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Autore: ecinue    20/06/2017    1 recensioni
Renesmee ritorna a Forks, ma il suo rapporto con Jacob è molto cambiato.
Deve farsi perdonare un anno di assenza telefonica, dovuta al suo fidanzamento.
Riuscirà a far ritornare Jacob quello di una volta e a non farsi ammazzare dai suoi genitori per via dell'abbandono al college?
Dal testo:
«Comunque è il colmo! Tu che accusi me di non considerarti. Ma eri presente quando ti ho chiamato sabato scorso? Volevo chiederti di uscire, con me, per un appuntamento! Ma tu, no, eri troppo impegnato con la tua mocciosetta».
La rabbia scoppiò tutta in un colpo, facendomi diventare paonazze le goti.
«Volevi chiedermi di uscire per un appuntamento ?» ripetè cauto, puntando lo sguardo sul mio viso irrigidito.
«Si!». La voce mi tremava, ma non piansi, e tenni gli occhi fissi nei suoi. «E mi dispiace averti creato solo problemi! Per essermi comportata da stronza per un anno, per non averti detto di Oliver e per averti accusato di essere un pessimo amico... Mi dispiace! Però io sono fatta così, faccio degli sbagli. Quando un giorno tu mi perdonerai potremo andare avanti, ma adesso me ne vado. E non azzardarti a inseguirmi!» proseguì, percorrendo con ampie falcate la che mi separava dalla porta.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Oxymoron

 

 

 

 

 

 

L'hai voluto tu!

Parte prima

 

 

«Signori e signore, è con piacere che vi do il benvenuto a Seattle. In questo momento sono le due e ventisette e la temperatura è di circa otto gradi centigradi. Vi preghiamo di restare seduti finché non si spegnerà la spia delle cinture di sicurezza».  

Il pensiero che oggi avrei incontrato Jacob non aveva fatto breccia nella mia mente per tutto il volo. Mi ero concentrata sulla vista dei paesaggi indefiniti per tutto il tempo; consapevole che se avessi pensato a quello che stavo facendo, e avevo già fatto, sarei tornata indietro sui miei passi alla velocità della luce. 

Però ora, dopo le parole del pilota, non potevo più evitare di pensarci. 

Di qui a poco avrei rimesso piede sullo stato di Washington dopo due anni e avrei rivisto quei luoghi  e quelle persone tanto familiari.

Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi, reduce da una nottata in bianco. 

Ero rimasta alzata per colpa di tre domande (senza risposta, ovviamente), che in un movimento vorticoso mi avevano affannato la mente . 

Prima domanda: come avrei detto ai miei genitori di aver definitivamente abbandonato Harvard?

Seconda domanda: amesso e concesso, che Jacob volesse realmente rivedermi, dopo un anno di silenzio stampa, cosa accidenti gli avrei detto?

Terza domanda: nel caso non mi avesse (giustamente) voluto vedere... Che cazzo ci andavo a fare io a Forks? 

 

***

 

Uscì dall'aeroporto Internazionale di Seattle-Tacoma con la mia nuova Birkin, regalo di Alice,  sottobraccio e gli occhiali da sole a mo' di cerchietto in testa. 

Dovevo sembrare parecchio ridicola, perché qui a Seattle il sole si vedeva due volte l'anno; e certamente non in pieno febbraio. 

Effettivamente, alzando lo sguardo, il cielo era grigio e minacciava pioggia. 

Ritornai con lo sguardo davanti a me e osservai i vari taxi fermi all'uscita, quasi tutti erano già stati presi. 

L'unico libero, e alla mia portata d'occhio, era quello più malconcio e con l'autista poggiato sul cruscotto a fumare e mangiare un burrito. 

Era parecchio grasso, e la t-shirt attillata non aiutava di certo. 

Mi avvicinai, quasi incipando nelle Loboutin nere. Quella mattina mi era sembrata una saggia decisione, mettermi in tiro per vedere Jacob. 

E così, segnata anche da una maratona notturna di vecchi episodi di Gossip Girl, avevo optato per una gonna in midi di jeans, una camicetta di seta bianca e un trench coat di Burberry.

A Forks, ma probabilmente anche qui a Seattle, mi avrebbero benissimo potuto scambiare per un'ereditiera di New York con un pessimo gusto in fatto di mete turistiche. 

E non posso certo biasimarli per questo. 

«Buongiorno. È libero?» domandai, avvicinandomi alla vecchia Chevrolet Camaro. 

Il tassista buttò immediatamente la cicca per terra e si pulì la bocca da quella che pareva salsa ranch. 

Una volta ricomposto annuii, squadrandomi da cima a piedi. «Salve». 

Sembrava stupito, come se una signorina come me non dovessi trovarsi qui o se proprio doveva, necessitava di un autista privato. 

