Specchietto
introduttivo
Nome
sul forum: Esther.EFP
Nome
su EFP: Lucinda
Titolo: Iperuranio
Artista
e opera: Silvestro
Lega, “Il pergolato”
Genere:
Romantico
Rating: Verde
Lunghezza
storia: 3950
parole
Note:
Ammetto di essermi
chiesta diverse volte se la scelta di questo quadro fosse stata la più
azzeccata. Al momento dell’iscrizione al contest sono stata subito catturata
dai colori vivaci impressi nella tela e dall’atmosfera di serena quotidianità
che il dipinto mi trasmetteva, dunque ho scelto l’opera quasi ad occhi chiusi,
inconsapevole di quello che realmente mi aspettava nel momento in cui avrei
cominciato a scrivere.
L’assoluta normalità
della scena è stata senza dubbio la sfida più ardua. Come avrei potuto rendere interessante
una situazione così ordinaria? La risposta è arrivata leggendo la vita stessa
del pittore. Silvestro Lega, infatti, dipinge “Il pergolato” negli anni ’60 del
1800, periodo della sua vita trascorso alla residenza dei Batelli nella
campagna della Piagentina, vicino Firenze, e periodo in cui si approccia al
movimento dei macchiaioli nonché alla pittura all’aria aperta. Il soggiorno
presso la famiglia fiorentina gli permise inoltre di conoscere la donna con cui
convisse per diversi anni: Virginia.
Con una storia
d’amore a portata di mano e con il fascino e la particolarità della società
dell‘800, il protagonista della storia è perciò il pittore stesso, inserito nel
contesto storico della sua stessa vita.
Sono volutamente
presenti numerose riflessioni sulla campagna, elemento naturale che riempie lo
sfondo del dipinto e, a volte, coi suoi colori e le sue suggestioni, sembra
quasi concentrare su di sé l’attenzione, lasciando da parte la scena principale.
Di grande
ispirazione, infine, sono stati i romanzi di Jane Austen che, per quanto scriva
le sue opere più famose all’inizio dell’800, rimane per me assoluta maestra di
stile e di espressione della società del suo tempo.
Dopo queste
anticipazioni passo la parola alla lettura, sperando vivamente di essere
riuscita a trasmettere la mia ispirazione :)
L |
a
sala da pranzo era apparecchiata per pochi intimi, l’intensa luce di fine
giugno faceva brillare le stoviglie argentate e ne rifletteva i bagliori sulle
massicce e rustiche pareti, adornate da ritratti di famiglia e dipinti
raffinati. L’estate era ormai alle porte e, nella campagna della Piagentina, si
respirava aria di raccolto e di duro lavoro. I campi di grano erano ormai
pronti per la mietitura: il loro colore era quello luminoso di un raggio di
sole, le spighe danzavano alle carezze di una serena brezza mattutina, componendo
una delicata sinfonia di fruscii accompagnati dal lontano canto dei grilli e
dal brusio della natura. Nel silenzio dell’atmosfera agreste, le domestiche si
affaccendavano a ultimare i preparativi per il pranzo, dalla cucina il tintinnare
delle stoviglie turbava quella quiete surreale e, nello spazioso salotto, i
passi di un giovane signore echeggiavano insicuri, accompagnati dal rintocco
più deciso delle calzature della governante, che lo guidavano nel cuore della
ricca dimora di campagna della famiglia Batelli.
«Venite,
signor Lega, venite», disse questa al nuovo venuto. «Accomodatevi pure dove più
vi aggrada, le pareti sono spesse e l’aria è ancora fresca in questa stanza».
«Avete
proprio ragione», rispose il giovane. «Le finestre guardano a ovest, la calura
non ci raggiungerà che nel primo pomeriggio». Lei rispose con un cordiale
sorriso prima di dirigersi nuovamente alla porta principale, qualche secondo
dopo un uomo sulla cinquantina varcò la soglia della sala da pranzo.
«Signor
Batelli», salutò per primo il signor Lega, con un cenno reverenziale.
«Lega,
aspettate da molto?», fece l’altro, avvicinandosi all’ospite e stringendogli la
mano con vigore. «Lo sapete come sono, le signore intendo, per quanto io mi
sforzi ancora non riesco a comprendere di quali notevoli argomenti abbiano a
conversare così a lungo e con così tanto coinvolgimento».
