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Autore: SunHunter    21/06/2017    16 recensioni
[ Storia interattiva. Scadenza iscrizioni 01/07. Era dei Malandrini/Prima Guerra Magica]
Corre l'anno 1977 e a Hogwarts la tempesta della guerra si avvicina sempre più, minacciando con l'impeto di un tifone le giovani vite delle streghe e dei maghi al suo interno. È un anno di scelte e di opportunità da cogliere al volo nel futuro sempre più incerto di una guerra imperante, l'anno in cui il cervo crescerà e il topo incomincerà a essere braccato dalla paura, in cui il cane nero scoprirà che i vincoli familiari non sono così facili da recidere come aveva creduto perché buon sangue non mente ed è più denso dell'acqua.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia Black, I Malandrini, Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Smeel like Teen Spirit



I haven't looked at this for years. There's Phineas Nigellus… my great-great-grandfather, see?… least popular Headmaster Hogwarts ever had… and Araminta Meliflua… cousin of my mothers… tried to force through a Ministry Bill to make Muggle-hunting legal… and dear Aunt Elladora… she started the family tradition of beheading house-elves when they got too old to carry tea trays… of course, any time the family produced someone halfway decent they were disowned.

J.K. Rowling, Harry Potter and the Order of the Phoenix


Grimmauld Place era tanfo di chiuso e rumore di tarme che divoravano il legno con la calma imperante dell'acqua che erodeva le scogliere. Come in una casa stregata, sibili e rumori senza artefice facevano tremare gli antichi pavimenti e di notte si potevano udire sussurri crudeli come voci di serpenti. La decadenza segnava la carta da parati scollata e le vecchie teste degli elfi domestici, appese alle pareti di un corridoio stretto e claustrofobico, erano talmente macabre da far fuggire gli occupanti.
Sirius aveva sempre detestato la casa dei suoi padri. Era fredda e austera, altera e priva di affetti. L'aveva reputata la casa degli orrori perfetta quando Lily gli aveva parlato dei Luna Park babbani in un giorno d'estate, mentre carezzava il ventre pieno del suo primo e unico figlio. Se tentava la sua memoria di ragazzo ribelle, poteva ancora sentire riecheggiare gli strepiti della sua genitrice, le lacrime silenziose del Regulus bambino, tormentato dagli incubi, le sue stesse urla di rabbia nei confronti di quella famiglia che non poteva definirsi tale.
Essere di nuovo in quell'alcova del male gli provocava un senso di livore latente che non ricordava d'aver provato neanche ad Azkaban. Nei primi tempi della sua prigionia il dolore aveva anestetizzato ogni altra emozione, circondando come un bozzolo la larva del senso di colpa. Poi i Dissennatori avevano rubato la collera e l'amore, il senso di protezione e la profondità della sua anima, logorandola con la cura certosina di un torturatore seriale. E ora eccolo tornare nel luogo in cui aveva giurato di non mettere mai più piede dopo aver urlato a Orion e Walburga di non essere il loro figlio, che loro non erano i suoi genitori, che avrebbe preferito mille volte morire piuttosto che vivere ancora sotto il loro stesso tetto.
Era una tortura peggiore di quella dei Dissannatori, per un verso, perché essi avevano altri prigionieri cui rivolgersi, ma quella casa era la sua personale culla di Giuda e non l'avrebbe lasciato andare.
S'erano tutti lanciati nella patetica e tediante impresa di riportare quel tugurio a uno stato abitabile, ma la casa stava vincendo, aiutata da Kreacher. Le labbra di Sirius si piegarono in un sorriso storto e senza allegria per quel pensiero. Che la casa avesse un'anima e un'identità proprie non era tanto sconvolgente da credersi, e neanche il fatto che stesse lottando contro di lui, ma gli ricordava Walburga, i suoi occhi grigi accesi di disgusto e disprezzo nei confronti del suo primogenito, tanto atteso, e non poteva evitare di trovare ridicola quella situazione balorda. Dopo tanti anni sua madre ancora esitava a liberarlo dai suoi artigli ferini, da aquila vorace e mai sazia di mietere sofferenza.
