Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 4.095 (Fidipù)
Note: Ed eccoci di nuovo qua con il secondo appuntamento
settimanale di Miraculous Heroes 3! Nuovi fili vengono tirati, piccole
verità che vengono a galla e qualcuno che sarebbe bene si calmasse un
attimo...Vi piace come riassunto del capitolo? In vero, non ho molto da
dire perché, tanto per cambiare, non mi sono mossa in ambienti nuovi di
Parigi ma anzi, sono stata fissa su luoghi che conosciamo alla perfezione:
la casa di Adrien e Marinette, il magazzino di Mercier, l'antro di Kwon e
via dicendo.
Quindi, come sempre, vi lascio alle classiche informazioni di servizio,
dicendovi che domani verrà aggiornata Scene,
con la prima parte di Fuoco fatuo, per concludere un'altra settimana
carica di aggiornamenti.
Come sempre vi ricordo la pagina
facebook per essere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime
dei capitoli.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie a tutti voi che
leggete, che commentate (a breve risponderò ai commenti, non temete!) e
che inserite le mie storie in una delle vostre liste.
Grazie di cuore!
Grandi palazzi e villette graziose
costeggiavano il grande viale reso buio dalle ombre della notte, Rafael
sospirò mentre marciava verso il palazzo dove Emile aveva preso
l’appartamento, sospirando di tanto in tanto: «Andrà tutto bene» mormorò
Sarah, intrecciando le dita con le sue e sorridendo dolcemente, fermandosi
e costringendo il ragazzo a fare altrettanto: la bionda allungò la mano
libera, carezzandogli la guancia e costringendo a guardarla negli occhi:
«Kang non ha detto niente di pericoli, giusto?»
«Da quel che ho capito di quel tipo, è che ama essere criptico e un passo
avanti agli altri» bofonchiò Rafael, voltando il viso e baciandole il
palmo, alzando poi la testa verso la schiera di terrazzine che si
affacciavano sulla strada: «Voglio solo che sia al sicuro.»
«E lo sarà» decretò Sarah, facendogli riportare l’attenzione su di lei:
«Tu lo proteggerai e anch’io, senza contare tutti i nostri amici.»
Il moro annuì, voltandosi poi verso il palazzo e percorrendo velocemente
la distanza che lo separava dal portone: con l’indice percorse la lunga
fila di campanelli, finché non trovò il nome del padre e suonò, sotto lo
sguardo attento di Sarah: «Per una volta facciamo le cose a modo»
bofonchiò, allontanandosi di un passo e rimanendo in attesa, mentre si
infilava le mani nelle tasche del cappotto.
«Sì?» la voce gracchiante di Emile giunse dall’interfono, facendo
sorridere il ragazzo: «Rafael, sei tu?»
«Sì, papà» mormorò il ragazzo, regalando un sorriso alla bionda con lui:
«Non mi sono portato le chiavi di casa tua dietro e…» il rumore
dell’apertura automatica arrivò alle orecchie dei due; Rafael si avvicinò,
aprendo la pesante porta a vetri e lasciando entrare Sarah all’interno,
seguendola e accompagnando la chiusura dell’uscio del condominio, mentre
la bionda si avvicinava alle scale e iniziava a salire i primi scalini,
diretta verso il piano in cui vi era l’appartamento del professore Fabre.
Raggiunsero velocemente il secondo piano e Rafael sorrise, vedendo il
padre in attesa sulla soglia di casa con un sorriso sereno in volto:
«Rafael! Sarah!» esclamò, allargando le braccia con fare amorevole e
facendosi poi da parte, permettendo a entrambi di entrare
nell’appartamento completamente in disordine come l’ultima volta:
«Perdonate, stavo lavorando a un progetto…»
«Lo vedo» commentò il ragazzo, scuotendo il capo di fronte a tanto caos:
«E’ per l’università o un tuo progetto personale?»
«Una cosetta su cui stavo lavorando da un po’» decretò Emile, guardandosi
attorno alla ricerca degli occhiali da vista, sorrise quando li trovò
abbandonati sul tavolo e li inforcò, avvicinandosi a Sarah e posandole
entrambe le mani sulle spalle: «Sei qui per le mie ricerche, vero?»
