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Autore: Nihal_Ainwen    21/06/2017    2 recensioni
"Silent Peak era una piccola cittadina, tutti conoscevano tutti. Non era difficile individuare un volto nuovo, quando conoscevi da sempre la faccia di ogni singolo abitante. Eppure, Keith era convinto che avrebbe notato quel ragazzo anche se si fossero trovati in una grande metropoli.
Era diverso dalle persone che aveva intorno, si capiva già da un primo sguardo.
Keith non aveva mai visto un ragazzo così, non in un posto come Silent Peak almeno."
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"Non riusciva più a tenere tutto per sé; doveva dirlo a qualcuno, ma non sapeva con chi avrebbe potuto davvero confidarsi senza essere deriso. O peggio, essere considerato completamente pazzo. [...] Keith non riusciva proprio a prenderlo sul serio.
Non voleva prenderlo in giro, oppure allontanarlo per quello che gli aveva confessato, ma nemmeno gli credeva. Non poteva essere vero, era semplicemente impossibile.
Eppure non pensava che fosse uno scherzo, o che l’altro ragazzo gli stesse mentendo: era troppo provato per recitare. E anche troppo spaventato."
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"Era ormai quasi agosto quando Keith cominciò invece a credergli sul serio."
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La prima volta che lo vide, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe trovato in una simile situazione.

Silent Peak era una piccola cittadina, tutti conoscevano tutti. Non era difficile individuare un volto nuovo, quando conoscevi da sempre la faccia di ogni singolo abitante. Eppure, Keith era convinto che avrebbe notato quel ragazzo anche se si fossero trovati in una grande metropoli.
Era diverso dalle persone che aveva intorno, si capiva già da un primo sguardo.
Keith non aveva mai visto un ragazzo così, non in un posto come Silent Peak almeno.
Se ne stava seduto in macchina, sui sedili posteriori, guardando fuori dal finestrino mentre suo padre chiedeva informazioni alla pompa di benzina. Ovviamente Keith ancora non sapeva che quello fosse suo padre, ma già al tempo non gli interessava granché.
La sua attenzione era tutta sul ragazzo.
Aveva i capelli chiarissimi, baciati dal sole del tardo pomeriggio, come se fossero le onde di un fiume. La carnagione pallida gli conferiva un’aria eterea, quasi fosse un’apparizione: un fantasma, solo il ricordo di qualcuno intrappolato tra questo mondo e l’altro. Nonostante fosse seduto, si intuiva che doveva essere alto. La maglietta che aveva indosso doveva essere di almeno un paio di taglie troppo grande.
Forse si accorse di essere osservato, alla fine, perché quella volta si girò in direzione di Keith e gli rivolse un cenno di saluto con la mano. Al polso portava un bracciale d’argento scuro: sicuramente non era uno che seguiva le mode, visto l’aspetto antiquato dell’oggetto in questione.

Negli anni successivi, Keith non lo vide mai senza quella strana fascetta d’argento al polso, sebbene ogni anno diventasse un po’ più stretta. All’ultimo anno di liceo, era ancora in grado di sfilarsela dal polso senza aprirne il gancio, ma dubitava che avrebbe potuto continuare a farlo per sempre.
Noah Palmer era diventato decisamente la persone preferita di Keith River.
Non era cambiato molto dalla prima volta in cui si erano visti, ma ora cominciava a vederlo sotto una luce diversa. Erano diventati amici, certo, ma da qualche tempo Keith cominciava a desiderare qualcosa di più.
Noah era brillante, gentile, riusciva sempre a migliorare la sua giornata. Lo ascoltava davvero, si preoccupava per lui e cercava sempre di aiutarlo con i suoi problemi. Era comprensivo, sapeva come calmarlo e come incoraggiarlo in ogni situazione. Era in grado di tirare fuori la parte migliore di Keith, senza nemmeno esserne consapevole. E in più era di una bellezza disarmante, il ragazzo più bello su cui avesse mai posato lo sguardo in tutta la sua esistenza, seppur ancora breve.

