僕は孤独さ – No Signal
☸
Parte quarta: Il caso Lisca.
Luci
abbaglianti, tubi, ventose e aghi.
Si
sentiva una rana pronta per essere dissezionata.
Cercava
inutilmente di reggere il lenzuolo che le copriva il petto, mentre attorno a
lei i borbottii si facevano sempre più coincitati. Le
doleva ogni singola parte del corpo, a iniziare dalle braccia, fino al ventre.
Si sentiva un porta spilli di carne viva, una bestia strana ed esotica da
studiare. Un nervo scoperto ripetutamente stimolato.
«Credevo
che quella dell’altra volta sarebbe stata l’ultima seduta. Perché sta
succedendo di nuovo?»
Tatara
spostò lo sguardo dalle lastre appese alla lavagna luminosa al viso della
giovane. Una lacrima le solcava la
tempia, mentre tremava per il dolore. Quando gli occhi rossi scivolarono verso
il ventre tenuto aperto da un divaricatore anatomico, si ritrovò a realizzare
Aiko stava vivendo l’intera situazione come una tortura. E che forse gli
importava.
«Non
lamentarti. Sono stato io a somministrarti la anestesia locale.»
«Ha
terminato il suo effetto da quelle che mi sembrano ore.»
Il
metabolismo dei ghoul era molto più veloce di quello umano e anche quello dei
Quinx doveva essere simile. Tatara smise però di prestarle attenzione,
arguendola con non curanza. «Sopportalo. Sii più forte del dolore stesso.»
«Povera
Aiko-chan. Oggi ci sto mettendo più tempo del solito, ma non faccio altro che
distrarmi!»
L’albino
assottigliò lo sguardo. «Sta facendo perdere tempo a tutti con questo
atteggiamento, dottor Kanou.»
Il
dottore rise, scuotendo il capo giulivo. «Chiedo scusa. Mi rimetto subito
all’opera allora.» Quindi prese in mano la sega chirurgica. Aiko prese dei
lunghi respiri, rabbrividendo nel sentire l’attrezzo accendersi. Un dolore
cieco la scosse, mentre sentiva Kanou smussare le sue vertebre. Si morse il
labbro fino a farlo sanguinare e quando non riuscì più a resistere lasciò
cadere quel lenzuolo, incurante del pudore. Allungò la mano e strinse con forza
la manica di Tatara, cercando di inarcare la schiena e sottrarsi, ma le cinghie
di cuoio che la tenevano inchiodata a quel letto glielo impedirono.
I
minuti che passarono le parvero anni, fino a che, di punto in bianco, l’albino
parlò di nuovo. «Basta così.»
Kanou
smise di affettarla con un bisturi, alzando gli occhi sul generale di Aogiri.
«Purtroppo temo di dover necessariamente smettere in ogni caso. Non posso
rimuovere la gabbia in nessun modo, per quanto ci abbia provato. Senza contare
che ho qualche idea di cosa succederebbe se la rompessi e liberassi il kakuho. Tutte queste teorie però hanno un brutto epilogo.»
Aiko
respirò affannosamente, alzando il capo per spiare il ventre, prima di
ributtarlo giù, sul cuscino. Si rese conto che stava tenendo la mano di Tatara,
così la sfilò velocemente, guardando il maestro. Questi si voltò, afferrando da
un carrello una siringa. «Dottore, è questa?»
Kanou
allungò il collo, prima di rimuovere il divaricatore. «Sì, esatto. Con quella
l’apporto di cellule rc verrà prodotto il doppio più
rapidamente. Così si rigenereranno le ossa e gli intestini, visto che gli altri
li ho buttati.» Il ghoul bianco fu abile a trovare una vena nel braccio. Fece
l’iniezione, mentre il dottore ancora osservava l’interno del ventre della
ragazza, ammaliato. «Tutto questo è così affascinante. È un peccato che io non
possa smontarti, cara.»
«No,
non può.»
La
voce di Tatara uscì particolarmente minacciosa in quel frangente. Così tanto
che Kanou non replicò oltre, ringraziando Aiko per il sui ‘tempo’, prima di
uscire, con tante foto da analizzare e qualche campione anatomico prelevato
tramite biopsia. Poteva dirsi soddisfatto. Masa lasciò che Tatara la liberasse,
prima di alzarsi seduta. Allungò una mano verso il basso, sentendo il buco con
le dita e sfiorando la gabbia metallica in acciaio quinque con la punta del
polpastrello. Poi la ritirò immediatamente, tenendo gli occhi sgranati sul
lettino.
«Sarebbe
tutto più semplice se uno dei tuoi nuovi amici morisse.»
Aiko
non rispose a quella frase forte. Tenne il capo abbassato e le braccia strette
attorno al petto nudo, chiudendosi su se stessa. Poi, con voce piccola, fece
una semplice richiesta al maestro. «Puoi lasciarmi sola, per favore?»
Tatara
annuì, buttandole addosso il lenzuolo. Esso le ricadde sulle spalle e sul capo,
nascondendola solo parzialmente alla vista. Attraversò la stanza silenzioso e,
arrivato alla porta, la chiamò. «Mèi-mèi», sussurrò, con tono basso e quasi carezzevole,
facendole alzare lo sguardo. Aveva gli occhi distrutti. «Hai tempo mezzora. Poi
ti aspetto per allenarci con il Dao.»
«Va
bene, Laoshi.»
Non
era sicura che sarebbe riuscita a continuare a flettersi a quel modo senza
spezzarsi, ma non aveva scelta. Kanou voleva delle cavie e lei era lì, per
regalare a Eto quell’esercito che tanto desiderava. Doveva fare la sua parte,
lo diceva sempre Tatara. Perché Aogiri è
sacrificio totale, non c’è posto per gli egoisti, qui.
Eppure
lei, che egoista non lo era mai stata, desiderò diventarlo.
