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Autore: axSalem    23/06/2017    4 recensioni
[Pricefield]
Che abbia trovato, finalmente, la linea giusta?
Sa pochissimo di questa dimensione.
Sa che Arcadia Bay è integra, sa che la stagione è quasi tropicale, così anomala, e che l’umidità ti fa attaccare alla pelle i vestiti, ti fa mancare il respiro; sa che alcune cose sono rimaste al loro posto, come i Bigfoot che fanno after party sotto il faro, come la sua vecchia macchina fotografica, come il suo diario che, sfogliandolo, è pieno di avvenimenti maledettamente comuni e rassicuranti.
Sa che Chloe è al suo fianco. E tutto questo è una base tremendamente instabile da cui partire, ma a Max pare il migliore inizio per spiccare il volo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mono no Aware

(n.) literally, "the pathos of things"; japanese term for the awareness of the impermanence or transience of all things and the gentle sadness and wistfulness at their passing.
 
 


 
Every now and again we get that feeling
And the great big void inside us opens up
And I really wish that you could help
But my head is like a carousel
And I'm going round in circles
I'm going round in circles.
Bring Me the Horizon - Happy Song
 

 
Quello che sta lambendo Arcadia Bay, è senza dubbio un caldo surreale ed atipico.
Il sole picchia con un’insistenza soffocante, ed il vento, bollente, quando soffia non regala sollievo, ma bagna di sudore la pelle già madida; l’umidità crea una cappa ovattata ed offuscata, irrespirabile, si attacca viscidamente alla cute e la rende vischiosa.
Max scatta la sua istantanea e la preleva, scuotendola fra le dita ed osservando il suo operato: uno splendido fiore selvatico dai colori sgargianti che ospita nella sua corolla un’ape, la quale, indispettita dallo scatto, ora si è posata lontano, fuori dalla portata della sua fotocamera. Si solleva velocemente e subito Max se ne pente: un capogiro dovuto all’eccessivo calore la coglie impreparata e fatica a mantenere l’equilibrio su per il sentiero boschivo.
Quando è finalmente padrona del proprio corpo, inizia ad inerpicarsi per raggiungere lo spiazzo della scogliera che ospita il faro, il frinire incessante delle cicale da sottofondo, assieme al flebile scricchiolio dei rami calpestati caduti sul percorso, al cinguettio degli uccelli. La pace di quel luogo è quasi irreale e la fa sentire fuori posto, un’aggiunta ad un’armonia che la rende stonata e di troppo, ma che al contempo la abbraccia con candore e con distaccato affetto. Seattle non offre simili paesaggi, e nemmeno simili vie da attraversare: si ritrova presto a tornare a sospirare per la fatica della salita e per la temperatura che sente sulla pelle, nonostante le fronde degli alberi le offrano riparo sopra il capo ed un’ombra che le pare oramai solo una magra consolazione.
Da quanto tempo non fa ritorno ad Arcadia Bay?
(Ah, che domanda tremendamente scomoda, Max.)
Si scosta i capelli sgradevolmente attaccati alla fronte mentre la fine del sentiero si fa sempre più vicina. Arcadia Bay le appartiene, nei suoi ricordi, come una dolcissima reminescenza della sua infanzia, un’infanzia rosea e felice, fatta di pomeriggi a fantasticare sul proprio futuro e ad immaginare mondi paralleli. Arcadia Bay le appartiene, e questa affermazione le lascia un terribile, amarissimo, sapore in bocca.
(Forse sono io ad appartenere ad Arcadia Bay.)
Il riverbero della luce solare le ferisce gli occhi non appena abbandona la zona alberata ed arriva in cima alla scogliera, si scherma dal sole accecante con la mano ed osserva ciò che la circonda, trovando la vista sempre uguale: sempre uguale il faro che si staglia imponente svettando fino a grattare il cielo terso, sempre uguale l’aura di disgregamento generale della natura a causa dei falò e dei rifiuti e del passaggio di ragazzi euforici e schifosamente fatti. Sempre uguale la panchina che si affaccia alla zona panoramica in una vista da cartolina, con tutta Arcadia Bay a fare bella mostra di sé, leggermente offuscata per il velo di umidità.