«S-sì» balbettò la ragazza, scambiandosi una fugace occhiata con il
giovane al suo fianco e poi ricambiando stentatamente il sorriso
dell’uomo: «Aveva detto che mi avrebbe prestato…»
«E’ tutto lì» dichiarò Emile, indicando una pila sostanziosa di fogli e
cartelle: «Tutto ciò che riguarda i sette animali e che ho raccolto in
questi ultimi anni» continuò l’uomo, posandosi le mani sui fianchi:
«Io…io…»
«Papà?»
Rafael avanzò verso il padre, osservandolo mentre si toglieva gli occhiali
e scuoteva la testa, quasi come a scacciare qualcosa: Emile rialzò lo
sguardo, fissandosi attorno come se non riconoscesse il luogo in cui si
trovava e avanzò di un passo, traballando e quasi crollando in avanti, se
non fosse stato per il tempestivo intervento del figlio: «Papà, cosa…»
«Porta via tutto, Rafael» mormorò Emile, aggrappandosi al braccio del
figlio e fissandolo serio in volto: «Non devono trovare niente.»
«Che?»
«Porta via tutto» ripeté il genitore, scuotendo il capo mentre la voce si
faceva flebile: «Se puoi trova gli eroi di Parigi e affida tutto a loro,
ok?»
«O-ok.»
«Professore?» mormorò Sarah, avvicinandosi ai due, mentre Rafael aiutava
il genitore a sistemarsi sul divano: «Sta bene?»
«Starò meglio» sentenziò Emile, facendo vagare lo sguardo sul figlio che,
recuperata una cartella di pelle, stava infilando velocemente tutto
all’interno: «Madamoiselle Davis, le chiedo di non avvicinarmi più a
lezione. La prego, non vorrei metterla in pericolo…»
«Cosa?»
«Rafael, non fare parola con tua madre di tutto ciò» continuò Emile,
chinando la testa e stringendo la mascella, mentre si portava entrambe le
mani alle tempie quasi come se un dolore improvviso lo avesse colto: «Non
contattatemi, vi prego. E non avvicinatemi. Non voglio mettervi in
pericolo.»
«Papà, seriamente, se pensi…»
«Puoi gentilmente fare come ti chiedo?» sbottò Emile, alzando la testa e
fissando il figlio negli occhi: «Sono tuo padre, per quanto fallimentare
io possa essere, e tu farai quello che ti sto dicendo: prenderai i miei
lavori, uscirai da casa mia con la signorina e non mi contatterai, fino a
quando non lo farò io. D’accordo?»
«Papà!»
«Niente papà, Rafael!»
Il ragazzo continuò a infilare nella borsa gli articoli e i fascicoli di
fogli, scuotendo di tanto in tanto la testa e puntando poi sul genitore lo
sguardo grigio: «Non sono d’accordo» sentenziò, stringendo la mascella e
tenendo lo sguardo in quello del padre: «Non ti darò retta, lo sai.»
«Lo spero, invece.»
«Mi conosci poco, papà.»
«Sarah, potresti gentilmente…»
«Io sono d’accordo con Rafael» sentenziò la ragazza, interrompendolo e
avvicinandosi all’uomo, sistemandosi al suo fianco sul divano: «Non può
dirci cosa le sta succedendo?»
«Se lo sapessi, ve lo direi» mormorò Emile, storcendo la bocca come se una
nuova fitta di dolore lo attraversasse: «Io non so cosa mi sta accadendo,
da quando ho incontrato quel cinese…»
«Kang?»
«E tu come conosci Kang?» domandò Emile, voltandosi verso il figlio che
l’aveva interrotto: «No, non è Kang comunque. Qualche tempo fa sono stato
contattato da un cinese, voleva finanziare un mio progetto e una mia
spedizione per il Tibet, ma…» si fermò, socchiudendo gli occhi e
inspirando profondamente, prima di riaprire le palpebre e riprendere a
parlare: «Ma poi ho accettato la cattedra in facoltà e tutto è andato a
monte, finché non l’ho incontrato nuovamente qualche tempo fa ed è da
allora che non mi sento più me stesso: è come se ci fosse qualcun altro
dentro di me.»
Rafael annuì, scambiandosi un’occhiata con Sarah e vedendo la sua stessa
consapevolezza nello sguardo della ragazza: «Forse sei solo stanco»
mormorò, chiudendo la cartella e scrollando le spalle con un sorriso
divertito in volto: «Troppo lavoro di mente. Non sei abituato, papà.»
«Già. Vero» commentò Emile, sorridendo appena e socchiudendo lo sguardo:
«Beh, adesso andate e, per favore, non tornate.»