«Siate
comprensivo con la loro sete di notizie», rispose il giovane. «La domenica è il
giorno in cui si aggiornano sui fatti della città».
«La
città, la città!», esclamò il signor Batelli. «C’è da diventar matti in città,
e quelle la mirano come se fosse il paradiso», grugnò.
Il
signor Lega sorrise. Spirito Batelli era il patriarca della famiglia Batelli, nonché
figlio di Vincenzo Batelli, importante tipografo fiorentino che aveva costruito
da solo la sua fortuna, mattone dopo mattone, partendo dal nulla e arrivando a
sfiorare le vette del mondo degli affari. Tuttavia, come spesso accade, il
destino volle che in quello stesso nulla egli concludesse la sua vita, sommerso
da debiti e cambiali. Le importanti ricchezze accumulate a Firenze erano ormai
state vendute e alla famiglia non era rimasto che trasferirsi nel piccolo borgo
suburbano di campagna, a gestir vigne e campi di grano.
«Li
ricordo quei tempi», continuò Spirito, immerso nel panorama oltre le ampie
finestre del soggiorno. «Frenetici», concluse, riassumendo in quell’unica
parola i turbolenti affari del padre nella capitale.
«Personalmente
trovo in questa campagna un nonsoché di sentimentale», affermò Lega. «Qualcosa
che indubbiamente in città viene meno».
«Semplicità,
genuinità», ipotizzò Spirito, sempre perso nell’orizzonte.
«Ispirazione»,
azzardò Lega.
«Naturalmente
per il vostro lavoro è un toccasana», rispose Spirito, alludendo
all’occupazione del giovane. «Le vostre macchie mi restituiscono le stesse emozioni
di quando osservo questo mio orizzonte».
«Ah»,
fece Lega con un gesto di noncuranza. «Le assicuro, signor Batelli, che per
essere i miei quadri profondi quanto affermate, dovrebbero esser vissuti almeno
con tutti e cinque i sensi. Purtroppo, la mia mano e le mie macchie non possono
altro che allietare la vostra vista, ben lungi, tuttavia, dal riprodurre in
toto una simile pace».
«Non siate modesto, Lega, e date retta a me
quando vi dico che i vostri dipinti faranno scalpore. Dopo il mezzo secolo
trascorso a rimediare agli investimenti sbagliati del mio vecchio, penso d’aver
acquisito una discreta esperienza nel saper riconoscere quando qualcosa, o
qualcuno, sia degno di definirsi valido».
«Mi
lusingate», affermò Lega, sinceramente grato per quell’apprezzamento.
«La
mia famiglia ha la fortuna di poter godere questa quiete ogni giorno, ma nessuno
a parte me e a parte voi, Lega, pare rendersene conto. Non è forse risaputo
quanto i ricchi signori si accalchino per acquistare una seconda dimora da
queste parti?»
«Come
dargli torto», gli fece eco il giovane.
«I
ricchi signori non vi vengono che d’estate in queste campagne». Una voce
femminile si intromise nel discorso, quasi a volerne decretare la chiusura, il
suo timbro era caldo e vellutato proprio come i raggi del sole di fine giugno.
Una giovane donna era entrata nella stanza e adesso veniva verso di loro con
movenze aggraziate, indossava una veste lunga e vaporosa color del grano
bordata da finissimi ricami scuri, i capelli erano neri e lucidi, raccolti in
un’acconciatura fermata morbidamente sulla nuca, il suo viso era candido come
il latte e radioso come la vita di quella campagna oggetto insistente del loro
parlare.
«Silvestro»,
riprese questa, salutando Lega con un piccolo inchino. «Sono felice che ci
onoriate della vostra presenza».
Il
giovane parve ridestarsi dallo stordimento in cui inevitabilmente era scivolato
alla vista della fanciulla, la sola presenza di lei era bastata per riaccendergli
nel petto quelle emozioni che difficilmente, ormai, riusciva a contrastare, i
battiti accelerati del proprio cuore gli ricordarono improvvisamente il motivo
per cui amava quella campagna.
«Virginia»,
rispose dunque, prendendole con delicatezza la mano e portandosela galantemente
a sfiorare le labbra. «Sapete quanto piacere abbia nel trascorrere del tempo
con voi e la vostra famiglia, l’onore di questo invito non ha che da esser mio»
«Un
po’ di decoro, Virginia cara, nel rivolgerti al nostro ospite», s’intromise
Spirito, indispettito per quell’interruzione.
