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Autore: nuvolArcobaleno    21/06/2017    1 recensioni
«Io… mi chiamo Axel. Axel Carpenter» Provò a tenderle la mano, ma la ritirò subito. Che stupido.
Quella situazione era assurda.
Forse avrebbe soltanto dovuto porre fine a tutto.
«Scusami» sentenziò sinceramente dispiaciuto. Sperò che lei capisse quanto gli dispiacesse. Si avvicinò alla porta. Alzò il pugno per dare due colpi. Momento di esitazione.
«Garla»
Axel si bloccò di colpo.
«Come?»
«Garla. E’... è il mio nome»
«... Garla?» Garla annuì.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prefazione

Questa "storia" mi è venuta in mente per caso e forse per sbaglio ma mi sembrava interessante scriverla, spero almeno sia di vostro gradimento... se qualcuno mai la leggerà...
Comunque, la mia idea nello scrivere Cripto era di andare a "improvvisazione" diciamo, senza scrivermi la trama o i personaggi. Ovviamente ciò può cambiare e  un giorno potrei decidere di prendere questa storia sul serio, ma, per ora, l'idea di base è "improvvisazione".
C'è, se mai qualcuno arriverà tanto lontano nella lettura, una trama, ovviamente, e dei personaggi definiti. Il problema con questo metodo alternativo sarà far uscire fuori, in modo naturale, tutte le informazioni e arrivare a una conclusione. State tranquilli, chiunque voi siate che avete deciso davvero di leggere sta roba, non sarà una storia troppo lunga. Anche se non so ancora quanti capitoli avrà.
Siccome non so neanch'io bene cosa aspettarmi da questa storia, sia il rating che il genere li ho messi un po' a sentimento. Se volete, potete fare tutte le critiche che volete e io cercherò di adattare la storia a questa. Per ora è sotto "Tematiche delicate", ma perché, effettivamente, parte con una situazione un po' disturbante (se sono riuscita bene nel mio intento, altrimenti sarà solo tutto molto strano)
Detto questo grazie per aver finito di leggere questa mia prefazione e... buona lettura immagino.

 

Prologo

Axel fu spinto a forza nella cella. Dietro di lui la porta si schiuse con un pesante tonfo, che rimbombò nella piccola oscurità che lo avvolgeva freddamente. Dalla parte opposta della parete una figura evanescente fu gettata insieme a lui nel buio, accompagnata dal solito tonfo profondo.

«Buon divertimento!» si sentì gracchiare dall’altra parte della porta blindata.

 

Axel rimase dov’era, guardando incuriosito la figura ancora stesa a terra riprendersi lentamente e guardarsi intorno disorientata.

«Salve« accennò con un sorriso sornione «Come va?»

La figura finalmente alzò la testa. Era una ragazza abbastanza bella nella penombra della cella. I capelli, neri e lucidi, sembravano lunghe alghe bagnate. Abbastanza inquietante come analogia, realizzò, ma forse era perché dietro a quella massa algosa si scorgeva a fatica un’espressione di odio e disgusto. Indirizzata a lui.

Lui, dal canto suo, non si era ancora mosso dalla sua piastrella, l’unica cosa che aveva fatto era stato chiederle come stava. Restò in attesa.

«Sai,» provò ancora «non deve per forza essere una cosa così… imbarazzante, diciamo» La ragazza continuava a fissarlo con disprezzo. «Potremmo anche… non so… conversare, conoscerci» Aveva parlato lentamente, tentando di tenere un tono rassicurante e magari caldo, nel freddo umido di quel cubo di piastrelle. Lei, per tutta risposta, lo fissò con ancora più disprezzo.

Silenzio.

«E va bene» e avanzò verso di lei di un passo. La ragazza si ritrasse verso il muro. Le manette tintinnarono sinistramente alle sue mani. Si fermò.

«Vedo che non te le hanno tolte» continuò. Evidentemente voleva davvero fare conversazione. Alzò le mani davanti a sé, «A me sì» accennò un altro sorriso. Nello sguardo della ragazza si intuì un accenno di paura.