Quindi come stupirsi di ciò che accadde quell’estate.
Una pomeriggio di giugno, Noah si presentò a casa di Keith. Non che fosse strano, dato che passavano moltissimo tempo insieme. Eppure qualcosa non andava.
Il ragazzo era sconvolto, tremava e non riusciva a parlare. Non era da lui comportarsi in quel modo.
Solo dopo essersi chiusi in camera, seduti sul letto uno di fronte all’altro, Noah aveva preso le mani dell’amico e aveva cominciato a spiegare.
Non riusciva più a tenere tutto per sé; doveva dirlo a qualcuno, ma non sapeva con chi avrebbe potuto davvero confidarsi senza essere deriso. O peggio, essere considerato completamente pazzo.
Inizialmente, per quanto fosse ormai innamorato di lui, Keith non riusciva proprio a prenderlo sul serio.
Non voleva prenderlo in giro, oppure allontanarlo per quello che gli aveva confessato, ma nemmeno gli credeva. Non poteva essere vero, era semplicemente impossibile.
Eppure non pensava che fosse uno scherzo, o che l’altro ragazzo gli stesse mentendo: era troppo provato per recitare. E anche troppo spaventato.
Decise di fingere di credergli, così che avrebbe potuto aiutarlo senza fargli credere che lo considerasse matto. In fondo, pensava che non sarebbe stato poi così difficile dimostrargli che quello che gli aveva raccontato era solo frutto della sua immaginazione. Per fare questo, gli propose di rimanere a dormire lì quella sera. Avrebbero diviso il suo letto e sarebbe stato al sicuro.

Ma quella storia non finì lì, affatto.
Dopo un paio di settimane, Noah mostrò a Keith il suo diario. Aveva cominciato a tenerlo tre anni prima, in un tentativo di sfogarsi, poi non aveva più smesso di aggiornarlo. Keith sapeva che Noah amava scrivere e disegnare, aveva sfogliato più volte i suoi quaderni e i blocchi di appunti e schizzi.
Ma quel diario era qualcosa di diverso.
In quelle pagine, il ragazzo aveva minuziosamente preso nota di tutte quelle notti in cui non era stato solo nella sua stanza. Le stesse notti nelle quali non dormiva, quelle di cui aveva paura e che non riusciva più a sopportare. Quelle che si facevano sempre più frequenti, a tal punto che non riusciva più a tenerle separate da tutto il resto. Le notti delle quali, dopo aver preso coraggio, aveva parlato a Keith.
Mentre leggeva, quest’ultimo trattenne a stento la nausea. Aveva i brividi al solo pensiero che tutto quello fosse reale, che il suo amico stesse davvero sopportando quei tormenti da anni.
Perché non poteva essere reale, dovevano per forza essere incubi. Molto realistici forse, ma pur sempre incubi. Keith si promise che sarebbe riuscito ad aiutarlo, non poteva permettere che Noah continuasse a soffrire così.
Gli aveva consigliato di vedere dei dottori, come prima cosa, ma il ragazzo non l’aveva presa bene.
Avevano litigato, aspramente. Noah lo aveva cacciato, accusandolo di essere come tutti gli altri.
A quel punto, Keith era stato costretto a cambiare strategia. Gli aveva promesso che gli credeva e che non ne avrebbe parlato a nessuno, avrebbero risolto loro due la situazione.

Era ormai quasi agosto quando Keith cominciò invece a credergli sul serio.
Ora che sapeva, Noah aveva cominciato a fargli vedere quello che gli aveva sempre tenuto nascosto. A confidare a lui tutto quello che di solito scriveva sul diario.
Di fronte ad alcune di queste prove, Keith aveva dovuto cedere.
Era sempre stato uno scettico, una persona razionale che doveva vedere per credere.
Ma quando hai visto…a quel punto, non puoi più negare l’evidenza.
Noah gli aveva mostrato i segni tangibili di quelle notti, quelle in cui riceveva le sue visite.
Persino Keith ora poteva rendersi conto che le cose stavano peggiorando, che questa cosa era reale e terribile e andava in qualche modo fermata.
Noah piangeva sempre più spesso, una volta erano dovuti andare al pronto soccorso inventando una caduta dallo skateboard per spiegare i lividi, che facevano impressione sulla pelle chiara del ragazzo.
La cosa lo toccava, gli parlava, gli faceva del male in ogni modo possibile.
Keith non sapeva più cosa fare per aiutare Noah.
Aveva incubi anche lui ora, sognava cose tremende e bisbigli nell’ombra.


