* MewLeemy appare nel fandom EFPiano con indosso una tenuta anti-sommossa*
Aehm, buonsalve a tutti. So che mi odiate.
Io mi odio di più, se la cosa vi può consolare in qualche modo (e può fermarvi dal
linciarmi). Immagino vi domandiate dove sono stata per tutti questi mesi.
Beh, senza troppi giri di parole, avevo bisogno di una lunga pausa disintossicante,
da TMM e dal mondo della Fanfic (pausa in cui il mio cuore è stato rapito e la mia
anima totalmente divorata dalla saga video ludica più pazzesca ed emozionante di
tutta la mia vita... ma probabilmente a voi non frega una beata minchia, quindi
vabbè... ma se vi frega vi lascio da guardare
lo splendido GMV
che avevo condiviso anche sulla mia pagina FB, così for fun... ^^””””””)
Tornerò ad aggiornare “Until”? Lo spero, seriamente. Infondo ho promesso
di finirla prima di compiere 90 anni, quindi nulla è ancora perduto. Tanti capitoli
stanno ancora lì sul pc, in attesa di essere completati e betati a modo, e non passa
più di qualche giorno senza che io non rimetta su la mia infinita playlist motivazionale,
con tutte le canzoni dei vari capitoli, che ancora mi fanno fangirlare a mostro.
<3
Intanto, stasera ho deciso di superare tutti i miei blocchi creativi, emotivi e
mentali tornando in pista con questa OS che avevo scritto tempo fa.
Cosa state per leggere? Questa One-Shot è uno spin-off della mia serie
su TMM, ambientata circa 6 anni dopo l’anime e dopo la mia prima long
L’Amore è un Gioco?,
ed alcuni mesi prima della seconda long (Until
the End of the Game). Se le avete lette entrambe vedrete ripreso brevemente
qualche concetto della trama (spero di rinfrescarvi la memoria e non annoiarvi),
se non le avete lette penso che possiate seguire ugualmente bene quanto racconterò.
Potreste purtroppo farvi alcuni spoiler, soprattutto della prima e qualcosina della
seconda (diciamo fino al capitolo 6), ma spero che tutto ciò possa in qualche modo
incuriosirvi e portarvi a leggere gli altri due mattoni su cui lavoro ormai da secoli.
Da dove nasce questa OS? I prompt iniziali sono una maglietta allacciata
male,
la Risonanza
Schumann (una serie di frequenze del campo elettromagnetico terrestre a
cui, parrebbe, alcuni individui sincronizzino la frequenza delle proprie onde cerebrali
per manifestare poteri paranormali... because... sì. XD) e la canzone “Molto
Calmo” di Neffa, che non ho citato direttamente nella fikky ma mi ha illuminato
nelle prima stesura. Non chiedetemi perché ma mi fa pensare tanto al nostro alieno
dagli occhioni dorati, soprattutto in corso anime. XD
In origine, ho scritto questa OS per il mio ragazzo, per spiegarli il personaggio
di Kisshu (che detesta XD) e le sue vicende nell’anime. Nonostante l'odio atavico
per l'alienozzo, alla fine a lui la fikky sembra essere piaciuta, ed ha iniziato
a sostenere che Kisshu gli sembri Batman... ed io... boh... cioè... no coment.
Molte delle cose che leggerete sono anche mie personali considerazioni su TMM, mentre
altre interpretazioni, ci tengo a precisarlo, sono una ipotetica rivisitazione dei
fatti dal puro punto di vista (deragliato XD) del nostro amato alieno.
Altre note: per chi non conosce la mia seconda long, qui farete una superficiale
conoscenza di una dei miei OC, Nime, la sorellina minore di Taruto. (Nei
miei head-canon i tre alieni non sono fratelli).
Un ringraziamento speciale a BlackMiranda e Kuro Nekomiya, per aver
betato questa OS, ed a tutte le ragazze del fandom che hanno perso con me le ore,
il sonno e la sanità mentale per parlare di alieni disagiati. <3 Buona lettura.
*** Black Holes ***
AKA
Parlami di Lei
Our hopes and expectations
Black holes and revelations
Hold you in my arms
I just wanted to hold
You in my arms
(Starlight - Muse)
Kisshu Ikisatashi quella mattina aveva un sonno bestiale.
Trattenne a fatica uno sbadiglio, passandosi incerto una mano sulla nuca, mentre
regolava la potenza dei piastroni antigravitazionali della navicella a corto raggio
che stava pilotando, alzandola un po’ da terreno sconnesso che faceva da fondo a
quella galleria sotterranea abbandonata. L’assenza di illuminazione dell’ambiente
circostante, eccezione fatta per i tre fari anteriori del veicolo, ed i rifrangersi
fastidioso delle spie del quadro comandi sul parabrezza non lo aiutavano affatto
a tenere gli occhi aperti.
Tuttavia, era andato ugualmente in missione come si era ripromesso, perché quella
mattina aveva una dannatissima voglia di uscire.
Era, quella, una cosa che poteva permettersi di rado purtroppo, da quando era tornato
sul suo pianeta, poco più di sei anni legali prima, e non era facile per un tipo
come lui.
Essere un pluri-ricercato condannato alla pena capitale non era la condizione esistenziale
migliore per farsi un giro fuori dalla base, ma ogni tanto una boccata d’aria gli
era necessaria. Si era malamente abituato a quella vita, in quegli anni, da quando
lui e i suoi amici erano stati accusati di alto tradimento per la morte di Profondo
Blu...
Da quando, con il colpo di stato, l’Imperatore, che appoggiava segretamente il piano
per l’utilizzo della Mew Aqua e si era fatto fregare a sua volta dal loro tanto
acclamato salvatore doppiogiochista, era stato assassinato dai suoi generali...
La faccenda della Mew Aqua insabbiata completamente...
Da quando era nato il fronte ribelle per contrastare la dittatura militare imposta
da quest'ultimi, assieme i loro propositi di trascinare il paese, per davvero stavolta,
in una guerra sanguinaria contro i terrestri.
Dopo la loro fuga dal carcere, si erano salvati la pelle aderendo forzatamente -
almeno nel suo caso - alle fila della ribellione, ma a conti fatti era solo un diverso
tipo di prigionia.
Anche se non era rinchiuso in una cella, alla fine la sue possibilità di uscire,
anzi, di vivere liberamente fuori da uno dei lori nascondigli erano davvero
misere, se non per qualche spedizione di rappresaglia o per altre esigenze tattiche.
Pertanto quel giorno aveva accampato una scusa.
Si era offerto per una missione insulsa, una per cui sarebbero bastati un ragazzo
o due non graduati, dei volontari di provenienza civile, piuttosto che un alto ufficiale
come lui, ma Pai, il suo attuale comandante, alla fine non si era opposto e lo aveva
lasciato fare.
Per una buona volta...
Si era ammorbidito, col tempo, il suo pedante e granitico compagno di squadra...
La missione del giorno consisteva, semplicemente, nel fare un giro d’ispezione in
una vecchia galleria di collegamento che usavano per gli approvvigionamenti, lì
nei pressi della loro base, alla periferia della grande capitale del loro paese,
nel sottosuolo del loro pianeta. Erano arrivate segnalazioni della presenza di pattuglie
dell’esercito regolare nella zona, pertanto avrebbe dovuto farci un giro e piazzare
un paio di videocamere e di sensori per tenerla d'occhio.
Tutto qui.
Ed era un compito talmente semplice, per le cose a cui si era abituato in quegli
anni, che poteva persino rilassarsi, prendersela comoda e, magari, fare anche due
chiacchiere, così per passare il tempo e non crollare dal sonno.
Quindi decise che fosse arrivato il momento di far uscire allo scoperto quella sciocca
ragazzina che si era intrufolata di nascosto sulla sua navetta prima della partenza
dalla base.
Accostò il veicolo in uno scanso della piccola galleria abbandonata, accanto ad
una vecchia centralina dell’impianto di condizionamento, quindi abbassò al minimo
la potenza dei propulsori ed allungò un braccio dietro al sedile, cercandola a tastoni.
“Guarda che lo so che sei lì dietro...” la apostrofò, mentre la sentiva divincolarsi
nel suo nascondiglio e cercare invano di sottrarsi alla sua presa. "Avanti, vieni
fuori di lì, Nime... cretina..."
La acchiappò per un braccio e la tirò fuori di peso, mentre lei protestava e sbuffava
intanto che la costringeva a scavalcare lo schienale e la trascinava davanti, sull'unico,
ampio sedile anteriore, accanto a lui.
"Hai idea dei guai in cui ti potresti cacciare ad infilarti di nascosto qua sopra?"
la rimproverò, mentre la ragazzina, una minuta quindicenne, con un corto caschetto
ramato e due lunghi codini che le spuntavano dalla nuca, lo fissava a braccia incrociate,
mettendo su il broncio. "Mi annoiavo alla base!" protestò lei.
“E quindi t’infili sulla mia navetta?” insistette lui, fingendosi molto più adirato
di quanto non fosse.
