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Autore: AminaMartinelli    20/06/2017    4 recensioni
La vita con Sherlock Holmes è una sorpresa continua, non sempre piacevole e a volte persino terrificante, ma il dr. Watson non sa resistere al suo tirannico, adorato coinquilino e finisce sempre per cadere nelle sue più o meno volontarie trappole. Questa volta John però si ritrova "vittima" di se stesso...
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Jawn!!!
Come diamine facesse quell’uomo ad accorgersi che era sulla porta di casa anche se non aveva fatto il minimo rumore per aprirla (soprattutto per non svegliare Rosie) non l’avrebbe mai capito, ma del resto non era la sola cosa che non capiva del suo amato coinquilino nonostante fosse ormai da tempo il suo migliore amico.
Era ancora preso da questi pensieri quando il terrificante suono di uno sparo echeggiò nell'aria ovattata dell’appartamento al 221B di Baker Street.
- Maledizione, Sherlock! – gridò ormai dimentico della precauzione di non svegliare la piccola e si precipitò su per le scale prefigurandosi gli scenari peggiori ma quando arrivò nel salotto per poco non gli venne un colpo apoplettico: Sherlock giaceva a terra apparentemente privo di sensi e con una tempia sporca di sangue!
- Oh dio! Che hai fatto?!? – gli si inginocchiò accanto sentendo il sangue defluire dal suo corpo come se fosse lui stesso ferito. Lacrime pungenti gli riempirono gli occhi impedendogli di vedere bene mentre cercava di comporre il numero di emergenza per chiamare un’ambulanza, ma sentì una mano afferrargli il polso facendolo sussultare dallo spavento.
- Che diav…?
- Non chiamare, John, sto bene.
Le lacrime che si erano accumulate nei suoi occhi scesero senza che lui potesse fermarle ma contemporaneamente sentì il sangue cominciare a ribollire per la rabbia:
- Stai bene?! No che non stai bene! Tu sei un pazzo! Ti rendi conto che ho pensato che ti fossi sparato?!?
Il detective sfruttò la presa sul braccio dell’amico per alzarsi dal pavimento lasciandolo lì in ginocchio, incredulo.
- Sei sempre troppo melodrammatico. Perché mai avrei dovuto spararmi? – lo redarguì scrollandosi dalla vestaglia un’inesistente polvere.
- E io che ne so?! Ormai sono abituato ad aspettarmi il peggio - il Dr. Watson si alzò a sua volta e fece per tornare al piano di sotto da cui sentiva arrivare i deboli lamenti della sua bambina che, ovviamente, si era svegliata e la voce cantilenante di Mrs. Hudson che cercava di tranquillizzarla per farla tornare al suo sonnellino pomeridiano così bruscamente interrotto.
- Aspetta, John… - il tono inaspettatamente dolce di Sherlock lo bloccò sulla porta.
- Che vuoi – rimase di spalle: era già abbastanza arrabbiato con se stesso per essersi fermato pur essendo intenzionato a divorare i gradini in tre balzi per raggiungere sua figlia, concedendo invece ancora una volta la precedenza a quel bambino tirannico, voltarsi a guardarlo avrebbe significato l’ennesima disfatta totale perché lo sapeva che non sarebbe riuscito a tenergli testa e avrebbe ceduto ad ogni suo capriccio, come sempre, calpestando definitivamente la propria autostima. Strinse così forte la mano che teneva la porta che le nocche divennero bianche e abbassò lievemente il capo, mentre Sherlock rispondeva:
- N-non vuoi sapere cosa è successo? – la voce esitante ferì le orecchie di John, ma volle resistere:
- Non sei morto, né ferito gravemente, quindi non è successo nulla. Ora devo andare da Rosie.
Sentì Sherlock sfiorargli la schiena con la punta delle dita ma si allontanò per scendere le scale. In quel momento vide Mrs. Hudson salire con la bimba addormentata in braccio e la “borsa nursery”, come la chiamavano, sulla spalla:
- John, Sherlock, allora noi andiamo, ci vediamo lunedì.
