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Autore: L u c i n d a    22/06/2017    1 recensioni
[Prima classificata a pari merito con "Opus Magnum", di Old Fashioned, e vincitrice dei premi speciali "Anima dell'artista" e "Tavolozza" al contest "In punta di pennello" indetto da Stainless_ sul forum di EFP]
"...Il giovane parve ridestarsi dallo stordimento in cui inevitabilmente era scivolato alla vista della fanciulla, la sola presenza di lei era bastata per riaccendergli nel petto quelle emozioni che difficilmente, ormai, riusciva a contrastare, i battiti accelerati del proprio cuore gli ricordarono improvvisamente il motivo per cui amava quella campagna..."
Una parentesi quotidiana di un giovane pittore innamorato e di una romantica ragazza.
La storia è ispirata al dipinto di Silvestro Lega "Il pergolato" ed è l'autore stesso ad essere il protagonista di queste righe.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Specchietto introduttivo

 

Nome sul forum: Esther.EFP

Nome su EFP: Lucinda

Titolo: Iperuranio

Artista e opera: Silvestro Lega, “Il pergolato”

Genere: Romantico

Rating: Verde

Lunghezza storia: 3950 parole

 

Note:

Ammetto di essermi chiesta diverse volte se la scelta di questo quadro fosse stata la più azzeccata. Al momento dell’iscrizione al contest sono stata subito catturata dai colori vivaci impressi nella tela e dall’atmosfera di serena quotidianità che il dipinto mi trasmetteva, dunque ho scelto l’opera quasi ad occhi chiusi, inconsapevole di quello che realmente mi aspettava nel momento in cui avrei cominciato a scrivere.

L’assoluta normalità della scena è stata senza dubbio la sfida più ardua. Come avrei potuto rendere interessante una situazione così ordinaria? La risposta è arrivata leggendo la vita stessa del pittore. Silvestro Lega, infatti, dipinge “Il pergolato” negli anni ’60 del 1800, periodo della sua vita trascorso alla residenza dei Batelli nella campagna della Piagentina, vicino Firenze, e periodo in cui si approccia al movimento dei macchiaioli nonché alla pittura all’aria aperta. Il soggiorno presso la famiglia fiorentina gli permise inoltre di conoscere la donna con cui convisse per diversi anni: Virginia.

Con una storia d’amore a portata di mano e con il fascino e la particolarità della società dell‘800, il protagonista della storia è perciò il pittore stesso, inserito nel contesto storico della sua stessa vita.

Sono volutamente presenti numerose riflessioni sulla campagna, elemento naturale che riempie lo sfondo del dipinto e, a volte, coi suoi colori e le sue suggestioni, sembra quasi concentrare su di sé l’attenzione, lasciando da parte la scena principale.

Di grande ispirazione, infine, sono stati i romanzi di Jane Austen che, per quanto scriva le sue opere più famose all’inizio dell’800, rimane per me assoluta maestra di stile e di espressione della società del suo tempo.

Dopo queste anticipazioni passo la parola alla lettura, sperando vivamente di essere riuscita a trasmettere la mia ispirazione :)

 


 

 

 

 

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L

a sala da pranzo era apparecchiata per pochi intimi, l’intensa luce di fine giugno faceva brillare le stoviglie argentate e ne rifletteva i bagliori sulle massicce e rustiche pareti, adornate da ritratti di famiglia e dipinti raffinati. L’estate era ormai alle porte e, nella campagna della Piagentina, si respirava aria di raccolto e di duro lavoro. I campi di grano erano ormai pronti per la mietitura: il loro colore era quello luminoso di un raggio di sole, le spighe danzavano alle carezze di una serena brezza mattutina, componendo una delicata sinfonia di fruscii accompagnati dal lontano canto dei grilli e dal brusio della natura. Nel silenzio dell’atmosfera agreste, le domestiche si affaccendavano a ultimare i preparativi per il pranzo, dalla cucina il tintinnare delle stoviglie turbava quella quiete surreale e, nello spazioso salotto, i passi di un giovane signore echeggiavano insicuri, accompagnati dal rintocco più deciso delle calzature della governante, che lo guidavano nel cuore della ricca dimora di campagna della famiglia Batelli.

«Venite, signor Lega, venite», disse questa al nuovo venuto. «Accomodatevi pure dove più vi aggrada, le pareti sono spesse e l’aria è ancora fresca in questa stanza».