(Tutta Arcadia Bay. Ancora integra.)
Un lungo sospiro le sfugge dalle labbra sulla scia di immagini di devastazione, si sente sollevata ma oppressa, fortunata, maledetta. Un sorriso incondizionato e mesto le stira le labbra, mentre infinite domande le vorticano nella testa, domande a cui ancora non può dare risposta. Si sente codarda, in un certo senso, ma mette subito a tacere qualsiasi dubbio e qualsiasi risentimento; impazzirebbe, altrimenti.
«Max!».
Sobbalza sentendosi chiamare, spaventata dalla brusca interruzione dell’inseguimento dei suoi pensieri, spaventata dalla familiarità di quella voce. Si guarda freneticamente attorno senza scorgere nessuno, un principio di panico le attanaglia malamente lo stomaco, ma viene smorzato da una risata graffiante e bellissima, roca di fumo.
«Quassù, Mad Max!».
Solleva il capo e scorge, sporta da metà busto in poi ad una delle vetrate del faro, una chioma cerulea ed un viso che riconosce nonostante la lontananza. Dopo tutto, la riconoscerebbe anche persa in una folla di migliaia di persone, la riconoscerebbe anche se non l’avesse mai conosciuta.
(E questo è già successo.)
«Chloe, che ci fai lassù!?».
La sorpresa è tanta, tantissima, ed una scintilla di gaia euforia le si accende nell’animo, insieme ad una speranza che non è ancora pronta ad accettare. Le scappa una risata con uno sbuffo, quasi completamente spoglia dell’inquietudine che l’aveva colta fino a poco prima. Senza aspettare risposta, si precipita alla porta di accesso del faro, che si spalanca faticosamente facendo grugnire i cardini arrugginiti dal tempo e dalle intemperie e dalla salsedine.
(Oh, Chloe.)
Corre perdifiato su per la scala a chiocciola della struttura, i polmoni che bruciano e le gambe che la tradiscono, rischiando più di una volta di inciampare e ruzzolare, ma non importa, non importa perché in cima c’è Chloe, Chloe che l’ha chiamata e che l’attende. E mentre il fiatone la affanna ed i muscoli le gemono per lo sforzo della fretta, sente farsi spazio nel suo cuore una felicità ingenua ed impaziente, proprio quando pensava che esso non sarebbe più stato in grado di assaggiare un’emozione simile. È una sensazione quasi malsana, maledettamente irruente e fastidiosamente totalizzante, ne rimarrà scottata, ne è certa, ma non può frenarla.
Giunge in cima stremata, ancora più accaldata e sudata, ma la vista di Chloe con le braccia spalancate è una panacea in grado di lenire tutta la sua stanchezza, e si avvicina a lei abbandonandosi al suo abbraccio con un sollievo che la fa sentire come se fluttuasse in aria, con una gioia che la fa sentire bambina, con un amore che le fa tremare le ossa. La stringe fra le braccia e sente che il mondo potrebbe finire così, ed andrebbe benissimo.
«Anche io sono felice di vederti, Max.», ancora ride, Chloe, e più la sente ridere più Max si convince che sia il suono più armonioso e splendido che abbia mai udito, sente vibrarle il riso nella cassa toracica mentre nasconde il capo sulla sua spalla, una nicchia perfetta fatta apposta per lei. «Ma evita di ammazzarti per quelle scale.».
Ed anche Max ride, ride e piange e quando Chloe la allontana dolcemente da sé per le spalle, un’espressione basita e preoccupata le si dipinge sul volto, rendendola quasi buffa, totalmente in disaccordo con il solito vestiario ed atteggiamento da bad girl. Apre la bocca per parlare, poi la richiude e la apre nuovamente, desistendo, ed infine allunga la mano per asciugarle le lacrime con una dolcezza che la commuove intimamente, le falangi che lentamente percorrono le guance umide, l’espressione di sconcertata sorpresa ancora sul volto.
«Tutto bene?». Chiede, e Max annuisce lasciando spazio ad un enorme sorriso, che pare rassicurare l’altra ragazza, sgombrandola del divertente contrasto che il cipiglio crucciato le aveva dato.
 