Nime alzò le spalle, seccata. "Non posso mai uscire... sono sempre chiusa lì dentro...
sono stanca di passare le giornate in quel buco di base a fare... la sguattera!
Sono sempre a lavare lenzuola, lavare divise, cucinare e pulire tutto lo schifo
che fate voi..."
"Beh, fatti portare in giro dal tuo ragazzo, no? Visto che lui non ha la dicitura
sparare a vista sotto la sua faccia negli schedari militari..." la liquidò
lui.
"Ci ho provato!" protestò la ragazzina. "Sono giorni che glielo chiedo... stamani
gli ho portato anche la colazione a letto, ho fatto la carina tutto il tempo e...
niente! Lui aveva da discutere di non so che con altri ufficiali e poi ha detto
che portarmi fuori era troppo pericoloso, secondo lui! Sono mesi che non esco di
lì... sto impazzendo!" piagnucolò.
Kisshu alzò gli occhi al cielo, annuendo con una smorfia, perfettamente in sintonia
coi pensieri della ragazzina. "E quindi...” le fece poi “...il tuo ragazzo ti dice
di no a qualcosa e subito corri da me..." osservò lui, alzando un sopracciglio "Sei
la solita stronza..." ridacchiò divertito.
Nime gli lanciò un'occhiata in tralice, mentre si accoccolava in modo scomposto
con i piedi sul sedile, stringendosi le ginocchia tra le braccia. Poi la notò soffermarsi
più a lungo, con lo sguardo, sul suo petto. "Hai la maglietta abbottonata tutta
storta..." osservò piattamente, all'indirizzo della corta maglia nera che si intravedeva
sotto la giacca militare grigia e rossa della sua divisione, che teneva, come suo
solito, slacciata.
Il ragazzo buttò incerto lo sguardo sul suo petto e sulla fila di bottoni che gli
chiudeva la maglietta sul davanti. “Bah... Mi sono alzato di corsa e mi sono vestito
in fretta...” replicò lui, passandosi una mano sulla nuca. “Sai, ho avuto una nottata
movimentata...” aggiunse poi, con un mezzo ghigno.
“Uh...” commentò lei, con finto stupore. “E con chi stavolta?”
"Yuki... la biondina dell'infermeria" le disse, con un largo sorriso compiaciuto.
"Quella scema senza cervello?" fece Nime, con una smorfia.
"Ha i suoi perché..." scoppiò a ridere lui "E poi mica le scelgo per la loro profondità
morale..."
"Stai dicendo che anch'io sono una scema senza cervello...?" mormorò la ragazzina,
fingendosi risentita.
"Non sono stato io a scegliere te..." si limitò ad osservare Kisshu. "E poi tu non
eri disponibile... sono due settimane che non ti fai vedere...”
"È un problema se ho un fidanzato e voglio stare con lui?" replicò Nime.
“Ma dai... si vede che, stranamente, le cose con Shun ti stanno andando bene..."
ribatté il ragazzo, con tono beffardo.
"Che c'è... sei geloso?" aggiunse la ragazzina, alzando divertita un sopracciglio.
Kisshu non si degnò di risponderle. Si limitò ad alzare le spalle ed a tornare a
fissare fuori dal parabrezza, mentre ridava potenza ai propulsori della navicella
per riprendere la missione a cui aveva già sottratto troppo tempo utile.
Geloso...
No, semmai lui era possessivo...
Ed infastidito dal non poter disporre a suo piacimento di quella stupida ragazzina
che lo veniva a cercare quando faceva comodo a lei.
"Aspetta..." lo chiamò Nime, accostandosi a lui.
Si ritrovò a fissarla in silenzio mentre lei si inginocchiava sul sedile al suo
fianco e gli posava le mani sul petto, facendosi spazio tra la giacca. "Fatti sistemare
questi bottoni, che se no sei ridicolo..." gli sussurrò, mentre le sue mani scorrevano
morbidamente sulla stoffa della maglietta, slacciando i bottoni uno ad uno, con
una naturalezza ed una delicatezza che, inutile dirlo, tutte le volte lo incantavano.
A metà del lavoro, la vide lanciare un'occhiata assorta ai suoi pettorali, dove
avrebbe dovuto tenere le sue piastrine coi gradi, ma invece portava soltanto, normalmente
celato dagli indumenti, quell’oggettino consunto dal tempo alquanto insolito tra
la sua gente. Un vecchio laccetto rosso e sciupato, a cui era appeso un campanellino
ossidato che ormai non suonava più da tempo.
"Non lo togli mai, eh?" bisbigliò a mezza voce Nime, mentre con calma gli riabbottonava
la maglietta.
"No..." mormorò lui.
“Perché...?”
"Mi ricorda tutti i giorni di non fare più certe stronzate..." liquidò la questione
lui, giocherellando distrattamente con l’interruttore del blocco porte.
La ragazzina si sistemò di nuovo accanto a lui, accoccolandosi sulle ginocchia.
"Mi racconterai mai di lei...?" gli fece a questo punto, lanciandogli un'occhiata
incerta, con i suoi due grandi occhi color miele, da sotto i ciuffi ramati della
sua frangia.
"E tu smetterai mai di chiedermelo?"
"No..." asserì lei, risoluta.
Il ragazzo sbuffò, scocciato.
Avevano già girato attorno all’argomento troppe volte e lui si era sempre rifiutato
di scendere nei dettagli di quella storia...
Però...
Quel giorno, forse perché non era così di cattivo umore come al solito, forse perché
era fuori da quella dannata base in cui era rinchiuso da mesi, forse perché stava
davvero crollando dal sonno e gli serviva un pretesto per tenersi sveglio o per
altri motivi che neanche lui sapeva...
Decise che per la prima volta l'avrebbe accontentata.
E sapeva che se ne sarebbe pentita.
***
*bip bip bip bip bip*
Si ricordava il rumore fastidioso dell’allarme acustico, il quale segnalava la fine
del processo di criogenizzazione, rimbombare nella piccola capsula in cui era stato
rinchiuso per quelle tre settimane di viaggio. E si ricordava la sensazione di freddo
fin dentro le ossa, l'intorpidimento di tutto il corpo, i muscoli che non rispondevano
e la testa che pulsava. Avevano già fatto dei test al riguardo prima della partenza
per la Terra, ma non per periodi così lunghi.
Aveva sospirato, pazientemente, aspettando che passasse.
Tra poco la sua nuova vita sarebbe iniziata.
Una vita da eroe.
Da uno che finalmente avrebbe combinato qualcosa di buono ed avrebbe avuto un posto
in quel dannatissimo mondo.
"Kisshu..." la vocina sinistra della presenza incorporea che lo accompagnava
in quel viaggio, a bordo dell'astronave, aveva risuonato nella sua mente.
Telepatia.
Un'invasione non voluta e non desiderata dei suoi pensieri, con cui suo malgrado
aveva già dovuto fare i conti prima della partenza.
"Arrivo, mio Signore..." aveva biascicato, a stento, forzandosi di muovere i muscoli
intorpiditi e di cavarsi fuori da quella capsula dal vetro appannato.
Gli era costato una fatica immane...
Profondo Blu non gli era mai piaciuto.
Non si era mai fidato.
Un Salvatore, un messia annunciato da secoli che si presentava come un essere immateriale,
senza neanche una faccia da mostrare, che entrava nelle menti dei suoi simili ed
ordinava piani apocalittici per la salvezza del loro popolo, piani che contemplavano
un’invasione planetaria, lo sterminio di una razza vivente ed un esodo di massa.
Ma le sue simpatie personali non erano importanti, al momento.
Era lì per altro.
Era lì perché lo avevano scelto.
Primo classificato in una graduatoria che aveva visto concorrere metà dei soldati
del suo paese.
Lui che non era nessuno.
Era un orfano, uno che dopo aver perso i genitori quando era persino troppo piccolo
per ricordarseli, in una di quelle catastrofi ambientali che scuotevano il loro
pianeta negli ultimi decenni. Uno che era stato cresciuto in una struttura assistenziale
di proprietà dell'Impero, quindi addestrato come soldato, come guerriero, senza
grosse possibilità di scelta. E forse per questo era venuto su così insofferente,
indisciplinato, ribelle, con quell’atteggiamento da spaccone strafottente con cui
si faceva largo nel mondo e con un’innata capacità di creare casini e di vantarsene
anche.
Però a lui infondo quella vita piaceva.
Combattere era una delle poche cose in cui era veramente bravo.
E questo era uno dei principali motivi per cui aveva stracciato gli altri candidati
alle selezioni, ma non era il più importante.
Anomalia genetica.
Questo aveva fatto la differenza.
Il problema di maggior portata nella loro spedizione sulla Terra erano i loro poteri.
Fluttuare, teletrasportarsi e materializzare armi erano tutte facoltà che, sebbene
alquanto diffuse tra la loro gente, potevano essere utilizzate appieno solo grazie
ad una complicata, perfetta interazione che si veniva a creare tra le loro onde
cerebrali ed alcune precise frequenze del campo elettromagnetico del loro pianeta
che, entrando in risonanza tra loro, potenziava le prime a sufficienza da renderle
efficaci.