Dall’altra parte dello spesso muro di ferro e acciaio non si sentiva alcun suono. Nulla del mondo esterno penetrava in quella stanza delle torture, anche se probabilmente non ce n’era bisogno: l’orrore che vagava fuori si era già infiltrato a sufficienza in quello spazio angusto, largo appena 7 metri quadri. A starci dentro si sarebbe detto che nulla sarebbe potuto neanche uscire, in realtà, in un angolo in alto era nascosta una silenziosissima ed efficiente ventola per il cambio dell’aria, di una grandezza tale da non permettere nemmeno ad un bambino di passarci dentro.

I due prigionieri rimasero ancora immobili a fissarsi. Il tempo non scorreva la dentro. Le porte lo avevano escluso dal fluire naturale del mondo.

Axel cominciò a muoversi sulla nuova mattonella con calma impazienza. Ad ogni suo movimento, la ragazza si raggomitolava ancora di più dietro la massa di alghe.

«Senti, sinceramente, ammettiamolo… prima è meglio è per entrambi!» la ragazza continuò a fissarlo, immutabile. «Saremo entrambi fuori di qui in un lampo, e per di più liberi!» Immutabile. Axel si sentiva spossato, era come ragionare con un cerbiatto spaventato. Non sapeva più che fare. Probabilmente non avrebbe ceduto. Era un peccato.

Si mise le mani tra i capelli e si voltò dall’altra parte, era davvero un peccato.

«Davvero pensi che saremo liberi come prima?» la voce flebile e quasi roca lo aveva sorpreso. Si girò lentamente.

«Perché?»

«Non sarà mai più come prima, non saremo mai più liberi» parlava in un sussurro, quasi un sibilo «Ma in fondo non lo siamo mai stati»

Nell’oscurità dei suoi capelli non riusciva a vedere la sua bocca muoversi, ma se la immaginava sottile e pallida. Si ritrovò a pensare che alla fine non sarebbe stato male. E si sentì una bestia per questo.

«Fai sempre questi pensieri allegri tu?» Perché si sentiva sulle difensive?

La ragazza ci mise un po’ a rispondere. Il suo sguardo lo schiacciava.

«Sei un mostro» e ne era convinto anche lui.

«Mostro, io?»

«Umpf!» i capelli le si mossero dal volto per una frazione di secondo per poi ricadere pesantemente «Sappi che io non cederò mai a quelli come te!» adesso sibilava come un serpente velenoso.

«Guarda che ci metto un attimo a chiamare la guardia» minacciò lui di risposta, indicando la porta.

Si stavano entrambi difendendo.

«Chiamala pure, ma sappi che non avrai comunque una vittoria facile. Dovrai uccidermi prima che accetti una mostruosità del genere! Ti graffierò e ti morderò e scalcerò e urlerò finché avrò fiato in corpo!» come un cobra che cerca di apparire più grande e minaccioso gonfiando il collo, la ragazza si protese in avanti, le mani puntate sul pavimento, gli occhi che dardeggiavano da quella massa di oscurità ondeggiante.

«Credi che sia facile per me?» Axel ritrovò anche se stesso in posizione di attacco, le mani strette in pugni pressate contro il petto, gli occhi spenti arrossati, la voce un rantolo strozzato nel tentativo di non urlare, disperato.

La ragazza si ritirò di nuovo nel suo angolo, non gli credeva.

Lui sospirò esausto, tentando di calmarsi riportò le mani alla testa. Aveva davvero delle belle braccia.

«Senti…» il suo tono era diverso dagli atteggiamenti assunti fino a quel momento: rassegnato, dimesso, di uno che sa di essere in trappola. La ragazza si rilassò un poco.

«Non l’ho scelto io di fare questo ok?» le sue parole dovevano suonare come delle scuse. «Loro me l’hanno proposto e io…» non sapeva come continuare «Era il modo più veloce per uscire da qui» Non suonavano come delle scuse all’orecchio della ragazza. Tuttavia non sentì di doversi allarmare come prima.