Un’ombra
nera e veloce scivolò nella stanza attraverso la porta lasciata socchiusa. Fu
impossibile per la giovane accorgersi della sua presenza fino a che non la
raggiunse sul lettino operatorio con un balzo.
«Seidou…»
Il
ghoul studiò il suo viso segnato dalle lacrime, prima di sospirare. Si abbassò
il cappuccio, liberando la chioma candida, prima di iniziare a frugare dentro
al suo mantello, tenendo lo sguardo ben piantato sulla voragine che le
deturpava il tronco. Le porse un sacchettino che odorava di sangue, «Mangia,
guarirai prima.»
Lei
lo prese con mani tremanti, prima di buttarsi contro di lui, stringendosi al
suo collo come se rischiasse di affogare. Sentì la mano di Takizawa
appoggiarsi alle sue reni, mentre le labbra tinte di nero si accostarono al suo
orecchio.
«Va
tutto bene», dichiarò, sprezzante, con una leggera nota di cieca follia nella
voce. «Li ucciderò tutti. Li ucciderò
tutti e lo farò presto.»
E
l’avrebbe fatto, oh eccome se lo avrebbe
fatto.
Capitolo ventitré
«Take!
Take! Ei!»
Aiko
si era letteralmente buttata dalle scale, appoggiando le mani sulla ringhiera
come una ginnasta per scendere al piano di sotto e cercare di raggiungere l’ex
caposquadra. Questi era chiuso in un’accesa discussione sottovoce con Arima, ma
si bloccò in mezzo al corridoio quando la sentì chiamarlo. Il risultato fu che
Masa, che lo stava rincorrendo, si schiantò contro la sua schiena, facendo un
fracasso del demonio.
Hirako
non si smosse e nemmeno Arima al suo fianco. Si voltò semplicemente nella sua
direzione, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi, visto che era volata
con il sedere per terra. «Buongiorno.»
«Buongiorno
ad entrambi», salutò lei, sistemandosi la camicetta. Poi si rivolse a Take,
«Hai un minuto? Volevo parlarti di una cosa.»
Questi
guardò Arima, che guardò Aiko, che continuò a fissare in attesa Hirako. Lo Shinigami fece un semplice cenno, rubando tutti i fogli che
il collega reggeva in mano, «Fai con comodo. Ciao Aiko.»
«Ciao,
classe speciale.» Masa alzò una mano, guardando Arima defilarsi piuttosto in
fretta, prima di appoggiare entrambe le mani sui fianchi. Tornò a rivolgersi a
Take, prendendolo poi per un polso per tirarlo da parte e permettere così ad un
paio di colleghi di passare. «Che dici, ci spostiamo da in mezzo al corridoio?
Ti offro in caffè.»
Accettò,
ma finì comunque per essere lui a pagare il caffè per entrambi. Come sempre. Lei si lamentò,
cercando di impedirglielo e regalando una scenetta iconica agli avventori della
sala relax, che poterono godere della vista di una ragazza di cinquanta chili
che provava a spostare fallendo un uomo molto più veloce di lei a scansarsi. Un
essere umano normale contro un Quinx.
Il Quinx perse.
«Di
cosa volevi parlarmi?»
Seduta
sul divanetto di fronte a quello del rosso, Aiko abbassò gli occhi sul caffè.
«Volevo scusarmi per ieri. Ti ho risposto davvero male, più del solito almeno.»
Abbozzò un sorriso, guardandolo di nuovo prima di riprendere. «Penso sia stata
la giornata peggiore nell’ultimo anno, tolto ovviamente il casino del Lunar
Eclipse. Non mi sembrava che nulla sarebbe andato per il verso giusto.»
«Non
sono arrabbiato con te», le disse, con tono pacato, portando il bicchiere di
carta alle labbra. «So che conoscevi il ghoul della tua indagine.» Lei si
chiese chi potesse averglielo detto, ma Take glielo rivelò subito. «Shimura.»
«Ah.
Pensavo Aizawa.»
«Aizawa mi ha tolto il saluto, non so perché.» La ragazza
ridacchiò, prima di bere il suo caffè. Lui si sporse in avanti. «Vuoi parlarne,
comunque?», domandò, «Della giornata di ieri, intendo.»
«Diciamo
solo che è stata lunga e sofferta. Non ho molto di cui lamentarmi in realtà, ma
sai quando sei così stanco che ti basta una minima provocazione per sentire i
nervi stridere?»
«Pensavo
che per te fosse così ogni giorno.»
Aiko
alzò le sopracciglia, «Mi stai prendendo in giro?»
Hirako
si alzò in piedi, «Io? Mai. » Buttò il bicchierino in un cestino. «Se hai
bisogno di me sai dove trovarmi. Ora devo tornare al lavoro.»
«Buona
giornata, Tappetino di Arima-san.» Lo salutò con la manina e un sorrisetto
divertito, realizzando che si sentiva molto, molto meglio. Più leggera. Buttò a
sua volta il bicchierino, facendo canestro senza alzarsi dal divano. Poi si
allungò con le gambe, appoggiando le mani sul ventre.
«Oi Masa!»
Aprì
un occhio solo. «Ciao, Komoto.»
Il
tecnico si mise a sedere di fronte a lei, sorridendo allegro. «Come stai?», le
domandò gentile, prendendo da una busta sterile un paio di bicchierini di
carta. Li passò in rassegna attentamente, controllando che non fossero sporchi.
Poi li riempì usando il suo bellissimo
termos da scuola elementare e gliene porse uno.
Masa
si appuntò mentalmente di non berne altri nel corso della giornata o non
avrebbe dormito per la seconda notte di fila. Quella appena trascorsa l’aveva
passata abbracciata così stretta a Urie da non riuscire a prendere sonno, ma
incapace di allentare la presa. «Sono stanca morta. Tu?»
«Alla
grande. Ho comprato un bellissimo pesce combattente. È viola e blu scuro,
assomiglia al tuo kagune.» Con entusiasmo, iniziò a descrivergli attentamente
il nuovo acquisto e il bellissimo acquario che aveva tutto per sé, nel quale
aveva anche installato un sistema di piante acquatiche davvero molto belle. Poi
fece un’osservazione. «Sei stata in ferie a giugno, no? Come fai ad essere già
così stanca?»
