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Autore: Luana89    23/06/2017    1 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XXI

 
La casa era silenziosa come sempre, Misha non era ancora tornato? Tutte le camere vertevano nell’oscurità, gli avevo detto circa trecento volte di lasciare almeno una luce accesa. Con Sasha ancora in giro il buio sembrava divenuto il mio peggior nemico. Secondo loro era fuggito dopo aver ucciso Vlad e Igor, consapevole che il Vor lo avrebbe stanato strappandogli la pelle dal corpo, ma io continuavo a temere un suo ritorno improvviso.
«Finalmente sei arrivata». Il suono di quella voce improvvisa mi fece urlare,le chiavi e il cellulare mi caddero in terra mentre fissavo due sagome sedute in cucina. Accesi tremante la luce fissando Mikhail e Aleksandr sorridenti e beffardi alle prese con la vodka.
«Che diavolo stavate facendo?». Sentivo l’isteria pronta a uscir fuori.
«Aspettavamo te, siediti». Gli occhi di Aleksandr mi inchiodarono al suolo. Le voci del suo tradimento erano ormai divenute ufficiali, persino io avevo ricevuto la fatidica chiamata. Obbedii ugualmente sedendomi di fronte a loro.
«Non dovresti stare qui, Sergej ti cerca». Sorrisero entrambi bevendo dai bicchieri.
«Lo so. Misha dice di fidarsi di te, dovrei farlo anch’io?». Fidarsi.. per cosa? Il mio sguardo lasciò trasparire probabilmente la natura dei miei dubbi.
«Sergej mi ha incaricato di uccidere Shùra se voglio rivedere viva Irina». Fissai l’uomo che amavo ad occhi sbarrati. E adesso? Sembravo l’unica preoccupata in quella stanza, o forse ero l’unica a non saper nascondere le emozioni.
«Okay parlate, è evidente state pensando a qualcosa». Vidi Mikhail indicare Aleksandr come a dirmi ‘’è lui la mente, parla con lui’’, lo ascoltai voltandomi nella sua direzione.
«Tra una settimana una nave mercantile partirà da San Pietroburgo diretta in Francia. Misha mi stanerà lì, uccidendomi». Inarcai un sopracciglio.
«Mi state prendendo per il culo?». La loro risata non mi coinvolse.
«Lui sparerà a me, e io ..sparerò a lui. Mireremo a punti non vitali, ma basteranno a lasciare dietro di noi la scia di morte che Sergej esige». Iniziavo lentamente a capire.
«Sarai tu ad accertare la nostra morte, pagherai alcuni uomini perché ci nascondano nei giorni a venire, in tempo perché avvenga il nostro funerale». Cercai di frenare il tremore alle mani, Misha se ne accorse e le coprì con la sua sorridendomi.
«Cosa dovrò fare dopo? Sarete due morti.. Mikhail non potremo più..» non riuscii a finire, il solo pensiero di vivere senza di lui mi dava la nausea. Aleksandr sospirò.
«Sei un medico, trovati una qualsiasi malattia e preparati a dare l’ultimo saluto a Sergej. Gli dirai che ti rimane un mese di vita se non meno, e vuoi passarlo viaggiando. Ti lascerà andare, non servirai più ad un cazzo ai suoi occhi». Lo fissai attonita. Da quanto escogitava quel piano?
«Siete sicuri funzionerà? Se sbagliate a mirare, se uno dei due sbagliasse…» mi guardarono entrambi.
«Lo sappiamo. Ma da una vita simile ne esci solo morto. E francamente non penso sia arrivata la mia ora. Ho dilapidato alcuni conti Bratva, non avremo problemi in futuro». Anastasia, ero sicura ci fosse lei dietro ai conti in rosso.
«Aleksandr, e se non funzionasse?». Un silenzio che mi parve interminabile. Lo vidi bere.
«Se non funzionasse .. moriremo. Non cercatemi più, fino a quando non ci rivedremo su quel mercantile non potrò avere contatti con voi». Sorrise bevendo ancora, godendosi gli ultimi momenti di ‘’pace’’, gli occhi del mio Mikhail erano pieni di insicurezza. Temeva che il suo occhio avrebbe ucciso il fratello. Il cellulare di Aleksandr squillò in quel momento.