«Dovrei andare a Forks... Bè, in realtà, alla riserva Mora*». 

Corrugò la fronte ed esitò per qualche istante, ma alla fine mormorò un «Va bene». Ero certa che se il mio aspetto bon ton non l'avesse intimidito, avrebbe terminato la frase con un «come ti pare». 

Salì sull'auto appena in tempo, aveva cominciato a piovere subito dopo. 

Pensai che camminare nel fango con quelle scarpe sarebbe stata un'impresa anche per una mezzo-vampira. 

«Sei di queste parti?».

Alzai gli occhi dai piedi, incontrando quelli piccoli e curiosi del tassista nello specchietto retrovisore interno. 

Feci cenno di si con il capo. 

Sorrise scaltro. «Eh, ma l'avevo capito! Nessuno prende un aereo per Forks, se non è di Forks». 

«Suppongo di si» mormorai, portandomi una mano al naso. 

Mi sentivo lo stomaco in disordine, come se si stesse rivoltando su sé stesso, non so se per l'odore acre di sudore misto a fumo o se per l'imminente incontro-scontro con Jacob. 

«Ma non sei una pellerossa. Come mai vai alla riserva dei come-si-chiamano ?». 

Roteai gli occhi. Cosa che mi veniva molto bene, e facevo troppo spesso. 

«Quileute, si chiamano Quileute». 

Lui mosse la mano in un gesto sbrigativo e annoiato, come se non gli interessasse realmente saperlo. 

«Non ci vai dalla tua famiglia?». 

Roteai gli occhi per la seconda volta. «Non abitano più qui». 

Non avevo voglia di parlare con nessuno, tantomeno con un impiccione! Avevo bisogno di star da sola con i miei pensieri, almeno per cinque minuti. 

«Buon per loro! Qua il tempo è una vera merda!». 

Il resto del viaggio trascorse silenzioso. 

Ad un certo punto dovevo esser sembrata una snob al tassista e così non aveva più aperto bocca; se non per dare dello stronzo a uno che lo aveva superato in curva e mandare a quel paese un altro che gli aveva tagliato la strada. 

 

 

***

 

Arrivata all'entrata della Riserva la pioggia aveva smesso di martellare, ma il terreno era ugualmente fangoso. 

Molleggiai verso La Push. 

Se c'era un posto dove il sabato pomeriggio io e Jacob andavamo sempre, questo era La Push. 

Sperai non avesse cambiato abitudini in mia assenza, sebbene ne avesse tutto il diritto. 

Jacob deve essere rimasto lo stesso, come questo posto — Pensai, cercando di tranquillizzarmi. 

Guardandomi attorno infatti mi accorsi che non era cambiato niente: i ragazzini erano ancora ammassati sotto alla tettoia del mini-market, pini ed abeti svettavano maestosi e nell'aria permaneva ancora quel profumo di salsedine e muschio. 

Era esattamente tutto come una volta, e come ricordavo. 

L'unica ad essere cambiata ero io. Non ero più la ragazzina che indossava solo camice di flanella a scacchi e saltava nelle pozzanghere. E sebbene il mio aspetto non fosse mutato, sapevo di essere cambiata; come sapevo che il mio cambiamento non sarebbe sfuggito nemmeno allo sguardo più distratto. 

Arrivata in prossimità della spiaggia mi fermai per ossevare l'oceano. Lo guardai mentre tirava un lungo respiro e l'acqua si gonfiava , le onde scure s'abbatevano impetuose sulla battigia e le scogliere. 

Pensai di tuffarmici, qualche cavallone mi spaventava meno dell'idea di rivedere Jacob. 

Non avevo mai pensato d'essere codarda, mai. Eppure adesso, e a conti fatti, mi stavo rendendo conto di non essere la Emily Davison* per cui mi spacciavo. 

Il problema era che non avevo la benché minima idea di cosa dirgli. 

Sapevo che in Francia c'era quest'espressione: l'esprit de l'escalier. L'avevo scoperta una giornata di maggio qualche anno fa, dopo che Marnie, mia compagna di liceo, mi aveva scherzosamente chiamato Loch Ness. 

Tralasciando l'originalità, quel nome mi infastidiva non poco ed era proprio questo a divertire Marnie. 

Ogni volta che mi chiamava in quella maniera ero solita dirle qualcosa come «piantala», considerando che era l'unica risposta a venirmi in mente. Quello che avrei dovuto veramente dirle era: «Mi piacerebbe essere davvero il mostro di Loch Ness, Marn! Almeno potrei nascondermi per non vedere il tuo culone grasso, stronza». 

Peccato che questa risposta mi venisse sempre dopo, a casa, in pieno dormiveglia. 

Gesù, sto divagando.

Ad ogni modo, ero certa che l'esprit d'escalier, come la Legge di Murhy (se qualcosa può andare male, lo farà), avrebbe fatto il suo corso. 