 
So come rain on my parade
'Cause I want to feel it
Come shove me over the edge
'Cause my head is in overdrive
I'm sorry but it's too late
And it's not worth saving
So come rain on my parade
I think we're doomed
I think we're doomed

And there is no way back.
Bring Me the Horizon - Doomed


 
Seattle è asfalto crudele e popolazione febbrile ed ancora palazzi che rasentano le nuvole. Seattle è dove questa volta si ritrova a fronteggiare la realtà.
Nei suoi primi salti fra una linea temporale e l’altra, Max si è sempre ritrovata a fronteggiare la frenesia di sapere le sorti di tutto ciò che le sta a cuore: le sorti dei suoi genitori, le sorti della Blackwell Academy, le sorti di Arcadia Bay. Le sorti di Chloe. Si è ritrovata a fuggire da ogni trama, si è ritrovata folle di dolore per ogni riflesso errato, per ogni risvolto inaspettatamente sbagliato; realtà dopo realtà dopo realtà, sfiorata quasi dalla pazzia e dal limite sottilissimo di resistenza del proprio corpo, dall’esasperazione e dalla responsabilità, dalla sensazione costante di essere una codarda, un’egoista incapace di accettare ciò che le veniva donato, Max ha iniziato a fasciarsi il capo con scuse accomodanti e con enormi silenzi di fronte a sé stessa ed alle proprie domande, alle proprie ragioni.
È così che ha deciso di sostare più a lungo nelle linee temporali in cui si ritrova, assaporando ciò che il Destino le riserva ogni volta, che sia sofferenza o nostalgia o comoda irrequietezza, lasciandole solo se è indispensabile, riducendo all’osso l’utilizzo del suo potere, oramai solo uno scarno mezzo per saltare da un tempo all’altro.
La dolce sorpresa di questa dimensione è il suo lavorare come fotografa per una famosa rivista, essere riconosciuta come artista in ciò che ama; quella crudele è sapere che Chloe non esiste, che Arcadia Bay non è segnalata su nessuna cartina geografica, che l’Oregon non ha mai conosciuto la sua infanzia, non ha mai conosciuto il Two Whales Diner e Joyce e Kate e Warren, nessuno di loro, non ha mai conosciuto il sorriso contagioso di Chloe, così furbo e malizioso ed arrogantemente appuntito.
Ma è riuscita a resistere, in questa vita. Il lavoro le occupa ogni pensiero, le toglie ogni momento che altrimenti passerebbe in balia delle proprie accuse a sé stessa. Sono passati i mesi, sono passati addirittura gli anni, e Max non dimentica di come questo suo essere acrobata fra il tempo e le dimensioni l’abbia quasi uccisa fisicamente, eppure non riesce non desiderare di andarsene.
Non aveva mai creduto, fino ad ora, che una mancanza potesse avere una consistenza e che questa consistenza fosse in grado di ferire, ma si è ricreduta sentendosi infrangere giorno dopo giorno da una soffocante assenza, l’assenza di Chloe. Non averla vicina in alcun modo la distrugge lentamente, la fa piegare su sé stessa alla ricerca di quel pezzo che le manca, un serpente che si morde eternamente la coda ed eternamente compie il suo giro in circolo, senza mai arrestarsi.
Seattle le ricorda continuamente Chloe: un riflesso in una vetrina, il riverbero di una luce al neon, l’eco della musica ed il chiasso perpetuo del brusio del traffico; è riuscita a riconoscerla ovunque, e la consapevolezza di non poterla avere in alcun modo la atterrisce e la fa soccombere inesorabilmente. La città che impugna la lama dei suoi ricordi e che continua ad affondarla, millimetro per millimetro, nella sua ferita infetta.
Non poteva resistere ancora a lungo in quella dimensione.
E così ha preso in mano la sua vita, per l’ennesima volta, ed ha fatto irruzione nell’oblio dell’incertezza per trovare un tempo in cui Chloe sarebbe stata sua.

 


 
So you can drag me through hell
If it meant I could hold your hand
I will follow you 'cause I'm under your spell
And you can throw me to the flames
I will follow you, I will follow you.
Bring Me the Horizon - Follow You