«Avete proprio ragione», rispose il giovane. «Le finestre guardano a ovest, la calura non ci raggiungerà che nel primo pomeriggio». Lei rispose con un cordiale sorriso prima di dirigersi nuovamente alla porta principale, qualche secondo dopo un uomo sulla cinquantina varcò la soglia della sala da pranzo.

«Signor Batelli», salutò per primo il signor Lega, con un cenno reverenziale.

«Lega, aspettate da molto?», fece l’altro, avvicinandosi all’ospite e stringendogli la mano con vigore. «Lo sapete come sono, le signore intendo, per quanto io mi sforzi ancora non riesco a comprendere di quali notevoli argomenti abbiano a conversare così a lungo e con così tanto coinvolgimento».

«Siate comprensivo con la loro sete di notizie», rispose il giovane. «La domenica è il giorno in cui si aggiornano sui fatti della città».

«La città, la città!», esclamò il signor Batelli. «C’è da diventar matti in città, e quelle la mirano come se fosse il paradiso», grugnò.

Il signor Lega sorrise. Spirito Batelli era il patriarca della famiglia Batelli, nonché figlio di Vincenzo Batelli, importante tipografo fiorentino che aveva costruito da solo la sua fortuna, mattone dopo mattone, partendo dal nulla e arrivando a sfiorare le vette del mondo degli affari. Tuttavia, come spesso accade, il destino volle che in quello stesso nulla egli concludesse la sua vita, sommerso da debiti e cambiali. Le importanti ricchezze accumulate a Firenze erano ormai state vendute e alla famiglia non era rimasto che trasferirsi nel piccolo borgo suburbano di campagna, a gestir vigne e campi di grano.

«Li ricordo quei tempi», continuò Spirito, immerso nel panorama oltre le ampie finestre del soggiorno. «Frenetici», concluse, riassumendo in quell’unica parola i turbolenti affari del padre nella capitale.

«Personalmente trovo in questa campagna un nonsoché di sentimentale», affermò Lega. «Qualcosa che indubbiamente in città viene meno».

«Semplicità, genuinità», ipotizzò Spirito, sempre perso nell’orizzonte.

«Ispirazione», azzardò Lega.

«Naturalmente per il vostro lavoro è un toccasana», rispose Spirito, alludendo all’occupazione del giovane. «Le vostre macchie mi restituiscono le stesse emozioni di quando osservo questo mio orizzonte».

«Ah», fece Lega con un gesto di noncuranza. «Le assicuro, signor Batelli, che per essere i miei quadri profondi quanto affermate, dovrebbero esser vissuti almeno con tutti e cinque i sensi. Purtroppo, la mia mano e le mie macchie non possono altro che allietare la vostra vista, ben lungi, tuttavia, dal riprodurre in toto una simile pace».

 «Non siate modesto, Lega, e date retta a me quando vi dico che i vostri dipinti faranno scalpore. Dopo il mezzo secolo trascorso a rimediare agli investimenti sbagliati del mio vecchio, penso d’aver acquisito una discreta esperienza nel saper riconoscere quando qualcosa, o qualcuno, sia degno di definirsi valido».

«Mi lusingate», affermò Lega, sinceramente grato per quell’apprezzamento.

«La mia famiglia ha la fortuna di poter godere questa quiete ogni giorno, ma nessuno a parte me e a parte voi, Lega, pare rendersene conto. Non è forse risaputo quanto i ricchi signori si accalchino per acquistare una seconda dimora da queste parti?»

«Come dargli torto», gli fece eco il giovane.

«I ricchi signori non vi vengono che d’estate in queste campagne». Una voce femminile si intromise nel discorso, quasi a volerne decretare la chiusura, il suo timbro era caldo e vellutato proprio come i raggi del sole di fine giugno. Una giovane donna era entrata nella stanza e adesso veniva verso di loro con movenze aggraziate, indossava una veste lunga e vaporosa color del grano bordata da finissimi ricami scuri, i capelli erano neri e lucidi, raccolti in un’acconciatura fermata morbidamente sulla nuca, il suo viso era candido come il latte e radioso come la vita di quella campagna oggetto insistente del loro parlare.

«Silvestro», riprese questa, salutando Lega con un piccolo inchino. «Sono felice che ci onoriate della vostra presenza».