Una volta arrivata ovunque avessi passato la notte, avrei trovato la frase perfetta per introdurmi di nuovo nella vita di Jacob. 

 

***

 

Seduti attorno a quello che doveva essere stato un falò, prima che cominciasse a piovere, c'erano Embry, Seth e Jacob. 

Indossavano tutti e tre solo dei pantaloncini della tuta, accorciati malamente. 

Jacob in questi due anni aveva conservato il suo fisico robusto e l'atteggiamento statuario. Ma era anche cambiato: i capelli, che prima portava leggermente più lunghi a sfiorargli il mento, adesso erano corti e arruffati, ma pur sempre neri e lucenti; in più portava una leggera barba, simile a quella dei tre giorni. 

Mi rinfilai le scarpe, che per quel tragitto avevo tenuto in mano, e mi diedi una veloce occhiata nella telecamera interna dell'iPhone. 

Tralasciando i capelli umidi, ero a posto; agitata come una corda di violino e pallida neanche avessi visto i Volturi, ma a posto. 

Respirai a pieni polmoni e mi incamminai verso i tre Quileute. 

«Sapete perché è brutto essere un uovo? Perché ti sbattono una sola volta, ti succhiano una sola volta, ti ci vogliono dieci minuti per diventare duro e solo tre per diventare moscio, e poi devi dividere la casa con altri undici. Ma la cosa peggiore è che l'unica persona che si sia mai seduta sulla tua faccia è tua madre!». 

Seth scoppiò in una fragorosa risata, mentre Jacob aveva accennato un sorriso sghembo. 

Ero tentata di tornare indietro. Dopotutto non si erano ancora accorti della mia presenza e non volevo rovinargli la festa. 

Oh, al diavolo! Io sono una persona coraggiosa e ora affronterò Jacob. Ho temporeggiato abbastanza. 

«Posso dire la mia sulla battuta? Ecco, è davvero, oh Embry niente di personale, chiariamoci, ma è davvero una stronzata. È la peggior battuta sconcia che abbia mai sentito in vita mia». 

Dio, fa che si apra una voragine e che m'inghiottisca!

Seth di scatto, mi abbracciò. Ricambiai, ma più timidamente. 

«Nessie, sei tornata!» esclamò, lasciandomi dalla presa. 

Cercai di sorridere, ma non ero sicura di aver fatto qualcosa meglio di un sorriso tiratissimo. 

«Guarda un po' chi ha riportato il suo visetto pallido qui!». 

Feci l'occhiolino ad Embry, che mi sorrise complice di rimando. 

E poi, lo vidi: Jacob Black, preso dagli spasmi dell'incazzatura, camminare a passo sostenuto verso la boscaglia. 

Cazzo. Ti prego, Jake, ho i tacchi!

Mi precipitai in sua direzione, ma tacchi più sabbia più attrito erano dei forti deterrenti, che non mi permettevano di raggiungerlo. 

«Jake! Jacob! Jacob Black!» urlai, zoppicandogli appresso. 

Nessuna risposta, nemmeno un banalissimo «vaffanculo». 

Doveva essere arrabbiato. Oh, se doveva essere arrabbiato! 

Scaraventai mille dollari di scarpe nel sottobosco e, con i piedi liberi, lo raggiunsi in una manciata di secondi. 

«Hey! È a te che sto parlando! Mi senti? Certo, che mi senti! La vera domanda è: perché non mi vuoi ascoltare?» mormorai seccata, rivolta alla sua schiena. 

«Non te l'hanno insegnato in quella tua dannata università che azione uguale reazione?» esordì, con freddezza. 

Una freddezza che nella sua voce non avevo mai sentito e a cui non mi sarei mai potuta abituare. 

Ero nei guai, grossi guai. 

Come diavolo avrei fatto a spiegarmi a Jacob, se appena mi aveva visto era scappato? 

Non ero mica una dell'inquisizione spagnola, io. 

«Quello me l'hanno insegnato al liceo... Comunque, senti, so di aver sbagliato. Non chiamarti più, nemmeno per il tuo compleanno, è stato un colpo basso. Ma, andiamo, adesso sono qua. Ho mollato Harvard per te!». 

Si fermò, le mani serrate in due pugni penzoloni e i muscoli tiratissimi. 

Ridacchiò, ma senza verve. «Non hai mollato Harvard per me, Renesmee! L'hai fatto solo per te stessa, perché non ti andava più. L'ho capito, sai? Quanto non ti fa più comodo una cosa, o una persona, la molli; e senza troppe spiegazioni» sbottò, voltandosi e lanciandomi un'occhiataccia degna di una vipera, pronta a sputare altro veleno. 

Abbassai immediatamente lo sguardo. 