«Il
lavoro dell’agente è opprimente», rispose, sorseggiando soddisfatta il caffè,
di una qualità cento volte migliore di quella solubile della macchinetta. «Ogni
tanto si entra in contatto con realtà che avremmo preferito evitare.»
Lui
annuì, con la faccia di qualcuno che non ha assolutamente idea di cosa il suo
interlocutore stia dicendo, ma che comunque ne rispettava il punto di vista. A
prescindere. «Parlami un po’ delle tue vacanze, piuttosto.» Si sistemò sul
divanetto, attento a non appoggiarci sopra le mani per non dover correre al
riparo con il disinfettante in gel. «So che sei stata a Okinawa. Hai fatto vita
da spiaggia? Mi piacerebbe molto farmi un viaggio del genere, ma il pensiero di
un gruppo di persone mezze nude che condividono un pezzo di spiaggia, pestando
la stessa sabbia, fumandoci e mangiandoci sopra per poi buttarsi in un mare
inquinato dalle scorie di Fukushima, mi fa
rabbrividire.»
Masa
ridacchiò sotto ai baffi. «A me piace molto invece. Il mio sogno è vivere in un
posto del genere. Adoro il mare.»
«Scommetto
che metà di questo dipartimento sogna di viverci con te», la colse di sorpresa Komoto, arrivando quasi ad ammiccare.
«Cosa
intendi, Sheldon Cooper?», gli chiese, facendolo
ridere.
«Mi
riferisco alla foto che Urie Kuki ha postato su instagram
mentre eravate ancora ad Okinawa. Quella di te, che esci dalle onde dell’oceano
radioattivo come la Venere del Botticelli, ma senza la conchiglia, con addosso
un succinto costumino bianco.» Chiuse gli occhi, riportando alla mente tutti i
dettagli in modo davvero inquietante. «La mano fra i capelli corti lucidi
perché bagnati, il volto leggermente chino e un bel sorriso. Anche se io
preferisco ricordarmi del vecchio in sfondo. Scusami, ma la sua espressione
mentre guardava il tuo lato b è impagabile. Credo sia morto di infarto subito
dopo.»
«Stai
svilendo una bellissima foto.»
«Ha
avuto più di cinquecento like non per quello e lo sai
benissimo. Sono cinquecento applausi alle tue gambe. Urie non ha mai avuto così
tanta visibilità all’account in tutta la sua vita e non credo ne avrà mai più.»
Fece una pausa, concedendosi di ridere con la mora. «Nemmeno se si facesse un selfie con la testa del Re col Sekigan in mano. Solo una
cosa fa girare il mondo, anche se ammetto di saperne poco.»
Aiko
scosse il capo, divertita. «Sei ancora in tempo per perdere la tua verginità.
Hai la mia età, non farmi sentire vecchia.» Finì il suo caffè, ripensando alla
foto, al fatto che Urie l’avesse definita la sua ‘collega’ sotto di essa e a
tutte le risate che si erano fatti notando l’aumentare dei like.
Fino a che Urie non aveva smesso di ridere, soprattutto visti i commenti dei loro amici. Kuramoto si
era divertito davvero un sacco a prenderlo in giro.
«Ci
proverò. Ma il pensiero di entrare in contatto con il liquido secreto
dall’apparato genitale femminile mi fa un po’ rabbrividire.»
«Prova
con l’apparato genitale maschile, allora.»
Lui
la guardò con disgusto. «Ancora peggio.»
«Masa!»
E
così arrivo anche Aizawa.
«Alzati,
ti porto al :RE a bere un caffè. Urie ha detto che intanto ora non gli servi.»
Lei
lo guardò sorpresa. «Ma ne ho già bevuti due.»
«Allora
ti prenderai una spremuta. Avanti, muoviti.»
Aiko
non aveva avuto molta scelta se non alzarsi, scusarsi con Komoto
per quella fuga inaspettata e andare dietro al patologo, che pareva più fuori
di testa del solito. Lo seguì in macchina e una volta lì, il biondo alzò il
volume della radio, settata su una frequenza che mandava musica country, per non parlare.
E
non parlarono fino all’arrivo. Una volta fermi nel parcheggio di fronte allo
stabile che ospitava il bar di Kirishima, Aizawa tolse le chiavi dal cruscotto e la radio venne messa
a tacere. Si voltò verso Aiko, guardandola serio come mai in vita sua.
«Se
oggi non tornerò in laboratorio entro le cinque, una email
che ho programmato verrà inviata sulla casella di posta di Urie Kuki. Al suo
interno ho raccolto tutte le prove che servono per fargli sapere chi sei
veramente, Labbra Cucite.»
Lei
lo guardò, assottigliando gli occhi. «Mi stai minacciando?»
«Sto
solo dicendo che ti conviene pensarci molto bene, prima di ammazzarmi.»
Aiko
slacciò la cintura, guardandolo ancor più male. «Andiamo. Devi offrirmi
qualcosa di molto più forte di un caffè per sopportare la conversazione.»
Lui
annuì con un cenno secco, prima di smontare dalla vettura nello stesso momento
in cui lo fece anche la mora. Nel bar lei si comportò normalmente, salutando Touka e Nishiki, prima di
prendere posto in un tavolino distante dagli altri occupati, di lato rispetto
all’ingresso. Lui la seguì, chiedendo a Touka due
bicchierini del suo liquore più forte e una fetta di torta alle fragole.
«Lascia
la bottiglia», disse poi alla cameriera, con la voce da cowboy e imitando anche
il gesto di sistemarsi un cappello immaginario. Kirishima
eseguì, sorridente come sempre, lasciandoli sul tavolo, non chiedendo nemmeno
se stessero bene. Dopotutto stavano iniziando a bere molto presto. Quando Aizawa prese in mano una delle fragole, lucida a causa
della gelatina di frutta, la sovrappose al viso di Masa, di fronte al suo
occhio. «Sei un’attrice davvero formidabile, i miei complimenti.»