L'arazzo dei Black era stato l'unico oggetto a sopravvivere all'incuria del tempo, per l'incantesimo di Adesione Permanente che qualcuno dei suoi antenati aveva scagliato forse per orgoglio forse per monito contro chi, come lui, aveva intenzione di tradire l'antico casato. Le linee eleganti si rincorrevano in un intrico degno del Labirinto di Dedalo, unendo i Black alle Sacre Ventotto, le famiglie Purosangue che non s'erano mai mescolate alla feccia.
Harry era accoccolato accanto a lui e questo serviva ad attenuare il dolore e la collera che gli infiammavano il petto scarno e il viso stanco e segnato dagli anni di prigionia, disegnando il reticolo di rughe che gli aveva affossato gli occhi grigi e penetranti.
Lo sguardo del ragazzo, verde, profondo e buono come quello di Lily, si soffermò alla destra di Narcissa, sorpassando il filo d'oro che la univa a Lucius Malfoy, per posarsi sul nome scritto in caratteri eleganti, che recava la stessa data di nascita di Sirius.
L'uomo sorrise amaro, socchiudendo gli occhi di piombo segnati di stanchezza, abbandonandosi per un attimo a uno struggente sconforto. Era ovvio che fosse stato attirato da lei. Denebola, la minore tra le sue cugine e quella con cui aveva avuto più contatti negli anni dell'infanzia, era magnetica, aveva il fascino delle rose d'Inverno, non ancora sbocciate, misteriose, in sospeso tra la Vita e la Morte, tra l'Essere e il Non essere. Guardarla era come osservare la Dafne del Bernini, dita che si trasformavano in rami e piedi già ancorati alle radici d'alloro.
Sembrava che qualcuno fosse stato indeciso, che avesse ponderato per ore e ore se rimuoverla o meno dall'albero genealogico, il disegno smussato agli angoli e disperso in un alone più nero e sudicio, di magia interrotta.
La miniatura mostrava una ragazza che somigliava incredibilmente a Sirius, o almeno al Sirius della gioventù, prima che Azkaban gli togliesse ogni gioia e scavasse nel suo volto con lo scalpello di uno scultore distratto.
« La bellezza melanconica delle Child Ballads,» borbottò sottovoce, il timbro arrochito dalle reminiscenze dei loro giorni di bambini, delle gare in giardino, le baruffe nel fango che finivano in risate soffocate e in punizioni esemplari. Denebola e Andromeda erano state le sue cugine preferite e non c'era da stupirsi che entrambe fossero malviste dalla famiglia.
« Come?» domandò Harry confuso, tornando ad osservarlo incuriosito. Gli occhi di Harry era grandi e dalla forma allungata, verdi come l'erba appena tagliata, ancora bagnata di rugiada mattutina. Ogni volta che Sirius si immergeva in quel mare sentiva rinascere dentro di sé la speranza nel futuro.
« Un idiota la definì così, mia cugina Denebola,» gli spiegò più leggero, rivolgendogli un sorrisetto caustico e malandrino, gli occhi accesi di un certo divertimento che Harry condivise con entusiasmo, felice di vederlo allegro per la prima volta da giorni, « Lei non lo apprezzò particolarmente,» soggiunse prima di abbandonarsi a una risata simile a un latrato nel ricordare il cipiglio di profondo disappunto che aveva arcuato le labbra sottili della ragazza e il vaso che era piombato in testa al malcapitato.
« È stata diseredata?» chiese Harry, incuriosito da quella reazione, accennando con la mano destra verso i segni intorno al quadretto e al nome.
« La storia di De è più complicata,» mormorò, lasciando intendere tutto e nulla.
Sirius si perse ad osservarla per un istante, come per conoscerla di nuovo dopo tutti quegli anni, quasi augurandosi che stesse bene, che fosse felice, sebbene sapesse che non era così.
Gli occhi più azzurri che grigi erano intelligenti e vivaci, arguti e profondi, laghi di montagna colmi di poesia come splendide biblioteche. L'avevano ritratta con i capelli sciolti, di un tono più chiaro dei propri, i riflessi castani che brillavano attraverso la carta. Il viso di porcellana era appena rosato sulle gote piene da bambina, il viso a cuore che terminava con il mento volitivo, la fronte bassa che conduceva allo sguardo, come se tutto fosse costruito per far risaltare le iridi.
« Io piango per la bella cerbiatta che dorme tra gli agrifogli,» canticchiò in una nenia triste, in un sussurro lontano dal tempo, che parlava d'estati assolate e fragorose, di risate di bambini e sussurri di piani e racconti.









