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Autore: lapoetastra    20/06/2017    1 recensioni
< Passacaglia. >
< Che cosa? >
< Passacaglia. Il mio genere musicale preferito. >
Jane lo dice tranquillamente, mentre giace abbandonata sul letto di Jesse dopo che entrambi si sono sparati in vena una potente dose di eroina.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Margolis, Jesse Pinkman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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< Passacaglia. >
< Che cosa? >
< Passacaglia. Il mio genere musicale preferito. >
Jane lo dice tranquillamente, mentre giace abbandonata sul letto di Jesse dopo che entrambi si sono sparati in vena una potente dose di eroina.
Jesse la guarda con quegli occhi che sembrano sempre essere troppo grandi per il suo piccolo viso, occhi che racchiudono l’essenza pura del mare cristallino, occhi che ora sono leggermente appannati dall’effetto della droga che gli circola in ogni fibra del corpo.
< Che genere è? >, chiede, e la sua non sembra una di quelle domande di cortesia che però in realtà sono implicite indicatrici di un malcelato disinteresse. Jesse sembra interessato. Forse lo è davvero.
È anche questo che ha fatto innamorare di lui Jane: la sua curiosità costante, quasi fosse un bambino alla scoperta del mondo, la sua continua voglia di apprendere, capire, imparare. La sua capacità di ascoltare.
< È una danza del XVI-XVII secolo, di origine spagnola, cantata con accompagnamento di chitarra e… >, risponde Jane.
Si interrompe.
Jesse sorride, un sorriso strano, distorto, distante.
Forse non ha ascoltato una sola parola di ciò che ha detto.
Forse è troppo, totalmente, fatto, per farlo.
Forse, Jane ha sbagliato valutazione su di lui.
Non le importa.
Prende le cuffie dallo zaino, le collega al cellulare, le posa delicatamente sopra le piccole orecchie di Jesse, che sorride ancora.
Preme “play”, e gli fa giungere direttamente al cervello delle note soavi, colorate, che sanno di estate, e di allegria, e della sua infanzia.
< Questa è una Passacaglia >, gli sussurra, le labbra socchiuse contro l’orecchio protetto dal padiglione della cuffia.
Jesse strizza appena gli occhi.
Continua a sorridere.
Forse  non sta di nuovo ascoltando, né le parole di Jane, né tantomeno la musica che gli rimbomba direttamente nei timpani.
Jane sospira.
Sì, si è inevitabilmente sbagliata sul conto di quel ragazzo.
Pace.
Ormai ha capito di amarlo così com’è.
Non può far altro che baciare il suo sorriso, allora, un bacio delicato accompagnato dalle note della Passacaglia, che ancora risuona nel suo cuore, e nella mente di Jesse.
 

 

Era uno di quei giorni in cui il Sole era sorto soltanto per umiliarlo, quello.
Il letto sotto la sua pelle nuda era gelido, ghiacciato. Freddo come una mattina uggiosa di primo Inverno. Freddo come la pelle di Jane, quando l’aveva trovata priva di vita, sdraiata su quelle medesime lenzuola che ancora sapevano di lei, che ancora racchiudevano il loro Amore, con gli occhi vitrei e il cuore immobile come era ora l’aria troppo carica che gli aleggiava intorno, lui che non aveva più alcun motivo per vivere, lui che ostinatamente rimaneva fedele ad un dolore che minacciava ad ogni respiro di ucciderlo.
Jesse non aveva mai voluto che tutti i suoi problemi venissero risolti, che tutti i suoi casini fossero ripuliti, e le sue colpe mondate: altrimenti, gli sarebbe rimasto solo il tetro e tenebroso vuoto dell’inconoscibile. Ma voleva condividere i drammi della sua vita con qualcuno. L’aveva fatto con Jane, e lei lo aveva ascoltato, addirittura capito.
Ora Jane era morta.
Lui era di nuovo solo.
Ed il silenzio condensato tra quelle quattro pareti cresceva come un cancro, lo stesso devastante malanno che distruggeva i polmoni del suo… capo? Amico? Rivale? Walter White, ed altrettanto incurabile.
Lui aveva ucciso Jane. Era stato lui che l’aveva indotta a ricominciare con la droga, dannato tossico che non era altro.
Il senso di colpa lo dilaniava ancora di più del dolore per la perdita, e per la mancanza, e gli impediva di dormire da giorni, notti che si susseguivano lente come una vita intera.
Di colpo, rapido come un pensiero, la udì.
Una melodia delicata e continua si sprigionò nel piccolo ambiente come una fanfara suonata a festa.
Jesse, per la prima volta da giorni, sorrise.
L’aveva riconosciuta.
Era una Passacaglia, la musica preferita di Jane. Era lo stesso pezzo che lei gli aveva fatto sentire, tempo prima.
Jesse, in quel momento lontano di felicità, era totalmente fatto, ma le parole di Jane mescolate a quelle note ugualmente melodiose suonate al confine del suo udito erano rimaste impresse indelebilmente nel suo cuore.
Jane era lì, in qualche modo, in quel momento. Con lui.
Era Jane, o il suo spirito, o la sua anima, a suonare la Passacaglia, ne era certo.
Era un simbolo sopravvissuto al simbolizzato: Jane lo aveva perdonato, voleva fargli capire che la propria morte non era colpa sua, che doveva smettere di incolpare se stesso per un incidente che, probabilmente, sarebbe capitato ugualmente, prima o poi.
Jesse era in grado di percepire direttamente nella mente quelle parole taciute, non condivise esplicitamente con la voce per evitare di disturbare il suono del silenzio, ma espresse dolcemente mediante le tremule e delicate note della Passacaglia.
Sorrise, ancora.
Era giunto il perdono, nello stesso momento in cui il dolore ed il senso di colpa avevano fatto i bagagli e se n’erano andati senza nemmeno avvisare.
Jesse chiuse gli occhi.
Sereno.
Felice, quasi.
La musica, veloce come era iniziata, arrestò improvvisamente la propria folle corsa, facendo risprofondare l’appartamento nella vuota immobilità della solitudine.
Ma nulla era stato il frutto di un fenomeno paranormale.
Quella musica non era stata prodotta dal fantasma di Jane che cercava di comunicare con Jesse.
Era solo la sveglia impostata e mai spenta della ragazza, il cui fine era quello di destarla dal mondo dei sogni per tempo, quel giorno, affinché potesse partecipare all’ultima lezione di riabilitazione contro la tossicodipendenza, e che proveniva dal suo cellulare, il quale giaceva dimenticato nel comodino accanto al letto di Jesse, chiuso tra quattro piccole pareti di legno che permettevano al suono di diffondersi, roboante e rimbombante, in ogni angolo della piccola ed afosa stanza.
Cellulare che, proprio emanando quella musica che tanto piaceva a Jane, aveva esalato il suo ultimo trillio, spegnendosi per sempre come la sua proprietaria.
Ma Jesse non si era reso conto di tutto questo.
Jesse pensava davvero che quella Passacaglia fosse in realtà il suono di Jane, che ancora gli era vicino, in qualche modo. Che ancora lo amava.
O forse, forse cercava soltanto di ingannare se stesso.
Non importava.
Stava bene.
Si addormentò.
 
   
 
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