(Che abbia trovato, finalmente, la linea giusta?)
Sa pochissimo di questa dimensione.
Sa che Arcadia Bay è integra, sa che la stagione è quasi tropicale, così anomala, e che l’umidità ti fa attaccare alla pelle i vestiti, ti fa mancare il respiro; sa che alcune cose sono rimaste al loro posto, come i Bigfoot che fanno after party sotto il faro, come la sua vecchia macchina fotografica, come il suo diario che, sfogliandolo, è pieno di avvenimenti maledettamente comuni e rassicuranti.
Sa che Chloe è al suo fianco. E tutto questo è una base tremendamente instabile da cui partire, ma a Max pare il migliore inizio per spiccare il volo.
E le lacrime di gioia, le lacrime di sollievo, abbandonano presto gli occhi di Max che si ritrova vittima delle attenzioni di Chloe, della sua irruente energia, delle sue mani che le cingono i fianchi e che la avvicinano a lei, al suo corpo longilineo e scattante, alle sue labbra sottili e rosee che le concedono un bacio lunghissimo, morbido, dolce. Sapeva di sentirne la mancanza, ma mai avrebbe immaginato di sentirla in modo così intimo, ed allunga le mani affondandole fra i capelli cerulei di Chloe, attirandola ancora di più a sé, i corpi che collidono deliziosamente ed i baci che non trovano più fine.
Un sospiro:
«Sei stata via solo tre giorni, ma sembra che siano passati dei mesi. Mi sono sentita sola.», Chloe la guarda negli occhi, il tono è un misto di accusa e vaga tristezza, ma il suo sguardo tradisce una scintilla di felicità nell'averla con sé. «Tu a divertirti a Seattle con i tuoi ed io qui abbandonata come un cane.».
(Se solo sapessi, se solo sapessi che sono passati gli anni, non i giorni, non i mesi. Gli anni.)
«Sì, anche tu mi sei mancata.».
Chloe sbuffa, fintamente offesa, mentre Max ride appena, incredibilmente sollevata. Per vendetta la più grande le morde il labbro inferiore, piano, interrompendo l'ilarità dell'altra ragazza, e più che una vendetta è una richiesta, una richiesta languida che fa socchiudere le labbra di Max e che permette loro un bacio più approfondito, un lento valzer fatto di seducente complicità e di lingue che si intrecciano e di calore che diviene ancora più soffocante. Max sente la testa leggera, leggerissima, quasi le pare che si libri al di sopra di lei e che non fugga solo per il soffitto che le ripara.
Chloe la prende per le mani e la tira con sé sopra un giaciglio improvvisato fatto di bancali scheggiati e di un vecchio materasso coperto alla meglio da una trapunta; sorride furbescamente in quel suo modo beffardo ed attraente, elegante, addirittura, e Max non riesce a staccare gli occhi da lei, nostalgica ed affamata d'affetto, felice di una felicità che sente risiede nel momento, nella punta delle dita. Le cade addosso e Chloe ribalta subito le posizioni, sovrastandola e sollevandosi sulle braccia, guardandola a lungo, trapassandola con quegli specchi color del cielo che ha al posto degli occhi; è vero che le loro iridi sono della stessa tonalità, ma mentre quelle di Max paiono riflettere la quiete placida di uno specchio d'acqua, quelle di Chloe sembrano più il ribollire furioso della marea, l'incessante ed inquieto infrangersi dell'oceano sugli scogli, le fanno desiderare di affogare in esse, di non vedere altro intorno a sé se non distese e distese di febbrile azzurro.
Quello che segue, per Max è un miraggio, un’utopia fin troppo piacevole, e per Chloe è un’azione naturale ed urgente, mentre il calore tremendo è la scintilla che le accende di una febbre languida, di una fame ghiotta dei loro corpi che si cercano e si trovano, che rispondono e reagiscono ad un codice conosciuto da loro e da loro soltanto. E la cupola del faro è madida di sospiri e gemiti, del loro squisito rincorrersi sulla scia del piacere.
 
Il frinire delle cicale, il rimestare delle onde sulla scogliera, il battito mite del cuore di Chloe. Questo è ciò che le appartiene ora.
Assieme a tutti i segreti che le cela questa dimensione.
Si sente appagata, felice di aver saltato nel tempo per un'altra volta ancora, la speranza le sta conquistando un posto sempre maggiore nel cuore, ma riconosce anche un'irrequietezza familiare, saldamente attaccata alla sua mente con artigli lunghi e velenosi. Non sa cosa l'aspetta in futuro,  ma non può dimenticare, non può dimenticare ogni singolo disastro che ha incontrato, non può dimenticare l'uragano e gli incidenti e le sparizioni, gli omicidi, le crudeltà, la spietatezza che ogni realtà ha covato fino ad ora.
Chiude gli occhi abbandonandosi al sonno, Max, concentrandosi sulla bellezza totalizzante che le ha donato questa dimensione, sul caldo che la accompagna al torpore, su Chloe. Sulle parole che le ha sussurrato durante l'amplesso.
«Ti amo, Max.».
E lascia che l'inquietudine le scivoli addosso, accecata dal riflesso abbagliante  di questa sfuggente gioia.

(Ti amo anche io, Chloe.)

 






 
NdA:
Finalmente. Finalmente sono riuscita a scrivere una fanfiction Pricefield. Ah, le adoro.
Questa piccola bimba è nata da un mix di cose: vuoi il caldo soffocante che fa in questi giorni, vuoi una fanfiction che mi ha dato spunto (spunto è dir molto, perché ritrovarsi a leggere di pairing che solitamente non leggi che non fa parte del fandom di LiS, yaoi, in un AU on the road... c'entra poco e nulla, insomma), vuoi io che non riesco ad attaccare la testa per concentrarmi seriamente e puf! La prima fanfiction di Life is Strange ha preso vita ed è stata completamente scritta di getto.
Il mio stile solitamente è diverso, un po' più arzigogolato, ma qui ho preferito usarne uno più semplice; non ho avuto grandi pretese per questa fic, non ha uno straccio di trama e l'introspezione dei personaggi non è molto approfondita, se avessi scritto almeno una vera e propria scena porn, l'avrei chiamata: "Porno con contorno", ma, ahem, niente da fare. Insomma: l'ho scritta per svago e mi sono divertita nel farlo, è una cosina leggera leggera a cui voglio bene, e spero che il mio affetto per questa piccola bimba, si riesca a trasmettere un pochino anche a voi.
Grazie per la lettura!
  
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