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Autore: Jeo 95    21/06/2017    4 recensioni
[Saga del Filo Rosso; Storia 1- Destino Maledetto]
***
La leggenda del Filo Rosso del Destino è una romantica leggenda che racconta di come al mondo, per ogni persona, ve ne sia una predestinata, la cosiddetta Anima Gemella.
Eppure non è l'unico Destino che il Filo Rosso può creare. Ve ne è uno più cupo, crudele, che da secoli colpisce determinate persone, accomunate tutte da particolare accessori.
Lo sanno bene Tikki e gli altri Kwamii, o almeno dovrebbero, poichè quello stesso destino sta per bussare alla porta dei loro Prescelti, ancora una volta.
Memorie perdute, passati remoti, mentre le vecchie e le nuove generazioni di Eroi si incontrano, Marinette dovrà trovare il modo di sfuggire ad un fato che non desidera.
Perchè lei è Ladybug, ed il suo destino è scritto col sangue.
***
Spero che vi incuriosisca almeno un po? :3 non so quante saghe saranno, dipenderà dall'audience xD
Bacioni e ringraziamenti a chiunque mi seguirà
Jeo 95 =3 (o ArhiShay)
p.s. La storia verrà aggiornata ogni Mercoledì u.u
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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N.d.A- Salve a tutti! 
Chiedo venia se mercoledì scorso non ho aggiornato, ma ho avuto un esame e dovevo preparare la consegna >-<
Ora che ho ufficialmente finito la scuola, si ricomincia meglio di prima!
Non ci sarà più un solo aggiornamento a settimana, bensì due! Il Mercoledì (come sempre), e la Domenica!
Spero gradirete questo capitolo, un po' povero ma ehi, io vado con calma u.u
Un bacione a tutti e alla prossima!


Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

p.s. mi trovate anche su

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Quando le era stato detto che avrebbe frequentato regolarmente la scuola Françoise Dupon, un misto di felicità e paura le aveva avvolto il cuore come una coperta in piena estate.

Calda e morbida certo, ma soffocante quanto un serpente. Ameliè non era mai stata brava a gestire la pressione, non era come Chloè, che affrontava sempre tutto a testa alta e senza mai abbassarsi alle difficoltà. Le sarebbe piaciuto avere la metà del coraggio che la sorella dimostrava, ma purtroppo per lei quel gene non le era stato trasmesso.

Ameliè era timida, insicura, incapace di relazionarsi a qualunque essere umano incrociasse per la sua strada. Per questo non aveva amici, giù a Londra, perché nemmeno una volta era stata capace di parlare con qualcuno dei suoi compagni. Perché era una codarda.

Tornare a Parigi era stata una ventata d'aria fresca, soprattutto rivedere suo padre dopo così tanto tempo. Anche rivedere Chloè era stato bello... forse. Certo se non si contava il fatto che dal momento in cui aveva messo piede nell'Hotel, la gemella non avesse fatto altro che tormentarla, il rientro poteva addirittura definirsi perfetto.

Aveva pianto quando aveva potuto riabbracciare finalmente suo padre dopo tutti quegli anni. Forse anche Chloè aveva pianto abbracciando la mamma, ma non ne era sicura. Erano entrambe assorte nello smanettare il cellulare quando le aveva guardate.

Si era caricata di coraggio la notte prima dell'inizio. Con un voto fatto mentre si lasciava Londra alle spalle, Ameliè si era ripromessa che una volta iniziata la nuova scuola, tutto sarebbe diverso, lei sarebbe stata diversa.

Avrebbe tirato fuori il coraggio, mostrato i denti e gli artigli se necessario, e finalmente si sarebbe fatta qualche amico. Poteva riuscirci... doveva riuscirci.

«Anche Adrien Agreste è nella tua stessa classe, ti ricordi di lui vero?»

Adrien. Certo che se lo ricordava. Un bambino carino, dall'aria spensierata, l'unico ad averle rivolto la parola in quei pochi anni che avevano passato assieme. E assoluta proprietà di Chloè.