1 Settembre 1977


Denebola Black aveva sempre pensato alla mente umana assomigliasse al vaso di Pandora. Una volta schiusa, lavorava a briglia sciolta, perdendosi in pensieri intricati, in congetture prive di conclusione, in ricordi che si accavallavano a speranze e timori. Diversamente dal ben noto oggetto, però, non poteva essere chiusa e serrata. Dopo essere stata spalancata era impossibile tornare indietro.
Quando aveva esposto la sua teoria alla madre, donatale da un sogno che era stato una rivelazione, a quattro anni, ancora in camicia da notte e con l'unicorno di pezza stretto tra le braccia, Druella Rosier in Black l'aveva osservata con i suoi freddi occhi scuri, di mogano raffinato, e le aveva intimato di non essere sciocca. E anche di vestirsi perché si sarebbero dovuti recare dagli zii per il pranzo della domenica. Denebola aveva gonfiato le guance paffute, soffiando come un gatto randagio, offesa che sua madre non avesse neanche preso in considerazione la sua idea. E anche profondamente contrariata che dovesse indossare un vestito pieno di pizzo e merletti, di colore rosa cipria. Agli zii non sarebbe affatto importato di vederla in camicia da notte e non capiva perché dovesse indossare quell'abito che le pizzicava la pelle.
Sua madre s'era limitata a paragonarla a Cissy, che a otto anni dimostrava l'eleganza di una regina, e Denebola s'era sentita talmente inadeguata che non aveva emesso fiato quanto l'elfa domestica, la gracile e squillante Kinzy, l'aveva aiutata a infilare quell'orrore pacchiano.
Le sue teorie mirabolanti erano ben note a tutti coloro che la conoscevano, anche perché non nutriva alcun timore ad esternarle, e l'unico che sembrava approvarle, a parte Sirius, Dromeda e a volte anche Regulus, era lo zio Alphard, di certo il suo favorito tra gli adulti.
Nessuno in famiglia s'era stupito quando l'avevano smistata a Corvonero, ma che Sirius, l'erede designato dei Black, fosse un Grifondoro aveva destabilizzato la continuità della loro discendenza. Due Black non Serpeverde nello stesso anno. Era stato uno scandalo, ma presto notizie più interessanti avevano infossato la loro. Quello era stato l'anno in cui Bellatrix e Rodolphus Lestrange s'erano fidanzati ufficialmente e nessuno aveva dato più conto ai due bambini diversi.
Il capo sporgeva dal materasso, coperto da un lenzuolo di seta leggera e impalpabile, di un giallo pastello molto delicato, e i lunghi capelli neri dai riflessi castani sfioravano il pavimento, in una carezza distratta. Indossava ancora la camicia da notte perché trovava inutile vestirsi in casa propria così come reputava le pantofole uno spreco, un contatto mancato con la terra e con la magia della natura che li circondava con le sue braccia gentili e materne.
Aveva arredato la sua camera a undici anni, ispirata dalla Sala Comune, con quelle librerie alte piene di tomi spettacolari e il caldo blu che favoriva la concentrazione. Sulle pareti di fiordaliso brillavano frasi in bianco dipinte da lei stessa, tratte dai suoi libri preferiti. Si ricorrevano in un flusso di coscienza privo di punteggiatura e di stacchi, le parole che quasi si sovrapponevano per come erano vicine tra loro. Soltanto lei poteva riconoscere le pause e la metrica. Era un segreto che le faceva percepire quella stanza come propria, di Denebola, e non della più piccola delle sorelle Black. La stanza era sua, rifletteva la sua anima, dall'odore di fresie e ciclamini ai mobili di mogano in stile barocco.
Il balcone s'affacciava sul giardino all'inglese, curato con cura quasi maniacale da lei stessa e che durante l'anno scolastico affidava a Kinzy, l'unica di cui si fidasse davvero per quel compito delicato.
Bastava scavalcare il basso cornicione di marmo candido per immergersi nella natura incontaminata fatta di piante tropicali profumate e variopinte, splendide e rare, tutte dono di suo zio Alphard, l'avventuriero dal cuore gentile che li amava tutti come se fossero stati figli propri.
Qualcuno spalancò la porta, strappandola da quei pensieri sfuggenti, velati dal fumo della pipa che si stava gustando, immersa nella contemplazione del soffitto che riproduceva la volta stellata. A giudicare dall'impeto del colpo non poteva che trattarsi di Bella. Inoltre Cissy non era in Inghilterra e Dromeda non esisteva più, quindi non aveva molta altra scelta.
« Che stai facendo?»
La voce di sua sorella era profonda e quasi mai gentile, sebbene a volte fosse acuta come quella di una bambina capricciosa. Suo padre l'aveva educata per anni ad essere l'erede prima che arrivasse Sirius. Bella era portata al comando ed era una delle donne più forti e coraggiose che Denebola avesse mai conosciuto, sebbene peccasse di irruenza e fosse spesso preda delle passioni. Bella era fuoco in un ambiente ventoso che si cibava delle proprie ceneri per rinascere più violento e spiazzante di prima.
Pensavo, Bella. Pensavo a loro.
Scosse il capo per rischiararsi la mente ed espirò l'ultimo sbuffo di fumo dal sapore dolciastro, come di miele inacidito, che manteneva il retrogusto amaro di una resina.
Sua sorella maggiore non avrebbe mai perdonato una simile debolezza mentale, sebbene Denebola sentisse un certo languore pacifico come se fosse immersa in una bolla calda e confortante.