«Papà, non ricominciare…» sospirò il ragazzo, scuotendo il capo e alzando
la testa verso il soffitto, massaggiandosi il collo con la mano libera:
«Sai molto bene che tornerò a romperti o comunque a controllare se non ci
sono cadaveri per casa. Il tuo cadavere per casa.»
«Che figlio amorevole.»
«Almeno lo riconosci» sentenziò il moro, osservando la ragazza che si
alzava e sorrideva all’uomo, raggiungendolo poi e fissandolo negli occhi,
annuendo impercettibilmente con la testa: Emile li accompagnò alla porta e
li gettò quasi di peso fuori, salutandoli frettolosamente prima di
chiudere il pesante portone dell’appartamento, intimandoli di non tornare
una seconda per l’ennesima volta.
Come se gli avesse dato retta…
Rafael rimase a fissare la porta chiusa, scuotendo il capo e stringendo la
mano libera, colpendo poi con il pugno il muro dietro di sé con tutta la
sua forza, tenendo serrata la mascella e lo sguardo fisso avanti a sé:
«Rafael!» lo riprese la ragazza, prendendogli la mano fra le sue e
controllando che non ci fossero ferite, spostando poi lo sguardo nocciola
sul ragazzo: «La risolveremo, ok?»
«Non dovevano intromettere mio padre.»
«Lo so. Ti comprendo» mormorò Sarah, stringendo le dita attorno alla mano
del parigino: «Ma non è prendendo a pugni un povero muro innocente, che
risolverai la questione. Chiamiamo Alex, ok?»
«D’accordo.»
Alex sbadigliò, osservando il cellulare che vibrava sulla scrivania e
sorridendo alla vista del nome: «Sarah!» esclamò, dopo aver accettato la
chiamata: «Fammi indovinare: devi nascondere il cadavere di Rafael.»
«Non darmi per morto tanto facilmente» sentenziò la voce dell’interessato,
mentre l’americano si sistemava nel suo letto con la risata in gola: «Sono
sopravvissuto a un calcio di Marinette e a uno di Sarah, sono Highlander!»
«Quelle casomai sono le tue pal…»
«Abbiamo cose più importanti di cui discutere!» sentenziò la ragazza,
zittendoli entrambe: «Alex, abbiamo tutte le ricerche del padre di Rafael.
Tutte le ricerche sui sette animali.»
«E il mio adorato papà deve essere coinvolto con il nostro nemico, dato
che sembrava parlare come se fosse in un film con spie e gente che lo
inseguiva. Per non parlare della presenza che sente dentro di sé…»
Alex si mise sull’attenti, balzando a sedere sul letto e quasi il telefono
gli scivolò di mano: «Avete tutto?» domandò, gettando le gambe fuori dal
materasso e alzandosi in piedi, iniziando a girare per la camera senza una
meta fissa: «Ok. Calmiamoci, anzi calmati Alex. Ora è tardi, ma domani
chiamo tutti e megariunione strategica, intanto voi studiate quella roba e
vedete se ci capite qualcosa.»
«Sarà una lunga notte insonne…» sospirò la voce di Rafael nel microfono
del telefono, facendo sorridere l’americano: «Ci sentiamo domani, amico.»
«A domani» mormorò Alex, chiudendo la chiamata e osservando lo schermo del
cellulare spegnersi: abbandonò l’apparecchio sulla scrivania,
massaggiandosi il collo poco sopra il bordo del collo della maglia,
pregando che le risposte di cui avevano bisogno fossero in quelle
ricerche: «Dove altro potrebbero essere altrimenti?» mormorò fra sé,
gettandosi sul letto e osservando il soffitto, portandosi entrambe le mani
alla testa e tirando indietro i capelli: «Arriveremo mai a capo di tutto?»
Kwon osservò i suoi generali, sentendo l’aria palpitare delle emozioni
represse dei quattro mentre lui si costringeva a mantenere una certa
calma, nonostante il desiderio di riprendere l’energia che aveva donato a
quei fallimenti fosse tanta: li aveva scelti accuratamente, avvertendo su
di loro le tracce di Quantum e sperando che, inconsapevolmente, lo
portassero dai Miraculous.
Ma così non era stato.
Certo, la traccia c’era e la poteva percepire anche in quel momento:
filamenti dorati che si avviluppavano attorno ai loro corpi, come un lungo
e sinuoso serpente leggermente più grasso rispetto a quello che avevano
quando li aveva conosciuti.