Aveva chiarito quel punto l'esatto istante in cui i loro genitori avevano lasciato la stanza, minacciandola di rasarla a zero nel sonno se avesse osato avvicinarsi troppo al suo adorato Adrien.

Deglutendo aveva assicurato che non era interessata ad intrattenere alcuna relazione con lui.

Ed era vero. Ad Ameliè piaceva Adrien certo, ma vedeva a lui solo ed esclusivamente come un caro amico da riabbracciare dopo un lungo periodo di separazione. Non c'era ancora stato un ragazzo che la interessasse davvero, e forse, per il carattere schivo e maldestro che si ritrovava, un ragazzo in grado di sopportarla non sarebbe mai esistito.

Con questi pensieri, e le cartelli di Chloè e Sabrina caricate tra le mani, era andata a scuola. C'era un'altra persona nei ricordi di Ameliè che le sarebbe tanto piaciuto rivedere.

Erano piccole all'epoca, i ricordi erano infatti confusi e sbiaditi, eppure ricordava distintamente di aver avuto un'amica a Parigi, l'unica probabilmente, poco prima di trasferirsi. Se l'avesse vista non l'avrebbe riconosciuta, ma sperava che il destino, in qualche modo, le avrebbe concesso l'opportunità di rincontrarla.

Senza contare lo scontro con quelle due ragazze, che figura imbarazzante, bella mossa Ameliè, era riuscita ad arrivare a scuola in tempo.

La presentazione, come sempre a dire il vero, era stata la peggiore delle torture a cui i professori avessero mai potuto sottoporla. Balbettante e nervosa però, era riuscita per lo meno a presentarsi senza incespicare nelle proprie parole... o nei propri piedi. Il terrore di ripetere l'esperienza delle medie la tormentava.

Ameliè individuò subito le due ragazze con cui aveva avuto l'incidente quella stessa mattina. Rossa come un peperone si era voltata dall'altra parte rifiutandosi di guardarle, troppo mortificata ed imbarazzata anche soltanto per accennare ad un saluto con il capo. Proprio con le sue compagne di classe, quindi possibili amiche, aveva dovuto fare la figura della stupida? Sperò solo che non interpretassero quel gesto come un'offesa.

Non guardò mai verso Chloè. Il rapporto tra lei e la sorella era distante, quasi freddo, e sembrava sempre che Chloè non potesse sopportare di averla in giro. Ad Ameliè dispiaceva questo distacco, questa frattura creatasi nel tempo in cui avevano vissuto separate, perché in fondo voleva bene a sua sorella.

Anche se i pochi ricordi che aveva di lei pullulavano di scherzi e dispetti ai suoi danni.

«Bastava una Chloè, non ne serviva una seconda.» aveva sempre avuto un buon udito, e difatti captò immediatamente il commento seccato di uno dei suoi compagni. Terza fila probabilmente, ma non avrebbe saputo dire esattamente chi. Ed era gelata sul posto.

Ci era voluto ben poco per capire che lì, in quella classe, dove tutti conoscevano Chloè in un determinato modo, lei non avrebbe avuto alcuna speranza. Involontariamente, inconsciamente anche, tutti l'avrebbero sempre e solo associata alla gemella.

Bastò la pausa per provare questa sua teoria.

Mentre Chloè e Sabrina erano corse fuori verso il bagno, ordinandole di non muoversi e fare buona guardia alle borse, Ameliè aveva sperimentato l'orribile sensazione di essere fissata con sospetto e diffidenza da chiunque l'affiancasse.

Erano sguardi ostili, per nulla amichevoli, freddi come il ghiaccio e affilati come lame. Senza rendersene conto aveva iniziato a tremare.

Scosse il capo un paio di volte e si rimproverò da sola.

“Coraggio Ameliè, non ti arrendere alle prime difficoltà!” ma era più facile a dirsi che a farsi.

