioni, erano le stesse di quando aveva affrontato Akira sull’argomento: la voglia di procurargli lo stesso male che lui aveva fatto a lei, il dolore, l’inadeguatezza, la vergogna. Il suo Genta, il suo dolce, il suo tenero, il suo meraviglioso Genta… come aveva fatto a perderlo?
“Questa è una delle foto che ti ha mandato lei” sussurrò Yoshino. “Qui indossa gli orecchini di diamante che ho trovato nel tuo comodino.”
Genta sospirò profondamente giungendo le mani in grembo. “Ho capito. Ora torna tutto. Certo che sono impressionato: credevo di aver posto abbastanza cancelli per bloccare ogni ficcanaso, ma ovviamente tu sei più tenace di un ficcanaso qualunque.”
Yoshino si morse l’interno della guancia per trattenere le lacrime. Non voleva mostrarsi debole e patetica ad un traditore del genere, scoprire il fianco ad una sanguisuga infima e senza spina dorsale. Lui non meritava le sue lacrime ed il suo dolore, era uno schifoso bastardo e come tale si meritava solo compassione e pietà da una donna sofisticata ed intelligente come lei.
“Quindi, permettimi di fare il sunto della situazione” Gen esordì dopo qualche secondo di silenzio, “mentre io ero a farmi una doccia ristoratrice dopo una prestazione sessuale alquanto intensa, tu per qualche motivo hai iniziato a frugare tra i miei cassetti. Hai trovato degli orecchini da donna che non erano tuoi e allora ti sei insospettita, hai sbloccato il mio cellulare -impresa molto ardua, tra l’altro- e hai spulciato le mie conversazioni assolutamente private, violando ogni tipo di privacy e di accordo tra di noi. Sei riuscita a risalire ad una conversazione di circa un mese fa -che sono certo tu non avresti nemmeno potuto leggere!- con una persona di nome Akamine Naomi che io ho incontrato a Kobe senza dirti nulla ed ad un’altra ancora precedente dove mi aveva mandato le fotografie di una bellissima ragazza che tu presumi essere la stessa Akamine Naomi, la mia amante. Ho saltato qualcosa?”
“No” Yoshino rispose, tirando su con il naso.
Genta la guardò con una faccia indecifrabile. L’istante dopo l’uomo scoppiò nella più grassa risata che lei avesse mai sentito uscire dalla sua bocca. Rise così forte e così tanto che quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Tossì ripetutamente e si batté una mano sul petto per calmare gli attacchi, poi ricominciò a ridere per almeno altri tre minuti abbondanti. Aveva le lacrime agli occhi, letteralmente, stava piangendo dal ridere. Yoshino era scioccata ed offesa oltre ogni misura, però più di tutto era confusa. Perché Genta stava ridendo? Cosa c’era di così divertente?
“Oh, non temere, sono arrabbiato” Gen precisò ancora ridacchiante, “sono arrabbiato per la storia del cellulare. Sai che ci tengo alla privacy e non tollero assolutamente che qualcuno metta le mani tra le mie cose. Però God, Shishi, questa è la storia più assurda e fuori dal comune che io abbia mai sentito in vita mia… ed io faccio l’avvocato di mestiere.”
“Che cosa c’è di assurdo?” lei ribatté, piccata.
“Non c’è un solo dettaglio di questa storia che tu non abbia travisato completamente” Genta ribatté, sorridente. “Partiamo da Akamine Naomi. In Occidente è un nome da donna, senza dubbio, per esempio c’è la stessa top-model Naomi Campbell. Come però tu ben sai da noi Naomi è un nome unisex, sia per gli uomini che per le donne. Akamine Naomi non è questa bellissima ragazza che io tra l’altro ho conosciuto, dolcissima e disponibilissima. Lei si chiama Sumihare Ai, un vero tesoro.”
“Non capisco...”
“Lasciami finire” Genta disse con dolcezza. “Sumihare Ai fa la modella di mestiere. Queste foto sono di un servizio fotografico per cui lei ha posato voluto dalla ditta Akamine Jewels.”
Akamine… Jewels?” ora Yoshino era inorridita.
“Sì” Genta confermò. “L’Akamine Jewels è un’azienda con sede a Kobe che io ho difeso in alcune cause per concussione e dichiarazione dei redditi manomessa. Producono gioielli su misura per le personalità più importanti del globo: first ladies, principesse, regine, chi più ne ha più ne metta. Conosco abbastanza bene uno dei rappresentanti della ditta, il fratello del proprietario se non erro, mi deve dei favori, quindi ogni tanto, quando non è in Europa, in Medio Oriente o in America a presentare l’azienda, lo incontro per vedere cosa può offrirmi. Il tizio in questione si chiama Akamine Naomi. Naomi. Un uomo.”
“Un uomo? Akamine Naomi è un uomo?” lei stava lentamente intuendo dove il discorso volesse andare a parare.