Il giovane parve ridestarsi dallo stordimento in cui inevitabilmente era scivolato alla vista della fanciulla, la sola presenza di lei era bastata per riaccendergli nel petto quelle emozioni che difficilmente, ormai, riusciva a contrastare, i battiti accelerati del proprio cuore gli ricordarono improvvisamente il motivo per cui amava quella campagna.

«Virginia», rispose dunque, prendendole con delicatezza la mano e portandosela galantemente a sfiorare le labbra. «Sapete quanto piacere abbia nel trascorrere del tempo con voi e la vostra famiglia, l’onore di questo invito non ha che da esser mio»

«Un po’ di decoro, Virginia cara, nel rivolgerti al nostro ospite», s’intromise Spirito, indispettito per quell’interruzione.

«Suvvia Spirito». Questa volta a parlare fu Paolina, madre di Virginia e moglie del signor Batelli, che aveva raggiunto il gruppo appena in tempo per udire le ultime battute. «Il signor Lega si può dire che sia quasi di famiglia, non c’è più bisogno di troppe formalità», disse, alludendo all’imminente trasferimento del giovane nella loro dimora e alla sua semestrale permanenza per cogliere, nei mesi estivi e autunnali della Piagentina, quanta più ispirazione possibile per i suoi quadri. Lega salutò con un piccolo inchino la nuova arrivata, ringraziandola mentalmente per la calorosa accoglienza. 

«Oh sì invece», affermò Spirito, irritato. «Almeno finché non entrerà eventualmente a farne parte. Hai capito, signorina?», disse, rivolgendo alla figlia l’implicito ammonimento.

Virginia annuì abbassando lo sguardo, imbarazzata. La ragazza sapeva benissimo a cosa il padre stesse alludendo con quell’affermazione e, per un attimo, comprese la sua preoccupazione. Lei stessa, dopo l’esperienza disastrosa del suo primo matrimonio, era diventata molto più vigile e cauta con l’altro sesso, evitando di apparire frivola e facile da conquistare. Probabilmente Spirito stava cercando di metterla in guardia con quel richiamo, voleva proteggerla da un’altra delusione e, il fatto che il soggiorno di Lega nella loro residenza sarebbe stato solamente temporaneo, era motivo sufficiente per non farsi illusioni. Ad ogni modo, Virginia non poteva nascondere in eterno l’euforia che provava al solo pensiero di incontrare quotidianamente il giovane sotto il loro tetto, l’arrivo di Lega nella loro casa aveva portato le sue certezze a vacillare e il suo cuore a scaldarsi dopo molto tempo. Era sinceramente attratta da quel gentiluomo, non solo per le sue maniere raffinate ma anche per la sua personalità brillante, costantemente immersa in un alone di mistero e di estro creativo. Lega era capace di vedere ispirazione in ogni cosa su cui il suo sguardo si posava, dal più piccolo oggetto terrestre all’immensità del cielo, era capace di cogliere l’essenza di quello che lo circondava e di costruire su di essa intricate trame, narrate poi attraverso quell’arte che muoveva la sua mano sulla tela.

Seguirono dei secondi di imbarazzante silenzio in cui gli sguardi si concentrarono sul pavimento, sulla mobilia o sul panorama oltre le ampie finestre del soggiorno. Furono i passi della governante a rompere il disagio di quel momento, seguiti dall’annuncio che il pranzo era finalmente pronto per essere servito.

 «Grazie al cielo!», esclamò Spirito, dando voce ai pensieri di tutti i presenti.

 

 

 

* * *

 

 

 

I

l banchetto era stato abbondante e gli ospiti sedevano sazi attorno al grande tavolo in sala da pranzo: Spirito era intento a fumare una pipa, perdendosi nel consueto scenario agreste, Paolina conversava con la suocera, ospite anch’ella per quel pasto domenicale, mentre la più piccola della famiglia, Maria Delfina, giocava a fare la dama danzando con invisibili cavalieri. Lega la osservava divertito: adorava vedere l’effetto che la fantasia aveva sui più piccoli, poiché nessuno come loro riusciva a liberarla senza che la società imponesse i freni con la sua etichetta.

Improvvisamente si ritrovò a sospirare, domandandosi quale fosse, in quel momento, la fantasia che l’etichetta gli impediva di mostrare. Il suo sguardo si posò istintivamente sulla donna che sedeva di fronte a lui.