« Buongiorno anche a te, Bella,» si limitò ad augurarle con pigra indolenza, senza neanche tentare di sollevarsi dal letto. La morfina gliel'avrebbe impedito e non aveva alcun desiderio di mostrarsi a sua sorella per la creatura debole e infida che stava diventando a causa delle loro tragedie. La stavano uccidendo con il veleno della depressione e quella era la morte più crudele di tutte.
Sua sorella avanzò a passo di carica, facendo ticchettare i tacchi dei suoi stivali a gamba alta che scomparivano sotto le gonne di un bell'abito da strega, rosso cupo come il sangue dei vampiri, che le metteva in evidenza il seno florido e si sposava amabilmente con la pelle candida e i lunghi capelli d'ebano, mossi e arricciati sulle punte. Gli occhi, di un castano molto scuro che aveva ereditato dalla madre, grondavano rabbia mentre le strappava la pipa di mano.
« Cosa dovrebbe essere?» domandò con una curiosità conturbante e quasi nauseata, tenendola tra l'indice e il pollice come se non volesse affatto toccarla ma fosse costretta.
« Oppio,» rispose semplicemente Denebola, che non aveva alcuna intenzione di alterarsi. Se avesse declamato gli epiteti della sostanza, come li descriveva sapientemente Baudelaire, sua sorella l'avrebbe davvero colpita.
Bellatrix non amava la poesia. Amava le canzoni, gli antichi inni di guerra, le nenie da druido che narravano di incanti antichi come il mondo e potenti quanto la Grande Madre. Soltanto le persone tristi amavano la poesia e sua sorella era al di sopra di ogni malinconia. Era troppo impavida per lasciarsi avvincere dai lacci mortiferi del dispiacere.
Denebola lo riteneva abbastanza curioso. Le persone felici preferivano le canzoni, ma sua sorella non lo era. Bella era sempre stata insoddisfatta. Non triste né lieta.
Quando era nato Sirius, dopo più di dieci anni di matrimonio infruttuoso, Bellatrix aveva finalmente trovato qualcuno su cui riversare il suo odio e la bile che le soffocava il cuore per essere nata donna, per non poter donare un erede alla casata che amava.
« Schifezze babbane,» commentò con una smorfia di puro disgusto a deturparle i bei lineamenti, facendo evanescere la pipa con un tocco distratto.
« Mi aiuta a schiarire la mente,» si giustificò, voltandosi prona, con il ventre schiacciato contro le lenzuola e i polpacci sollevati, le punte dei piedi che sembravano danzare in aria, « Soffoca i pensieri,» rivelò, lasciandosi sfuggire più di quanto avrebbe voluto lasciar intendere, « Dovresti provare, Bella. Forse ti aiuterebbe con i tuoi problemi di rabbia repressa,» le consigliò con un sorrisetto, rivolgendole uno sguardo di annebbiato candore, appena velato di sarcasmo.
« Vestiti,» cinguettò in un ordine perentorio, gli occhi accesi di un certo divertimento infantile che non l'aveva mai abbandonata.
Denebola ghignò sardonica, ma non disubbidì. Non era da lei. I suoi genitori avevano insegnato alle loro figlie cosa fossero il rispetto e il dovere. Per questo era rimasta sconcertata da come Dromeda avesse sfidato entrambi quando aveva annunciato il suo matrimonio con un Nato Babbano. Denebola, pur ammirandone il coraggio, non aveva potuto evitare di sentirsi tradita. Era il modo in cui entrambe erano cresciute quindi non si spiegava come avesse fatto a liberarsi da quelle catene e perché Denebola stessa non ci fosse mai riuscita.
« Fai le veci della mamma adesso? Rodolphus sarà lieto che incominci a pensare alle gioie del matrimonio.»
Alla menzione di suo marito gli occhi di Bella ebbero un guizzo ferino che l'atterrì. Era un'intimidazione silenziosa e inquietante, che celava un insito di follia che, nonostante la morfina, le fece attorcigliare le membra.
Che Bella non amasse suo marito era chiaro quanto un mattino assolato, ma che Rodolphus avesse fatto qualcosa per meritare quella minaccia non le era altrettanto chiaro. Rodolphus l'aveva sempre amata e venerata, cercata e bramata per anni mentre si perdeva ad osservarla crescere e sbocciare, come una mantide religiosa, scorgendone la bellezza ma non la cupa crudeltà.
L'amore non ricambiato poteva diventare un veleno mortale, rimuginò la ragazza, e non doveva stupirsi che Rodolphus le stesse chiedendo di più delle misere molliche e degli occhi rosicchiati che Bella gli offriva.
« Nostra madre è indisposta,» esclamò come se quello bastasse a spiegare tutto, ma non rivelava nulla che Denebola già non sapesse da molto tempo. Un'altra vita che s'aggiungeva al cumulo della fossa che aveva preso possesso del suo cuore.
L'algida, fiera e orgogliosa Druella non s'era più ripresa da Andromeda, dalla sua fuga, dallo scandalo che aveva provocato nei salotti dell'alta società britannica, dai fazzoletti ricamati portati alle labbra, dagli sguardi di finta compassione che celavano soddisfazione. Allora anche i Black erano umani, sembravano insinuare.
Denebola lo trovava abbastanza peculiare, invero, considerato che né la madre né il padre avessero mai dedicato a sua sorella neanche un decimo del tempo e dell'affetto che avevano sempre concesso rispettivamente a Cissy e Bella. Li riteneva al di là del giudizio esterno e della morale del volgo. Era stata negativamente sorpresa da quella novità. Dopo una vita trascorsa a sentirsi ripetere che il sangue dei Black era il più puro del mondo magico, la ragazza non avrebbe mai potuto credere che si lasciassero piegare dal pregiudizio di pecore belanti.