Probabilmente quel giorno non avrebbe parlato a nessuno. Ma che razza di problemi aveva?! Sarebbe bastato poco e nulla per alzarsi, andare da uno qualunque dei suoi compagni ed intrattenere una conversazione, anche per scrollarsi di dosso l'ombra onnipresente di Chloè.

Era una cosa normalissima, tutti sapevano farlo! Be, tutti... tranne lei.

Sospirò ancora, abbassando lo sguardo e torturandosi convulsamente le piccole mani, curate in ogni dettaglio.

“Bell'inizio Ameliè... sei proprio una frana.”

Ci sarebbe voluto un miracolo perché qualcuno decidesse di rivolgerle la parola. Lei, evidentemente, non era in grado di crearselo da sola. Eppure sarebbe bastato così poco...

«Ameliè?!» aveva sobbalzato sentendosi chiamare per nome, non se lo aspettava.

Si girò a guardare il ragazzo che l'aveva chiamata, e perdendosi nel verde intenso dei suoi occhi aveva visto nascere il proprio miracolo.

Non ci credeva. Non poteva essere lui.

«A-Adrien?» eppure il sorriso che le lanciò fu inconfondibile.

Ameliè si lasciò andare ad un pianto liberatorio quando l'amico di infanzia si avvicinò per parlarle, e accettò con piacere le carezze che le diede sul capo. Si calmò poco dopo.

Lo sentì ridacchiare sospirando, mentre le offriva un fazzoletto come un vero galantuomo.

«Non sei affatto cambiata, dopo tutti questi anni piangi sempre per tutto.»

Amara verità che la portò ad una nuova crisi di pianto.

«N-Non è colpa m-mia... a-anzi forse s-sì...» era assolutamente colpa sua.

Perchè per quanto volesse cambiare non aveva la forza per farlo.

Adrien sembrava aver intuito quel che passava per la mente della ragazza. Conosceva le sorelle Bourgeois da tutta una vita, e se Chloè era la gemella dal carattere forte e viziato, Ameliè al contrario era la timida e remissiva tra le due. Aveva un cuore d'oro, lo sapeva bene lui, ma non abbastanza coraggio per mostrarlo anche agli altri, portandola quindi ad isolarsi dal resto del mondo.

Per questo, da che ricordava, Ameliè era sempre stata molto sola. Forse a causa di ciò sentiva uno strano senso di protezione nei suoi confronti, come quello che un fratello maggiore prova nei confronti della sua sorellina. Si erano sempre visti così dopotutto, come fratelli mancati.

«Senti Ameliè... ti va di venire a conoscere i miei amici?»

Sapeva che ai suoi tre amici dietro di loro, per quanto adesso lo fissassero sconvolti per le sue azioni, Ameliè poteva risultare simpatica e gradevole una volta conosciuta, aveva solo bisogno di un'occasione per presentarsi.

Lui le avrebbe fornito quell'occasione.

Ameliè guardò stupita verso di lui, poi verso i tre ragazzi alle spalle di Adrien, che li fissavano ad occhi sgranati, bocche spalancate, come se assistessero alla più anormale delle scene. Una delle due ragazze, quella dai capelli neri dagli strani riflessi blu, sembrava la più sconvolta e contrariata.

Abbassò immediatamente lo sguardo e arrossì, prossima ad una nuova crisi di pianto. Erano le due ragazze di quella stessa mattina.

Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela.

«Yo bro! Allora vieni?» si paralizzò nel sentire la voce del ragazzo col cappello chiamare Adrien a gran voce, per andarsi a prendere una merenda se non aveva capito male.

Ma Adrien non si mosse. Aspettava una sua risposta.

«N-Non preoccuparti... v-va pure, f-faremo un'a-altra volta.»

«Ne sei sicura?»

«S-Sì! N-Non preoccuparti!»

Adien non sembrò convinto, ma forzarla non avrebbe risolto nulla. Con un sospiro acconsentì e si allontanò.

«Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere.» fu l'ultima cosa che le disse prima di andarsene con l'amico.