Virginia era il suo tormento e la sua burrasca interiore, l’attrazione che provava per lei era paragonabile a un braciere che ardeva e gli consumava un’anima ormai in preda al caos. Se l’esperienza passata in fatto di donne lo aveva portato a crearsi il proprio ideale di bellezza, l’unica certezza che gli era rimasta era che quella ragazza sembrava il suo ideale incarnato nella realtà, tanto concreto quanto impossibile da raggiungere.

Sospirò nuovamente, rimembrando quanto altrettanto fosse importante la sua amicizia con Spirito Batelli, grazie al quale aveva concluso degli affari importanti nella capitale e grazie al quale avrebbe avuto la possibilità di sperimentare in quella campagna la pittura all’aria aperta. La frase che aveva pronunciato poco prima sul “decoro” nei rapporti con la figlia lo aveva messo in una strana soggezione, come se non avesse il diritto di provare quei sentimenti poiché non visti di buon grado.

In effetti, non era nemmeno sicuro che, facendosi avanti, Virginia avrebbe condiviso quello che gli ardeva nel petto. La ragazza aveva un carattere scostante e, per certi versi, indecifrabile: un giorno lo accoglieva con calore, trascorreva il suo tempo a conversare con lui, gli dedicava sorrisi e sincere risate, altre volte, invece, appariva fredda e distante, come se stesse cercando di tenerlo lontano, tormentata da chissà quali ricordi e chissà quali paure.

I loro sguardi si incrociarono per un fugace attimo.

Ripensandoci, era proprio questo che gli piaceva di lei.

«Signor Lega, avete gradito il pranzo?». Fu proprio Virginia a rompere per prima quel gioco di sguardi.

«Pietanze ottime e abbondanti. Non avrei potuto chiedere di meglio», rispose il giovane, preso alla sprovvista. Avrebbe potuto sfoderare milioni di risposte certamente più brillanti di quella, eppure sembrava che di fronte a lei il cervello diventasse improvvisamente difettoso.

«Dite il vero», affermò la ragazza. «A tal proposito credo proprio che ci vorrebbe una passeggiata».

Lega la guardò per un lungo attimo, domandandosi se quelle parole nascondessero un implicito e sottile messaggio. Quando Virginia fece per alzarsi fu l’istinto a parlare per lui, soppiantando per un attimo le sue meticolose congetture.

«Permettetemi di accompagnarvi».

«Con piacere», rispose la fanciulla, accennando nuovamente a un sorriso.

Dopo che vennero comunicate ai commensali intenzioni e destinazione della passeggiata, nonché il luogo dell’appuntamento per il caffè, fu loro permesso di allontanarsi dal tavolo.

 

Si incamminarono lungo il perimetro ombreggiato della residenza Batelli, prendendo in seguito un piccolo sentiero che si inoltrava sinuoso nella tenuta, costeggiando boschi di cipressi e campi di grano. I due non avevano proferito più parola da quando si erano allontanati dall’edificio, quasi a voler concentrare il loro interesse sul panorama e sulla reciproca compagnia silenziosa, fatta di sguardi e timidi sorrisi.

Adesso che erano finalmente da soli era come se un velo di imbarazzo li avesse avvolti, impedendogli di essere loro stessi ed esternare i loro sentimenti. Virginia si torturava mentalmente, chiedendosi se avesse fatto bene a prendere l’iniziativa nonostante gli ammonimenti ricevuti quella stessa mattina dal padre, mentre Lega cercava continuamente un modo per iniziare una conversazione, ma ogni argomento a cui pensava pareva sempre non essere adatto per quell’occasione.

La ragazza si fermò all’ombra di un grande cipresso, osservando l’ardente campagna estendersi a perdita d’occhio in direzione sud: il gioco sinuoso delle colline era comparabile alle tracce del vento su un terreno sabbioso, i tratti ombrosi rivelavano intense sfumature di ocra e marrone, mentre i sentieri segnavano i confini tra i campi di grano, alcuni già mietuti e cosparsi di covoni di spighe, altri invece integri in attesa del raccolto, con colori ancora primaverili tendenti a un verde inacidito dall’arsura.  

«Meraviglioso!», si lasciò sfuggire il giovane, osservando estasiato quella veduta.

«Sapevo che l’avreste detto», disse Virginia. «Quello che state osservando è di sicuro il mio scorcio preferito».

«Cosa sentono le mie orecchie», esclamò Lega. «Credevo che la campagna non vi piacesse».