«Suvvia
Spirito». Questa volta a parlare fu Paolina, madre di Virginia e moglie del
signor Batelli, che aveva raggiunto il gruppo appena in tempo per udire le
ultime battute. «Il signor Lega si può dire che sia quasi di famiglia, non c’è
più bisogno di troppe formalità», disse, alludendo all’imminente trasferimento
del giovane nella loro dimora e alla sua semestrale permanenza per cogliere,
nei mesi estivi e autunnali della Piagentina, quanta più ispirazione possibile
per i suoi quadri. Lega salutò con un piccolo inchino la nuova arrivata, ringraziandola
mentalmente per la calorosa accoglienza.
«Oh
sì invece», affermò Spirito, irritato. «Almeno finché non entrerà eventualmente
a farne parte. Hai capito, signorina?», disse, rivolgendo alla figlia
l’implicito ammonimento.
Virginia
annuì abbassando lo sguardo, imbarazzata. La ragazza sapeva benissimo a cosa il
padre stesse alludendo con quell’affermazione e, per un attimo, comprese la sua
preoccupazione. Lei stessa, dopo l’esperienza disastrosa del suo primo matrimonio,
era diventata molto più vigile e cauta con l’altro sesso, evitando di apparire
frivola e facile da conquistare. Probabilmente Spirito stava cercando di
metterla in guardia con quel richiamo, voleva proteggerla da un’altra delusione
e, il fatto che il soggiorno di Lega nella loro residenza sarebbe stato
solamente temporaneo, era motivo sufficiente per non farsi illusioni. Ad ogni
modo, Virginia non poteva nascondere in eterno l’euforia che provava al solo pensiero
di incontrare quotidianamente il giovane sotto il loro tetto, l’arrivo di Lega
nella loro casa aveva portato le sue certezze a vacillare e il suo cuore a
scaldarsi dopo molto tempo. Era sinceramente attratta da quel gentiluomo, non
solo per le sue maniere raffinate ma anche per la sua personalità brillante,
costantemente immersa in un alone di mistero e di estro creativo. Lega era
capace di vedere ispirazione in ogni cosa su cui il suo sguardo si posava, dal
più piccolo oggetto terrestre all’immensità del cielo, era capace di cogliere
l’essenza di quello che lo circondava e di costruire su di essa intricate trame,
narrate poi attraverso quell’arte che muoveva la sua mano sulla tela.
Seguirono
dei secondi di imbarazzante silenzio in cui gli sguardi si concentrarono sul
pavimento, sulla mobilia o sul panorama oltre le ampie finestre del soggiorno.
Furono i passi della governante a rompere il disagio di quel momento, seguiti
dall’annuncio che il pranzo era finalmente pronto per essere servito.
«Grazie al cielo!», esclamò Spirito, dando
voce ai pensieri di tutti i presenti.
* * *
I |
l
banchetto era stato abbondante e gli ospiti sedevano sazi attorno al grande
tavolo in sala da pranzo: Spirito era intento a fumare una pipa, perdendosi nel
consueto scenario agreste, Paolina conversava con la suocera, ospite anch’ella
per quel pasto domenicale, mentre la più piccola della famiglia, Maria Delfina,
giocava a fare la dama danzando con invisibili cavalieri. Lega la osservava
divertito: adorava vedere l’effetto che la fantasia aveva sui più piccoli,
poiché nessuno come loro riusciva a liberarla senza che la società imponesse i
freni con la sua etichetta.
Improvvisamente
si ritrovò a sospirare, domandandosi quale fosse, in quel momento, la fantasia
che l’etichetta gli impediva di mostrare. Il suo sguardo si posò istintivamente
sulla donna che sedeva di fronte a lui.
Virginia
era il suo tormento e la sua burrasca interiore, l’attrazione che provava per
lei era paragonabile a un braciere che ardeva e gli consumava un’anima ormai in
preda al caos. Se l’esperienza passata in fatto di donne lo aveva portato a
crearsi il proprio ideale di bellezza, l’unica certezza che gli era rimasta era
che quella ragazza sembrava il suo ideale incarnato nella realtà, tanto
concreto quanto impossibile da raggiungere.
Sospirò
nuovamente, rimembrando quanto altrettanto fosse importante la sua amicizia con
Spirito Batelli, grazie al quale aveva concluso degli affari importanti nella
capitale e grazie al quale avrebbe avuto la possibilità di sperimentare in
quella campagna la pittura all’aria aperta. La frase che aveva pronunciato poco
prima sul “decoro” nei rapporti con la figlia lo aveva messo in una strana
soggezione, come se non avesse il diritto di provare quei sentimenti poiché non
visti di buon grado.