« Papà è al Ministero?» domandò annoiata, lasciandosi scivolare con grazia in un tubino nero e semplice, con un cinturino bianco in vita che sapeva sarebbe servito soltanto a mostrare il suo amore per i dolci. E sua madre l'aveva scelto proprio per quella ragione, per farla sentire a disagio con se stessa. Denebola l'aveva recepito e con lo stesso distacco calcolato l'aveva eletto a proprio abito preferito. Non si vergognava di non avere la bellezza pura e raffinata di Cissy né quella sensuale e peccaminosa di Bella. A lui non era mai importato, dopotutto.
« Da zio Alphard. Hanno delle questioni pressanti di cui discutere,» soggiunse come se stesse masticando sabbia prima di puntarle la bacchetta contro per sistemarle in capelli in un'acconciatura vagamente rispettabile. Qualcun altro si sarebbe spaventato a morte se si fosse ritrovato a un palmo di naso l'arma di una strega del calibro e della reputazione di Bellatrix, ma Denebola le rivolse uno sguardo di nebuloso interesse per quella solerzia inaspettata. Di solito era Cissy la sorella che si preoccupava che non uscisse di casa in pigiama e senza essersi pettinata i capelli, come le era accaduto qualche anno prima.
« Non sei più una Black, Bella. Cosa ti stupisce esattamente?» le chiese vagamente incuriosita. Non riteneva possibile che dopo tanti anni non si fosse ancora rassegnata al proprio destino. Suo padre l'aveva trattata alla stregua di un erede durante l'infanzia, educandola al senso degli affari e rendendola una delle streghe più capaci al mondo ancor prima che incominciasse la scuola, ma quei giorni erano troppo lontani. I suoi figli, se mai ne avesse avuti e Denebola si era ritrovata molte volte a sperare che non ne avesse mai vista la sua indole, non sarebbero stati Black e una delle prime lezioni di sua madre era stata quella di difendere e salvaguardare soltanto chi aveva il cognome della propria prole.
Bella rise e le sistemò lo chignon con un ultimo elegante svolazzo di bacchetta. Aveva una risata estremamente acuta e squillante, come quella di una bambina, qualcosa che stonava completamente con la sua voce abituale e con il suo carattere. L'effetto era quasi inquietante e a Denebola ricordava quel filo continuo di immagini dell'orrore, una bambola animata che brandiva un coltello da macellaio, che avevano riprodotto una volta durante una lezione di Babbanologia cui era capitata per caso al primo anno, dopo aver sbagliato aula.
« Attenzione, sorellina. Forse ritorneremo a condividere lo stesso cognome tra qualche tempo. Non ti piacerebbe?»
Quando suo padre s'era rassegnato a non aver eredi, aveva fatto in modo che il sangue e l'onore dei Black sopravvivesse in altri modi, intrecciando le sue figlie con nastri dorati, legandole ai rampolli delle più facoltose famiglie Purosangue che ancora esistevano in Gran Bretagna.
Per questo sapeva che non era stata concessa a Rabastan. Non perché suo padre tenesse in qualche modo a lei e contasse sul suo giudizio, non perché sua madre avrebbe voluto vederla felice, ma perché sarebbe stato sciocco, una mossa per nulla strategica e per un Black la strategia era tutto. Rabastan era il secondogenito e suo fratello aveva già sposato una Black. Avere un'altra Lestrange non avrebbe affatto giovato agli affari di nessuna delle due famiglie. Bellatrix, però aveva ragione: lei sarebbe stata la prossima.
Cissy era in luna di miele sulle spiagge bianche della Francia, tra le boutique di alta moda e la salsedine che baciava la pelle, non più una Black, bensì una Malfoy. Cissy era stata la sposa perfetta, pelle di porcellana accarezzata da un abito d'avorio e brillanti, capelli biondi e fini sapientemente intrecciati con azalee, non-ti-scordar-di-me e orchidee. L'aveva creata lei, quella corona per la più bella tra le principesse, l'amore sincero nel cuore e l'innocenza negli occhi, il pensiero di lui a scaldarle il ventre di fanciulla alla prospettiva di trovarlo accanto a sé sull'altare.
Denebola non avrebbe indossato corone se avesse sposato chi condivideva il suo cuore. Non c'erano corone per i traditori e non c'era orgoglio se non si era sempre puri.
« Oh mia cara, tu sai quanto io ti adori, ma prima di sposare Rabastan Lestrange, mi concederei alla piovra gigante e temo di non essere l'ideale del suo Simposio,» esclamò con tono leggero, passandosi la mancina sugli occhi chiari per allontanare da sé la melensa spossatezza che si era indotta.
Bella non diede cenno di aver compreso il riferimento all'opera di Platone. Il filosofo greco era stato un babbano, dopotutto, un pensatore splendido e un motivo di ispirazione per milioni di persone, ma per i Purosangue non era abbastanza. Era un peccato per Denebola che reputava tutti gli autori classici degni di nota e attenzione. La conoscenza non grondava sangue, bensì pensieri e i pensieri erano tutti puri. L'ignoranza era il vero crimine.
« Rabastan non ha standard molto ricercati in merito alle sue compagnie, te lo assicuro,» si limitò a replicare Bella, rimarcando l'ovvio. Che Rabastan, completamente dissimile dal fedele fratello maggiore, adorasse la compagnia femminile un po' più del necessario era ben noto a tutti e lui non faceva assolutamente nulla per nasconderlo.
« Io mi riferivo alla piovra,» la corresse con noncuranza, spalancando gli occhi azzurri e cercando di trattenere un sorrisetto sarcastico, impresa vana quando Bellatrix scoppiò a ridere. La seguì subito sentendosi per la prima volta dopo tanto tempo in perfetta sintonia con sua sorella e domandandosi, con amarezza, come avesse fatto Dromeda a superare il dolore di aver perso quel contatto per sempre.