Dopo alcuni tentativi, i due ragazzi si resero conto che Noah riusciva a dormire sereno solo fuori casa.
A quel punto, cominciò a passare sempre più tempo a casa di Keith. A volte dormiva lì il pomeriggio, in modo che non dovesse farlo di notte in casa propria. Se non chiudeva gli occhi, non riceveva visite.
Si diedero il primo bacio nel letto di Keith, un pomeriggio di agosto in cui erano a casa da soli.
Dopo quel bacio, ne vennero altri. E altri ancora.
Keith si decise a confessare a Noah quello che provava per lui ormai da tempo. Noah rispose che aveva paura, ma che non voleva più lasciarsi dominare da essa come aveva sempre fatto in quegli anni.
Le cose forse sarebbero andate meglio, ora che erano sinceri tra di loro anche in quel senso.
Trascorsero una settimana insieme nella casa sul lago dei nonni di Keith, loro due da soli. Quei giorni furono i più belli che entrambi avessero mai vissuto, tutto era perfetto. Tra i bagni nel lago, le gite nel bosco e lunghe chiacchierate notturne, i brutti pensieri e gli incubi sembravano quasi dimenticati.
Nessuna visita turbò il sonno di Noah, non sentiva niente bisbigliare nel buio.

La terza notte, fecero per la prima volta l’amore.
Noah era sicuro di non poter essere più felice di così, Keith non lo aveva mai amato così tanto.


Purtroppo però, Silent Peak li attendeva ancora, la settimana successiva.
E per quanto prima fosse brutto, ora lo era anche di più.
Ricominciarono i pianti, i lividi, le grida e le parole orribili nel profondo della notte. Non importava che fino a poco prima fossero felici, la cosa era persino più crudele del solito.
Fu proprio questa rinnovata cattiveria che condusse Noah all’esasperazione.
Somigliava sempre di più ad uno spettro, aveva crolli nervosi ogni giorno e l’isteria ormai gli rendeva impossibile condurre una vita normale. Fu a quel punto, che suo padre lo fece ricoverare.
Nonostante questo, nessun medico riusciva a capire cosa avesse. Nessun dottore trovava una spiegazione ai nuovi lividi che aveva addosso ogni mattina, nessun farmaco lo aiutava in alcun modo.
Gli unici momenti di sollievo erano quelli che passava con Keith, quando andava a trovarlo durante le fasce orarie consentite in ospedale. Una volta, riuscirono persino a stare insieme senza essere scoperti. Noah lo trovava eccitante, rise persino. E Keith avrebbe fatto di tutto per di renderlo felice, in quel momento.

All’inizio di ottobre, Noah fu dimesso.
Sembrava stare meglio, nessuno capiva quale fosse stato il problema o se ce ne fosse mai stato davvero uno. Persino suo padre si sentiva rassicurato.
Keith era ancora l’unico a sapere della cosa e delle sue visite notturne.
Da quando Noah glielo aveva mostrato per la prima volta, era stato proprio Keith a conservare il diario su cui erano riportati tutti gli abusi che da anni l’altro ragazzo sopportava. Lo aveva nascosto sotto un’asse del pavimento, sotto al letto, per essere sicuro che nessuno potesse mai trovarlo, anche per sbaglio.
Nonostante tutto, al diario mancavano delle pagine.
Keith decise di non dirlo a Noah, non voleva che peggiorasse di nuovo e che venisse ricoverato un’altra volta in ospedale. Gli era mancato troppo in quegli orribili giorni.