 

 

Aleksandr POV

 
Il nome che apparve mi lasciò interdetto. Sergej aveva smosso l’artiglieria pesante: Dimitri Cernenko.
 
– Quando un membro della Bratva chiama un fuggiasco i motivi possono essere solo due: o vuole allearsi, o vuole ammazzarlo.
– Secondo te a quale delle due categorie appartengo?
– Senza dubbio alla seconda, cosa vuoi Dima?
– Ti aspetto alla fabbrica abbandonata, non tardare.
– Oh andiamo, pensi mi farò ammazzare così facilmente?
– Non si tratta di te, ho rintracciato Sophia e me ne sto occupando a modo mio. E tu sai in cosa consistono i miei modi, Shùra. Sarebbe carino se tu venissi qui a vedere con i tuoi occhi.
 
Tremai leggermente osservando Misha che a sua volta sembrava avere intuito qualcosa piantandomi uno sguardo eccessivamente attento addosso. Se Dimitri aveva preso Sophia questo poteva voler dire solo una cosa: stava per ammazzarla. Dopo averla torturata.
«Misha mi allontano per un po', se ci sono novità fammi sapere». Lo vidi scrutarmi assottigliando lo sguardo.
 «Dov'è che vai?». Quella domanda non ebbe alcuna risposta, scrollai le spalle sorridendo per poi andar via; che avrei potuto dirgli? ''Vado incontro al mio destino'' o ''Hanno preso Sophia''? Misha era già parecchio prostrato per mettergli anche quell'altro peso addosso, e inoltre mi fidavo poco di Dima, poteva anche essere una semplice trappola conoscendo il soggetto diabolico, eppure quel dubbio lacerante mi portò dritto alla tana del lupo. Osservai il palazzo abbandonato pensando alla mia di trappola, a quel punto potevo benissimo dire che i ruoli erano stati appena capovolti, quanto sarebbe durata? Entrai senza far rumore, era tutto al buio e puzzava di stantio e marcio, salii le scale estraendo la pistola; se dovevo morire avrei portato con me anche il mio carnefice. Aprii la porta in metallo per metà socchiusa, la prima cosa che vidi furono dei piedi. La seconda furono gli stessi piedi che penzolavano dal soffitto. La donna era stata impiccata. Repressi un conato di vomito osservando la figura sottile, era eccessivamente familiare talmente tanto da far tremare il mio cuore. Mi precipitai verso di lei, mi dava le spalle, osservandola bene in viso; l'aria venne risucchiata completamente dai miei polmoni: quella donna non era Sophia. I miei timori però non riuscirono a dissolversi nonostante avessi appena avuto la conferma dei miei sospetti: era una trappola. Mi guardai attorno era tutto deserto, non vi era neppure una minima traccia di Dimitri o Sergej, aggrottai la fronte camminando lentamente lungo la grande stanza, fu allora che lo sentii, era simile al bip di una sveglia; mi guardai spasmodicamente in giro e la vidi: la bomba stava piazzata in un angolo. La porta si chiuse dall'esterno con un tonfo sordo, ecco qual'era la trappola. Morire in quel modo? Sparai contro la serratura senza riuscire ad aprirla, avevano pensato anche a quell'evenienza, e il timer segnava ''00:15'', avevo esattamente quindici secondi prima di divenire parte dell'arredamento o concime dipendeva dalla potenza dell’impatto e dell’esplosione. Osservai le grandi lastre allontanandomi lentamente da loro verso la parte opposta, la ferita ancora tirava ma non vi prestai attenzione. Presi la rincorsa schiantandomi proprio su una di esse, fu in quel momento che pensai ''A che piano sto?'', ormai era troppo tardi e comunque preferivo di gran lunga morire con le mie di mani piuttosto che per una bomba piazzata da mani altrui. Caddi rumorosamente sul cassone di un camion rotolando poi al suolo emettendo un gemito di dolore, la ferita doveva essersi riaperta ma non ebbi il tempo di rifletterci oltre perché un boato mi distrasse, alzai gli occhi osservando l'esplosione. Mi allontanai velocemente prima che le sirene squarciassero il silenzio, i jeans si erano sdruciti all'altezza delle ginocchia facendomi sanguinare, la caviglia doveva essersi slogata appena visto che zoppicavo; Sergej aveva chiaramente dato l'ordine a Dima e cosa più importante avevano usato Sophia come esca. Era evidente non si fidasse neppure di Misha. Lo chiamai ore dopo.
 
