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Autore: michaelgosling    23/06/2017    1 recensioni
Delle creature geneticamente modificate capaci di mutare aspetto e di viaggiare nel tempo rischiano di alterare la storia dell'umanità.
Sei persone completamente diverse per età, carattere, mentalità e che vivono in diversi luoghi e in diverse epoche vengono scelte per fermarle.
Dal testo (secondo capitolo):
"Perché? Perché noi?"
"Perché siete anime spezzate."
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1. HENRICH BAUER

Dopo giorni e notti di un lavoro e di una fatica incredibili, riuscii a scoprire la causa della generazione e della vita; anzi, di più ancora, divenni io stesso capace di dare animazione alla materia morta.”

Mary Shelley, Frankenstein



Il senso di colpa ha uno strano effetto sulle persone. Può far riavvicinare chi a causa dell'orgoglio si è allontanato da chi amava, può far fare cose che nessuno, tanto meno tu, ti saresti aspettato di compiere o dire. Può logorarti, distruggerti. Può essere la tua ancora di salvezza dopo una vita passata a fare errori su errori. Oppure puoi esserne del tutto privo. Puoi non sentirlo, non percepirlo nemmeno. Persone che hanno il lusso di non doversene preoccupare e di poter vivere serenamente senza mai concepire nemmeno per un istante cosa significhi averlo, persone che la polizia a volte classifica come sociopatici, apatici, incapaci di provare rimorso, non tutte naturalmente, gli attori migliori sono in grado di simularle portando delle maschere, maschere che con il tempo che passa sono sempre più integrate con il resto del corpo, diventando un tutt'uno. Persone che finiscono con il non vivere davvero, che nei film vengono definite “cattive” da tutti, ma che se le incontri per strada le trovi amichevoli e gentili, o peggio, finisci col diventare come loro.
Henrich lo sapeva bene, ne aveva conosciute tante, e col tempo, alcune era anche riuscito a riconoscerle. E le riteneva fortunate. Fortunate perché non dovevano preoccuparsi dell'enorme peso del senso di colpa, e lui lo sapeva bene, quel peso lo portava da tutta una vita, e il passare degli anni non l'aveva aiutato a rendere il tutto più sopportabile e meno pesante.

Quel peso che era come un'ombra, che non lo lasciava mai da solo, che gli ricordava sempre che era lì per lui,
per quello che aveva fatto, e per non farglielo dimenticare mai. E lui non avrebbe mai dimenticato. Non fino a quando avrebbe avuto un cuore che batteva, anche se vecchio e dolorante come lo era lui, del resto.

Si grattò la fronte incerto sul dà farsi, ma poi sospirò e si alzò. Era tardi, aveva dormito anche troppo, già era deprimente alla sua età rimuginare sugli sbagli del passato, ma passare i pochi anni che gli rimanevano in un pulcioso letto era fuori discussione.

Prima di lasciare la camera da letto, si guardò nello specchio che teneva vicino alla porta. I suoi settantacinque anni li dimostrava tutti, forse anche un paio di più. Era piuttosto alto e snello come lo era giovane, il viso magro come il resto del corpo, e due occhi azzurri scavati sul viso che apparivano stanchi, ma ancora vivi di qualcosa, come se in mezzo alla stanchezza ci fosse anche una piccola e flebile fiammella dentro lui, anche se Henrich non sapeva come mai fosse ancora accesa. I capelli bianchi, un tempo biondi, corti e leggermente mossi, erano gli stessi della sera prima. Ma aveva davvero dormito quella notte? Non lo sapeva, anche perché se l'aveva fatto, erano stati sogni tormentati.

Si cambiò, sostituendo un vecchio pigiama a tinta unita con una polo blu, una maglia a cappuccio grigia, dei jeans e due scarpe da ginnastica color marrone scuro. Poi, finalmente, lasciò la stanza per raggiungere Frank, la ragione principale per cui si era cambiato. Non voleva che si preoccupasse per lui, cosa che avrebbe fatto se lo avesse visto in pigiama.

Lo trovò inerte sulla sua poltrona come se fossero una sola cosa, e i cavi elettrici e i circuiti che collegavano l'impianto lì accanto alla poltrona, e a Frank, non facevano che confermare quest'idea.

Henrich buttò una rapida occhiata al monitor, e fece un piccolo sorriso.

