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Autore: queenjane    20/06/2017    2 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Sei bellissimo, sai” Un piccolo sussurro, ero seduta nella famosa mauve room di Alix, l’imperatore appellava sempre in quel modo la sua diletta sposa, con il nome di battesimo. Nata Alix Von Hesse, lo aveva sposato nel 1894, convertendosi alla religione ortodossa e adottando il nome di Alessandra Feodorovna. “Aleksej..sei bellissimo”  lui dormiva, beato, un piccolo rigurgito di saliva fiorì sulla spalla dove lo tenevo raccolto, ora lo prendevo spesso in braccio, meravigliandomi di come fosse leggero, lo adoravo, ero rapita e estasiata dai suoi sorrisi. E dai movimenti delle mani, i gorgoglii.. Tutto il pacchetto, insomma.
Mi era ritornata la voglia. Volevo un fratello o una sorella, ero figlia unica, viziata e ottenevo spesso quanto volevo ma non quello, in compenso avevo le granduchesse, rideva mia madre, lasciando indietro il suo profumo di cipria e peonia, i vantaggi di avere delle sorelle senza spartire l’ attenzione dei genitori.
Spesso, durante la stagione invernale, capitava che dormissi a Carskoe Selo, nel palazzo di Alessandro, la giovane zarina preferiva quella cittadina a venti chilometri circa dalla capitale e il palazzo di cui sopra, più tranquillo e raccolto rispetto ai fasti ufficiali del proprio rango.
Anche io partecipavo al programma di studi, mi alzavo presto, come loro, dividevamo i pasti, le lezioni, ci tenevamo occupate con i ricami e le lezioni di pianoforte.. Tranne che in queste due ultime attività ero negata, senza rimedio,  le mie performances musicali un disastro, Olga mi metteva un libro in mano, raccomandandomi di non cantare, per non spaccare i vetri e i timpani. Ne ridevamo sopra, lei invece era bravissima, meno male che avevo senso del ritmo, ballavo bene, le lezioni di danza mi divertivano. Tata era superlativa, aggraziata, si muoveva come una farfalla, io me la cavavo.. A cavallo, senza falsa modestia, ero superlativa io. Una sorta di compensazione, senza invidia, mi divertivo più con loro che a stare sempre da sola, in senso lato, con precettori e tata. Unico tratto privilegiato era che avessi una stanza per me, invece le ragazze dormivano due a due, Olga con Tata, Marie con Anastasia.
E tutte e cinque adoravamo Aleksey.
Non era un mistero che la zarina, tornando a noi, preferisse la quiete della sua famosa mauve room a un ballo scintillane.
Ecco di nuovo il profumo di lillà, i vasi pieni, mescolati al suo profumo preferito White Rose e alle sigarette che fumava, nei momenti di quiete che di fretta, ovvero sempre, una sigaretta appresso l’altra.
Quella era la sua stanza preferita, piena di mobili ordinati per corrispondenza ai grandi magazzini inglesi Marple’s- (cosa che aveva prodotto altra frecciata ai suoi danni, che bisogno aveva di ordinare quegli acquisti quando disponeva delle squisite collezioni e degli splendidi arredi dei palazzi dei Romanov? Era e rimaneva una Hausfrau, una casalinga in tedesco,una piccola borghese, anche in quello si palesava la sua inadeguatezza). A me piacevano, davano un senso di maggior calore e raccoglimento rispetto ai mobili di antiquariato e alle rutilanti collezioni dei vari palazzi.
Il pianoforte verticale.
La chaiselongue ove era adagiata, lo sguardo appuntato sulla parete colma di foto, della madre Alice, di sua nonna la regina Vittoria di Inghilterra e paesaggi della Germania e della Gran Bretagna, un quadro dell’Annunciazione e un arazzo Gobelin che rappresentava Maria Antonietta e i suoi figli, dono dell’ambasciata francese.
Negli anni Alessandra usava ricevermi lì e sorrideva di più; se mia madre non mi accompagnava, alla fine la faceva rientrare nel novero di chi era contro di lei.
Io ero una bambina, amica delle sue figlie e lo zar suo marito voleva che le frequentassi e non recedeva da quella posizione, lui che di solito accontentava la zarina in tutto, anche troppo dicevano i più nei minimi come nei massimi.
Aveva occhi chiari, di un colore stupendo e cangiante, che esprimevano tutte le sue emozioni.
Era bella, alta e sottile. Cercava di fare del bene, la corte russa, famosa per i suoi fasti, non la comprendeva, lei aveva un alto senso del giusto e dello sbagliato, una ferrea moralità e non comprendeva come i russi apprezzassero più il lusso e l’ostentazione  che a compiere il proprio dovere, giorno per giorno, con modestia.
Ora guardava me che coccolavo lo zarevic, seduta su una poltrona da cui si scorgevano i giardini innevati, the photo’s corner, che molte delle foto di famiglia venivano scattate lì.
Insomma, non ci pensavo, che in genere odiavo essere fotografata, ero presa da Aleksej, avvolto in una copertina candida, la testa sulla mia spalla, e zac!! Immortalati.
Lo strinsi più forte, innervosita, e lui si svegliò, mettendosi a strillare, e mi tirai in piedi, camminando per la stanza, Alix rideva, mentre cercavo di calmarlo, appena mi fermavo riprendeva a piangere, era buffo, morbido, un pugnetto mi avvolgeva il dito.
Andammo avanti in quel modo per non so quanto, alla fine ebbe pietà e lo riprese “Gli piaci proprio, sai” mormorò vezzeggiandolo. Forse, o era solo viziato, a pochi mesi aveva già capito che le sue voglie sarebbero state soddisfatte a prescindere, tutti facevano a gara a tenerlo in braccio, a complimentarsi, che era bellissimo, davvero, irresistibile, e tanto fin da piccolo voleva fare tutto a modo suo, veramente un autocrate come suol dirsi.
“Se lo dite voi..”A dimostrazione di quanto sopra Aleksej mi tese le manine, io mi nascosi fuori dalla vista.
Seguì un regale strillo, di indignazione, e la risata della zarina.
Rispuntai dopo tre secondi, che gli strilli aumentavano, “Maestà posso sedermi nella sedia a dondolo e cullarlo? Sennò vi consumo il pavimento.. Sono qui, zarevic, ti piace come idea”retorica domanda chiaro, lo raccolsi contro il busto, posando il palmo contro la sua testolina piena di capelli. Dopo e poi, saremmo stati sempre in confidenza, e quelli erano i primi passi, la perfezione e la grazia che aveva fin da piccolo incantavano, era una meraviglia, la mia.
   
 
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