– Dove sei?
– A casa, posso sapere che cazzo è successo?
– Chiama Sergej e digli che accetti l’incarico.
– Contavo di farlo domani..
– ADESSO MISHA.
 
***
 
‘’Ti aspetto alle 3 al parco, non tardare’’.
 
Volevo darle qualcosa di simile ad un addio ma che speravo fosse solo un ''Arrivederci'' un po' prolungato. Due ore prima ero già lì, quel posto non era stato scelto a caso il parco somigliava ai giardini di Peterhof, c’eravamo andati in gita tanti anni prima con tutta la famiglia; mi sedetti su una panca osservando il cielo terso e senza nuvole, per nulla simile al mio cuore in quel momento. L'aria si mosse appena, un profumo arrivò impetuoso alle mie narici e seppi con certezza che lei era lì. Sophia indossava un vestitino bianco, era assurdamente deliziosa come sempre mentre mi guardava e sorrideva timida, il tempo sembrò fermarsi, le voci attorno a me si spensero e persino le luci sembrarono concentrarsi tutte sulla sua figura che avanzava lenta verso di me. Camminammo fianco a fianco in silenzio per un po', le comprai un gelato e la guardai gustarselo come se fosse la cosa più buona mai assaggiata nella sua vita.
«Perché mi hai chiesto di vederci qui?» Sophia mi fissò interrogativamente, scrollai le spalle curvando un angolo delle labbra.
«Perché volevo tornare in Russia assieme a te. Non ti ricorda nulla questo posto?» e fummo nuovamente naufraghi l'uno negli occhi dell'altra per qualche istante, fui il primo ad interrompere il contatto visivo alzando gli occhi al cielo, il sole mi accecò e quando li riabbassai lo scenario era cambiato: avevo diciassette anni, Sophia quattordici ed eravamo in Russia. Lei mangiava lo stesso gelato in un'afosa giornata d'agosto sui Giardini di Peterhof camminandomi a fianco.
«Ho talmente caldo che potrei sciogliermi qui» le sorrisi divertito spingendola con la spalla.
«Stai pure zoppicando, perché non ti togli quelle scarpe?». La vidi arrossire per poi fulminarmi con un’occhiata, aveva indossato le scarpe di Larisa per darsi un ''tono'' come diceva sempre lei, per mostrarsi più grande agli occhi di quel ragazzo che era come un fratello senza sapere che quello stesso ragazzo era già pazzo di lei. Osservammo una coppia, erano avvinghiati talmente intimamente da fare imbarazzare chiunque li guardasse, tranne me probabilmente. La donna piangeva e l'uomo le asciugava le lacrime.
«Secondo te perché piange?» Sophia col cuore ancora pieno di giovinezza mi rispose con un sorriso felice.
«Lui le ha chiesto la mano, e lei si è commossa».  Scoppiai  a ridere scuotendo la testa.
«Lui le ha detto addio» restammo in silenzio qualche istante, la voce di Sophia divenne malinconica.
 «Si sono detti addio ..quindi non si rivedranno mai più?». Sembrai rifletterci fermandomi al centro del campo.
«Guardali, guarda lo sguardo dell'uomo. La fissa con una tale intensità, le sta mandando un messaggio non capisci? E' solo un ''Addio fin quando non ci rivedremo'', lei deve avere fede in quella sua promessa». Sophia leccò il gelato guardandoli affascinata.
 «Tu hai fede Shùra?» non risposi a quella domanda limitandomi a guardare per un'ultima volta la coppia prima di tornare a camminare. Quel pomeriggio Sophia si tolse le scarpe camminando per il campo scalza, sorridevamo giovani e felici. Niente avrebbe potuto scalfirci.