«C’è differenza tra la bellezza e il piacere», rispose la ragazza. «Sono convinta che il piacere sia qualcosa di puramente soggettivo, mentre la vera bellezza ha dei tratti oggettivi che prescindono dal nostro giudizio interiore. Per quanto preferisca la vita di città, è innegabile la bellezza e la suggestione di questi scenari di campagna, non trovate?».

«Parlate di bellezza con argomenti molto validi», rispose lui. «Naturalmente convengo con voi».

«E’ Platone a parlare di bellezza in questi termini, io non sono altro che una mera divulgatrice delle sue teorie», affermò la fanciulla.

«Dunque illuminatemi, che altro dice Platone sulla bellezza?».

«Oh», fece Virginia. «E’ complicato».

«Più è complicato e più qualcosa risveglia il mio interesse».

«Se proprio lo desiderate allora vi dirò qualche concetto». I due avevano ripreso a camminare lungo il sentiero. L’atmosfera era rilassata e la spontaneità con cui stavano conversando aveva in parte soppiantato l’imbarazzo iniziale.

«Secondo la teoria di Platone esiste la realtà così come l’ideale. La realtà è concreta e a portata di tutti, mentre l’ideale è un mondo distante e lontano dal nostro, un mondo i cui abitanti sono le idee, tra cui proprio l’idea di bellezza», cominciò a spiegare la ragazza.

«L’iperuranio», affermò il giovane, guadagnandosi un’occhiata di assenso.

«Siete più preparato di me», protestò Virginia, sorridendo.

«Non quanto vorrei», rispose lega, invitandola con un gesto a continuare.

«Dunque, per passare dal mondo reale a quello ideale e viceversa, è necessaria l’astrazione. La bellezza è fondamentale perché è proprio quello che serve per riuscire ad astrarre».

«Avevate ragione, è complicato», ridacchiò Lega.

«L’avevo avvertita», disse la fanciulla. «Fatemi pensare a un esempio efficace».

Lega non aveva smesso un solo attimo di osservare Virginia, cercando di imprimersi nella mente ogni singola espressione del suo viso e ogni gesto aggraziato. Aveva già avuto modo, in passato, di leggere a proposito della teoria estetica di Platone, eppure ogni singola nozione acquisita sui libri non possedeva lo stesso valore rispetto a quelle scaturite dalla loro conversazione. Ascoltava rapito la ragazza parlare di bellezza, quando lei stessa ne era la vera incarnazione.

«Ammettiamo di partire dall’esperienza di tutti i giorni», riprese Virginia, interrompendo le fantasie del giovane pittore, «e di provare a pensare a quante volte utilizziamo l’aggettivo bello. Bella può essere una persona, ad esempio, o un elemento naturale, un oggetto o addirittura qualcosa di più astratto, come un’istituzione o una legge matematica. Mi seguite, signor Lega?».

«Naturalmente. Ma, vi prego, chiamatemi per nome almeno quando l’etichetta non ci costringe a inutili formalismi».

«Oh», la fanciulla arrossì. «Ma certo. Anzi, vi chiedo scusa per stamattina». 

«Non mi dovete alcuna scusa. La vostra calorosa accoglienza mi riempie di gioia», rispose lui.

«Il fatto è, Silvestro», cominciò Virginia, ma la fine della frase sembrò morirle in gola non appena si rese conto della sincerità di quello che stava per dire. Era stata talmente contenta di rivederlo che non aveva saputo frenare la sua euforia e, probabilmente, solo una buona dose di assennatezza le aveva permesso in quel momento di frenare la lingua prima che fosse troppo tardi.

«Mi avete distratta», disse quindi. «Non ricordo più quello che volevo dirvi».

«Astrazione», ribatté lui prontamente. «Mi stavate facendo un esempio».

«Ecco, ricordo. Ammettiamo che, una volta elencate le caratteristiche di tutto quello che definiamo bello, ci accorgiamo che esistano dei denominatori comuni, delle caratteristiche universali. E’ esattamente quando riusciamo a intuire l’universale che stiamo guardando l’ideale. Guardare l’ideale di bellezza significa contemplare l’idea stessa di bellezza. Questo passaggio dal reale all’ideale si chiama astrazione».

«Secondo il vostro ragionamento, però, potrei attuare lo stesso procedimento per ogni idea presente nell’Iperuranio», congetturò Lega. «Perché mai proprio la bellezza dovrebbe essere così importante?».