Angolo autrice
Salve salvino, vicino popolo di EFP. Quest'idea mi è venuta in mente mentre rileggevo la saga per la milionesima volta, pregando che mamma Row ci conceda un prequel sui Malandrini. Siccome non lo farà nell'immediato futuro, mi sono detta che avrei fatto meglio a scriverlo io.
Grazie per aver letto il prologo nonostante l'introduzione orrida. Io detesto davvero presentare le storie.
La canzone che Sirius canticchia è tratta da una delle Child Ballads, The Bonnie Heyn, l'episodio che Denebola cita è il mito della metà di Platone, quello dell'anima gemella. Il titolo della storia è una canzone dei Nirvana che spero tutti conosciate.


Regolamento:
  1. Non c'è un numero massimo di schede che potete inviare, ma forse verrà operata una selezione;
  2. Non potete inviare schede tramite recensione e le recensioni che contengono solo “voglio iscrivermi con...” non sono tali. Mi piacerebbe che commentaste il capitolo e dirmi cosa ve ne sembra. Le schede vanno inviate per messaggio privato;
  3. Non accetto personaggi imparentati con i Canon;
  4. Non accetto Mary Sue, Gary Stu, ibridi di qualsiasi natura, Veela, Animagus, ecc...
  5. Se verrete scelti, sappiate che dovrete seguire la storia e rispondere alle evenutali domande. Dopo tre capitoli, il personaggio farà una brutta fine.