«Arriviamo
al punto. Cosa vuoi sapere da Aogiri?»
Il
dottore si sporse in avanti, sul tavolo, guardando gli occhi da gatta di Aiko.
In quel momento però era all’erta e lo fissava come una pantera pronta a
compiere il balzo per divorarlo. Si ritrovò un po’ eccitato all’idea che quella
sarebbe davvero potuta essere la sua ultima conversazione con qualcuno. Nella
sua testa, Masa non poteva davvero amare Urie e poi servire l’assassino di suo
padre senza nemmeno fare una piega. Anzi, agendo in modo così magistralmente
compiaciuto.
«Prima
ti dico quello che so, così potrai dirmi o meno se sono cazzate.»
Lei
fece un cenno con mento. «Prego, a te il microfono.»
«Sei
sulla difensiva? Mi piace. Vuol dire che mi ritieni una minaccia.» Masticò
velocemente la fragola, storcendo il naso con espressione disgustata, poi
iniziò. «Tutto ha preso una brutta piega quando Mei
ha trovato il Ragno.» Fece già una pausa, guardando il viso di Aiko. «Un tuo
amico anche lui?»
«Mai
sentito nominare. Dimmi di più.»
Il
patologo decise di crederle. «Questo simpatico aracnide fa parte
dell’organizzazione degli uomini col
cappello. Mei non mi ha mai voluto parlare molto
di loro, sicuramente per proteggermi o proteggere se stessa. Magari entrambe le
cose, chi lo sa cosa cazzo le passasse per la testa. Al massimo si è sbottonata
sul fatto che questa organizzazione è composta non solo da ghoul amanti dei
copri capi, ma anche da esseri umani. Quando è riuscita a parlare con lui,
tutto andato al diavolo. Si è messa in
testa strane cose, blaterava riguardo al fatto che si era fatta un’idea
totalmente sbagliata dell’organizzazione e doveva saperne di più. Così ha
iniziato a parlare del Gufo col Sekigan, Yoshimura.»
Aiko cercò di rimanere impassibile, ma lui notò un piccolo movimento delle
labbra. Avevano avuto un tremito. «Non ho idea di come tu ti sia ficcata in
questo casino, ma Mei ha insistito per infilarcisi a sua volta. Mi ha detto che un sottoposto del
Gufo l’avrebbe condotta da lui e dopo qualche ora è tornata da me e sai cosa mi
ha detto? Masa Aiko è Labbra Cucite.
Ecco come so tutto.»
«Lo
avrà detto, di nuovo, per proteggerti.»
«O
per darmi un’arma contro di te. Dio solo sa cosa hai in mente, Aiko.»
La
mora svuotò il primo bicchierino. Lui la imitò, per poi versare di nuovo sotto
al suo sguardo attento. Masa incrociò le mani sotto al mento. Non avrebbe
risposto a quella domanda indiretta. «Va’ avanti.»
«Non
so cosa il Gufo abbia detto alla mia ragazza, ma lei è andata ancor più fuori
di testa. Mi ha lasciato.» Fece una pausa, prendendo un respiro per riempire i
polmoni. «Sembrava insicura su tutto, smarrita. Spaventata. Su una cosa però
era molto sicura: mi ha detto che era convinta che sarebbe morta di lì a poco.
E che succede? Viene trovato il suo braccio, reciso da una quinque. Chi indaga
sul caso? Tu.» La guardò e Masa pensò che se avesse potuto, se avesse avuto
conferma dei suoi dubbi, avrebbe provato ad ucciderla a mani nude. Kagune o
meno. «Quindi, tirando le somme, ecco cosa penso sia successo: sapeva la tua
identità e Aogiri la voleva morta. Per questo l’avete lasciata andare, per
farla soffrire un po’, prima di toglierla di mezzo. Ho ragione?»
«Sei
così tanto fuori strada da non vedere nemmeno lontanamente la realtà.» Masa si
appoggiò al tavolo con il gomito, portando la tempia contro il polso. «Non sai
praticamente nulla, dico bene? Non ti ha detto nulla degli uomini col cappello, né di Aogiri. Non sai nemmeno chi è il Gufo.
Tu non sei arrabbiato perché pensi che io abbia ucciso Mei.
Tu sei furioso perché lei non ti ha mai detto nulla. Sei un bluff vivente.»
Lui
abbozzò un sorrisetto amaro, svuotando un altro bicchierino. «Hai ragione, mi
fa incazzare tutto questo mistero, anche se è per il mio bene.» Si passò la
mano sul viso, sentendosi stanco di tutte quelle macchinazioni, di donne
manipolatrici e segreti. «Se sono fuori strada, allora, aiutami a ritrovare il
sentiero. Avanti, Labbra Cucite, sono tutto orecchi.»
«Tanto
per iniziare, Aogiri non ha interesse nella sua morte. Anzi, ha suscitato una
simpatia nel Gufo col Sekigan.» Ivak non le credette, così Masa gli diede qualche altra informazioni.
«Diciamo solo che hanno una storia in comune e quindi quando è uscita dal covo
nel quale l’ho accompagnata, Mei lo ha fatto in
totale libertà. Sono state le informazioni che però ha preteso di sapere che
l’hanno portata al martirio, non chi le ha date.»
«Quindi
Aogiri non ha ucciso o attaccato Mei?»
«No,
non lo ha fatto.» Aiko soppesò l’eventualità di metterlo al corrente anche
dell’altra organizzazione. Poi decise che sì, valeva la pena rischiare. Abbassò
tantissimo la voce, così tanto che praticamente prese a parlargli
nell’orecchio. «Gli uomini col cappello si fanno chiamare V. e sono molto più
pericolosi di quanto lo siamo mai stati noi. È un’organizzazione molto longeva.