Yes, exactly. Un uomo. Anche abbastanza brutto, pelato, sulla cinquantina, grasso, basso, però ha una parlata molto gradevole, ci scambio due chiacchiere volentieri, proprio un bravo venditore. Ma non perdiamoci, cosa altro dovevo smentire? Ah sì, giusto, perché ho preso appuntamento con così largo anticipo. Well, it’s obvious, I suppose: dovevo assicurarmi quegli orecchini il prima possibile al miglior prezzo. You know, sono un uomo con una disponibilità economica molto ingente però quando posso preferisco stare attento su questo tipo di faccende. I gioielli dell’Akamine sono un tantinello costosi anche per me.”
“Quindi vuoi dire che li hai comprati…?”
“Certo Shishi, li ho comprati. Nessuno ti regala dei gioielli del genere soltanto perché sei un avvocato di successo a Tokyo” Genta stava ancora sorridendo.
Yoshino si sedette sul letto. Voleva morire, sprofondare nel materasso e non svegliarsi mai più. Era stata così cieca, così stupida, così oca! Aveva voluto credere soltanto a quello che il suo stomaco le diceva, non aveva ascoltato la voce della ragione né quella del cuore -che nonostante tutto le sussurrava che Genta non avrebbe mai potuto amare nessun’altra donna fuorché lei. E quegli orecchini così belli da togliere il fiato… li aveva presi per lei. Erano per lei. Per lei! Che razza di idiota! Quegli orecchini splendidi e meravigliosi usciti dalla sua fantasia più sfrenata, a prima vista intessuti con un filo di oro tempestato di piccolissimi ma lucentissimi diamanti bianchi che parevano frammenti di puri raggi del sole talmente brillavano, orecchini che nemmeno una regina avrebbe potuto indossare, erano suoi. Non erano gli orecchini della sua amante. Erano gli orecchini della sua amata. E lei li aveva lanciati con disprezzo… si sentiva così triste, così in colpa. Il suo Gen aveva faticato così tanto per ottenerli, aveva volato fino a Kobe per cercarle il regalo più bello, e lei lo aveva trattato come spazzatura. Oh, povera lei!
Un dettaglio però ancora le sfuggiva.
“Ma se li avevi già comprati perché allora dovevi rivederlo?” lei esordì dopo cinque minuti buoni di religioso silenzio in cui aveva sentito lo sguardo di Genta bruciare sulla sua pelle nuda. “Hai preso un appuntamento con lui il 21 febbraio, di nuovo. Perché?”
Genta gemette, quasi come se Yoshino lo avesse colpito su un nervo scoperto. “Non l’hai notato? Uno degli orecchini, purtroppo, si è rotto.”
“Ah, è vero!” un suono di improvvisa illuminazione le sfuggì. Sì, l’aveva notato! Alcune catenelle erano cadute sul fondo della bustina!
“È per questo che li tenevo così a portata di mano” Gen spiegò, “volevo assicurarmi di non perderli di vista e soprattutto di non perdere le catenelle rotte. Quando ho chiamato Naomi l’altro giorno mi ha detto che poteva recuperarli in qualche modo senza farmi spendere molto e farmeli pervenire in tempo per il 23 febbraio.”
Yoshino singhiozzò, stupita. “Il giorno del mio compleanno… era il mio regalo di compleanno...”
Surprise!” Gen mise insieme un sorriso mozzo poco convincente, “o meglio, wasted surprise. Volevo sorprenderti con qualcosa che non avresti mai sospettato ma presumo di dovermi togliere questo vizio se reagisci così male per un paio di orecchini trovati per caso. Non ci credo, Shishi, davvero… hai realmente pensato che io potessi tradirti con un’altra donna? Io? Che ti ho amata per vent’anni anche quando sapevo che eri felice nelle braccia di un altro? Non hai capito dopo tutto questo tempo che uomo sono? Mi ferisce. Molto.”
Yoshino arrossì, dispiaciuta, imbarazzata, umiliata. Non riusciva nemmeno a guardarlo, quindi alla cieca tastò lo spazio che li divideva alla ricerca del suo corpo caldo. Genta la abbraccio forte con un sospiro, la sua pelle profumava di mughetto e pino, oltre all’avvolgente nota floreale dell’ammorbidente con cui era stato lavato l’accappatoio che lui ancora indossava.
“Scusa” pigolò piano, “sono stata una vera stupida. Non ho voluto sentire ragioni e ti ho detto tutte quelle cose cattive e di pessimo gusto… lo sai che ti amo così tanto da diventare irrazionale. Il solo pensiero di averti perso per un’altra donna mi ha fatto stare così male, così male! Pensare che tu non volessi più stringermi… oh, amore mio, amore mio...”
“Preferisco ‘amore mio’ a ‘bastardo’, decisamente” risero insieme, lei ancora un po’ tremula, così lui le accarezzò la schiena liscia. “Non posso stare arrabbiato con te. Dovrei, oh Dio lo sa se dovrei, ma non ci riesco. Benedetto il giorno in cui mi hai stregato, my sweet snowdrop.
La spina dorsale di lei ballò per i brividi provocati da quel nomignolo. Oh, adorava quando lui la chiamava così! Il suo dolce bucaneve, lei era quello… il suo dolce, tenero, meraviglioso bucaneve.
“Ti amo da morire, Gen.”
“Ti amo da morire, Shishi” lui mormorò, alzandole il viso per poterla baciare e bearsi di quelle labbra dolci come il miele. “Mio dolce, mio tenero, mio meraviglioso amore.”

   
 
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