Purtroppo queste frequenze elettromagnetiche sulla Terra erano differenti, ragion
per cui il grosso dei guerrieri inviati lì non avrebbe, semplicemente, potuto sfruttare
quasi nulla delle proprie capacità.
Ma lui, a quanto pareva, al pari delle altre scarse decine di coloro che avevano
passato la selezione, non avrebbe avuto questo problema. Tutto a causa di un'anomalia
genetica risalente alle loro origini terrestri, gli avevano spiegato, anomalia che
gli dava un range di risonanza più ampio e lievemente spostato.
Lui era lievemente spostato, a dir la verità.
Era un dato di fatto con cui aveva imparato a fare i conti da anni, visto che chiunque
lo conoscesse glielo rimarcava continuamente.
Ma ora, forse per la prima, sola ed unica volta in vita sua, tutto ciò non era stato
uno svantaggio, anzi...
Sembrava un dono, una benedizione, la sua grande occasione.
Pertanto aveva deciso di impegnarsi seriamente in quella missione.
Aveva deciso di sottostare persino agli ordini di Profondo Blu, di inchinarsi a
lui in modo umiliante e simulare obbedienza, pur di fare qualcosa per la sua gente...
Pur di evitare che altri passassero quello che aveva passato lui...
***
Quando era sbarcato sulla Terra, l'esperienza era stata... stordente.
Aveva visto decine e decine di video su quel pianeta, che i suoi simili osservavano
da secoli, per prepararsi alla missione prima della partenza, ma dal vivo faceva
un altro effetto.
Il cielo soprattutto.
Un’enorme volta sconfinata sopra la sua testa, un abisso di mille sfumature di nero
e di azzurro in cui perdersi, una cosa impensabile nella sua civiltà costretta a
vivere sottoterra. Per loro il cielo significava superficie, e la superficie significava
morte, se non si era protetti all'interno di una navicella dalle temperature estreme.
Oppure significava spazio, significava solcare le stelle verso mete distanti, in
cerca di risorse energetiche e minerarie.
E vedersi esposti costantemente a questo cielo terrestre formava pertanto un connubio
eccitante e terrificante allo stesso tempo.
La seconda cosa che colpiva era la vegetazione.
Ce l'avevano anche loro, sul loro pianeta, ma la tenevano rinchiusa nelle serre
sotterranee, alla periferia o persino sotto i nuclei abitati, per fornire soprattutto
cibo, oltreché tessuti ed altre materie prime alla sua gente. Qui funzionava tutto
al contrario, era tutto un'enorme serra selvaggia ed incolta a cielo aperto, grondante
di vita, in cui ad essere rinchiuse erano le persone nelle città.
E le città...
Le città degli umani non erano esageratamente diverse delle loro, ma...
Puzzavano.
Puzzavano degli ammorbanti fumi dei primitivi carburanti che usavano come fonte
energetica, impastando l'aria di polvere velenosa, puzzavano dei loro rifiuti, che
accatastavano in quantità scioccanti praticamente ovunque, puzzavano dei loro fetidi
liquami che scaricavano negli specchi d'acqua in cui poi essi stessi si abbeveravano.
E lì si era definitivamente convinto che quella razza di esseri viventi fosse davvero
così ripugnante, ignobile e degenere come gli avevano insegnato a credere.
Ci aveva messo delle settimane ad abituarsi a tutto ciò, settimane in cui aveva
persino temuto di ammalarsi irrimediabilmente, a forza di essere costretto a respirare
e bere tutto quello schifo.
Ma non era successo.
E lui nel frattempo aveva dato inizio alla loro missione.
Gli avevano ordinato come prima cosa di testare i chimeri, come arma, vista l'abbondanza
di forme vitali superiori su quel pianeta, e sebbene lui preferisse di gran lunga
combattere con le armi in pugno, aveva concordato che fosse la soluzione più rapida
ed efficace per raggiungere il loro scopo. Inoltre, fattore non di secondaria importanza,
sulla Terra i suoi poteri parevano funzionare meravigliosamente meglio che sul suo
pianeta. Fluttuava quasi senza stancarsi, si teletrasportava su distanze ben maggiori
e, con il supporto di Profondo Blu, riusciva a creare e stabilizzare dimensioni
parallele in cui, nel suo luogo di origine, generalmente lui ed i suoi simili avevano
solo un fugace accesso durante la smaterializzazione. Sembrava andare tutto magnificamente...
Ed invece quasi subito era apparso il primo imprevisto.
E, nello specifico, era apparso nella forma di un’umana, apparentemente una ragazzina
di forse un paio d’anni più giovane di lui, saltata fuori dal nulla ed in grado
di usare poteri comparabili con i suoi, ragazzina che aveva prontamente distrutto
tutti quanti i suoi chimeri, uno dopo l’altro.
E lui non ci credeva.
Era confuso e non ci credeva.
Gli umani non potevano fare cose simili...
A lui...
Ed infatti, dopo averla studiata rapidamente, aveva capito che del tutto umana non
la era.
Si trattava di un ibrido, un ibrido geneticamente modificato con innesti di DNA
di un animale terrestre.
Un gatto per la precisione, specie che in realtà esisteva anche sul loro pianeta,
sebbene di dimensioni, forma e colore del mantello lievemente diversi.
Già gli animali scarseggiavano presso il suo popolo, raramente allevati come fonte
di cibo, ma un essere del genere lo si poteva trovare unicamente come animale da
compagnia per le famiglie più ricche ed altolocate. Una sorta di soprammobile vivente
di lusso in pratica, un oggetto di gran pregio.
Ecco, quello doveva essere quell'ibrido umano tra la sua gente.
Un oggetto di gran pregio.
E lui non riusciva più a staccarle gli occhi di dosso.
Gli erano bastati un paio di scontri per capire che contro un essere del genere
avevano poco quartiere, situazione che era andata peggiorando quando le ibride umane
erano salite di numero. Si facevano chiamare Mew Mew, un gruppo di ragazzine
a malapena adolescenti, con indosso dei microscopici abitini sgargianti, dotati
di poteri, agilità e resistenza non indifferenti. E la loro leader, quella in rosa,
era di sicuro la più interessante.
Pertanto, nonostante gli ordini arroganti di Profondo Blu che gli intimava di liberarsene,
lui si era già fatto altri programmi, soprattutto per quell'essere insolente ed
indomito che ostacolava i loro piani.
Avrebbe fatto di testa sua.
Come sempre.
Perché, sebbene si fosse ripromesso di impegnarsi seriamente in quella missione,
non si sentiva in dovere di essere così rigidamente obbediente a coloro che,
fino a poche settimane prima, lo trattavano come nient’altro che un numero ai loro
comandi e poco dopo lo osannavano come icona del potere imperiale capace di salvare
l'intero pianeta. Ora che era lì, libero di agire di sua iniziativa, mettere in
atto un piccolo piano collaterale al principale non gli sembrava poi questa gran
tragedia, specie se tanto utile ai fini della causa.
Pertanto aveva elaborato una rapida e semplice strategia: l’avrebbe fatta passare
dalla loro parte.
Infondo quella ragazza non era comunque del tutto umana, ed avrebbe potuto benissimo
preferire trovarsi dal lato dei vincenti, quando avrebbero sterminato tutti gli
abitanti di quel pianeta.
Ma per fare ciò avrebbe dovuto prima istigare in lei il dubbio...
Minare innanzitutto la sua sicurezza, confonderla, abbindolarla...
Lusingarla...
Ed avrebbe usato la tecnica che era sicuramente più efficace su una che, alla fine,
era una ragazzina poco più giovane di lui.
Funzionava alla perfezione anche su tutte le ragazze del suo pianeta...
Per prima cosa l'aveva baciata.
***
"Cioè... aspetta!" Nime lo interruppe bruscamente, mentre raccontava, facendolo
voltare perplesso. "Tu da un momento con l'altro sei andato lì ed hai baciato un'aliena!?
Anzi... un'ibrida aliena!?"
Kisshu scoppiò a ridere di gusto. "E quando mi ricapitava un'occasione simile!?"
"Kisshu!!!" protestò Nime. "Ma non ti ha fatto... boh... senso!?"
"Oh, no!" ribatté lui, continuando a sghignazzare "È stato... parecchio divertente..."
aggiunse poi.
La ragazzina lo fissò storto. “Tu sei proprio strano...” mugugnò. “Non che sia una
novità...” bisbigliò poi, quasi sottovoce.
Kisshu alzò le spalle, tranquillo. "Non sono poi tanto diversi da noi" commentò
"Non li hai visti nelle videoregistrazioni?"
"Più o meno..." mormorò lei, incerta "Ma dal vivo... come sono?"
"Beh... fisiologicamente siamo quasi identici..." replicò il ragazzo "Respirano,
mangiano e bevono come noi, solo non sono capaci di volare, né teletrasportarsi...
ed hanno... delle strambe piccole orecchie tonde ed... anche le pupille degli occhi
rotonde... ed uno strano odore..." commentò, pensieroso, al ricordo.