Non so molto di loro, quasi nulla, però posso dirti ciò che ho colto dalle
conversazioni fra il Gufo e Tatara: il loro compito è quello di creare ibridi
tra umani e ghoul che possano primeggiare su entrambe le razze. Non solo. Controllano
che i ghoul non alzino troppo la cresta, facendo fuori coloro che esagerano con
le predazioni, per far mantenere alla specie un
profilo il più basso possibile. Essi sono intrecciati con il ccg in modo
totalitario, sotto le direttive della famiglia Washuu. Per questo non te ne ha
mai parlato, per non metterti in pericolo.»
Aizawa inorridì. «I Washuu»,
sussurrò, senza fiato.
«Tragicomico
che dietro ai ghoul ci siano le colombe, non credi? Il nostro mondo è questo:
una ruota di corruzione che gira su se stessa.»
Gli
permise di entrare in contatto con quella traumatica realtà, così surreale da
sembrare credibile. Quando Ivak annuì lentamente,
aveva una sola domanda. «Se tutto quello che mi stai dicendo è vero, allora chi
ha ucciso Mei?»
«L’hanno
uccisa loro.» Lapidaria, Masa non aveva dubbi. «Mei
mi ha confidato che quel giorno, qui al :RE, stavano attaccando lei. Non Kikyo, non me. Lei. È nei loro obiettivi da tanto, troppo tempo
e ora sono arrivati a trovarla. Non ho la minima idea di chi le abbiano mandato
contro, ma una cosa è certa: è più probabile che sia morta che in fuga.»
«Non
possiamo dirlo con certezza.»
«No,
non possiamo. Ma Ivak», portò una mano sul suo
avambraccio. «Sono persone pericolose.»
«Se
anche Aogiri li teme, allora sì, lo sono.»
Aizawa aveva molte cose su cui
rimuginare e la mora lo capiva. Mangiò metà della sua torta perché lui lo stava
facendo a forza e ricordò che Mei ne prendeva sempre
una fetta. Un’abitudine, sicuramente erano stati in quello stesso luogo per
molte volte, insieme.
Rimasero
zitti per più di cinque minuti, entrambi con i loro pensieri per la testa. Poi
il biondo aprì di nuovo bocca. «Tu lo ami? Urie intendo. Perché io voglio
credere che Mei mi amasse davvero, anche se aveva un
obiettivo. E tu sei uguale. Hai un obiettivo, anche se non so quale.»
Masa
lo guardò e a lui sembrò così triste da spezzargli il cuore. Arrivò addirittura
a dispiacersi per lei, per quanto fosse molto complesso per lui empatizzare. Perché la sera che Mei
aveva scoperto della donna seduta di fronte a lui, la sua vita era andata in
pezzi ed era rimasto solo.
«Il
mio obiettivo è sempre stato quello di non morire, né fare morire le persone a
cui voglio bene.» Aiko parlava dimessa, spezzata. «Sapevo molto bene di essere
debole. Non potevo difendere nessuno, né salvare me stessa. Dovevo quindi
diventare forte per poterlo fare, perché non volevo perdere i pochi che mi
fanno sentire ancora viva. Ironicamente, negli anni, fra queste persone se ne
sono aggiunte molte altre. Sono ghoul. E io voglio molto bene loro, anche se
fanno cose terribili. Così ho iniziato a vedere le cose in prospettiva:
possiamo condannare il prodotto della natura? Loro devono mangiare carne umana
per vivere, non perché vogliono o meno. È
solo un mero caso nascere esseri umani. Così ho finito per cadere nel
paradosso e assecondare i miei aguzzini fino in fondo, spontaneamente. Ho
abbracciato la causa di Aogiri.»
«Il
mondo ai ghoul?»
«Il
mondo ai forti.»
Lui
non capì. «I forti che schiacciano i deboli non sono meglio dei ghoul che
uccidono le persone.»
«Ma
come essi sono natura. Il più adatto
si evolve e sopravvive. Senza contare che il vero progetto di Aogiri è
distruggere la nostra realtà minandone le fondamenta. Radere al suolo il nostro
mondo per poi ricostruirlo in modo che non ci siano più dislivelli di giustizia.
In modo tale che anche i ghoul possano vivere una vita piena.»
Il
dottore sospirò piano. «Credo che sia questione di opinioni. Io penso sia
aberrante tradire così i propri ideali. Perché è questo che fai ora che sei
forte, vero?»
«Da
Aogiri non si esce vivi, nemmeno volendolo ora potrei voltare pagina. Però hai
ragione. Ora faccio questo», nella sua voce si avvertì una nota sprezzate.
«Potevo uccidermi, così da impedire al Gufo di fare del male ai miei cari, e
non pensare che non ci abbia provato. Ma non ho avuto possibilità di fuga e ho
deciso di lottare. Ho deciso di capire. E non chiederò scusa per questo. Io
darei la mia vita per tenere al sicuro tutti voi.»
Ivak si sentì strano nell’essere
inserito nel discorso della ragazza, ma dubitava che sarebbe morta per lui. In
ogni caso, prese un altro bicchiere, invitando la mora a bere a sua volta.
«Allora, lo ami o no? Non evitare la domanda.»
Lei
bevve, poi chiese subito un altro giro di liquore. «Evito la risposta perché se
ora ammettessi che lo amo, mi sentirei così tanto in colpa che temo non
riuscirei a guardarlo in viso. Sai la sua storia e cosa il Gufo gli ha fatto.»
Aizawa annuì lentamente, sospirando
così forte da sgonfiarsi come un palloncino mentre si accasciava sulla sedia.
«Anche lui ti ama, povero biscotto. Quando si scoprirà tutto – perché lo sai
benissimo anche tu che si verrà a sapere in un modo o nell’altro- ne uscirà
distrutto.»
«Saremo
in due, temo. Spero solo di essere morta per allora.»
Ivak sospirò. «Egoista.»