Se prima avevo desiderato guardarlo in volto, adesso, e dopo quello che aveva detto, ero terrorizzata. 

Mi ritrovai a rimpiangere di non essermene rimasta ad Harvard. 

Provai a balbettare qualcosa, ad appellarmi a qualche cavillo, ma inutilmente. 

Jacob si chinò verso di me, tanto vicino che riuscì a sentire il calore emanato dal suo corpo, e mi poggiò due dita sulle labbra. 

Quel contatto mi fece venire 

«No, no, non dire niente. Parlo io. Ti sono mai mancato in quest'ultimo anno? Perché tu mi sei mancata, sai? Ho dovuto sapere come stavi da Bella. Eri troppo impegnata con il tuo fidanzatino per rispondermi, dico bene? Ti vergognavi di me? Perché ho preso il fottuto GED*? Perché la mia famiglia non vanta un dottore e un giudice della corte suprema? Perché non diventerò uno stupido avvocato?».

Sbam! Un ceffone metaforico mi colpì in pieno volto. 

Sbattei le palpebre più volte per cercare di ricacciare le lacrime indietro, ma anche per lo stupore. 

«Non mi sono mai vergognata di te, Jacob!» sbraitai rauca, evitando accuratamente di incontrare i suoi occhi acquitrinosi. 

Sta' a vedere che quando è incazzato come una biscia si trasforma in Medusa! Pensai, cercando di sdrammatizzare. 

Anche se non c'era nulla di divertente in questa situazione, proprio nulla. 

«Cazzate! La verità è che non ti vado bene così come sono, non sono abbastanza per te. E per quanto mi possa impegnare, non posso cambiare quello che sono... Ed è brutto rendersene conto. Nella vita, ci sono cose che non si possono decidere. Il destino è ingrato, ragazzina. L'ho capito, l'ho capito bene, e a mie spese» concluse, riprendendo a marciare per non si sapeva dove. 

Il più lontano da me...

Lo lasciai andare via, senza inseguirlo. 

Rimasi per qualche minuto lì, sotto le nuvole cariche di pioggia e con i piedi piantati nel fango. 

Sarei dovuta andare a recuperare quelle maledette trappole per piedi, se non volevo passare per la pazza del villaggio. 

Durante la mia ricerca arrivai alla conclusione che nulla era indistruttibile al mondo. 

Tutto si rompeva, era inutile. Che  fosse un vetro o un diamante. Non importava quanto fosse solido e forte il legame. Il punto di rottura si trovava sempre, era così. 

Il punto di rottura del nostro legame era stato Oliver. 

Mi ci ero fidanzata perché mi era sembrata la cosa più giusta da fare e poi, in tutta onestà, mi piaceva il suo modo filosofico d'affrontare la vita. 

Parafrasando il rasoio di Hanlon: non avevo nascosto a Jacob la mia relazione con Oliver per cattiveria, della serie ti faccio arrivare la botta quando meno te l'aspetti, ma l'avevo fatto per pura stupidità. 

Credevo che se lui avesse saputo che io mi stavo rifacendo una vita, e un fidanzato, lui avrebbe fatto lo stesso. Non ero pronta per un Jacob felicemente fidanzato, perché lui era mio. 

Che egoista! 

 

*RISERVA MORA. Da quanto ho letto su Wikipedia dovrebbe essere la Riserva vicino a Forks, e quella dove vive Jacob. Ma non ne sono sicura! Se mi fossi sbagliata chiedo scusa e sarei felice di essere corretta.

*EMILY DAVISON attivista per i diritti al voto delle donne, sufragetta. È stata una delle più famose e coraggiose di tutto il movimento. 

*GED è un test che in America consente a uno studente, qualora avesse abbandonato la scuola, di ricevere abbastanza crediti per far si che riesca a diplomarsi senza dover recuperare tutti gli anni persi. 

 

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Ciao a tutte! 

Questa non è la mia prima fanfiction, ma è di certo più impegnativa rispetto a quelle che ho scritto in precedenza. (Ed è la mia primissima su Jacob e Nessie!). 

Che dire? Il personaggio di Renesmee ha dei difetti, ve lo comunico fin da subito. I personaggi troppo perfetti sono noiosi e un'utopia... Chi di noi non ha difetti? 

Altra cosa, il capitolo è diviso in due parti. Mi sono resa conto che era decisamente troppo lungo e avevo un po' d'ansia che potesse risultare noioso leggere tutto un malloppo! 

Per il resto, spero che la mia storia vi possa piacere e strappare un sorriso (probabilmente lo farà più avanti, quando entreranno in gioco anche altri personaggi e ci sarà un clima più tranquillo). Mi farebbe un GRANDISSIMO  piacere ricevere qualche recensione sia positiva sia negativa (c'è sempre da imparare!). 

Un bacione e alla prossima! 

Ecinue

 

   
 
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