“Tre minuti.”

Ne approfittò per dargli una rapida occhiata con il computer. Sistemi vitali ottimali. Resistenza accettabile. Energia in caricamento. Tutto sembrava normale.

Quando sentì i circuiti e i cavi elettrici staccarsi dalla poltrona, e da Frank, constatò che i tre minuti dovevano essere passati.

Frank si alzò con la rigidità di un militare, ed Henrich non si aspettava niente di diverso.

“Buongiorno, Henrich. Sei già sveglio.” fece Frank con voce meccanica.

“Beh direi. Sono le undici di mattina. Ho dormito anche troppo.”

Le undici? Confermo. Sono le undici e nove minuti e trentadue virgola ottantacinque secondi.” continuò Frank, iniziando a camminare a tratti.

“Preciso come sempre.”

Sto solo adempiendo ai miei compiti, signore.”

Henrich sbuffò.

“Frank, ne abbiamo già parlato. Niente signore. Henrich.”

Lei mi ha programmato. Mi ha creato. Sono frutto del suo lavoro e delle sue ricerche. Non esisterei senza di lei. La mia esistenza è legata a lei. Ogni cosa che sono, e che sono in grado di fare, è merito suo, perché lei mi ha dato le informazioni necessarie per poter adempiere ai miei compiti. Io sono stato creato per servirla. Dunque la sua intenzione di rendermi informale nei suoi confronti è illogica. Frank non capisce.”

Io ti ho creato perché necessitavo di un assistente, qualcuno che potesse aiutarmi in quello che sto facendo, ma ciò non significa che sei il mio domestico o il mio servitore. Tu non sei il mio schiavo. Sei un abile collaboratore.. e un amico.”

“Se è questo che desidera, potrebbe apportare le dovute modifiche al mio programma. Posso suggerirle..”

Non importa, Frank. La verità è che non sono così sveglio e intelligente come una volta, e temo che se apportassi delle modifiche al tuo programma, beh, ho paura di fare più male che bene. Non voglio danneggiarti. Sei perfetto così, come lo sei stato negli ultimi quarantacinque anni.”

“Perfetto? La perfezione è illogica. Inoltre vorrei ricordarle che anche lei..”

“Frank, era solo un modo di dire. Intendevo che.. vai bene così. Che apprezzo ciò che sei.”

Secondo i miei dati, quello che ha detto era un complimento. Il mio database dice che quando si riceve un complimento si ringrazia. Frank ringrazia.”

Henrich rise divertito e si diresse verso una terza stanza nell'angolo della casa, ma qualcosa gli impedì di proseguire.

Un dolore lancinante, insopportabile a dire poco, partì dal suo cuore e si diffuse per tutto il suo corpo, come un virus, come un veleno che si era attivato dentro di sé, intenzionato a danneggiargli tutti gli organi interni. Si strinse con le braccia, come se volesse abbracciarsi da solo, nel folle ed inutile tentativo di porre fine a quel dolore, che aveva raggiunto anche il cervello.

Frank lo aveva chiamato. Oppure no? Era tutto così confuso, anche la vista era annebbiata. Lottava per resistere, per restare in piedi, ma il dolore era troppo, e si rese conto che a poco a poco le ginocchia si erano piegate, fino a quando non si stese sul pavimento, contorcendosi dal dolore.

Sentì la voce meccanica del suo assistente, questa volta ne era certo. Si sforzò di aguzzare la vista e lo vide accanto a lui. Non capii ogni cosa che diceva, solo qualche parola. Parlò di infarto. Ictus. Ospedali. Voleva portarlo all'ospedale. Facendo appello alla forza che gli restava, Henrich scosse la testa.

Nessun infarto. Nessun ictus. Nessun ospedale. Non ce n'era bisogno. Sapeva benissimo cos'era. Cosa stava avendo. E perché.

E il saperlo rendeva tutto più difficile. Perché sapeva cosa significava. Cosa avrebbe dovuto fare. Sperava che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Gli ritornò alla mente l'ultima volta che aveva avuto quell'attacco. Come dimenticarlo? Aveva cambiato la sua vita.