Erano persone che, in una certa misura, erano entrati in contatto con i
Miraculous.
Ma come?
Quanto vicino erano ai Portatori di quell’epoca?
Quanto vicino era lui ad avere i sette gioielli nelle sue mani?
Un sospiro si liberò dalle sue labbra, mentre apriva e chiudeva la mano
destra, sentendo le spalle cedere sotto al peso cocente della sconfitta:
lontano, era sicuramente lontano molto più di quanto aveva sperato quando
aveva infuso quelle persone di Quantum, creando la così la sua piccola
corte.
Li aveva adescati, promettendo loro ciò che desideravano e li aveva usati
fino a quel momento, ma cosa aveva ottenuto se non una serie interminabile
di fallimenti? Dove sbagliava?
Dove sbagliavano i suoi Generali?
«Mio signore…» la voce inespressiva di Yi lo riscosse dai suoi pensieri,
facendolo voltare incontrare lo sguardo della donna: in piedi, alla sua
destra, vegliava su di lui e attendeva i suoi ordini.
Il suo lavoro meraviglioso.
Era stata la prima, il suo esperimento e la sua condanna: si era legato
troppo a quella donna, tanto da renderla qualcosa di più di un semplice
sottoposto; allungò una mano, carezzandolo il fianco e seguendo la curva
piena del sedere, tirandola poi verso di sé: «Siete un fallimento totale»
mormorò con le labbra contro la stoffa degli abiti di Yi: «Quante volte
volete ancora imbarazzarmi?»
«Mio signore» mormorò Hundun, prostrandosi per terra con il suo bastone
ben stretto in mano, la testa china e le spalle rigide: «Lasciate che…»
«Taowu. Andrai tu stavolta» dichiarò Kwon, osservando il più giovane dei
suoi generali: il ragazzo si guardò attorno quasi non capacitandosi del
fatto che si stesse rivolgendo a lui, posando poi lo sguardo sulla sua
figura e annuendo lieve con la testa: «Non fallire una seconda volta, non
lasciare che i tuoi sentimenti offuschino il tuo giudizio nuovamente.»
«Sì, mio signore» mormorò Taowu, picchiando i talloni fra di loro e
portandosi una mano al petto, chinandosi appena e guardando il pavimento:
«Non vi deluderò.»
«Lo spero.»
«Non pensa sia una decisione…» Qiongqi s’intromise, rimanendo in disparte,
nei pressi della polla d’acqua che dominava la sala con Taotie al fianco:
«Come dire? Avventata? Taowu ha già dimostrato…»
«Così ho deciso.»
«Certamente, mio signore.»
Adrien sbadigliò, avvicinandosi al tavolo e sorridendo alla vista del
piatto con le brioches, spostando poi l’attenzione sulla ragazza che, le
spalle rivolte verso di lui, stava trafficando ai fornelli: «Buongiorno,
amore» mormorò, dopo essersi avvicinato silenziosamente e vendendola
sobbalzare, prima di voltarsi e fissarlo malevola.
«Non farlo più» sentenziò Marinette, lo sguardo celeste che lo fissava
contrariato e la bocca storta in una smorfia; Adrien le sorrise,
assestandole una generosa manata sul sedere e saltando velocemente
all’indietro per evitare il colpo della ragazza, cozzando contro il tavolo
e storcendo le labbra in una smorfia, mentre si portava una mano al fianco
e lo massaggiava: «Ecco cosa succede a fare l’idiota.»
«Ah, perché lo fa ogni tanto?» domandò Plagg, fluttuando per la stanza e
avvicinandosi al frigo, entrando all’interno e aprendolo da lì, uscendo
con una scatola di camembert fra le zampette: «Io lo credevo sempre.»
«Smetto di comprarti il camembert. Stavolta lo faccio sul serio.»
«Marinette…» cantilenò il kwami, posando la scatola sul tavolo e
aprendola, aspirando il profumo del formaggio: «Puoi ricordare a tuo
marito che senza camembert, io non gli dono i poteri?»
«Parigi farà a meno di Chat Noir per un po’.»
«Oh. Ed io come farò senza il mio fidato compagno?» domandò la ragazza,
osservando Adrien alzarsi in tutta la sua statura e un sorriso luminoso
accendergli il volto, facendole ricordare il ragazzino che aveva
conosciuto sotto le spoglie dell’eroe felino, che si vivacizzava ogni
volta che lei gli faceva un complimento.