Sbattei le palpebre, ero tornato a San Francisco e avevo nuovamente trent’anni. Mi fermai accanto ad un albero mettendomi di fronte a lei.
«Oggi voglio che saluti Aleksandr Belov, quando ci rivedremo potrei essere cambiato» la vidi guardarmi perplessa allungando ugualmente una mano, sorrise stringendomela e io sentii come una scossa pervadere il mio corpo.
«Arrivederci Aleksandr Belov, arrivederci guerriero». Sorridemmo entrambi senza dire più nulla, il silenzio si caricò di mille parole, e quando sentii le lacrime pungermi gli occhi e forzarsi ad uscire mi schiarii la voce. «Adesso vai, in questi giorni sarò reperibile, ma tra una settimana potrei non esserlo più. Ho tante di quelle cose da sistemare.. tu lo sai» non disse nulla limitandosi ad annuire, per qualche oscura ragione quel commiato aveva tutta l'aria di dover durare in eterno. Si voltò pronta ad andarsene percorrendo pochi passi prima che la mia voce non la costringesse a fermarsi. Sembravo non averne mai abbastanza.
«Sonech'ka, ricorda i Giardini di Peterhof». ‶Ricorda i due amanti, ricorda lo sguardo di lui mentre guardava lei, ricordali e abbi fede‶, non lo dissi. Sophia aggrottò la fronte senza capire ma sorrise ugualmente annuendo mentre mi salutava insistente con la mano sparendo all'orizzonte.
Avevo pensato con attenzione a quale parola lasciarle per dirle addio. ‶Giardini di Peterhof‶ non era altro che ‶Fede‶.
‶Abbi fede Sonech'ka, abbi fede pensando che ci rivedremo, proprio come quei due amanti anni fa, ricordi lo sguardo di lui? Ti guardo con la stessa intensità, il mio non è un addio. E anche se lo fosse non sarà magari in questa vita, ma nell'altra ti ritroverò. Perché noi due resteremo legati in eterno, passeggiando su quel prato a piedi nudi in un'afosa estate senza tempo.‶
 
None of us knows what might happen even the next minute, yet still we go forward. Because we trust. Because we have Faith.
 
 
Mosca
 
«Oh Cristo mi è preso un colpo»
«Oh, sei qui.»
«Shùra che cazzo fai?»
«Passavo, e mi sono fermato»
«Sergej potrebbe controllarmi, se ci vede insieme siamo fottuti. Ci stanno zero gradi, cosa cazzo fai solo con la felpa?»
«Misha rilassati, non c'è nessuno»
«.. Che ci fai qui? Pensavo arrivassi domani»
«Ho cambiato idea e sono partito prima, dovevo finire delle cose. E volevo farti gli auguri di Natale anticipato.»
«Manca ancora un mese, e comunque.. Non l’abbiamo mai festeggiato, chissà perché..»
«Andrà tutto bene, Misha»
«Ne sei sicuro? Ti fidi del mio occhio? Se dovessi sbagliare potrei ucciderti.»
«Lo so. Ma preferisco morire per mano tua.»
«Non succederà, ce la caveremo entrambi.»
 
‶Buon Natale, Misha.‶
‶Buon Natale, Shùra.‶

 
The journey I’m taking is inside me. Just like blood travels down veins, what I’m seeing is my inner self and what seems threatening is just the echo of the fear in my heart.
 
 