A poco a poco il dolore scomparve, e con il passare dei minuti, Henrich prese consapevolezza della situazione. La sua testa era nel caos, tanti pensieri, troppi. Pensieri su di lui, su cosa avrebbe fatto non appena si fosse alzato dal pavimento, pensieri su cosa stava accadendo là fuori, pensieri su cosa sarebbe successo negli anni a venire, pensieri sulle sei persone che lo avrebbero aiutato a portare quel peso enorme, quelle sei persone che ancora non avevano né volto né nome, persone che presto avrebbero visto la loro vita sconvolta,
da lui.

“Frank.” mormorò, con un filo di voce, ancora stordito da quanto era successo.

“Frank è qui.”

Henrich lo guardò. Frank se ne stava chino su di lui, come solo un robot poteva fare, ma non era un robot. Non era neanche umano. Frank era.. un essere cibernetico. Metà macchina e metà umano. La sua pelle era bianca quanto un pezzo di carta, le labbra viola, e per la metà del corpo era circondato da circuiti cibernetici, macchine, cavi, che gli permettevano di muoversi, parlare, comprendere. Henrich avrebbe voluto dilungarsi di più a pensare a Frank, al suo passato e a come era nato, ma non era quello il momento.

“Aiutami ad alzarmi.”

L'androide obbedì, e quando Henrich fu in piedi, entrambi si diressero verso il computer, non tanto distante dal luogo in cui Frank si rigenerava.

“Frank, ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo fare
quella cosa.”

“Signore, lei aveva detto che l'avremmo dovuta fare solo in caso..”

Lo so. Ricordo cosa ho detto. Ma questo è il caso. Quel caso.”

“Ai suoi ordini. Sono pronto a procedere.”

Forza, allora. Dobbiamo procedere con la selezione, prima che lo faccia il sistema. Abbiamo un'ora, no, quarantacinque minuti. Non possiamo permetterci errori. Schema DTDPDA 82 integrato con il BHHP 176.”

Eseguito. Ci vorranno dieci minuti per il registro dati.”

Forse possiamo accelerare il processo con un altro schema. Aggiungi 945 P. E BHH 136.”

Sei minuti.”

Henrich iniziò a sudare freddo. Non riusciva a credere a quello che stava facendo. Stava condannando sei persone che neanche conosceva ad una vita pericolosa, movimentata, che forse, anzi sicuramente, li avrebbe uccisi.

“Frank ha il permesso di parlare?”

L'uomo anziano annuì, continuando a tenere le mani sul viso.

“Non aveva altra scelta.”
“Ah, sì?”

Se non avesse fatto nulla, sarebbe stato il computer a scegliere, in modo del tutto casuale. Sei persone sarebbero state scelte comunque.”

E che succede se ho scelto le persone sbagliate? E non le ho scelte. Abbiamo solo applicato dei parametri per diminuire la possibilità di scelta, la scelta, quella definitiva, è stata fatta dal computer. Di nuovo.”

“Lei è stato scelto dal computer."

"E ho fallito. E ora, per colpa mia, per colpa della mia ingenuità, della mia gioventù e della mia incapacità di adempiere a ciò per cui sono stato scelto, sei persone dovranno riparare i miei errori, rischiando la vita."

"Hai dato loro capacità che non avrebbero mai avuto in altre circostanze."

"Già. Ma a che prezzo?"




NOTE:

Ehm.. *entra in punta di piedi* salve!

Sono nuova in questo fandom, non mai letto romanzi di questo genere (né libri né racconti pubblicati qui), quindi si può dire che sono una novellina!

Questa storia mi è entrata in testa da tipo due anni (già, due anni), e sebbene avessi già in mente la trama, i personaggi, lo sviluppo etc., non avevo mai scritto un solo capitolo prima d'ora, perché ero spaventata da non riuscire a gestire una storia complessa, di fantascienza tra l'altro. Ma ho deciso di provarci.

Quindi spero che questo inizio vi piaccia (è stato un parto decidere come iniziare), che vi incuriosisca ad andare avanti e soprattutto spero di non perdermi lungo il percorso, cercando in ogni capitolo di tenere alto il livello della storia, per quanto mi sarà possibile. Spero di non rovinarlo. Lo spero davvero.

So che è presto trattandosi di un solo capitolo, ma fatemi sapere che ne pensate, se vi ispira, se non vi ispira, se vi incuriosisce, o se vi sembra una schifezza! Ogni commento sarà apprezzato e gradito, parola mia!

Cercherò di aggiornare il prima possibile, I promise!















  
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