Nime fece una smorfia alla sua descrizione. "E lei, com'era?"
Kisshu a questo punto si decise a riavviare finalmente i propulsori della navicella,
per riprendere quel famoso giro di perlustrazione che stava continuando a rimandare.
Fece scattare un paio di interruttori sul pannello sopra la sua testa e sbloccò
i reverse di stazionamento, e solo allora le rispose. "Bella..." ammise al quel
punto, mentre lasciava la piazzuola di sosta in cui si erano fermati una decina
di minuti prima. "Bella e coi capelli rossi..."
"Come i miei?"
"No, rossi come il sangue" commentò cupo, con una dolorosa punta d'amarezza nella
sua voce. "Sai, anche tra gli umani ci sono diverse razze, ma nel posto in cui noi
eravamo in missione assomigliavano molto alla gente dei settori nord, hai presente?”
domandò, mentre la ragazza annuiva. "Lo stesso viso tondo... quei lineamenti poco
marcati... e quegli stessi occhi allungati... i suoi erano castani...”
Se lo ricordava benissimo ancora adesso il taglio dei suoi occhi. Assieme a quegli
zigomi alti e morbidi, ed alle guance rosee e piene, tipiche di tutta la sua razza,
le davano quell'aria dolce e vivace, come se stesse sempre sorridendo, oppure, quando
non lo faceva realmente, le davano un'espressione misteriosa ed affascinante.
Virò a sinistra con la navicella in uno svincolo in parte ingombro di detriti rocciosi,
imboccando finalmente la galleria che doveva pattugliare.
"E poi?" riprese Nime, perplessa dal suo improvviso silenzio.
Kisshu sospirò, mentre spegneva per sicurezza i fari ed attivava i sensori per la
guida al buio. "E poi sai cosa mi ha fregato?" le rispose lui ad un tratto, con
la sguardo puntato sulle immagini computerizzate della galleria che stavano apparendo
in sovrimpressione sul parabrezza. "Che le é piaciuto..."
“Kisshu, tu la dici un po’ di tutte questa cosa...” constatò lei, poco convinta.
“Dettagli...” grugnì il ragazzo in risposta. “Ti dico che a lei è piaciuto davvero.”
"E come fai a saperlo...?" insistette Nime.
"Perché se uno non ti piace non arrossisci e non stai giorni con l'aria trasognata
dopo che ti ha baciato!” sibilò a questo punto lui, tra i denti. “...e non arrossisci
anche tutte le volte seguenti che lo vedi e non ti agiti senza ritegno ogni volta
che ti viene vicino!" terminò, senza riuscire a trattenere un filo di rabbia.
Si, era arrabbiato.
Perché si era rovinato con le sue mani.
***
Così era iniziata, come uno stupido, subdolo e meschino gioco, in parte asservito
a quella guerra, per vincerla, per renderla meno spaventosa ed estraniante, nonché
per il suo orgoglio ed il suo divertimento.
Aveva iniziato a giocare con lei, a tentare di spezzare la sua forza d’animo nel
modo più delizioso e spregevole che si poteva usare con una ragazza. La metteva
in difficoltà, fingeva di farle il filo, sedurla, finendo per intimorirla persino,
con minacce sempre meno velate, qualsiasi cosa per raggiungere il suo scopo ed averla
dalla sua parte. Si era presto accorto che quell’umana aveva un debole per un insulso
ragazzino della sua specie, ed era arrivato pertanto a ricattarla, minacciandola
di fare del male a lui se non avesse acconsentito alle sue richieste. Tanto erano
umani, tanto sarebbero stati tutti ugualmente sterminati.
Lei però si sarebbe potuta salvare...
Avrebbe messo in atto una strategia simile persino con le altre ragazze del team,
ma sapeva già che sarebbe stata una causa persa.
La morettina era troppo altezzosa e fiera, non gli avrebbe mai dato alcun credito
ed avrebbe finito per perdere la pazienza e rischiare di farla fuori subito, la
ragazza in verde era talmente spaurita ed impacciata che non avrebbe neanche retto
la sua presenza, l’esagitata bimbetta bionda era fuori discussione in partenza,
mentre con l'ultima del gruppo, che oltretutto era davvero di una bellezza devastante
e gli era sembrata, sin da subito, la meno convinta sulla missione a cui era stata
costretta a prendere parte, ci aveva provato seriamente, ma la ragazza era troppo
sveglia, troppo dura, fredda ed inattaccabile che si era dovuto arrendere poco dopo.
Ichigo invece...
Oltre a restare la leader del team, pertanto la più appetibile per i suoi scopi
per la possibilità che si trascinasse dietro tutte le altre, in qualche modo era
l’unica che cedeva al suo giochetto.
Se lo ricordava benissimo il suo viso arrossato ed il modo in cui evitava imbarazzata
il suo sguardo, quando la fissava in modo insolente dritta negli occhi... o altrove.
Si ricordava il suo palese disagio, quando le andava davvero troppo vicino e calcava
il suo corpo contro a quello di lei, od ancora di più quando si avvicinava in modo
insidioso alle sue labbra, minacciando di baciarla ancora...
Ichigo aveva paura.
Paura di lui.
Non tanto del fatto che potesse ferirla od ucciderla, quello aveva imparato a gestirlo
abbastanza bene quasi subito, ma aveva paura dei suoi approcci, paura del fatto
che, al di là di essere così alieni uno all’altra, erano pur sempre un maschio ed
una femmina. Aveva paura che un ragazzo potesse essere interessato a lei in quel
modo, e paura di tutte le spaventose cose che avrebbe potuto desiderare farle dopo...
In realtà non aveva mai seriamente creduto di piacerle, tuttavia, una volta scoperto
il suo punto debole, non poteva fare a meno di continuare ad infierire contro quell'essere
tanto ingenuo, tanto innocente e fragile, sicuramente non avvezzo a quelle sciocche
tattiche quanto lui, né tanto meno preparato per una simile guerra ed ai doppi giochi
che ne potevano nascere.
Aveva continuato così per un bel po’, e tanto più lei si ostinava a negare i suoi
timori e le sensazioni contrastanti che lui le creava, con un’arroganza ed un’aggressività
non necessari che non facevano altro che confermare tutto il contrario, tanto più
la questione diventava personale.
Troppo personale.
Ed alla fine, quello che aveva ceduto, era stato lui.
Come un idiota.
Come lo stupido quindicenne idiota che era allora, addestrato forse come un bravo
soldato, ma assolutamente impreparato a gestire quello che sarebbe venuto dopo.
Perché il modo in cui la turbava aveva iniziato a turbare anche lui.
Aveva iniziato a turbarlo innanzitutto il suo profumo, così penetrante, così stucchevole,
per metà disgustosamente umano e per metà intensamente selvaggio e puro, maledette
zaffate di profumo che gli sbatteva in faccia senza ritegno tutte le volte che combatteva
contro di lui.
Così come lo turbava proprio quella sua fragile innocenza, che tanto disprezzava
ma che in qualche modo, smuoveva qualcosa dentro di lui e che non riusciva più,
cinicamente, ad ignorare. Come uno specchio che, se incrinato a suon di colpi, finisce
per ferire il suo stesso aggressore.
E lo turbavano, infine, e gli entravano dentro la carne, i fremiti di paura e di
coraggio che la scuotevano durante gli scontri, l'adrenalina che tendeva il suo
corpo e poteva avvertire sotto le sue mani quando gliele metteva addosso. Lo turbava
la morbidezza della sua pelle rosata, le curve soffici del suo corpo indubbiamente
femminile seppur umano, l’ancheggiare dei suoi fianchi tondi e pieni sottolineato
da quella lunga, sensuale coda nera e felina e, per finire, lo turbava quel dannato,
impudico tatuaggio rosa che aveva nell'interno coscia destro, giusto sotto l’orlo
della gonna, dove proprio non poteva fare a meno di far cadere il suo sguardo ogni
maledettissima volta che apriva spudoratamente le cosce davanti a lui.
Cosa non avrebbe dato per posarci la bocca sopra.
Non solo sul tatuaggio.
E cosa non avrebbe dato per scoprirle assieme a lei, tutte quelle spaventose
cose che avrebbe desiderato farle...
Da quel momento aveva iniziato a diventare tutto così maledettamente confuso.
Aveva provato a riprendere il controllo della situazione, a rimettersi in riga,
specie dopo che Profondo Blu aveva rischiato di estrometterlo dalla missione dopo
un’altra di quelle sue deviazioni dal piano principale che si era ritrovato
a fare per colpa di quell’umana, specie dopo l’arrivo dei suoi due compagni, estremamente
più obbedienti, servizievoli ed assennati di lui.
Ci aveva provato seriamente, eppure più tentava più si ritrovava a creare
danni, confuso da quello che provava per Ichigo, infervorato dagli ideali a cui
ancora si aggrappava, ed al contempo disturbato da quella spiacevole, sinistra sensazione
che ci fosse qualcosa, qualcosa di fondo, che non stesse andando per il verso
giusto in quella missione.