«Dite il vero, è un processo applicabile su qualunque idea», rispose Virginia. «Tuttavia la bellezza ha il potere di fermare anche la persona più stupida e di indurla nella sua contemplazione, attivando quasi inconsapevolmente l’astrazione».

«L’idea più facile da contemplare perché percepibile con maggiore immediatezza dai nostri sensi», dedusse il giovane, mentre la ragazza annuiva convinta.

«Inoltre, una volta contemplato l’ideale, questo può essere utilizzato per migliorare almeno in parte il reale, non credete?»

Lega rifletté qualche secondo. «Insomma era un genio», concluse, riferendosi a Platone. «Aveva trovato il modo più semplice ed efficace per migliorare il mondo».

La ragazza rise. Avevano finalmente raggiunto il pergolato, luogo prescelto come meta finale della loro passeggiata e come incontro con il resto dei commensali per il caffè. Il pergolato non distava che una ventina di metri dall’abitazione, ma era raggiungibile sia tramite un sentiero pavimentato che conduceva dritto alla veranda di casa, sia dal sentiero più lungo e sterrato che attraversava la tenuta. I giovani si sedettero uno di fronte all’altra all’ombra della grande edera che incatenava la struttura e, senza realmente pensare alle sue azioni, Lega estrasse dalla tasca il quadernetto, cominciando a schizzare qualche linea.

Virginia rimase in silenzio a osservare il giovane immerso nell’ispirazione, desiderando che il tempo si fermasse per sempre in quella strana e nuova intimità che stavano condividendo.

«A cosa pensate mentre dipingete?», gli chiese.

«Alla bellezza», rispose Lega, alludendo con una punta di divertimento al loro precedente discorso. Anche la ragazza sorrise.

«Permettete?», domandò la fanciulla, alludendo al taccuino. Il giovane richiuse il quadernetto con uno scatto.

«Ammettiamo che su queste pagine ci sia il vostro ritratto, Virginia», disse tanto impulsivamente da pentirsene un secondo dopo. «Cosa pensereste?».

La ragazza rimase immobile, spiazzata da quelle parole e consapevole che, probabilmente, l’attrazione che provava per il giovane non era mai stata a senso unico. Si sentiva stranamente contenta a quel pensiero, come se avesse visto una luce in fondo a un tunnel oscuro, una luce che ancora non sapeva se inseguire o meno.

«Credo», rispose dunque, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo e portandosi una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. «Che ne sarei felice».

Lega la contemplò per un lungo momento prima di riconnettere il cervello alla realtà, incredulo, probabilmente, a quello che aveva sentito. Si sarebbe aspettato una risposta educatamente fredda, o magari ironica, noncurante, invece lei aveva risposto talmente sinceramente da arrossire per la vergogna.

Improvvisamente il petto gli era diventato più leggero e si era gonfiato di un entusiasmo inaspettato. Per una volta si ritrovò a ringraziare l’istinto per avergli concesso una tale audacia, e ringraziò le circostanze che lo avevano portato, dopo un lungo peregrinare, a quella cara campagna in cui aveva conosciuto Virginia.

«Tenete allora», disse, alzandosi in piedi e porgendo alla ragazza il suo taccuino. «Scopritelo voi stessa».

La fanciulla si alzò di conseguenza, accettando il dono con imbarazzo e osservando la finissima copertina in pelle che racchiudeva quelle pagine intrise di ispirazione.

«Fatemi vivere con quest’illusione», affermò infine, rinunciando a sfogliare il contenuto del quadernetto. Sapeva che il giovane pittore era stato onesto sin dal principio e che, probabilmente, tra quei fogli c’era davvero un suo ritratto, se non molteplici. Non aveva bisogno di prove per accertarsi della sua sincerità, il suo sguardo sembrava parlare per lui. 

«Solo illudermi di questo mi rende felice», sussurrò timidamente, ma le sue parole furono udite distintamente dal suo interlocutore che le si era avvicinato con la scusa di riprendere il taccuino.

«Sono le vostre parole a rendermi felice», rispose Lega, provocando nella giovane un violento rossore nel momento in cui le scostò una ciocca di capelli dal viso. Virginia non era riuscita in nessun modo a staccare il proprio sguardo da quello di lui, era come se i suoi occhi e la sua vicinanza l’avessero completamente ipnotizzata, come se quei sentimenti che tanto avevano fermentato nella sua anima adesso stessero inevitabilmente uscendo allo scoperto, impedendole di pensare razionalmente come l’etichetta avrebbe convenuto. Erano maledettamente vicini, tanto che le punte dei loro nasi si sfioravano impercettibilmente e i loro respiri erano diventati una cosa sola, mescolandosi in un turbine di trepidazione.