Per quasi tre settimane, non successe nulla.
Tutto era come alla casa sul lago, nessun incubo e nessun tormento pareva volerli angustiare.
Si dissero per la prima volta “ti amo”, mentre facevano l’amore nella camera da letto di Keith.
Ormai Noah praticamente viveva lì. I genitori dell’altro ragazzo lo adoravano ed erano contenti che rendesse felice loro figlio, non gli importava che fossero entrambi maschi.
Sorridevano più spesso, facevano progetti per il futuro e parlavano dell’università che intanto avevano cominciato a frequentare entrambi. Keith stava studiando per diventare interprete, Noah invece ancora coltivava il sogno di diventare uno scrittore.
Sebbene la cosa ci fosse ancora, ormai le sue visite erano meno frequenti e quasi non lo toccava più nei modi peggiori, come invece aveva fatto nei mesi precedenti. Stavano cominciando a credere che avrebbero potuto imparare a conviverci, almeno fino a che non avrebbero trovato un modo di liberarsene per sempre.
O almeno, fino a quella notte.

Per la prima volta da quando stavano insieme, stavano dormendo nella camera di Noah.
Non avevano mai fatto una cosa del genere, per paura che la cosa potesse in qualche modo vendicarsi e rendere le notti di Noah ancora più brutte del solito.
Successe per caso, nessuno dei due aveva intenzione di addormentarsi. Ma erano davvero troppo stanchi per rimanere svegli quella sera.
Fu quella la prima e l’ultima volta che Noah lo vide.
Vide l’essere che gli faceva quelle cose orribili, che gli parlava all’orecchio mentre di notte lo prendeva con la forza e lasciava i segni del suo passaggio sul suo povero corpo.
Voleva urlare, ma la sua voce era ridotta al silenzio. Un gemito strozzato fu l’unico suono che riuscì ad emettere, paralizzato sul posto dal terrore. Ancora non era riuscito a muovere nemmeno un dito, quando la cosa scomparve uscendo dalla finestra, dopo avergli appena sfiorato il volto esangue per la paura.
Fu a quel punto che sentì il liquido caldo bagnargli le dita strette sul lenzuolo.
Era sangue, ma non suo: Keith boccheggiava disteso al suo fianco, mentre le lenzuola si tingevano di rosso.

La prima volta che lo vide, non avrebbe mai immaginato che si sarebbe trovato in una simile situazione.
Disteso su una lettiga, all’interno di un’ambulanza.
Forse sarebbe morto prima di arrivare in ospedale, forse sarebbe morto lì.
Eppure non si pentiva di nulla.
Perché se si fosse salvato, se fosse riuscito a sopravvivere, avrebbe potuto vivere con Noah la vita che aveva sempre sognato per loro. Perché adesso sapeva. Keith sapeva che cos’era davvero ciò che li aveva perseguitati, sapevi chi era e come liberarsi di lui una volta per tutte.
Doveva solo resistere. Doveva farlo per se stesso, e per Noah. Per entrambi.
Se ce l’avesse fatta, sarebbero andati a vivere insieme nella casa sul lago. Lì sarebbero stati felici come meritavano, ne era certo. Noah avrebbe avuto la pace di cui aveva bisogno per cominciare a scrivere il suo romanzo, lui sarebbe andato a lavorare in paese e ogni sera sarebbe tornato da lui. Si sarebbe fatto leggere quello che aveva scritto, ne avrebbero parlato insieme fino all’ora di cena.
Riusciva facilmente ad immaginarsi una vita così.
Avrebbero fatto colazione insieme ogni mattina.
E avrebbero fatto l’amore ogni volta che ne avessero avuto voglia.
Voleva dire a Noah quello a cui stava pensando, voleva dirgli che sarebbero stati finalmente liberi.
Ma non riusciva a parlare, la bocca troppo impastata di sangue per emettere parole comprensibili.
Sentiva la propria mano stretta tra le sue, mentre arrivavano al pronto soccorso.

“Non mi lasciare, ti prego. Ti amo, Keith.”
Furono le ultime cose che sentì prima che arrivasse il silenzio.
I suoi grandi occhi azzurri furono l’ultima cosa che vide, prima che tutto diventasse buio.
-Non voglio farlo. Ti amo, Noah.-






{Leggermente ispirata dalla serie televisiva "Twin Peaks".}
   
 
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