In
effetti, non era nemmeno sicuro che, facendosi avanti, Virginia avrebbe
condiviso quello che gli ardeva nel petto. La ragazza aveva un carattere
scostante e, per certi versi, indecifrabile: un giorno lo accoglieva con
calore, trascorreva il suo tempo a conversare con lui, gli dedicava sorrisi e
sincere risate, altre volte, invece, appariva fredda e distante, come se stesse
cercando di tenerlo lontano, tormentata da chissà quali ricordi e chissà quali
paure.
I
loro sguardi si incrociarono per un fugace attimo.
Ripensandoci,
era proprio questo che gli piaceva di lei.
«Signor
Lega, avete gradito il pranzo?». Fu proprio Virginia a rompere per prima quel
gioco di sguardi.
«Pietanze
ottime e abbondanti. Non avrei potuto chiedere di meglio», rispose il giovane,
preso alla sprovvista. Avrebbe potuto sfoderare milioni di risposte certamente
più brillanti di quella, eppure sembrava che di fronte a lei il cervello
diventasse improvvisamente difettoso.
«Dite
il vero», affermò la ragazza. «A tal proposito credo proprio che ci vorrebbe
una passeggiata».
Lega
la guardò per un lungo attimo, domandandosi se quelle parole nascondessero un
implicito e sottile messaggio. Quando Virginia fece per alzarsi fu l’istinto a
parlare per lui, soppiantando per un attimo le sue meticolose congetture.
«Permettetemi
di accompagnarvi».
«Con
piacere», rispose la fanciulla, accennando nuovamente a un sorriso.
Dopo
che vennero comunicate ai commensali intenzioni e destinazione della passeggiata,
nonché il luogo dell’appuntamento per il caffè, fu loro permesso di
allontanarsi dal tavolo.
Si
incamminarono lungo il perimetro ombreggiato della residenza Batelli, prendendo
in seguito un piccolo sentiero che si inoltrava sinuoso nella tenuta,
costeggiando boschi di cipressi e campi di grano. I due non avevano proferito
più parola da quando si erano allontanati dall’edificio, quasi a voler
concentrare il loro interesse sul panorama e sulla reciproca compagnia
silenziosa, fatta di sguardi e timidi sorrisi.
Adesso
che erano finalmente da soli era come se un velo di imbarazzo li avesse
avvolti, impedendogli di essere loro stessi ed esternare i loro sentimenti.
Virginia si torturava mentalmente, chiedendosi se avesse fatto bene a prendere l’iniziativa
nonostante gli ammonimenti ricevuti quella stessa mattina dal padre, mentre
Lega cercava continuamente un modo per iniziare una conversazione, ma ogni
argomento a cui pensava pareva sempre non essere adatto per quell’occasione.
La
ragazza si fermò all’ombra di un grande cipresso, osservando l’ardente campagna
estendersi a perdita d’occhio in direzione sud: il gioco sinuoso delle colline era
comparabile alle tracce del vento su un terreno sabbioso, i tratti ombrosi
rivelavano intense sfumature di ocra e marrone, mentre i sentieri segnavano i
confini tra i campi di grano, alcuni già mietuti e cosparsi di covoni di spighe,
altri invece integri in attesa del raccolto, con colori ancora primaverili
tendenti a un verde inacidito dall’arsura.
«Meraviglioso!»,
si lasciò sfuggire il giovane, osservando estasiato quella veduta.
«Sapevo
che l’avreste detto», disse Virginia. «Quello che state osservando è di sicuro
il mio scorcio preferito».
«Cosa
sentono le mie orecchie», esclamò Lega. «Credevo che la campagna non vi
piacesse».
«C’è
differenza tra la bellezza e il piacere», rispose la ragazza. «Sono convinta
che il piacere sia qualcosa di puramente soggettivo, mentre la vera bellezza ha
dei tratti oggettivi che prescindono dal nostro giudizio interiore. Per quanto
preferisca la vita di città, è innegabile la bellezza e la suggestione di
questi scenari di campagna, non trovate?».
«Parlate
di bellezza con argomenti molto validi», rispose lui. «Naturalmente convengo
con voi».