«Al
contrario. Se non sarò morta io lo sarà lui, perché se esce fuori chi sono,
allora avrò fallito. In quel caso Tatara, non avrà pietà.» Aiko chiuse la
bottiglia, segnando che la loro conversazione aveva raggiunto un punto morto e
lui fu d’accordo con lei per la prima volta da quando si erano seduti. «Non
parlare a nessuno degli argomenti toccati oggi.»
«Non
ti denuncerò, se hai paura di questo. Non è carità, solo mi dispiace davvero
tanto per Urie e magari puoi essermi utile in futuro.» La guardò, facendole un
cenno. «Il più forte sopravvive, no? Io dico il più furbo.»
«Vero
anche questo.» Terminando la torta, Aiko si appoggiò allo schienale. La testa
le girava appena, quel liquore era davvero forte. Ironicamente, era anche alle
fragole. Schioccò la lingua contro al palato. «Quindi mi hai portato qui per
ubriacarci alle dieci e mezzo del mattino?»
«No,
sei tu che hai deciso di ordinare qualcosa di forte.»
«Giusto,
mi hai portato qui perché pensavi che avessi ucciso Mei.»
Il
dottore annuì lentamente. «Puoi biasimarmi? Una quinque ha reciso il suo
braccio.»
La
mora alzò le spalle. «Io avrei chiesto a un mio sottoposto di farlo. Per non
compromettermi. Anche se ci sono ghoul che usano quinque. Molte sono rubate
alle colombe uccise, altre comprate sul deepweb.
Arima lavorava a un caso di contrabbando anni fa, magari potremmo chiedergli
qualcosa. Alla fine, tutte le quinque lasciano segni distintivi e-»
Masa
si interruppe di botto, gli occhi fissi sul muro.
Ivak la guardò in attesa. «Ti si è
inceppato il disco rigido?»
«Siamo
degli stupidi Aizawa.» Si fece più vicina,
cospiratoria. «Se V. è nel seno del ccg, allora alcuni agenti ne faranno parte,
non credi?»
Il
biondo la guardò perplesso. «Può darsi, quindi?»
«Quindi
le loro quinque non saranno nel sistema. Non le hanno registrate proprio per
casi come questo.» Gli occhi del medico presero a brillare, consapevoli. «Ma
noi abbiamo un modo per confrontare le quinque con la ferita sul braccio senza
usare il database.»
«…Usando le foto dei singoli casi.»
«Usando
le foto dei singoli casi.»
«Voi
due.» Kirishima li fece sobbalzare entrambi. Ottenne
la loro attenzione, con uno sguardo piuttosto severo in viso. «Aogiri, ccg,
casi, indagini…. Mi state spaventando tutti i
clienti. Potete continuare questo discorso fuori?»
«Scusa,
Touka.» Masa prese il portafogli, ma la cameriera la
fermò.
«Offro
io, ma ora andare. Ok?»
Si
alzarono insieme e sempre insieme barcollarono. Masa doveva farsi un esame di
coscienza, per quanto stava bevendo in quel periodo. Si scusarono con la
cameriera, notando un paio di tavoli occupati da ghuol che li seguivano con gli
occhi mentre uscivano, spaventati e all’erta.
«Abbiamo
alzato la voce, eh?»
«A
quanto pare. Fortunatamente non sulla parte più brutta del discorso.»
Arrivarono alla macchina, ma non misero in moto. Si diedero il tempo di
riprendersi dalla bevuta, tenendo i finestrini belli aperti. «Ok, sentimi bene,
Aizawa. Torna all’obitorio e fai un backup del
server. Così avremo tutte le foto di tutti i casi. Confronteremo i segni
distintivi delle ferite con quelli che abbiamo ricavato dal braccio. Io vado a
casa a preparare il programma per il confronto. Poi vieni allo chateau.»
«Ricevuto.»
«Un
ultima cosa.» Ivak la guardò, attento. Potevano
risolvere quel caso, potevano farlo davvero grazie all’intuizione della
ragazza. «Non dire a nessuno che seguiamo questa traccia. Nemmeno a Kuki, per
ora.»
Lui
non comprese. «Perché?»
«Perché
ancora non sappiamo chi è stato e potrebbe rivelarsi una mossa avventata. Ti
ricordi l’ultimo articolo di Mei? Esiste una
gerarchia interna al ccg che prevarica il grado.»
☸
Aiko
aveva lavorato per quasi due ore sulle fotografie scattate al braccio di Mei. Aveva estrapolato la visuale migliore, mettendo in
risalto i dettagli delle creste e degli avvalli creati dall’arma nel momento in
cui si era abbattuta sull’arto del ghoul.
Se
avesse dovuto ripetere quel lavoro su tutte le foto che Aizawa
le avrebbe fatto avere, allora, ci avrebbero impiegato giorni interni. Mesi
forse.
Anche
con l’aiuto del programma per la rielaborazione fotografica in 3d ci avrebbero
impiegato una vita.
Nel
momento in cui il medico mise piede allo chateau, con lo sguardo animato da una
nuova speranza e un disco esterno in mano, Masa ebbe la conferma che sì, ci
avrebbero impiegato una vita.
«Dovremmo
iniziare da Kijima.»
La
mora corrugò la fronte, smettendo di scrollare la quantità industriare di
cartelle che contenevano, a loro volta, una quantità industriare di fotografie.
«Ma di cosa stai parlando?»
«Perché
porta un cappello», fu la motivazione di Aizawa, che
le fece alzare gli occhi al cielo. «Pensaci bene. Ti ricordi quando è successo
tutto quel casino con Jail? Alla fine è stato tutto
messo a tacere, anche se lui ha-»
«Kijima
è morto ad aprile, Ivak.»
«Oh.
È vero.»
Aiko
gli fece cenno di scendere dal divano e di sedersi con lei sul tatami,
«Concentrati, ok? O staremo qui per tutta la notte. Quale agente che conosciamo
potrebbe lavorare per V.?», gli sussurrò, complice, lanciando continue occhiate
alle scale che portavano al piano di sopra, dove Higemaru,
Saiko e Hsiao stavano ormai da tutto il pomeriggio.