- Dove andate? – dissero in coro i due, strappando a Mrs. Hudson un sospiro rassegnato:
- Ma benedetti ragazzi! Vado a stare con Rosie da Harry, le avete promesso di lasciargliela per il weekend e lei mi ha chiesto di darle una mano, lo avevate dimenticato?
I due amici tossicchiarono imbarazzati: lo avevano proprio dimenticato, in effetti, abituati com’erano a lasciare alla signora la gestione di quasi tutto ciò che riguardava Rosie, soprattutto durante le indagini.
- Ovviamente no, Mrs. Hudson, eravamo solo distratti in questo momento – rispose il detective, mentre John si limitò a posare un lievissimo bacio sui capelli della sua bambina, aspirandone il profumo delicato che sapeva di innocenza e cercando di non domandarsi per l’ennesima volta se fosse un buon padre per quella creatura.
- Ovviamente, Sherlock. – gli fece eco la signora salutandoli con un sorriso intenerito: in fondo anche quei due erano un po’ bambini e avevano bisogno di affetto e protezione quasi quanto Rosie! – A lunedì. Fate i bravi! - E scese rapidamente le scale lasciandoli immobili sul pianerottolo.
Solo quando sentirono chiudere la porta d’ingresso si spostarono all'unisono verso la finestra per guardarle andare via non senza un filo di apprensione da parte di John per il viaggio che dovevano affrontare…e per la possibile velocità raggiunta da Mrs. Hudson al volante della sua Aston Martin! Il dottor Watson le stava ancora seguendo con lo sguardo aspettando di vederle svoltare l’angolo quando le note del violino di Sherlock lo costrinsero a voltarsi: prima lo spaventa a morte con la sua mania per le armi e i suoi gesti da drama queen e poi si mette a suonare? Questa volta lo avrebbe ucciso lui!
Il detective lesse lo sguardo del suo coinquilino e rimase con l’archetto a mezz’aria. Lo aveva visto altre volte e sapeva che non portava a nulla di buono per lui, poi vide le labbra di John incurvarsi in un sorriso…anche quello conosceva bene: era l’espressione che il suo amico assumeva quando era troppo arrabbiato anche solo per parlare. E di solito in quelle situazioni qualunque cosa Sherlock dicesse o facesse aveva come unico effetto quello di esasperare ulteriormente John che a quel punto esplodeva! Quindi per non sbagliare rimase in silenzio e immobile, con il braccio ancora sospeso come se dovesse ricominciare a suonare da un momento all'altro.
Non si rendeva conto di aver assunto una posizione tanto innaturale da risultare ridicola e l’espressione preoccupata del suo volto rincarava la dose. Infatti, inaspettatamente, il dottore scoppiò in una sonora risata e si coprì il volto con le mani. Il detective non sapeva cosa fare, così fece l’unica cosa che non avrebbe mai pensato di poter fare: abbassò il viso e prese a lasciare piccoli baci sul dorso delle mani di John. Non avendo da lui alcuna reazione lo prese delicatamente per le spalle e lasciò che poggiasse la fronte sulla sua spalla. Si accorse così che i sussulti delle risa si erano man mano mischiati a piccoli singhiozzi trattenuti…John stava piangendo? Sherlock avvicinò le labbra all’orecchio e sussurrò “John…”. Bastò questo per far crollare il suo amico che prese a singhiozzare più forte mantenendo il viso nascosto tra le mani.
- Perdonami John, riesco solo a farti soffrire e invece tengo così tanto alla tua serenità!
Il dr Watson spostò le mani dal suo volto alle braccia di Sherlock spingendole via per liberarsi da quell'abbraccio. Alzò il capo e fissò lo sguardo in quegli occhi così mutevoli, che potevano essere gelidi e taglienti ma che adesso brillavano di una luce inusuale, calda e avvolgente.
- La mia serenità? – scosse il capo e scivolò via, di nuovo verso la porta – Lascia perdere, Sherlock, la mia serenità è volata giù dal tetto del St. Bart più di tre anni fa e lei, contrariamente a te, non è tornata dalla tomba.