All’improvviso era apparso il Cavaliere Blu.
Quello strano tizio, sicuramente non umano, sembrava provenire direttamente dal
loro pianeta e tuttavia, inspiegabilmente, aveva iniziato a mettere loro i bastoni
tra le ruote e, soprattutto, a proteggere Ichigo durante i loro scontri.
Solo Ichigo...
Menava come una bestia e lo aveva messo al tappeto più di una volta...
E nessuno, nemmeno le umane, aveva idea di chi fosse, né tantomeno riuscivano a
capirlo loro tre, nonostante le cavillose ricerche che, sotto la supervisione di
uno come Pai, avevano iniziato a farci al riguardo.
Ed era apparsa anche la Mew Aqua, in una inspiegabile coincidenza che col
senno di poi coincidenza non era.
Quell’oggetto, che sembrava nascondere retroscena misteriosi di cui nessuno di loro,
a quei tempi, aveva i mezzi per venirne a capo, era capace di sprigionare un’energia
smisurata e loro tre avevano iniziato a fare quanto potevano per appropriarsene
e, soprattutto, per sottrarlo alle umane che sicuramente lo avrebbero usato per
contrastarli.
Lui aveva messo su un piano, un piano oltretutto alquanto complicato, raggirando
persino i suoi amici, per tentare di vederci più chiaro.
Era riuscito, grazie ad esso, a recuperare una notevole quantità di quella Mew Aqua
e l’aveva fornita direttamente al loro leader, non soltanto per ristabilirsi ai
suoi occhi, quanto soprattutto per la curiosità di vedere cosa ne avrebbe fatto.
Se l’avrebbe usata per aiutare direttamente il loro popolo...
Ed invece Profondo Blu da quel momento in poi sembrava interessato solo ad averne
ancora di più.
Voleva risvegliarsi, avere ancora più potere, tutto quanto fosse possibile per distruggere
la razza umana...
E sembrava non curarsi più di altro.
Non si era mai veramente curato di altro...
Intanto la loro gente, a casa, soffriva, nel totale disinteresse del loro salvatore.
Ed anche lui soffriva, perché stava cominciando a capirci sempre meno.
Si sentiva colpevole, frustrato e messo sotto pressione per la missione che non
progrediva, e soprattutto non riusciva a darsi pace per la faccenda del Cavaliere
Blu. Quell’essere era troppo forte, troppo singolare la sua presenza aliena sul
campo di battaglia, troppo insensato il modo in cui uno, apparentemente del suo
popolo, si fosse schierato dal lato delle umane...
O forse il modo in cui aveva fatto, abilmente, schierare le umane dal suo?
Come aveva tentato di fare lui...
Assurdo...
Le aveva pensate tutte...
Ed aveva, ovviamente, tentato di cavargli fuori le ragioni di bocca persino con
la forza, a quel maledetto Cavaliere Blu, ma inutilmente...
E purtroppo, quella sua presenza così gelida, sinistra, così ambigua, a lui cominciavano
a risultare fin troppo famigliari...
Tanto che più passava il tempo più si convinceva che dovesse essere in qualche modo
legato a Profondo Blu.
O addirittura che potesse essere Profondo Blu.
Era fuori da ogni logica, eppure non riusciva a darsi altre spiegazioni...
E se così fosse stato, si tormentava su che diavolo stesse accadendo alle loro spalle,
su come e perché continuasse ad ostacolare loro, ordinare così ferocemente lo sterminio
degli umani e nel contempo proteggere proprio la loro leader.
Come potesse, proprio quell’essere, riuscire dove aveva fallito lui...
Ottenere i favori dell’umana che voleva per sé...
Perché sì, Kisshu la voleva.
Aveva iniziato ad averla in testa sempre più spasmodicamente, come un dannato pensiero
fisso dal quale non riusciva a liberarsi, un misto di desiderio fisico, carnale,
ed al contempo odio, ribrezzo, fredda indifferenza, delusione ed un enorme senso
di vuoto alla sua assenza, quando non la incontrava nelle battaglie, come una mancanza
che non riusciva a colmare.
E tenerezza.
Insostenibili attimi di tenerezza al suo pensiero...
Del suo viso, dei suoi capelli, dei suoi occhi...
Delle sue labbra...
Delle sue lacrime...
Soprattutto in quel periodo in cui, anche lei, lo sapeva, soffriva.
Era innamorata Ichigo.
Continuava a vederla correre dietro ad un insulso ragazzo terrestre, con cui usciva
regolarmente, eppure non era felice.
Non si sentiva degna di lui, degna di essere amata da uno come quello smidollato,
perfettino e compassato umano a cui mirava che, a quanto pareva, era invece una
vera e propria celebrità tra la sua strana gente, e sapeva che Ichigo dava principalmente
la colpa di tutto ciò ai suoi poteri da Mew Mew, al suo DNA ibrido che teneva segreto,
a causa del quale non si sentiva davvero più parte della sua stessa specie, non
si sentiva più normale. Ed anziché impegnarsi seriamente nella missione,
malediceva tra sé e sé quella guerra che portava via la sua vita ed alla quale era
stata costretta a prendere parte, facendo sue cause troppo grandi, troppo complesse
ed oscure per capirle del tutto, finendo soltanto per trovarsi spesso in difficoltà
durante gli scontri, presa com’era dai suoi sciocchi, personali, drammi sentimentali.
Ed in questo, in qualche modo, aveva iniziato a sentirsi simile a lei.
Inetta.
Rifiutata.
Diversa.
Sbagliata.
Diversi e potenzialmente sbagliati lo erano tutti quanti loro, in realtà, sia le
cinque Mew Mew che loro tre, anche se forse simili livelli di emotività ed immaturità,
con i loro egoistici risvolti, li raggiungevano solo lui ed Ichigo.
Otto persone che tentavano di salvare i rispettivi pianeti con tutte le proprie
forze, eppure, paradossalmente, erano quelli che meno si sentivano appartenenti
alla propria razza e sempre più pregni di dubbi. La situazione aveva iniziato a
vacillare già allora, quando alcune umane avevano iniziato a provare a parlare con
loro durante gli scontri, a cercare di cogliere le loro motivazioni, a tentare di
negoziare soluzioni pacifiche, ed allo stesso tempo aveva visto il suo più giovane
ed ingenuo compagno di squadra, Taruto, tentennare nelle missioni. Pai non si scomponeva
invece, anzi, sembrava ancora più carico di silenzioso odio, eppure a volte gli
sembrava una maschera messa su per difendersi dai loro stessi pensieri. Anche il
suo compagno più grande aveva un umana alle cui parole, che tentasse di nasconderlo
o meno, perdeva inspiegabilmente il pieno controllo di sé...
Poi, per lui, era andato tutto a rotoli.
All’ennesima missione in cui si era visto ostacolato dal Cavaliere Blu, aveva perso
la testa come l’idiota borioso che era, e si era buttato in uno scontro inutile,
ne era uscito pesantemente ferito e Profondo Blu, per questo, lo aveva semplicemente
e crudelmente degradato e scacciato dalla missione.
In via definitiva.
Esiliato e condannato praticamente a morire, solo, dissanguato, su un pianeta alieno,
con l’ordine perentorio per Pai e Taruto di negargli ogni aiuto.
Aveva perso tutto.
Tutto quello per cui era partito, tutto quello per cui aveva sperato di lottare,
tutto quello che di buono aveva sperato di fare per sé e per il suo popolo.
E si era sentito, di nuovo, l’emarginato che era stato per il resto della sua vita.
Solo che ora non aveva veramente più nessun posto dove tornare...
E per cosa, poi?
Che aveva commesso veramente di così terribile...?
Quanto erano fondati i suoi sospetti...?
***
Un fruscio indelicato contro il sedile, uno scatto improvviso della ragazzina
accoccolata accanto a lui, lo riscosse dai suoi pensieri, nell’oscurità totale di
quella galleria deserta che stavano percorrendo ormai da una decina di minuti buoni.
“Mi stai dicendo...” bisbigliò incredula Nime, interrompendolo per la seconda volta.
“...che mio fratello e Pai ti hanno abbandonato lì, da solo, a morire!?”
“Non è che da allora siano diventati molto più premurosi nei miei confronti...”
mugugnò seccato Kisshu tra sé e sé, senza staccare gli occhi dalla noiosa visuale
sul parabrezza. “Ad ogni modo quelli erano gli ordini ed in guerra gli ordini non
si discutono, ed io me l’ero cercata...” commentò con noncuranza. “Avevo una gran
bella ferita, da qui a qui...” aggiunse poi, tracciandosi col pollice la cicatrice,
nascosta dalla maglietta, che gli era rimasta dalla spalla sinistra al petto. “E
credo anche qualcosa di rotto... comunque tranquilla, puoi evitare la lavata di
capo a tuo fratello. Dopo un po’ di giorni di agonia, Pai e Taruto si sono impietositi
e mi hanno dato ugualmente una mano, di nascosto, giusto prima che ci restassi secco...”