«Mi avete stregato anima e corpo, Virginia», le disse lui in un sussurro, accarezzandole il viso.

«Siete voi ad avermi stregata», rispose la ragazza, socchiudendo gli occhi e agognando quel bacio con un ardore mai provato prima.

Furono delle voci lontane a farli ritornare alla realtà. La velocità con cui si ricomposero fu proporzionale alla paura di essere stati visti in quell’atteggiamento sconveniente. In pochi secondi dovettero ripristinare quei modi distaccati che tanto predicava l’etichetta, sedendosi nuovamente uno di fronte all’altra e guardandosi di tanto in tanto con immenso imbarazzo.

Le sagome dei commensali apparvero dapprima lontane per poi dettagliarsi sempre di più.

Lega aveva ripreso a disegnare sul suo taccuino, Virginia invece guardava l’orizzonte con il cuore che ancora batteva all’impazzata, chiedendosi se quello che aveva vissuto fosse successo per davvero. Estrasse il ventaglio e cominciò a sventolarsi per via di quel caldo improvvisamente insopportabile.

«Eccoli qui». La sagoma di Spirito li aveva ormai raggiunti, accompagnata dalla più esile figura della madre che gli cingeva il braccio. Qualche passo più indietro Paolina e Maria Delfina raccoglievano i fiori sbocciati sul ciglio del sentiero.

Lega si alzò per lasciare il posto all’anziana signora.

«La vostra tenuta è incredibile», disse il giovane.

«Proferite saggia sentenza», rispose la donna, ringraziandolo con un sorriso per quella gentilezza. «Questo posto è un immenso piacere per gli occhi e per l’anima».

«Sapete andare a cavallo, Lega?», intervenne Spirito, mentre il giovane riponeva il taccuino nella tasca interna della giacca.

«Naturalmente», rispose, muovendosi verso Batelli.

«Venite allora, vi porto a vedere i miei esemplari».

I due si diressero verso le stalle, lasciando le donne all’ombra del pergolato. Lega si volse indietro un’ultima volta, abbozzando un inchino di commiato prima di scomparire oltre l’ingombrante edera che avvolgeva la struttura di quel graticcio. Il suo sguardo si perse per un attimo nella profondità delle iridi scure di Virginia prima di concentrarsi nuovamente sulle proprie azioni.

Quel giorno poteva dirsi che il giovane fosse stato investito da più ispirazione di quanta ne avesse auspicata, adesso non gli restava che imprimere sulla tela quelle meravigliose suggestioni.

 

 

 

* * *

 

 

 

 

L’aria si era fatta improvvisamente calda e l’ombra cominciava a rarefarsi. Sotto il pergolato, tuttavia, quasi come una piccola oasi, la frescura permetteva ancora un po’ di sollievo.

Virginia osservava il panorama sventolandosi pigramente col ventaglio ricamato. Da quando Lega si era allontanato i pensieri avevano vagato verso mete lontane, ignorando tutto ciò che intorno a lei era diventato mortalmente noioso. Per quanto si sforzasse di mostrare assoluta normalità nei propri modi, non riusciva a trovare il giusto interesse nei discorsi delle altre donne. Guardava il panorama rapita dalle nuove sensazioni che adesso provava alla vista di quella campagna e si ritrovò a pensare che, in quel momento, la prospettiva di vivere in città aveva inevitabilmente perso il suo valore di fronte alla magnificenza di quel paesaggio e ai freschi ricordi ad esso legati. Erano i ricordi, dunque, a rendere caro un luogo e solo allora si rese conto di quanto fosse attaccata a quella dimora che tanto aveva disprezzato. Si riscoprì incredula a percepire la propria anima talmente vulnerabile ai sentimenti, poiché adesso sembrava che la vita avesse bruscamente cambiato direzione rispetto al percorso che stava seguendo, una via più luminosa e più serena la cui guida non era altro che il proprio cuore. Aveva finalmente percorso quel tunnel di ombre toccando per un attimo la felicità.

Un tintinnare di stoviglie attirò la sua attenzione.

Stava finalmente arrivando il caffè.

 

 

 

Silvestro-Lega-Il-pergolato

 

- End -

   
 
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