Il detective non riuscì a replicare nulla e questo era davvero strano. Rimase immobile a guardare John scendere le scale e lo sentì a malapena dire “Vado a preparare la cena”.
Voleva riprendere a suonare perché ne sentiva davvero bisogno ma non voleva far innervosire il suo amico ancora di più, inoltre ripensò al piccolo taglio sulla fronte che si era procurato cadendo e decise di andare a pulirlo e disinfettarlo. Avrebbe voluto che lo facesse John, ma non gli sembrò il caso di chiederglielo.
 
Davanti ai fornelli John si sentiva un po’ stupido: in fondo, pur essendo ancora arrabbiato con quello spilungone pazzo, desiderava solo di vederlo entrare in cucina, magari con quel suo sorriso sfrontato e l’aria di chi ha sempre ragione, perché era quello lo Sherlock che lui amava. Non aveva neanche finito di formulare questo pensiero, rimproverandosi per la scelta dei termini usati per definire i suoi sentimenti, che il suo desiderio si realizzò: Sherlock era sulla soglia, ancora in vestaglia e scalzo, sorridente anche se pallido e…con un cerotto sulla fronte? Sentì un filo di rimorso per non essersi minimamente preoccupato di cosa fosse realmente successo, preso com'era dal groviglio di emozioni che solo quell'essere incredibile era in grado di suscitargli. Decise però di non dare troppo peso alla cosa, per non dargliela vinta:
- Ti fa molto male? – chiese con aria apparentemente disinvolta tornando a ciò che stava cucinando.
Il suo coinquilino gli si avvicinò con cautela, ma cambiò subito direzione decidendo di apparecchiare la tavola, come offerta di pace.
- Niente affatto: lo sai che ho la testa dura – cercò di scherzare per alleggerire l’atmosfera.
- Mai avuto dubbi su questo! – in fondo anche il dottore voleva la stessa cosa.
- Cosa prepari di buono? – il tintinnio dei bicchieri fece da sottofondo musicale alle sue parole.
- Niente di speciale: ricordi quella ricetta indiana che ho trovato in rete? Ho deciso di provarla. - rispose mentre si godeva i movimenti armoniosi del suo compagno in giro per la cucina.
- Beh, il profumo è già invitante…
- Sì, forse un po’ troppo speziato, ma…anzi, passami la curcuma, vuoi?
- Certo – il detective afferrò prontamente il barattolino di polvere gialla e glielo porse.
Il dottore allungò la mano ma inavvertitamente toccò quella bianca ed elegante che teneva la spezia e un fremito inatteso li percorse entrambi, lasciandoli scossi a fissarsi, incapaci di compiere qualunque movimento. Fu il più alto a riprendersi per primo ma l’unica cosa che riuscì a fare fu afferrare la mano protesa verso di lui, lasciando cadere il barattolo che rotolò via sul pavimento. John ne seguì con lo sguardo il percorso e questa distrazione permise all'altro di attirarlo verso di sé, premendosi forte sul cuore la mano calda che aveva afferrato e che non intendeva affatto lasciar andare. Portò la sinistra sul collo dell’uomo che aveva di fronte e che non gli era mai sembrato così bello, avvicinandolo con decisione, tanto da trovarsi con le labbra a pochi millimetri dalle sue. Il dottor Watson mosse le labbra per reagire in qualche modo, perché sentiva di doverlo fare, ma riuscì soltanto a dire:
- S-Sherlock, la curcuma…
Sherlock chiuse gli occhi sussurrando “Non pensarci” e, finalmente, assaporò quella bocca che desiderava ormai da anni e si sorprese a pensare che nessuna pietanza per quanto squisita poteva esserle paragonata. Liberò il collo di John, ma non le sue labbra, solo per spegnere i fornelli ed il timer che trillò insolente. Poi, per tutta la notte, l’unico suono che echeggiò nella casa fu quello dei loro sospiri.
   
 
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