«E’
Platone a parlare di bellezza in questi termini, io non sono altro che una mera
divulgatrice delle sue teorie», affermò la fanciulla.
«Dunque
illuminatemi, che altro dice Platone sulla bellezza?».
«Oh»,
fece Virginia. «E’ complicato».
«Più
è complicato e più qualcosa risveglia il mio interesse».
«Se
proprio lo desiderate allora vi dirò qualche concetto». I due avevano ripreso a
camminare lungo il sentiero. L’atmosfera era rilassata e la spontaneità con cui
stavano conversando aveva in parte soppiantato l’imbarazzo iniziale.
«Secondo
la teoria di Platone esiste la realtà così come l’ideale. La realtà è concreta
e a portata di tutti, mentre l’ideale è un mondo distante e lontano dal nostro,
un mondo i cui abitanti sono le idee, tra cui proprio l’idea di bellezza», cominciò
a spiegare la ragazza.
«L’iperuranio»,
affermò il giovane, guadagnandosi un’occhiata di assenso.
«Siete
più preparato di me», protestò Virginia, sorridendo.
«Non
quanto vorrei», rispose lega, invitandola con un gesto a continuare.
«Dunque,
per passare dal mondo reale a quello ideale e viceversa, è necessaria
l’astrazione. La bellezza è fondamentale perché è proprio quello che serve per
riuscire ad astrarre».
«Avevate
ragione, è complicato», ridacchiò Lega.
«L’avevo
avvertita», disse la fanciulla. «Fatemi pensare a un esempio efficace».
Lega
non aveva smesso un solo attimo di osservare Virginia, cercando di imprimersi
nella mente ogni singola espressione del suo viso e ogni gesto aggraziato.
Aveva già avuto modo, in passato, di leggere a proposito della teoria estetica
di Platone, eppure ogni singola nozione acquisita sui libri non possedeva lo
stesso valore rispetto a quelle scaturite dalla loro conversazione. Ascoltava
rapito la ragazza parlare di bellezza, quando lei stessa ne era la vera
incarnazione.
«Ammettiamo
di partire dall’esperienza di tutti i giorni», riprese Virginia, interrompendo le
fantasie del giovane pittore, «e di provare a pensare a quante volte
utilizziamo l’aggettivo bello. Bella
può essere una persona, ad esempio, o un elemento naturale, un oggetto o
addirittura qualcosa di più astratto, come un’istituzione o una legge
matematica. Mi seguite, signor Lega?».
«Naturalmente.
Ma, vi prego, chiamatemi per nome almeno quando l’etichetta non ci costringe a
inutili formalismi».
«Oh»,
la fanciulla arrossì. «Ma certo. Anzi, vi chiedo scusa per stamattina».
«Non
mi dovete alcuna scusa. La vostra calorosa accoglienza mi riempie di gioia»,
rispose lui.
«Il
fatto è, Silvestro», cominciò Virginia, ma la fine della frase sembrò morirle
in gola non appena si rese conto della sincerità di quello che stava per dire.
Era stata talmente contenta di rivederlo che non aveva saputo frenare la sua
euforia e, probabilmente, solo una buona dose di assennatezza le aveva permesso
in quel momento di frenare la lingua prima che fosse troppo tardi.
«Mi
avete distratta», disse quindi. «Non ricordo più quello che volevo dirvi».
«Astrazione»,
ribatté lui prontamente. «Mi stavate facendo un esempio».
«Ecco,
ricordo. Ammettiamo che, una volta elencate le caratteristiche di tutto quello
che definiamo bello, ci accorgiamo che esistano dei denominatori comuni, delle
caratteristiche universali. E’ esattamente quando riusciamo a intuire
l’universale che stiamo guardando l’ideale. Guardare l’ideale di bellezza
significa contemplare l’idea stessa di bellezza. Questo passaggio dal reale
all’ideale si chiama astrazione».
«Secondo
il vostro ragionamento, però, potrei attuare lo stesso procedimento per ogni
idea presente nell’Iperuranio», congetturò Lega. «Perché mai proprio la
bellezza dovrebbe essere così importante?».
«Dite
il vero, è un processo applicabile su qualunque idea», rispose Virginia.
«Tuttavia la bellezza ha il potere di fermare anche la persona più stupida e di
indurla nella sua contemplazione, attivando quasi inconsapevolmente
l’astrazione».