«Fidato compagno?»
«Indispensabile, direi» decretò Marinette, avvicinandosi a lui e
posandogli le labbra sulla guancia, sorridendo di fronte allo sguardo
verde che la fissava pieno di amore: «Siamo Ladybug e Chat Noir, sempre e
comunque.»
«Più qualche aggiunta.»
«Giusto, adesso siamo i Miracolati.»
«Miraculous Heroes, prego» decretò Adrien, spostando la sedia e
sistemandosi al suo posto, mentre Marinette poggiava la caffettiera – dono
di Lila dall’Italia – sulla piastrella di ceramica bianca che usava per
non rischiare di bruciare il tavolo: «Alla fine non è male come nome, no?»
«E’ un po’ strano, ma no. E’ carino.»
«Un po’ come gli Avengers…»
La ragazza annuì, osservando la propria kwami volare traballante per la
stanza e raggiungerli al tavolo, sbadigliando sonoramente e fissando
l’altro spiritello in attesa: «Che vuoi?» domandò Plagg dopo un po’,
addentando un pezzo di formaggio e attendendo la risposta da Tikki, che
non giunse; sbuffò, volando verso la dispensa e recuperando i biscotti che
la piccola kwami mangiava sempre, posandoglieli davanti e ritornando poi a
consumare la sua colazione, sotto lo sguardo divertito dei loro Portatori.
«Che farai oggi?»
Adrien allungò una mano verso le brioches, prendendone una e
spezzandola a metà, storcendo le labbra: «Lezione. Servizio
fotografico. Penso di mangiare con Lila e Rafael fra le due cose, vuoi
unirti?» domandò, voltandosi verso la moglie e vedendola, mentre si
batteva le dita sulle labbra: «Marinette?»
«Se mi trasformo e corro sui tetti, dovrei farcela per unirmi.»
«Uh. Uso del Miraculous per scopi personali.»
«Disse quello che lo usava per scappare di casa.»
«Ehi, dove si è mai visto un eroe segregato nella propria casa?»
«Qui a Parigi.»
«Ah ah ah. Spiritosa.»
«Ho imparato dal migliore.»
Thomas sbadigliò, entrando in classe e osservando il banco vuoto di
Jérèmie, storcendo le labbra mentre si avvicinava e poggiava lo zaino nel
suo posto consueto: un altro giorno no, a quanto pareva. Un altro dove il
suo amico non si sarebbe presentato e, quando lo avrebbe fatto, dopo un
po’ di giorni di assenza, avrebbe riportato qualche livido da qualche
parte.
Poggiò le mani aperte sul banco, facendo scivolare i polpastrelli sulla
superficie piana e portandoli verso il palmo: avrebbe voluto fare
qualcosa, anche se non sapeva cosa. Dare un potere all’amico e
permettergli di avere la propria rivincita sul padre?
Ma così facendo non sarebbe stato diverso da Papillon, utilizzando il
potere di Nooroo per creare un cattivo e lasciarlo libero di rifarsela
contro un essere esecrabile, ma pur sempre un altro essere umano.
«Ciao!» La voce allegra di Manon lo riscosse, facendolo voltare verso la
porta e osservando la ragazzina, ferma sulla soglia che fissava il banco
vuoto vicino al suo: «Jérèmie non c’è?» domandò, entrando nell’aula e
ignorando gli sguardi degli altri compagni di Thomas, mentre aspettava che
lui le rispondesse.
Il ragazzino scosse la testa, voltandosi poi di lato e lasciando andare un
sospiro, prima di riportare l’attenzione su di lei: «Scusa, Chamack. Non è
giornata oggi.»
Manon annuì con la testa e, aperta la borsa, si mise a rovistare
all’interno, sorridendo quando i suoi polpastrelli toccarono un oggetto a
lei familiare: lo tirò fuori, posandolo sul banco davanti a Thomas e
osservando lo sguardo del ragazzo passare alternativamente dalla bacchetta
che gli era stata messa davanti alla ragazzina che, le mani sui fianchi,
lo fissava sorridente: «Giochiamo alle maghette?» domandò Thomas, vedendo
Manon sospirare e abbassare le spalle, prima di scuotere la testa.