Mikhail POV

 
Quel giorno mi illusi che non sarebbe mai arrivato, eppure si palesò dinanzi ai nostri occhi con prepotenza e prontezza. Arrivai su quella nave ancor prima che me ne rendessi conto.
Avevo la pistola carica come molte volte, ma la sensazione era ben diversa. Un singolo colpo. L’unico che avrei dovuto destinare a Shùra. Non erano ammessi errori in quell’unico colpo che mi ero imposto.
Un passo, due passi, il terzo si accennò soltanto ma venne interrotto dal volto di mio fratello che si girò per guardarmi, sorrise e lo feci anche io. Cosa c'era di così divertente? Di così felice e sereno?
"Uccidilo, o sarà Irina quella a pagare"; le parole di Sergej mi rimbombarono nelle orecchie come un disco rotto, abbassai appena la testa per un secondo come per scacciarle via dalla mente malandata.
«Finalmente ci puntiamo le pistole addosso». Era come se avessimo atteso e temuto questo momento per tutte le nostre schifose vite. Il mio tono aveva un nonché di nostalgico, malinconico e probabilmente anche un po' masochistico.
 «Ti ho sempre detto che sarei stato io il primo ad ucciderti». Aleksandr rise, per quanto potesse. Io scossi la testa facendo altrettanto. Poi calò il silenzio, la mia mano tremava e lui se ne accorse avvicinandosi di un passo. Ero come impietrito.
«Misha, hai dimenticato? Lo sai»
«Lo so». Risposi secco, in realtà avrei voluto dimenticare i suoi addestramenti. Feci un sospiro e caricai la pistola. La tenevo puntata contro di lui stavolta con la mano più salda. Ripresi a parlare.
«Questo è per avermi portato via Sophia, per non avermi versato lo stipendio tutte quelle cazzo di volte, per avermi rubato i suoi biscotti quando avevo sette anni. Per esserti preso il suo primo bacio rubandomi anche quello, pensavi non vi avessi visto in quel cazzo di cortile? E anche per avermi insegnato a sparare a dieci anni. Per aver detto a Sophia che mi pisciavo sotto quando ero piccolo, per non aver permesso allo scagnozzo di Sergej di fottermi l'occhio. Per avermi fatto credere di volerti scopare Nadja, per avermi rubato la cena quando tornai a casa dopo quella gita al liceo, avevo una cazzo di fame. Per aver preso tutti quei colpi al posto mio facendoti male. Questo è per tutto quello che avrei dovuto fare io a te, ma tu mi hai sempre preceduto. Ci rivedremo fratello, che sia all'inferno, in terra, in paradiso o in un altra vita... non ti libererai di me così facilmente, devi ancora pagare per tutte queste cose. Ci rivedremo, te lo giuro». In quel momento una lacrima bagnò il mio viso ed era terribilmente in contrasto col rumore assordante dello sparo di entrambi. Nello stesso momento, nello stesso punto ci infliggemmo un supplizio equo.
Ci guardammo negli occhi quando cademmo su quel pavimento umido. L'odore del mare misto a quello del sangue mi faceva formicolare le narici in modo fastidioso.
«Fidati di me» sibilai prima di chiudere gli occhi in un sorriso sporco.
Caddi a terra, sentii solo il dolore e la gioia di una vita portata a termine.
 

 