«Immagino
debba avere una certa anzianità, no?», fu la prima ipotesi a freddo del biondo,
che si passò la mano sul viso. Era già stanco. «Se è così degno di fiducia. O
magari direttamente un Washuu. Matsuri?»
«Come
inizio non è male. Vediamo.»
Matsuri
aveva registrati diversi casi con solamente due diverse quinque. Quaranta
minuti dopo, nessuna delle due corrispondeva.
«Una
cosa l’ho capita. Facciamo un confronto ad occhio e poi solo se troviamo punti
in comune allora li confrontiamo o diventa un lavoro troppo lungo.» Masa si
passò la mano dietro al collo pensierosa. «Un altro nome, avanti.»
«Confronta
anche quella di Urie. Magari Matsuri lo ha chiesto al suo cucciolo.»
Masa
lo guardò offendendosi, «Scherzi? Mei era una sua
amica. Senza contare che Kuki era sconvolto quando ha scoperto che lei è un
ghoul.»
Ivak si morse piano il labbro,
indeciso. «Io voglio bene a Urie», ammise, «Però conosco la sua sete di
ambizione. Forse non sapeva chi stava combattendo, non pensi? Poi perché Nokochiwa è andato da lui?»
«Si
chiama Nobunaga ed è andato da lui perché Mei lo ha indirizzato, lasciandogli il biglietto da visita
di Kuki.»
«Possiamo
farlo lo stesso? Per stare tranquillo. Per favore.»
Aiko
prese un bel respiro, aprendo una cartella. «Scartiamo Ginsui
a prescindere. Quella quinque morde, non taglia.» Sorteggiò un vecchissimo caso,
dei tempi in cui usava ancora la sua vecchia arma, datagli appena uscito
dall’accademia. Mise sullo schermo il taglio trasversale sul busto di un uomo e
il braccio e aumentò i contrasti. «Scagionata anche Tsunagi.
Non è stato lui, ma ci avrei scommesso? Vuoi vedere anche Inazami?», gli
domandò ironica.
Aizawa sbuffò, «Taglio troppo largo
per essere stato fatto da Inazami.»
«Sai
chi mi viene in mente?», domandò retorica la ragazza. «Marude. Lui e Yoshitoki
sono amici da sempre. Magari ha portato fuori la spazzatura al suo posto.»
«Marude
avrà una ventina di quinque.»
Aiko
annuì, «Iniziamo da quelle che usa di più e andiamo a ritroso. Che ne pensi?»
Ivak, che intanto aveva preso a
sfogliare le foto della scena del crimine dal fascicolo, la fermò. «Aiko aspetta»,
qualcosa gli balenò nella mente all’improvviso. «Non ci sono altre tracce di
sangue se non questa grande e questi schizzi sul muro?»
Lei
scosse il capo. «No, credo sia stato un singolo colpo inferto con forza.»
«Però
c’era il liquido segreto dal kagune sulla parete.» Lei annuì, non capendo il
punto. Lui invece aveva capito eccome. «Come è possibile che se la porta non è
stata scardinata e che se Mei ha avuto il tempo di
usare il kagune, il suo aggressore non si sia ferito? Poi perché lo ha fatto entrare?
Lo conosceva? Voglio dire…» Le mise sotto al naso la
pozza di sangue. «Non ci sono altri contributi di dna in tutta la casa.
Chiunque le abbia fatto questo è stato bravo, evitando quei maledetti aghi che
le escono dal braccio e ti assicuro che
è impossibile non ferirsi quando li usa. Come è possibile? Poi non ci
sono segni di lotta, nessun mobile rotto… Nemmeno lo Shinigami Bianco potrebbe….»
La
frase cadde a metà, perché Aiko era sbiancata. Non solo.
I
suoi occhi la stavano tradendo.
«…Non mi dirai che hai sempre pensato che-»
«Arima
Kishou è un Washuu», buttò fuori, di punto in bianco
Masa, ghiacciandolo. «Me lo ha detto il Gufo, mesi fa. Non ci ho pensato fino
ad ora, ma quale sicario migliore della Morte Bianca?»
Ivak non rispose. La lasciò
lavorare, prima su Narukami e poi su IXA. Quando vide
Masa selezionare dal programma digitale dell’elaborazione 3d la ferita inferta
su un ghoul morto da quest’ultima si irrigidì.
Quando
Aiko inserì entrambe le immagini riviste nel programma, si voltò, portando le
braccia attorno alle ginocchia e costringendosi a non guardare.
Se
era vero, se era stato Arima, allora non c’erano speranza.
Mei era sicuramente morta.
Aiko
invece non distolse lo sguardo dallo schermo, con le mani unite come in
preghiera di fronte alle labbra e gli occhi fissi. Quando arrivò il risultato,
abbassò il capo sconfitta.
E
la porta di ingresso si aprì.
«I
cellulari sono diventati un optional? Ti sto chiamando da due ore, Aiko!», Urie
chiuse la porta con un calcio, tenendo in mano un sacchetto pieno di quello che
sembrava cibo da asporto. Odorava come cibo da asporto. Attraversò il salotto
fino alla cucina e quando arrivò ad appoggiare tutto sul tavolo, notò il
dottore. «Oi, Aizawa. Cosa
ci fai qui?» E poi vide il viso di Masa e allora si preoccupò. Non l’aveva mai
vista così sconvolta, la pelle del viso le si era fatta più grigia che bianca «…Cosa succede?»
Ti prego non
dirmi che sei incinta.
«Ho
risolto il caso.»
Per
i primi secondi Urie non disse niente. Poi, quando Ivak
si prese il capo fra le mani, iniziando a piangere, si sentì in dovere di
esternare a sua volta i suoi sentimenti.
«Che
cosa cazzo sta succedendo?!»