«No, volevo darti un oggetto per…» la ragazzina si fermò, scuotendo il
capo e recuperando la bacchetta che aveva messo davanti a Thomas,
infilandola nuovamente nella borsa: «Lascia perdere» borbottò, chiudendo
la cerniera e raggiungendo velocemente la porta, uscendo dall’aula.
Il ragazzo la rincorse, fermandosi appena fuori dalla porta e osservandola
mentre si dirigeva con passo deciso verso la propria aula: «Quello era
l’oggetto dove l’akuma di Gabriel si infilò, quando lei divenne la
Marionettiste» mormorò Nooroo, facendo capolino da sotto la maglia: «Forse
voleva darti una specie di portafortuna.»
«Io non ne ho bisogno.»
«Tu no, ma il tuo amico di sicuro.»
Thomas annuì, lasciando andare un sospiro e scuotendo il capo: «Vorrei
fare qualcosa, Nooroo» mormorò, avvicinandosi al muro e poggiandosi contro
di esso, fissando il soffitto del corridoio: «Ma cosa posso fare? Sono
solo…»
«Uno degli eroi di Parigi, non dimenticarlo.»
«Un eroe inutile in questo caso.»
«Potresti chiedere aiuto agli altri? Sono certo che ti aiuteranno
volentieri a salvare il tuo amico.»
«Lo so, ma Jérèmie…»
«Immagino che lui non voglia far sapere a tutti la situazione che ha in
casa» Nooroo si fermò, annuendo con la testa e lasciando andare un
sospiro: «Sì, comprendo benissimo.»
«Sto iniziando a capire perché Papillon akumatizzava le persone.»
«Thomas…»
«Non lo farò. Non preoccuparti.»
«Lo spero bene.»
Wei sospirò mentre osservava la donna che stava entrando nel magazzino di
Mercier: poteva percepire l’aura di rabbia fin da lì e non gli serviva
vedere lo sguardo iracondo e la postura rigida che lei aveva.
Ada Rossi si fermò a pochi passi da lui: le labbra dipinte di rosso storte
in una smorfia di disapprovazione, le braccia conserte al seno e lo
sguardo pieno di riprovazione: «Immagino che sarai contento» mormorò con
la voce carica di veleno: «Mettere una figlia contro la propria madre…»
«Cosa?» mormorò il giovane, cadendo dalle nuvole e fissando la donna a
bocca aperta, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena sentito:
«Cosa avrei fatto io?»
«Lila è cambiata da quando sei entrato nella sua vita» sentenziò Ada,
sciogliendo le braccia e stringendo le dita a pugno: «Tu l’hai cambiata.»
«Mi piacerebbe avere questo onore, ma non ce l’ho» dichiarò Wei, scuotendo
la testa e fissando la donna davanti a sé con la pietà negli occhi: «Lei
davvero non conosce sua figlia.»
«Ovvio che la conosco! Sono sua madre!»
«Averla messa al mondo non significa sapere tutto di lei» dichiarò Wei,
lasciando andare un sospiro e abbassando le spalle sotto al peso che
sentiva: «Sa come le piace il caffè? Quale bagnoschiuma adora? Sa che ha
il vizio di tamburellare le dita quando pensa? Oppure su che fianco dorme?
La sua tendenza a distruggere ogni elettrodomestico?» il giovane si fermò,
sentendo la propria voce carica di emozione e il respiro affannato;
inspirò profondamente, concentrandosi sull’atto in sé e ritrovando la sua
calma interiore: «Queste sono piccole cose, eppure lei non ne conosce
nessuna. Lo vedo dal suo sguardo» mormorò, scuotendo la testa e sorridendo
con amarezza: «Lei non sa che sua figlia ha iniziato a cambiare da quando
è tornata in Italia e, quando l’ho conosciuta, era già la persona
magnifica che è adesso.»
«Tu…» Ada si fermò, stringendo la mascella con forza, le narici erano
dilatate e le labbra strette, tanto da formare una riga rossa: «Proteggerò
mia figlia da te!»
«No. Io la proteggerò da lei» decretò Wei, rimanendo immobile sul posto e
tenendo lo sguardo in quello della donna, senza cedere di un millimetro:
«Lila non ha bisogno di lei e, ogni volta che la incontro, sto capendo
sempre di più perché si è voluta allontanare: è il comportamento di una
madre il suo? Oppure è semplicemente quello di una donna che non ha avuto
ciò che desiderava?»