«L’idea
più facile da contemplare perché percepibile con maggiore immediatezza dai
nostri sensi», dedusse il giovane, mentre la ragazza annuiva convinta.
«Inoltre,
una volta contemplato l’ideale, questo può essere utilizzato per migliorare
almeno in parte il reale, non credete?»
Lega
rifletté qualche secondo. «Insomma era un genio», concluse, riferendosi a
Platone. «Aveva trovato il modo più semplice ed efficace per migliorare il
mondo».
La
ragazza rise. Avevano finalmente raggiunto il pergolato, luogo prescelto come
meta finale della loro passeggiata e come incontro con il resto dei commensali
per il caffè. Il pergolato non distava che una ventina di metri dall’abitazione,
ma era raggiungibile sia tramite un sentiero pavimentato che conduceva dritto
alla veranda di casa, sia dal sentiero più lungo e sterrato che attraversava la
tenuta. I giovani si sedettero uno di fronte all’altra all’ombra della grande edera
che incatenava la struttura e, senza realmente pensare alle sue azioni, Lega
estrasse dalla tasca il quadernetto, cominciando a schizzare qualche linea.
Virginia
rimase in silenzio a osservare il giovane immerso nell’ispirazione, desiderando
che il tempo si fermasse per sempre in quella strana e nuova intimità che
stavano condividendo.
«A
cosa pensate mentre dipingete?», gli chiese.
«Alla
bellezza», rispose Lega, alludendo con una punta di divertimento al loro
precedente discorso. Anche la ragazza sorrise.
«Permettete?»,
domandò la fanciulla, alludendo al taccuino. Il giovane richiuse il quadernetto
con uno scatto.
«Ammettiamo
che su queste pagine ci sia il vostro ritratto, Virginia», disse tanto
impulsivamente da pentirsene un secondo dopo. «Cosa pensereste?».
La
ragazza rimase immobile, spiazzata da quelle parole e consapevole che,
probabilmente, l’attrazione che provava per il giovane non era mai stata a
senso unico. Si sentiva stranamente contenta a quel pensiero, come se avesse
visto una luce in fondo a un tunnel oscuro, una luce che ancora non sapeva se
inseguire o meno.
«Credo»,
rispose dunque, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo e portandosi una ciocca
di capelli ribelli dietro l’orecchio. «Che ne sarei felice».
Lega
la contemplò per un lungo momento prima di riconnettere il cervello alla
realtà, incredulo, probabilmente, a quello che aveva sentito. Si sarebbe
aspettato una risposta educatamente fredda, o magari ironica, noncurante,
invece lei aveva risposto talmente sinceramente da arrossire per la vergogna.
Improvvisamente
il petto gli era diventato più leggero e si era gonfiato di un entusiasmo
inaspettato. Per una volta si ritrovò a ringraziare l’istinto per avergli
concesso una tale audacia, e ringraziò le circostanze che lo avevano portato,
dopo un lungo peregrinare, a quella cara campagna in cui aveva conosciuto
Virginia.
«Tenete
allora», disse, alzandosi in piedi e porgendo alla ragazza il suo taccuino.
«Scopritelo voi stessa».
La
fanciulla si alzò di conseguenza, accettando il dono con imbarazzo e osservando
la finissima copertina in pelle che racchiudeva quelle pagine intrise di
ispirazione.
«Fatemi
vivere con quest’illusione», affermò infine, rinunciando a sfogliare il
contenuto del quadernetto. Sapeva che il giovane pittore era stato onesto sin
dal principio e che, probabilmente, tra quei fogli c’era davvero un suo
ritratto, se non molteplici. Non aveva bisogno di prove per accertarsi della
sua sincerità, il suo sguardo sembrava parlare per lui.
«Solo
illudermi di questo mi rende felice», sussurrò timidamente, ma le sue parole
furono udite distintamente dal suo interlocutore che le si era avvicinato con
la scusa di riprendere il taccuino.
«Sono
le vostre parole a rendermi felice», rispose Lega, provocando nella giovane un
violento rossore nel momento in cui le scostò una ciocca di capelli dal viso. Virginia
non era riuscita in nessun modo a staccare il proprio sguardo da quello di lui,
era come se i suoi occhi e la sua vicinanza l’avessero completamente
ipnotizzata, come se quei sentimenti che tanto avevano fermentato nella sua anima
adesso stessero inevitabilmente uscendo allo scoperto, impedendole di pensare
razionalmente come l’etichetta avrebbe convenuto. Erano maledettamente vicini,
tanto che le punte dei loro nasi si sfioravano impercettibilmente e i loro
respiri erano diventati una cosa sola, mescolandosi in un turbine di
trepidazione.