Non disse niente. Non era prudente rispondere.

Il ragazzo sospirò ancora, il secondo di una lunga serie in quella conversazione.

«Se non- Se tu- Insomma…» era difficile «Almeno concedimi di sapere il tuo nome…» Si rese conto che suonava davvero malissimo, ma cercò di non darlo a vedere.

Nessuna risposta. Il suo sguardo lo penetrava dolorosamente.

«Io… mi chiamo Axel. Axel Carpenter» Provò a tenderle la mano, ma la ritirò subito. Che stupido.

Quella situazione era assurda.

Forse avrebbe soltanto dovuto porre fine a tutto.

«Scusami» sentenziò sinceramente dispiaciuto. Sperò che lei capisse quanto gli dispiacesse. Si avvicinò alla porta. Alzò il pugno per dare due colpi. Momento di esitazione.

«Garla»

Axel si bloccò di colpo.

«Come?»

«Garla. E’... è il mio nome»

«... Garla?» Garla annuì.

 

I due rimasero ancora in silenzio. Un silenzio freddo e umido, che li faceva freddare il sudore addosso e che acuiva la fitta nel cuore di entrambi, sapendo cosa facevano lì. Ormai non si guardavano più negli occhi, lo sguardo era diventato troppo pesante da sopportare e adesso fissavano un punto indeterminato del pavimento di piastrelle grigie al lato.

Axel si mise a sedere con un tonfo, che fece riprendere Garla dal filo dei suoi pensieri.

A gambe incrociate, il volto seminascosto nella mano, sembrava quasi una statua antica. Ritrovatasi a fare certi pensieri, si vergognò immensamente di se stessa.

«Perché sei qui?» La domanda l’aveva presa di sorpresa e non l’aveva capita.

«Eh?»

«Perché sei… qui, qui dentro?» Con ampi gesti delle braccia indicava vagamente l’aria intorno a sé.

Garla si mise seduta composta in ginocchia, le mani in grembo, ma non si spostò i capelli dal viso. Sembrava non le dessero fastidio. Non che volesse vedere chiaramente niente, in una situazione tetra come quella.

«Ufficialmente, per “opposizione ostinata all’autorità e alla normale funzione data da svolgere”. In poche parole, per aver urlato contro il soldato che stava picchiando il mio collaboratore di lavoro» Non sapeva neanche perché glielo stesse dicendo.

«Quindi… per un Atto di Eroismo?» Gli rispose con uno sguardo di odio. Non le piaceva quell’espressione.

Il ragazzo si mise a sogghignare. Continuava a non capire perché glielo avesse detto. Voleva che smettesse di ridere.

«E tu?»

«Io cosa?»

«Perché sei dentro tu?»

«Furto»

«... Furto?»

«Furto»

«Tutto qui?» Non sapeva perché si aspettasse che le raccontasse qualcosa di più. Si sentì una stupida ad aver messo in dubbio la viltà di quella bestia. Ritornò a disprezzarlo.

Lui intanto aveva mantenuto un sorriso sornione sul volto squadrato. Lo disprezzò ancora di più.

«Mi hai detto il tuo nome, ma non vuoi dirmi la tua storia? Non sei molto coerente» Questo gli tolse il sorriso dalle labbra. Alzò lo sguardo su di lei. Uno sguardo duro. Garla stava tornando lentamente a sentirsi in pericolo.

«Se proprio lo vuoi sapere,» anche la sua voce era dura «ho rubato i soldi dal bancone di un negozio» Continuava a fissarla. Adesso era lei a sentirsi oppressa dal suo sguardo.

«Un negozio di falegnameria» tornò a fissare il pavimento. sembrava avvilito dal ricordo. «Non avevo altra scelta»

A Garla quelle parole non suonavano nuove. Qualcun altro le le aveva dette in una situazione diversa, ma in qualche modo simile. Tempo fa. In quella che sembrava un’altra vita.

«Stavi coprendo qualcuno?» Il ragazzo alzò la testa di scatto, sorpreso, gli occhi stretti verso di lei. Allora era vero.