«Non hai idea di chi io sia» bisbigliò Ada, passandosi la lingua sulle
labbra e sbavando un poco il rossetto, mentre il ragazzo si chiese come
fosse possibile che non avesse una lingua biforcuta: «Potrei farti spedire
nuovamente in Cina. Non credi?»
«Sono in regola e ho un lavoro fisso» dichiarò Wei, sorridendo con tutta
la tranquillità del mondo e posando le mani sui fianchi, scuotendo la
testa: «Come potrebbe rimandarmi nella mia patria?»
Ada sorrise, alzando il mento e fissando con lo sguardo assottigliato:
«Potrei muovere persone, trovare cavilli, fare in modo che i tuoi
documenti in regola non lo siano più…»
«Faccia quel che vuole» sentenziò la voce di Mercier, anticipando la
figura dell’ometto che comparve da dietro alcune pile di cartoni, le mani
intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso sulla donna: «Ma io ho
registrato – e sto registrando tuttora – qualsiasi cosa» si fermò,
sciogliendo le dita e infilando una mano nella tasca dei pantaloni,
recuperando il cellulare e mostrando lo schermo alla donna, aperto sul
registratore vocale: «Se questo ragazzo avrà problemi, io porterò questa
registrazione a chi di dovere. E anch’io posso muovere persone, trovare
cavilli…» sentenziò l’anziano, avanzando e mettendosi davanti a Wei: «E
adesso se ne vada. Non voglio più vederla nel mio magazzino!»
Ada inspirò dal naso, trattenendo l’aria per pochi secondi prima di
lasciarla andare e osservando i due, assottigliando lo sguardo e storcendo
le labbra in una smorfia: «Non finirà qui» sentenziò, alzando il mento,
stringendo forte i denti: «Non…»
«L’ha detto anche l’altra volta» continuò Mercier, facendo un passo
avanti: «E cosa è successo? Lei è tornata qui a minacciare il mio ragazzo,
perché sua figlia ha capito che cagna di madre si ritrova.»
«Signore…»
«Non fermarmi, Wei. Quando ci vuole, ci vuole» bofonchiò l’anziano,
voltandosi e rimettendo al proprio posto Wei con una sola occhiata,
riportando poi la più totale attenzione su Ada: «In quanto a lei, signora
– sempre se signora posso chiamarla –, se osa ritornare nel mio magazzino,
le posso assicurare che avrà problemi a pulirsi quel didietro pieno di
ciccia, ogni volta che andrà al bagno.»
«Signore…»
«Ho detto di non interrompermi, Wei!» borbottò l’anziano, voltandosi e
fissandolo con il broncio, scuotendo poi il capo e indicando la donna alle
sue spalle: «Posso minacciarla senza che tu mi interrompa ogni tre per
due?»
«Madame Rossi, se ne vada» mormorò il cinese, sorridendo all’anziano e
facendo poi vagare lo sguardo fino alla madre di Lila: «E le chiedo
gentilmente di non farsi mai più vedere da me» aggiunse, socchiudendo lo
sguardo: «Per quanto riguarda Lila, deciderà lei se vorrà vederla o meno.»
«Non finisce qui, Wei.»
«Invece finirà qui, madame.»
Taowu osservò il proprio riflesso nell’acqua stagnante della polla che
dominava l’ingresso dell’abitazione di Kwon, allungò una mano e osservò
l’acqua allungarsi, quasi fino a toccarlo: «Il mio signore mi ha dato una
possibilità» mormorò nel silenzio dell’androne e osservando il fluido
muoversi sotto il suo palmo: «Vuole i Miraculous e noi glieli daremo,
vero?» l’acqua si avvitò su sé stessa, assumendo poi la forma di una mano
e intrecciando le dita con quelle del giovane generale: «E per farlo
dovremo dare un motivo agli eroi di Parigi di intervenire, non credi?» si
fermò, sorridendo quando avvertì la stretta dell’acqua farsi più decisa.
Lo comprendeva.
Lo capiva.
«E quale metodo migliore se non mettere in pericolo qualcuno?» si fermò,
ascoltando il gorgoglio che aveva accettato le sue parole: «Qualcuno come
un certo modello» si fermò, inspirando profondamente mentre l’idea che
carezzava la sua mente si fece più decisa: «Togliamolo di mezzo.
Liberiamoci di Adrien Agreste e così facendo gli eroi usciranno allo
scoperto, noi prendere i loro Miraculous e lei…»
E lei sarebbe diventata sua.
Solamente sua.