«Mi
avete stregato anima e corpo, Virginia», le disse lui in un sussurro,
accarezzandole il viso.
«Siete
voi ad avermi stregata», rispose la ragazza, socchiudendo gli occhi e agognando
quel bacio con un ardore mai provato prima.
Furono
delle voci lontane a farli ritornare alla realtà. La velocità con cui si
ricomposero fu proporzionale alla paura di essere stati visti in
quell’atteggiamento sconveniente. In pochi secondi dovettero ripristinare quei
modi distaccati che tanto predicava l’etichetta, sedendosi nuovamente uno di
fronte all’altra e guardandosi di tanto in tanto con immenso imbarazzo.
Le
sagome dei commensali apparvero dapprima lontane per poi dettagliarsi sempre di
più.
Lega
aveva ripreso a disegnare sul suo taccuino, Virginia invece guardava
l’orizzonte con il cuore che ancora batteva all’impazzata, chiedendosi se
quello che aveva vissuto fosse successo per davvero. Estrasse il ventaglio e
cominciò a sventolarsi per via di quel caldo improvvisamente insopportabile.
«Eccoli
qui». La sagoma di Spirito li aveva ormai raggiunti, accompagnata dalla più
esile figura della madre che gli cingeva il braccio. Qualche passo più indietro
Paolina e Maria Delfina raccoglievano i fiori sbocciati sul ciglio del
sentiero.
Lega
si alzò per lasciare il posto all’anziana signora.
«La
vostra tenuta è incredibile», disse il giovane.
«Proferite
saggia sentenza», rispose la donna, ringraziandolo con un sorriso per quella
gentilezza. «Questo posto è un immenso piacere per gli occhi e per l’anima».
«Sapete
andare a cavallo, Lega?», intervenne Spirito, mentre il giovane riponeva il
taccuino nella tasca interna della giacca.
«Naturalmente»,
rispose, muovendosi verso Batelli.
«Venite
allora, vi porto a vedere i miei esemplari».
I
due si diressero verso le stalle, lasciando le donne all’ombra del pergolato.
Lega si volse indietro un’ultima volta, abbozzando un inchino di commiato prima
di scomparire oltre l’ingombrante edera che avvolgeva la struttura di quel
graticcio. Il suo sguardo si perse per un attimo nella profondità delle iridi
scure di Virginia prima di concentrarsi nuovamente sulle proprie azioni.
Quel
giorno poteva dirsi che il giovane fosse stato investito da più ispirazione di
quanta ne avesse auspicata, adesso non gli restava che imprimere sulla tela
quelle meravigliose suggestioni.
* * *
L’aria
si era fatta improvvisamente calda e l’ombra cominciava a rarefarsi. Sotto il
pergolato, tuttavia, quasi come una piccola oasi, la frescura permetteva ancora
un po’ di sollievo.
Virginia
osservava il panorama sventolandosi pigramente col ventaglio ricamato. Da
quando Lega si era allontanato i pensieri avevano vagato verso mete lontane,
ignorando tutto ciò che intorno a lei era diventato mortalmente noioso. Per
quanto si sforzasse di mostrare assoluta normalità nei propri modi, non
riusciva a trovare il giusto interesse nei discorsi delle altre donne. Guardava
il panorama rapita dalle nuove sensazioni che adesso provava alla vista di
quella campagna e si ritrovò a pensare che, in quel momento, la prospettiva di
vivere in città aveva inevitabilmente perso il suo valore di fronte alla
magnificenza di quel paesaggio e ai freschi ricordi ad esso legati. Erano i
ricordi, dunque, a rendere caro un luogo e solo allora si rese conto di quanto
fosse attaccata a quella dimora che tanto aveva disprezzato. Si riscoprì
incredula a percepire la propria anima talmente vulnerabile ai sentimenti, poiché
adesso sembrava che la vita avesse bruscamente cambiato direzione rispetto al
percorso che stava seguendo, una via più luminosa e più serena la cui guida non
era altro che il proprio cuore. Aveva finalmente percorso quel tunnel di ombre
toccando per un attimo la felicità.
Un
tintinnare di stoviglie attirò la sua attenzione.
Stava
finalmente arrivando il caffè.
-
End -