Scheda:

Nome:
Secondo nome*:
Cognome:
Soprannome*:
Età e data di nascita:
Casa e anno:
Descrizione fisica:
Prestavolto:
Descrizione caratteriale:
Allineamento (Ordine o Mangiamorte):
Ruolo (Quidditch, Caposcuola, Prefetto, Lumaclub, Club di Trasfigurazione, di Pozioni, di Incantesimi)*:
Cosa ama/odia:
Fobie/Debolezze:
Patronus e ricordo a esso legato:
Molliccio:
Amortentia:
Bacchetta:
Materie preferite:
Materie odiate:
Storia personale e rapporto con la famiglia:
Amicizie/inimicizie:
Relazione:
Altro:


OC

 
Denebola Walburga Black, VII anno, Corvonero, Prefetto e Caposcuola, membro del Lumaclub e del Club di Trasfigurazione. Eterosessuale, occupata.
Bacchetta: legno di tiglio argentato, crine di unicorno, 10 pollici e tre quarti, poco flessibile






 
Canon


Sirius Orion Black, VII anno, Grifondoro, membro del Lumaclub e del Club dei Duellanti. Cronista. Eterosessuale, occupato.
Bacchetta: legno d'ebano, piuma di fenice, 12 pollici, relativamente flessibile




Lily Jane Evans, VII anno, Grifondoro, Prefetto e Caposcuola, membro del Lumaclub e del Club dei Pozionisti. Eterosessuale, occupata.
Bacchetta: legno di salice, piuma di fenice, 10 pollici e un quarto




Remus John Lupin, VII anno, Grifondoro, Prefetto, membro del Club degli Scacchi. Eterosessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di faggio, crine di unicorno, 11 pollici e un quarto, poco flessibile




Peter Minus, VII anno, Grifondoro, eterosessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di ippocastano, corda di cuore di drago, 9 pollici e mezzo, molto flessibile




James Fleamont Potter, VII anno, Grifondoro, Caposcuola, membro del Lumaclub e del Club di Trasfigurazione, Cacciatore e Capitano. Eterosessuale, occupato.
Bacchetta: legno di mogano, crine di unicorno, 11 pollici, flessibile






Regulus Arcturus Black, VI anno, Serpeverde, Prefetto, membro del Lumaclub e del Club dei Pozionisti, Cercatore e Capitano. Eterosessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di cipresso, piuma di fenice, 11 pollici e tre quarti, poco flessibile




Barty Crouch Jr., VI anno, Serpeverde, membro del Lumaclun e del Club dei Duellanti, Cacciatore. Bisessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di frassino, corda di cuore di drago, 12 pollici e un quarto, rigida.






Rabastan Lestrange, VI anno, Serpeverde, membro del Lumaclub e del Clun dei Duellanti, Battitore. Bisessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di prugnolo, corda di cuore di drago, 13 pollici, relativamente flessibile




Severus Piton, VII anno, Serpervere, Prefetto e Caposcuola, membro del Lumaclub e del Club dei Pozionisti. Eterosessuale, libero per relazione.
Bacchetta: legno di betulla, crine di unicorno, 12 pollici e mezzo, rigida

   
 
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