«S-Si, g-grazie.» ma probabilmente nemmeno l'aveva sentita.

“Bella mossa Ameliè... davvero grande...”

Il peggio però non era ancora arrivato.


 


 

Nella sua oscura soffitta, Papillon osservava il mondo di sotto con occhi criptici, carichi di quell'ambizione che muovevano ogni sua azione.

Cercava tra le miriadi di persone che popolavano Parigi, la più fragile e debole tra loro, corrotta da sentimenti oscuri che gli avrebbero permesso di manipolarla a dovere. Stavolta ci sarebbe riuscito, avrebbe creato l'Akuma perfetto e avrebbe finalmente messo le mani suoi Miraculous di Ladybug e Chat Noir.

«Non è la cosa giusta.»

C'era sempre una vocina nella sua testa che gli sussurrava dolci consigli ogni qual volta cercava una nuova vittima per le sue Akuma, ma puntualmente Papillon la ignorava, relegandola in un angolo nascosto della sua mente.

Non era la cosa giusta forse, ma era l'unica che potesse fare.

«Tutta sola stasera, farfallina?»

Con uno scatto, Papillon si voltò nel buio. C'era qualcuno nascosto nelle ombre del suo antro, e non aveva idea di chi fosse o di come avesse fatto ad entrare.

«Chi diavolo sei tu? Come hai fatto ad arrivare qui?» non perse la calma però, l'ira avrebbe soltanto avvantaggiato l'avversario durante un possibile scontro.

La figura ghignò, senza però allontanarsi dalle tenebre che ne nascondevano la figura.

«Io sono colei che ti aiuterà a raggiungere i tuoi scopi.» era una voce di donna, una voce familiare che Papillon aveva già sentito. Ma dove?«Molto piacere Mr. Papillon, io sono Le Paon, incantata.»

Finalmente si rivelò a lui una donna dai capelli blu, legati perfetti in uni chignon. Aveva un abito blu dai decori neri, ed un ventaglio, simile alla coda colorata di un pavone che le nascondeva in parte il viso.

Appeso all'abito, in linea con la clavicola destra, Papillon vide qualcosa che non avrebbe mai pensato di vedere. Una spilla, blu dai decori di altri colori, anch'essa con la stessa forma della bellissima coda di un pavone. Strinse un pugno lungo i fianchi, digrignando i denti.

«Come l'hai avuto quello?»

Le Paon sogghignò, abbassando il ventaglio e avvicinandosi con una camminata sensuale a Papillon.

«Beh, è stato facile, Gabriel Agreste va fin troppo fiero della sua sicurezza... e questo è stato il suo errore più grande.» girò attorno all'uomo squadrandolo da capo a piedi.«Ma non è per parlare del Miraculous del Pavone che sono qui.»

Papillon riprese la sua calma e compostezza, senza però staccare gli occhi dalla donna. Aveva due bellissimi occhi cristallini, concesse, nascosti da una lieve maschera blu adornata di gemme scure.

«E per cosa allora?»

Le Paon sorrise. Aveva attirato la sua attenzione, ed era proprio quello che il maestro le aveva ordinato.«Ciò che voglio è qualcosa che porterà gioia e successi ad entrambi.»

Si posizionò davanti a Papillon, sfiorandogli con delicatezza il petto, poi più in su, fino a sfiorare la spilla del Miraculous che dava potere al più grande nemico di Parigi. La fissò incantata, quasi desiderosa di sfilargliela e portarla via con se, come aveva fatto a villa Agreste con il Miraculous del pavone. Si chiedeva ancora come fosse riuscito Gabriel, all'apparenza un comune umano ignaro dell'altro mondo, a possedere un oggetto tanto potente come il Miraculous. Ma non era tempo di pensare, la sua missione era un'altra.

«Sono qui per proporti un'alleanza.»


 


 

«No, no, no e poi no!»

Fu sospirò ancora, mentre prendeva con cura i Miraculous della volpe e dell'ape per riporli in un paio di scatoline nere. Era il momento che anche loro trovassero il proprio partner.