“E menomale!” commentò la ragazzina, serrando le labbra in protesta, mentre si rannicchiava
di più sul sedile.
“Sono stati i momenti peggiori della missione, quegli ultimi due, tre mesi...” riprese
Kisshu, assorto. “Eravamo tutti così arrabbiati... così sfiniti... Pai e Taruto,
piuttosto che farsi seriamente due domande su Profondo Blu, avevano preferito vendicarsi
sulle umane per quanto mi era successo... soprattutto su Ichigo... e per una volta
stavano quasi riuscendo a concludere un piano ed a farle fuori!” commentò, con una
smorfia di sufficienza. “Ad ogni modo, ho fatto appena in tempo a fermarli... cosa
avrebbe cambiato? A quel punto stava perdendo tutto senso... ci stavamo chiedendo
tutti, umane comprese, se valesse la pena continuare ad ammazzarci tra di noi a
quel modo, se fosse ancora la soluzione migliore e non ci fossero altre possibilità,
specie con la Mew Aqua di mezzo... e quanto avevamo ragione...” mormorò, con un
misto di amarezza e delusione. “Se solo avessimo saputo quello che sappiamo adesso...
se solo non ci avessero tenuto all’oscuro di tutto...” aggiunse, lasciandosi scappare
qualcosa a metà tra un ringhio ed un sospiro stizzito, tentando malamente di contenere
la rabbia che, ancora adesso, al ricordo, quella faccenda gli faceva montare dentro.
Si trattenne solo alla vista dello sguardo mesto e preoccupato sul viso della ragazzina
al suo fianco, che per un istante lo impietosì.
“E poi...” mormorò ad un tratto lei “...che hai fatto?”
“Oh, una cosa molto vigliacca e molto romantica, di quelle che piacciono a voi ragazze...”
sorrise lui, ammorbidendosi e lasciandosi una sfuggire una punta di dolcezza nella
voce “Sono andato da Ichigo e le ho chiesto di mollare tutto e scappare via con
me...”
“Tu!?” fece Nime, sgranando incredula gli occhi.
Kisshu quasi scoppiò a ridere alla sua reazione. “Ero un ragazzino, dai!” si giustificò.
“E poi sai, quando hai una divinità plurimillenaria che ti ha preso in antipatia
e cerca di farti fuori da un po’, oltre al destino di due pianeti e della ragazza
che ti piace sulle spalle... capitano anche queste cose, eh!” aggiunse, ironico.
La ragazzina lo fissò incerta, prima di osare parlare ancora. “Ed Ichigo... come
ha reagito?” gli chiese.
“Mi ha mandato al diavolo, ovviamente!” rispose lui con disinvoltura. “Ma non è
finita qui, dolcezza... il bello è arrivato proprio in quel momento!”
Lei lo guardò ancora più preoccupata, probabilmente cogliendo il tono un po’ troppo
allegro e forzato delle sue parole.
“Ho provato a convincerla in tutti i modi, volevo che ascoltasse la mie ragioni,
per una buona volta... volevo avvisarla del pericolo... ma non c’è stato verso,
come al solito...” riprese lui, ritrovandosi, suo malgrado, a mettere davvero troppa
enfasi in quello che stava dicendo “...ed è stato lì che all’improvviso è saltato
fuori il suo insulso fidanzatino umano e, colpo di scena, si è trasformato davanti
a noi nel Cavaliere Blu...”
“Eh!? Un... umano...?” fece Nime, inclinando confusa il capo. “Stai dicendo che
ti eri sbagliato sulla sua vera identità?”
“No, anche se allora lo avrei sperato caldamente” commentò lui, abbassando improvvisamente
il tono. “Il fidanzato di Ichigo era il Cavaliere Blu... ed era anche Profondo Blu...”
“Stai scherzando...” mormorò la ragazzina.
“Assolutamente no...”
“Kisshu, stai scherzando!” protestò.
Il ragazzo scosse solamente il capo, senza aggiungere altro.
No, non scherzava. Quello era stato il colpo più duro da mandare giù dell’intera
vicenda.
“Ichigo ha semplicemente detto che amava lui e che quindi non poteva venire via
con me...” mormorò lui, con un filo di voce. “E piangeva, mentre lo diceva... mentre
ai miei occhi, in quel modo, si era appena consegnata dritta nelle mani del suo
carnefice...”
Nime continuava a guardarlo con gli occhi sgranati e l’espressione smarrita. “Ma
lui... non la amava anche? Non cercava di proteggerla?” si azzardò a chiedere, quasi
temesse la risposta che sarebbe arrivata.
Kisshu alzò le spalle. “Presumo di sì... a modo suo... lei quantomeno ne era convinta...”
“Ma non sapeva... non aveva capito che lui e Profondo Blu...”
“No...” la interruppe il ragazzo. “Allora non ne ero ancora sicuro nemmeno io del
tutto, ma lei non si è nemmeno posta la questione del perché il suo fidanzato potesse
trasformarsi a quel modo. A dir la verità credo non se la sia mai posta, fino alla
fine. E neanche dopo.” commentò, con una smorfia di disappunto all’intelligenza
di quell’umana. “A quanto ho capito della faccenda, Profondo Blu era venuto sulla
Terra per cercare il corpo a lui geneticamente e spiritualmente più affine in cui
risvegliarsi, quindi, a quanto pare, quel ragazzino con l’aria da finto beota non
era molto diverso dal nostro leader. Una parte di lui di sicuro desiderava ardentemente
lo sterminio della sua stessa razza più di ogni altra cosa...” mormorò queste ultime
parole, rendendosi conto di quanto fossero agghiaccianti e disgustose allo stesso
tempo. “Tuttavia, forse qualcosa in quel tipo doveva anche tenere ad Ichigo, e tenerci
abbastanza da impadronirsi dell’energia di Profondo Blu per trasformarsi in quel
Cavaliere... quindi suppongo che in qualche modo la amasse... credo? Spero? O forse
era solo uno stratagemma di Profondo Blu per servirsi di lei... o tutte e due le
cose... boh... ma chi diavolo l’ha mai capito!?” sbuffò, agitando seccato una mano.
“Poverina...” mormorò solo Nime, in un inaspettato moto di compassione.
Kisshu sospirò, pesantemente.
Aveva odiato quell’umano, quel Cavaliere Blu e Profondo Blu con tutto se stesso
allora, ed aveva continuato a farlo a lungo, per anni forse, ma infine, col passare
del tempo, aveva imparato a provare solo commiserazione per quella storiella d’amore
che sembrava così banale e sdolcinata, quando in realtà un simile accadimento l’aveva
stravolta. Ichigo vedeva ogni sorta di meraviglia in quel patetico umano, ma sembrava
assolutamente cieca alla parte oscura che albergava dentro di lui. E chissà, se
non fosse stato Profondo Blu a farlo emergere, in quale altre maniera ed in quale
circostanza prima o poi sarebbe uscito fuori...
Era sempre stato fermamente convinto che fosse proprio dalle persone di quel tipo,
sempre così controllate, impeccabili ed educate, con quel sorriso cortese e fasullo
in faccia, che ci fosse più da guardarsi le spalle...
Che proprio dietro a certe maschere di perfezione si potessero nascondere benissimo
i demoni più neri...
E poi dicevano di lui...
“Ricapitolando...” riprese ad un tratto, con un sorrisetto nervoso “...io, praticamente,
ero già una sorta di morto che cammina, Profondo Blu sembrava non curarsi
affatto del nostro pianeta e desiderava solo la Mew Aqua per potersi risvegliare
e sterminare la razza umana e, nel frattempo, giusto per non farsi mancare nulla,
se la spassava sotto mentite spoglie con la leader delle loro guerriere, nonché
la ragazza che mi piaceva...”
***
Che storia di merda.
E lui si sentiva di merda, in procinto di toccare il fondo, di fronte ad un destino
avverso che sembrava essersi accanito proprio contro di lui, prendendosi gioco delle
sue miserie in modo così ironico e crudele.
Ma Kisshu Ikisatashi non era uno che si arrendeva facilmente, anzi, era una di quelle
persone che più veniva colpita duramente, più tutto ciò faceva leva sul suo orgoglio,
sulla sua strafottente presunzione, dandogli lo stimolo e la forza per reagire e
rimettersi in piedi, preferibilmente rendendo il favore con gli interessi.
Qualsiasi cosa pur di non stare lì con le mani in mano...
Tanto più che a quel punto non aveva veramente più nulla da perdere.
Pertanto aveva deciso che avrebbe accettato quella che per lui, allora, non era
ormai altro che una sfida sfacciata e beffarda della sorte, e che avrebbe fatto
qualsiasi cosa per avere la sua rivincita.
E lo avrebbe fatto, come al solito, a modo suo.
Avrebbe mandato a monte tutta quella maledetta guerra, assieme ai piani di Profondo
Blu, come loro avevano fatto con quello che restava della sua vita, e quindi avrebbe
provato a salvare chi, a differenza sua, fosse ancora salvabile.
La sua gente, a casa, sul loro pianeta.
Ed Ichigo.