«Ma non sei costretto qui, adesso. Tu hai una scelta. C’è sempre una scelta» Garla si accorse che il suo tono era quasi supplichevole. Sperò che l’altro non si arrabbiasse per questo.

Non si arrabbiò. «Una scelta?» sbottò invece. «E che scelte avrei sentiamo? io ne vedo solo due: marcire in cella per il resto dei miei giorni, o usarti… agire… con te... e uscire da questo buco!» Aveva esitato un attimo, la voce si era quasi spenta, ma si era ripreso subito. Ormai però lei aveva capito, e voleva tentare il tutto per tutto. Altrimenti, l’unica scelta che le sarebbe rimasta, sarebbe stata la vergogna.

«Io ne vedo un’altra. Possiamo uscire di qua. Uscire davvero»

«Non ti seguo» ma la sua espressione esprimeva di più oltre al semplice dubbio.

«Io dico fuggire. Non solo dalla prigione, ma dal regno. Fuggire questa dittatura, da questa agonia, da questa pazzia!»

 

Ad Axel sembrò trascorrere un eternità tra i loro primi sussurri e quella che fu la sua risposta. Il volto di lei gli sembrava estremamente vicino, eppure non si erano mossi, e lo fissava. Fissava la sua anima. Gli venne da ridere.

«Tu sei pazza» non sapeva cos’altro dire.

«Te lo leggo negli occhi che mi credi, non puoi mentire» d’improvviso si sentì con le spalle al muro.

«Non hai mai pensato di andare a cercare un mondo migliore da questo delirio?»

«Questo non è un delirio, è un regno. Abbiamo un re. Ci sono dei consiglieri. Non è una dittatura!» Ma le parole vacillavano nella sua mente prima di uscirgli dalla bocca, come fossero registrate e ripetute da una macchina.

«Certo che è una dittatura! Credi davvero che fino a dieci anni fa ci avrebbero sbattuto dentro per un misero furto e delle urla? Pensi che ci avrebbero costretto a questo?» Quasi involontariamente, la ragazza si mosse verso di lui, e lui fece per indietreggiare.

«il Progetto Ripopolamento e Riabilitazione serve a consapevolizzare i cittadini che non hanno ancora una chiara visione del mondo...» come una macchina ripeteva lo slogan senza emozione. Gli occhi sempre fissi su Garla.

Non ci fu bisogno di risposta.

Axel si arrese.

«Lo so. E’ ovvio che lo so» Si sentiva sprofondare sempre di più nell’oscurità della cella, avrebbe voluto sparire nell’ombra.

Un debole sorriso soddisfatto sfiorò le labbra di Garla. Erano davvero sottili.

«Ma anche se fosse,» aggiunse prima che lei potesse aprir bocca «come pensi di fare? Siamo chiusi in una cella blindata, sorvegliati da una guardia, in una prigione, circondati dal nulla…!» Axel davvero non sapeva come continuare. Aveva perso le speranze molto tempo prima.

«Io ho un piano»

Queste parole lo sorpresero più di tutto quello che gli era successo fino a quel momento.

 

Non sapeva dire se il piano fosse semplice o solamente stupido. La sua essenza era quasi completamente svanita nel nulla.

«Per favore,» si sentì pregare «in fondo cos’hai da perdere?»

Che cos’ho da perdere? Più ci pensava e più non sapeva se aveva una vera risposta. Lei avrà avuto qualcosa da perdere? In fondo, il fallimento significava morte certa, il successo la libertà assoluta. Se non avesse fatto niente e avesse continuato da copione, avrebbe vissuto l’inferno.

«D’accordo» sentenziò risoluto.

Da quel nulla che lo stava inglobando riprese la determinazione.

Si alzò in piedi.

Si avvicinò alla porta.

Alzò il pugno per dare due colpi.

Si girò verso Garla, che annuì decisa.

Momento di esitazione.

Che cos’ho da perdere?

Bussò due volte sulla porta.

   
 
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