«Wayzz ti prego...»

«Perchè anche io?! Sono il suo assistente! Non voglio un nuovo partner!»

Il vecchio maestro capiva i sentimenti del Kwamii, anche lui non avrebbe voluto separarsi dall'amico che per oltre un secolo aveva accompagnato la sua vita, dal fido consigliere che nei momenti belli e brutti aveva saputo sostenerlo e stargli accanto come nessun altro avrebbe fatto.

Era uno dei pochi portatori ad aver combattuto come Tartuga per ben due generazioni. L'unico testimone di ciò che gli orrori del destino potevano comportare. Né i Kwamii né nessun altro sapevano. Soltanto lui.

E sospettava che anche qualcun altro fosse a conoscenza dei segreti oscuri nascosti nello scrigno del Miraculous, ma non osava metterci la mano sul fuoco.

Da quel giorno lontano, in cui la precedente generazione aveva visto cadere il loro pilastro di forza e coraggio, sembrava che tutti avessero dimenticato quanto accaduto dieci anni prima. Neanche Wayzz sapeva, e Fu non aveva fatto nulla per cercare di fargli ricordare.

Lo feriva, nascondere la verità al suo fidato partner, ma nel profondo sentiva di aver fatto la scelta giusta. Tacere la verità, almeno per quella volta, era stato l'unico modo per assicurarsi una via di fuga dal ripetersi di quella tragedia.

«Ora che anche Duusu è stato preso, non possiamo lasciare che Ladybug e Chat Noir combattano da soli. Hanno bisogno di tutto l'aiuto possibile, incluso il tuo.»

Lo sapeva. Sapeva che il maestro aveva ragione, che era ormai giunto il momento di cercare un nuovo portatore del suo Miraculous, e per quanto fosse sempre stato un tipo razionale e serio, stavolta Wayzz faticava ad accettare la realtà.

Perché dopo tutti quegli anni passati accanto a Fu, non avrebbe più voluto cambiare partner. La vita umana era breve, troppo perché potesse essersi mai affezionato davvero a qualcuno, nonostante chiunque entrasse in possesso del Miraculous della tartaruga vedesse la propria vita allungata oltre i cento anni.

Nonostante questo però, Fu era stato l'unico a raggiungerli. Tutti gli altri erano stati spezzati ancor prima di potersi accorgere del dono.

«Non essere triste Wayzz.» Fu gli carezzò con dolcezza il capo.«Ci incontreremo ancora, questo non è un addio.»

Mettendo da parte la razionalità e la calma che lo contraddistinguevano, Wayzz si lanciò tra le braccia del maestro e lo abbracciò.«Ti voglio bene, maestro.»

Fu ricambiò l'abbraccio.«Anche io Wayzz.» ed infine, staccò per sempre il bracciale da proprio polso.

Wayzz era sparito l'istante in cui il laccio era stato sciolto, ritornato come ogni altro Kwamii all'interno del proprio talismano.

Una sola lacrima solcò il viso di Fu, che con un rapido gesto l'asciugò, quasi non fosse mai caduta davvero. Doveva essere forte, aveva una missione da compiere.

Prese le tre scatole nere e le infilò in una borsa, assicurandosi di chiuderla per bene in modo che nessuna delle tre cadesse e si perdesse per strada.

Lasciò un biglietto attaccato alla porta per Marinette, rimandando il loro incontro ad un prossimo futuro, una volta che avesse finito il viaggio in cerca di nuovi portatori.

“Avrei preferito non vedere una nuova generazione...”

Invece si sarebbe macchiato le mani di quella colpa un'altra volta, consegnando nelle mani di tre nuovi ragazzi il potere di proteggere il mondo.

«Spero solo che questi ragazzi siano più fortunati di noi..»

Fu solo una speranza sussurrata nel vento, ma pregò affinché gli Dei l'accogliessero e la esaudissero.

 


 

 


 


 


 


 

   
 
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