C’era ancora un po’ di bontà d’animo in lui, allora...
Prima di mettere in atto i suoi propositi, si era accertato dei suoi sospetti sul
Cavaliere Blu, sfidandolo a duello un’ultima volta.
Lo aveva provocato fino al suo limite estremo, fino a fargli perdere del tutto il
controllo di sé, usando persino quella sciocca, ingenua di Ichigo come esca, e quando
aveva avuto prova non solo della potenza, ma soprattutto della smisurata furia distruttiva
di quest’ultimo, aveva avuto abbastanza conferme per ritenere le sue congetture
fondate.
A quel punto si era sentito in dovere, quantomeno, di avvisare i suoi due amici
di quanto stesse per accadere, ed eventualmente valutare la loro collaborazione.
Alla fine, loro due erano di quanto più fidato gli fosse rimasto nell’intera galassia...
Pai, come si era immaginato, lo aveva bollato come traditore senza pensarci due
volte, ed era già stato tanto che non fosse corso subito a spifferare tutto a Profondo
Blu, mentre Taruto, che già allora era un fessacchiotto pieno di buoni propositi,
lo aveva appoggiato nel suo desiderio di salvare il loro pianeta, probabilmente
senza rendersi conto delle possibili implicazioni di ciò. Voleva, con il suo piano,
tentare di impadronirsi del potere del loro leader prima del suo completo risveglio,
sottraendolo alla sua inoffensiva forma umana, e con quello vedere se fosse possibile
fare qualcosa per salvare direttamente il suo pianeta.
Perché era ormai sicuro che Profondo Blu non l’avrebbe fatto.
Ed era sicuro che, se si fosse risvegliato, della Terra, dei suoi abitanti e di
Ichigo non sarebbe rimasto nulla.
Ma aveva fallito.
Aveva sottovalutato il suo avversario ancora una volta.
Profondo Blu aveva preso possesso del corpo di quell’umano, proprio sotto la sguardo
attonito di lui, di Taruto, e soprattutto di Ichigo, la sua Ichigo, che vedeva il
ragazzo di cui era innamorata trasformarsi nel suo peggior nemico.
Sapeva di aver fatto del male a quella ragazza, di aver seriamente messo in pericolo
la sua vita e di averla spaventata, minacciata e sfiancata nel corpo e nell’anima
più volte, tuttavia un simile livello di dolore era sicuro di non averglielo mai
inferto.
La vedeva assistere incredula e tremante a tutta la scena, la vedeva negare l’evidenza
dei fatti con tutta la sua disperazione, mentre quell’essere colpiva senza pietà
le sue amiche e rideva di lei, e dei patetici tentativi con cui stava cercando di
farlo tornare in sé. Lei gli mostrava insistentemente proprio quel campanellino,
che doveva averle regalato lui, simbolo di un amore meravigliosamente idealizzato
fino all’estremo che ora le stava spezzando crudelmente il cuore. Le sue amiche
avevano fatto di tutto per farla ragionare, farle riprendere la battaglia, unire
le forze per tentare di fermarlo, mentre Profondo Blu scaricava un collera che doveva
aver covato per millenni non solo su loro cinque, ma persino sul pianeta che avrebbe
dovuto preservare e restituire alla sua gente...
Cosa se ne sarebbero fatti di un pianeta distrutto?
Cosa se ne sarebbero fatti di un sovrano del genere a cui sottostare...?
Persino Taruto si era messo in mezzo a quel punto, cercando di contrastare Profondo
Blu, rifiutandosi di vedere oltre tanta assurdità e tanto dolore...
E Pai aveva perso il controllo, decidendo che era meglio giustiziare quel bambino
che ammettere i dubbi che stavano assillando anche lui.
Quest’ultima parte evitò accuratamente di raccontarla alla ragazzina seduta al suo
fianco.
In simili circostanze, tutti quanti perdono il senno e compiono atti di cui poi
sarebbero stati capaci di pentirsi.
Tutti quanti prima o poi crollano.
Era crollato anche lui per davvero, a quel punto, dopo aver fatto appello a tutte
le sue ultime forze ed alla sua sciocca arroganza che lo aveva trascinato fin lì.
Era crollato senza sapere più che fare, cosa raccontarsi pur di non ammettere di
non aver più possibilità né vie di scampo...
Senza sapere a cosa appigliarsi...
C’era rimasta solo Ichigo.
La sua stupida Ichigo...
Sapeva che sarebbe morta.
Era sicuro che sarebbe morta.
Uccisa per mano del ragazzo che credeva di amare...
E lui, comunque, era già condannato...
Quindi si era battuto per lei un’ultima volta.
Consapevole che avrebbe perso, come le precedenti.
Ma lo aveva fatto ugualmente.
Era, più che altro, una questione di dignità personale, dopo tutta la presunzione
di cui si era riempito la bocca in quei mesi, dopo tutte le energie che ci aveva
speso, dopo tutte le sofferenze patite e le false promesse e lusinghe fatte a lei,
che poi forse così false non erano mai state.
Tutto ciò doveva pur valere qualcosa.
Avrebbe voluto farla sentire a lei, quella forza che lo aveva sostenuto per tutto
quel tempo, nonostante la disperazione. Avrebbe voluto dirle che, sebbene il mondo
attorno a loro stesse cercando di dimostrare tutto il contrario, una qualche speranza
doveva ancora esserci. Se non per un fallito come lui, per lei almeno.
Avrebbe voluto dirle che, anche se il ragazzo che doveva amarla, e per cui lei aveva
dato anima e corpo, ora sembrava ritenerla solo degna di essere annientata come
un inutile parassita, per lui non era così.
Che non erano così diversi, in quel momento.
Che capiva il suo dolore.
E che forse quella era l’ultima occasione per farle capire, nonché di ammettere
a se stesso, che si era davvero innamorato di lei...
Dell’ingenuità con cui guardava il mondo, ferita e tradita crudelmente al pari della
sua...
Un ultimo inutile tentativo di riscatto ai suoi occhi, per tutto il dolore che si
erano inflitti a vicenda...
Ed aveva perso, in effetti.
Era morto.
Tra le sue braccia...
Chiedendole un ultimo bacio che, nonostante tutto ciò, neanche si era degnata di
dargli.
Di quello che era successo dopo ne aveva sentito solo un parziale resoconto da parte
di Pai, finché non si era fatto ammazzare pure lui, per evitare che metà di quell’isola
in cui si trovavano venisse rasa al suolo dalla furia di Profondo Blu e dal potere
della Mew Aqua. Alcune altre cose le aveva ricostruite con la sua immaginazione
quando, inspiegabilmente, dopo un lasso temporale indefinibile, si era trovato di
nuovo in vita. Il loro leader e salvatore corrotto dall’odio era scomparso, ed al
suo risveglio aveva trovato solo quel misero essere umano, vivo e di nuovo padrone
di sé, ed Ichigo incosciente tra le sue braccia. Non aveva chiaramente idea di cosa
fosse accaduto, ma in qualche modo la parte sensata di quel ragazzo doveva aver
avuto il sopravvento, evitando una catastrofe di dimensioni colossali.
Ed oltre a loro due, era rimasto solo un frammento di Mew Aqua, che giaceva a terra
proprio accanto a lui, quasi per un caso del destino.
Non aveva idea di che farsene, nello stato stranito in cui si trovava in quei momenti,
ma lo aveva raccolto ugualmente.
Forse qualche speranza c’era davvero...
Non sapeva ancora tutti i retroscena della faccenda allora, ma era stata l’intuizione
più casuale e fortuita che avesse fatto in vita sua.
O forse no.
Forse non era sicuro, a distanza di sei anni, di voler essere ancora lì ad avere
a che fare con quella storia.
Forse una grossa parte di lui avrebbe preferito chiuderla quel giorno, per sempre...
Oppure quando erano ritornati sul loro pianeta ed avevano rischiato di farsi uccidere
una seconda volta...
Forse perché da quando quella Mew Aqua era entrata nelle loro vite, ogni cosa si
era trasformata in un incubo...
***
Nella galleria non c’era proprio nulla di nulla e lui si era seriamente stancato
di girarla a vuoto. Fece un’ultima inversione, tornando in direzione dello svincolo
attraverso il quale erano entrati, con il proposito di posteggiare la navetta da
qualche parte e procedere alla seconda parte di quella semplice missione. Nime giaceva
silenziosa ed rannicchiata sul sedile, a poca distanza da lui, sempre con le ginocchia
strette al petto ed il capo chino, come se fosse sprofondata nei suoi pensieri.
Sapeva che lì nel loro paese la sua storia non la raccontavano proprio a quel modo,
ma ne giravano versioni molto più romantiche, idealizzate o patriottiche, a seconda
delle evenienze, tutte sistematicamente cucite addosso al personaggio che era, ed
alla funzione che aveva, nel clandestino movimento di ribellione di cui faceva suo
malgrado parte.
“Kisshu...” lo richiamò ad un tratto Nime, con un sussurro. “Dopo quella volta...
non hai più visto Ichigo?”