Aleksandr POV

 
Non vi era un filo di vento sopra quella nave mentre attendevo il compiersi del fato, quanto tempo era passato dall’inizio di tutto? Forse due settimane, o forse tre, preferivo non contarle perché, come se fosse qualcosa che andava alla rovescia, mi dava quasi la sensazione di un countdown finale; la fine era precisamente la mia morte, quella di Misha e quella metaforica di Sonech'ka. Chiusi gli occhi per un secondo sentendo dei passi dietro di me, non erano per niente cauti era quasi come se la persona volesse annunciare il suo arrivo, sorrisi sghembo voltandomi  e incrociando il medesimo sguardo negli occhi di Mikhail.
«Pensavo te la fossi fatta sotto e mi avessi dato buca». Lo vidi curvare le labbra in una smorfia schioccando la lingua contro il palato, era sempre stato così permaloso.
«Chi, io? Pensavo mi conoscessi meglio, non mi sarei mai perso l'occasione». Ci guardammo per un lungo istante, la nave oscillò dolcemente in contrasto col tumulto violento che sembravamo affrontare dentro i nostri cuori. Estraemmo le armi puntandole l'uno contro l'altro, quella era la fine; non vi erano altri posti, arrivati al capolinea non potevi fare altro se non accettarlo e scendere. Eccola la fermata. Caricammo guardandoci dolorosamente. Il mio cuore batteva come fosse impazzito, non perché temessi la morte, non la mia almeno. Mi concessi un ricordo, l’ultimo: Misha aveva dodici anni e io diciassette, eravamo in gita domenicale al lago e io cercavo di insegnargli come governare una barca usando i remi.
«Misha cazzo, cosa c'è di complesso? Devi muovere quelle fottute braccia smilze che ti ritrovi». Come sempre sbuffò contrariato, da qualche tempo a quella parte il suo caratterino aveva iniziato a plasmarsi per bene divenendo se possibile ancora più spigoloso.
«Pensi non lo stia facendo? Ah, ho caldo. Possiamo fare una nuotata e poi riprendiamo?» mi alzai facendo oscillare pericolosamente la barca.
«Che ne dici di una bella battaglia coi remi? Chi perde paga». Misha mi seguì di rimando, afferrando il suo, sorridendo.
«No, chi perde muore». Lo fulminai con lo sguardo, sembrava avere una sorta di debole per la parola ''Morte''. Iniziammo ma qualcosa andò storto, il mio remo colpì in testa e con forza Misha che cadde dalla barca direttamente nel lago, senza riemergere; lo chiamavo con forza ma niente, mi gettai anch’io riemergendo poco dopo col suo corpo svenuto tra le braccia. Provai disperatamente a rianimarlo finché nel momento in cui stavo per iniziare la respirazione bocca a bocca Misha aprì gli occhi scoppiando a ridere. «FESSO. MORIRAI TU, NON DI CERTO IO. Pensi basti un remo? ». Non gli rivolsi più la parola per un mese, Misha aveva sempre pensato fosse stato per il mio orgoglio ferito, in realtà per la prima volta in vita mia avevo rischiato di pisciarmi sotto per lo spavento di aver ucciso una delle due persone che più amavo.
Tik Tak. Il tempo tornò al presente, adesso eravamo l'uno contro l'altro, in quella sorta di capolinea della vita difficile da superare; Misha sillabò qualcosa con le labbra ma non riuscii a percepirlo. Sorrise. Sentii il rumore dello sparo, il suo. Poi un altro, e un acuto bruciore alla spalla vicino al petto. Cademmo entrambi in ginocchio, senza smettere mai di guardarci e allora capii. Misha mi aveva detto: ‶Fidati di me.‶
E io mi fidai, lo feci per tutte le volte in cui non lo avevo fatto abbastanza. Caddi inerme sul pontile con gli occhi semichiusi, non volevo si chiudessero del tutto, volevo continuare a guardare il corpo che giaceva poco distante da me; credetti di dire ‶Abbi fede‶ ma forse lo immaginai, in fondo quelle parole non sarebbero arrivate né a Misha, né tanto meno a Sonech'ka adesso lontana.
Chiusi gli occhi, e fu il buio.
 
 I've put my trust in you
Pushed as far as I can go
And for all this
There's only one thing you should know.
 