Aiko
gli fece cenno di calmarsi, mentre teneva entrambe le mani sulle spalle del
biondo, guardandolo come se fosse scemo. «Shukumei era la sua ragazza», disse
ovvia, illuminandolo, contato che da solo non c’era arrivato. Kuki ci rimase
sinceramente male, ma la pregò di continuare mentre li raggiungeva, sfilandosi
i guanti neri. «E l’ha uccisa Arima.»
«Cosa
facciamo ora?», guaì Ivak. Disperato. «Come possiamo
incriminarlo se quello che mi hai appena detto è vero?»
«Ovvero?»
Masa
guardò Urie, «Arima è intoccabile nel dipartimento. Mei
aveva ragione nel suo articolo.» Massaggiò le spalle del dottore, prima di
pensare accuratamente, lasciando che Urie confermasse le loro conclusioni. Non
c’erano possibilità di errore, la verità era lì, nera su bianco.
«IXA
non è registrata nel sistema?»
«A
quanto pare no. Come procediamo, caposquadra?»
«Lo
so io», Aizawa si fece coraggio, pulendosi gli occhi
con le maniche della maglia che indossava, prima di guardare Urie con
determinazione. «Tu ora vai da Matsuri, gli porti tutto questo e gli dici che
quello stronzo bastardo va incriminato!»
Urie
titubò e non lo nascose nemmeno un po’. «Ha ucciso un ghoul.»
«Ha
ucciso Mei!», gli urlò in viso disperato Ivak, guardandolo con gli occhi che bruciavano di odio.
«Cosa faresti se lo avesse fatto a te? Cosa faresti se avesse ucciso Aiko?»
Ci
fu una pausa, poi visto il silenzio di Urie, Masa si alzò in piedi con il
telefono in mano.
«Io
chiamo Take.»
«Cosa??»,
domandò, attonito, il dottore. «Non puoi chiamare Take! È il suo braccio
destro.»
«Sembra
anche a me una pessima idea.» Urie storse il naso. «Poi cosa potrebbe farci
Hirako?»
«Darmi
delle rispose», insistette Aiko, cercando il numero in rubrica.
Kuki
le strappò l’apparecchio di mano, alzandosi a sua volta. «Quando lo dirà ad
Arima, perché sai anche tu che lo farà, noi saremo tutti fottuti. Non possiamo
giocarcela così male.»
«Affiderei
a Take la mia vita, Cookie. Lui non mi tradirebbe così.»
«Ah
no? Allora perché lo insulti sempre? E perché hai cambiato squadra?» Le domande
di Urie arrivarono alle sue orecchie crudeli. Tanto che Aiko si morse il labbro
per non prenderlo a schiaffi. «Pensaci molto attentamente, perché se accusiamo
Arima senza un motivo preciso e delle prove solide allora potremmo rischiare
molto più di una retrocessione.»
«Abbiamo
una corrispondenza perfetta della sua quinque sul braccio di Mei. E vuoi sapere l’accusa? Ha ucciso un ghoul senza
denunciare l’operazione.»
Urie
sbuffò, «Sai cosa otterrà lui? Un buffetto. Noi due invece? L’odio del
dipartimento intero.»
Aiko
lo guardò, schiudendo le labbra. «Va bene», disse quindi. «Va bene se mi
odieranno tutti. Non mi interessa un cazzo dell’opinione altrui, qui si parla
di giustizia. Era la ragazza di Ivak.»
«Grazie
per esservi ricordati che sono ancora qui.»
Nemmeno
Aizawa si schivò un’occhiataccia da Urie. «Tu
potresti finire in galera per averla protetta se questa storia esce fuori di
qui, lo sai vero?»
«Per
citare la tua ragazza, che è molto più umana di te: Va bene. Non mi interessa
niente Urie, hanno ucciso la donna che amo e per quel che mi riguarda possono
anche darmi la pena di morte.» Ivak si alzò in piedi solo per sprofondare sul divano.
«Vorrei vederti al mio posto.» Indicò la mora. «Lo ripeterò visto che prima non
hai risposto, perché pretendo questa risposta. Se Arima Kishou
avesse ucciso Masa, tu non faresti qualsiasi cosa per fargliela pagare? Non lo
vorresti uccidere tu stesso? O forse lei per te non conta abbastanza. In
effetti, non sembrerebbe.»
«Questo
è un colpo basso anche per te, Aizawa.»
«Al
momento posso solo colpire dalla posizione in cui sto, Urie.»
Quello
stallo alla messicana fra i due uomini rischiava di non risolversi e Aiko non
ce la faceva più. Tornò al computer, salvando i risultati delle loro ricerche e
chiedendosi se sarebbero serviti a qualcosa.
Poi,
finalmente, Kuki rispose, seppur in modo diretto, alla domanda di Aizawa.
«Andrò
subito da Matsuri portandogli quelle foto. Ne parlerò con lui e chiederò di
perseguire Arima Kishou per aver infranto il nostro
regolamento interno.» Sotto lo sguardo sorpreso di Aizawa,
si allontanò verso le scale. «Non spererei molto però, se fossi in voi due.»
Masa
lo guardò salire le scale, con un groppo in gola.
Poi
Aizawa, che si sentiva tutto meno che un vincitore,
le battè una mano sulla spalla.
«Hai
detto che moriresti per lui? Bene, lui morirebbe per te. Perché non fate una
bella cosa e scappate insieme in Thailandia?»
Masa
sorrise pallidamente, scuotendo il capo. «Preparo una chiavetta con i nostri
risultati. Inizia a pregare il tuo Dio.»
«Il
mio Dio non mi ascolta minimamente, Aiko. Magari il tuo uomo sarà in grado di
soddisfare abbastanza Matsuri senza bisogno di raccogliersi in preghiera.»
Non
c’era entusiasmo sui loro visi, ne speranza nei loro cuori.
Urie
aveva ragione.
Stavano
dando la caccia a un cacciatore.
Quindi,
per riflesso, le prede erano loro.
Continua….