“Mh, sì...” le rispose lui. “Poco dopo quella battaglia saremmo dovuti tornare a
casa, ma abbiamo avuto un problema con la nave, per quello che, a quanto pare, era
un altro caso del destino...” si concesse di ghignare, amaramente. “Allora ovviamente
non sapevamo nulla dei veri piani sulla Mew Aqua, quindi ero convinto che saremo
tornati a casa come dei traditori, su cui avrebbero fatto ricadere tutte le colpe,
e che probabilmente, se non ci aveva ucciso Profondo Blu sulla Terra, lo avrebbe
fatto il nostro popolo... quindi sono voluto andare da Ichigo un’ultima volta...
presumo volessi... boh... chiarire? Capire il senso di tutto quello che ci era successo?”
“E ci sei riuscito?”
“Più o meno...” ridacchiò lui. “Ho dovuto prenderla di forza e portarla in un’altra
dimensione per due giorni, ma poi siamo riusciti almeno a parlarci!”
“E cosa vi siete detti?” gli chiese Nime, fissandolo tesa e vagamente preoccupata,
probabilmente dai suoi soliti modi falsamente allegri con cui gestiva simili questioni.
“Io le ho detto la cosa più cretina che le potessi dire... che l’amavo...” sorrise
lui, come se fosse davvero la cosa più stupida e divertente del mondo. “E poco dopo
abbiamo cercato di ammazzarci a vicenda... e lo avremmo fatto davvero se non fossero
intervenuti i rispettivi amici a dividerci... ah, ringrazia soprattutto tuo fratello,
per questo!” aggiunse infine, con disinvoltura.
“Ma...” Nime a questo punto lo stava fissando con gli occhi appena sgranati, sollevando
il capo dalle ginocchia. “Kisshu... perché?” domandò, incredula e con un filo di
dolore stampato in viso.
“Perché così funzionava tra noi.” commentò lui, alzando le spalle. “Lei non ha mai
voluto dar credito ad una mia singola parola ed io non ho mai voluto arrendermi
con lei. Siamo sempre stati due idioti. Alla fine mi ha lasciato solo un bigliettino
in cui mi diceva qualcosa tipo grazie ho capito che forse di me t’importava qualcosa
e... questo aggeggino qui, il campanello che le aveva regalato il suo fidanzato.”
fece, dando un colpetto con l’indice all’oggetto che si intravedeva tra il colletto
alto della maglietta.
“E cosa significa?”
“Tutto e niente...” commentò lui. “Per me, principalmente, che abbiamo smesso entrambi
di credere alle favole... poi il resto della storia lo sai. Siamo tornati a casa
e ci hanno arrestato e così via...”
“Mi dispiace...” il tono con cui improvvisamente lei lo zittì lo colse impreparato.
“Credo sia la storia più brutta che ho sentito in vita mia... mi dispiace...” ripeté
ancora, mentre allungava appena, in gesto istintivo, la mano verso di lui, stringendogli
febbrilmente le dita sul braccio.
“C’era un motivo per cui non volevo raccontartela...” commentò lui con noncuranza,
proprio mentre accostava la navetta accanto all’uscita della galleria e spegneva
i propulsori, avvolgendo entrambi in un silenzio ancora più opprimente del basso
ronzio che aveva accompagnato tutto il loro viaggio.
“A quante persone l’hai raccontata, per intero?” bisbigliò ancora lei, senza osare
incrociare lo sguardo col suo.
“Di mia spontanea volontà e non sotto interrogatorio?” ribatté lui. “Solo a te...”
La ragazzina gli si accostò di più, poggiando inaspettatamente la fronte sulla sua
spalla, le dita ancora salde sul suo braccio. Affondò il viso sulla stoffa della
manica della sua giacca, in quello che sembrava un timido e scostante tentativo
di abbraccio. Aveva fatto cose ben più intime con lei, in quei pochi mesi che la
conosceva, ma simili gesti d’affetto restavano estranei ad entrambi, soprattutto
in quel momento, in cui a tutti e due sembrava così difficoltoso. Si ritrovò a fissare
nervoso fuori dal parabrezza, tamburellandosi inquieto le dita sul ginocchio, con
l’improvviso desiderio di uscire da quella navetta il prima possibile.
Lei gli strofinò il viso sulla giacca un paio di volte, dandogli la fastidiosa sensazione
che si stesse asciugando gli occhi inumiditi. “Ed a quante altre ragazze hai detto
che le amavi, dopo di lei?” gli sussurrò infine.
“A nessuna...” chiuse la questione lui, svincolando via, seppure con delicatezza,
dalla stretta della ragazzina. Aprì il portellone laterale e scivolò fuori dalla
navicella, muovendo un paio di passi sulla pavimentazione ormai rovinata da anni
di abbandono di quella galleria, quindi si stiracchiò appena i muscoli indolenziti
del collo e delle spalle, cercando di risvegliarsi a modo e tornare coi piedi per
terra, nonché con la testa al suo attuale e noioso presente. Chiuse il portellone
e si avviò sull’altro lato per recuperare la piccola sacca dove aveva ficcato le
videocamere di sorveglianza ed i sensori di movimento che aveva pensato di posizionare
proprio lì, nei pressi dello svincolo, dove sarebbero state più utili per verificare
eventuali transiti non desiderati.
Quando aprì la porta sul lato destro della navicella e si sporse dietro al sedile
per recuperare la strumentazione necessaria, non poté evitare di far cadere un ultimo
sguardo su Nime, ancora accoccolata dove l’aveva lasciata, con quell’aria triste,
scossa e smarrita in viso, il fisico minuto strizzato in un abitino rosso scuro
che ne risaltava le curve morbide. Le sorrise, scuotendo la testa divertito alla
sua reazione esagerata. “Quando ci rifacciamo del tempo perso?” le domandò.
Lei lo fissò confusa, quasi ripiombando a forza fuori dai suoi pensieri.
Si chinò su di lei, posando le mani ai suoi fianchi, mentre la ragazzina distendeva
le gambe che teneva ancora strette al petto, portandole giù dal sedile, con aria
interrogativa.
“Vieni da me, stasera?” le chiese, avvicinandosi al suo viso.
La vide tentennare, cercando le parole. “Io...”
“Non vuoi farti perdonare per avermi fatto ricordare tutta questa brutta storia?”
la provocò, anticipando ogni sua possibile scusa.
“Non lo so...” farfugliò lei, incerta, inclinando il capo. “Io e Shun eravamo d’accordo
per...”
“Sai che il Maggiore Shun Kareshi è un mio diretto sottoposto, vero?” incalzò ad
un tratto lui, lasciandosi scappare un ghigno duro sulle labbra. “E che potrei aver
giusto bisogno di mandare una squadra di ragazzi via per qualche giorno nel settore
139...”
“Kisshu!” sbottò Nime, sgranando i suoi begli occhi color miele. “...sei davvero
uno stronzo...”
Per tutta risposta lui ridacchiò, divertito. “Senti chi parla...” la apostrofò sottovoce.
“Allora?” insistette lui, mentre iniziava a scorrerle una guancia con la nocca dell’indice.
Lei si mordicchiò nervosamente le labbra e gonfiò persino le guance, come la ragazzina
che era. “Va bene... verrò...” acconsentì, alzando gli occhi seccata.
“Oh sì che verrai...” ribatté lui soddisfatto, accostandosi al suo orecchio, dietro
al quale aveva appena sistemato una ciocca dei suoi capelli. “E non sai quante volte...”
le sussurrò in ultimo, lascivo e malizioso, prima di staccarsi dalla ragazza che
ora lo fissava con le labbra socchiuse, in un’espressione per metà sbigottita e
per metà, indiscutibilmente, turbata dalla cosa. Sorrise compiaciuto a se stesso
ed al suo ultimo colpo ben assestato, gustandosi lo sguardo imbarazzato ed eccitante
nei suoi occhi solo per qualche istante, quindi si decise a recuperare la borsa
e chiuse alla svelta il portellone della navetta tra loro due, avviandosi nella
galleria deserta per completare il lavoro della mattinata.
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Umh... che dire... grazie di essere arrivate alla fine di questo zuccheroso concentrato di gioia. Spero di essere riuscita a produrre qualcosa di coerente e sensato, perché ci sono punti dell'anime che, diciamocelo, hanno sempre lasciato perplesse molte di noi. (L'atavica domanda tipo: perché Kisshu si innamora di Ichigo!? XD) Ho provato ad immaginare qualcosa che avesse senso per me e che fosse coerente sia coi fatti sia con la testolina bacata del nostro alieno, condendo tutto con la mia rivisitazione molto "noir" di un anime che pare shoujo-happy-magic ma in realtà ha un'anima profondamente malvagia... X"D Per chi segue "Until", spero di avervi dato anche qualcosina di più ciccioso sulla relazione (*coff* malatissima *coff coff*) che lega Ki-chan a Nime. Ci terrei tantissimo a conoscere le vostre personali opinioni e considerazioni al riguardo e grazie infinite in anticipo a chiunque avrà voglia di lasciarmi una recensione. <3