 
***
 
Sbattei le palpebre ripetutamente cercando di abituarmi alla luce che seppur poca continuava a ferirmi gli occhi, dove mi trovavo? Mi sollevai troppo velocemente sentendo una fitta lancinante alla spalla, cacciai in gola un urlo pressandola con una mano. La memoria iniziò lentamente a tornare, mi trovavo alla falegnameria abbandonata, Nadja avrebbe lasciato lì entrambi dopo essersi occupata dei nostri certificati di morte; quanti giorni erano passati? Il telefono giaceva a terra, lo afferrai con cautela osservando lo schermo: tre giorni. Mi alzai notando solo in quel momento di essere completamente solo, la brandina accanto alla mia era vuota, nessuna traccia di Misha.
Misha, dove sei?
Avevo chiamato al cellulare lui e Nadja talmente tante volte da aver perso ormai il conto, nessuna risposta era pervenuta e la paura iniziò a dilagare dentro il mio cuore. Avevo preso la mira male? Misha era ... No, non era possibile, non potevo essere arrivato fin lì per vedermi privare di tutto, non quando mancava ormai così poco alla meta. Mi vestii stando attento a non urtare la ferita alla spalla, accarezzando le bende e rivivendo quel momento ancora così vivo dentro di me, gli occhi di Misha socchiusi e i nostri sguardi intrecciati. Dove diavolo era Misha? Il groppo in gola divenne pesante; fuori un auto mi attendeva, le chiavi erano posizionate sul cruscotto, Nadja era stata lì quindi perché non mi aveva detto nulla? Quel silenzio poteva significare tante, troppe forse, cose che io stesso non potevo né volevo accettare. Sapevo dove dirigermi, e lo feci, ad ogni passo il mio cuore scendeva un gradino e appena vidi il corteo funebre farsi strada tra la neve del cimitero lo sentii arrivare sotto i piedi. Lo calpestai.
Osservai la gente raggrupparsi attorno alle due bare, vidi Sergej a capo di quella folla, ne scrutai lo sguardo trovando tracce di soddisfazione e anche di dolore. E allora capii: stavo assistendo al mio funerale.
Misha, dove sei?
Lente le bare scesero nella fossa, la gente lasciò un fiore iniziando poi a coprire entrambi con della terra. Il vento punse i miei occhi, per la prima volta dopo quindici anni mi feci il segno della croce, in quel momento stavo dicendo addio ad Aleksandr Belov, il sicario della bratva morto in una nave durante un agguato, accanto alla bara vidi mio padre, mi guardava e sembrava dirmi: Vedi figlio mio? Hai ricostruito le cose per la quale hai dato la tua vita con i tuoi arnesi ormai logori.
Spostai lo sguardo sull'altra bara, anche quella era vuota? Il dubbio mi provocò un conato di vomito, dov'era Misha? Osservai da lontano tutta la funzione, finché il sole non si nascose tra gli alberi annunciando l'inizio del tramonto e la fine di quella vita. Vidi Nadja accanto a Sergej, e alla sua sinistra un Dimitri Cernenko realmente addolorato.
Andai ugualmente al lago solo per fede, non ero certo di trovare Misha al mio arrivo eppure i miei passi e il mio cuore mi portarono lì. Avrei rispettato la promessa fatta una settimana prima e sarei andato a quell'appuntamento. Misha sarebbe apparso, in un modo o nell'altro avrebbe rispettato quella promessa. Bastava avere fede.
 
Ma fede in cosa esattamente?

 
 

Sophia POV

 
L'anima mia spera nella sua parola.
             
    
– Sophia, ricordi di cosa parla il libro? È la storia di un impiegato, Evghenij, che perde la fidanzata nella terribile inondazione di Pietroburgo del 1825. Impazzito per il dolore, quando passa davanti al maestoso monumento di Pietro il Grande, leva il pugno contro la statua dell'Imperatore, causa di tutti i suoi mali. Il cavaliere si stacca dal piedistallo e lo insegue per le strade di Pietroburgo. Il povero impiegato sarà poi ritrovato senza vita davanti alla casa di legno della fidanzata.
Io sono Evghenij, vengo perseguitato dal cavaliere di bronzo che non mi da pace. Continuo a correre alla ricerca della mia amata sperando di trovarla.
   
– Moriremo?
   
– No, tu sei immortale Sonech'ka. Finché ti amo non può scalfirti neppure la morte, resterai immortale nei secoli, qualsiasi cosa accada.
   
 – La verità è che neanche tu ci credi.
   
– La verità è che ci credo troppo.
    
              
    
Non pensavo potessi cogliere l’essenza della parola ‘’suicidio’’, ma per un attimo quella voglia mi venne, e a quella voglia diedi un nome: volare. Volare così come vola una persona che si butta da un ponte verso il nulla, perché il suicidio è un lancio verso quel nulla dove prima si speravano braccia. Un lancio nel vuoto, carezzata solo dalla pioggia. Libera da ogni peso. Libera da promesse non mantenute.
   
     ‶Sophia, sono morti. Torna a casa, sei ancora in tempo.‶
    
Un semplice messaggio. La misericordia di Sergej mi colpì in pieno stomaco. Erano morti, anche loro, così diceva. Io no. Guardavo la pioggia con i miei stessi occhi. Toccavo il vetro freddo, rabbrividivo. Respiravo. Sentivo il ticchettio della pioggia. Ero viva. Io ero viva.
Non versai una sola lacrima. Ci pensava il Cielo a piangere la morte di Aleksandr Belov e Mikhail Volkov. Io avevo di meglio da fare: aspettare, avere fede, mantenere la mia ultima promessa.
    
    E così mi sedetti,
    
            aspettai,
    
               imparai a sopravvivere.

 
  
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