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Autore: Eeureka    23/06/2017    0 recensioni
– [[ нιdeĸane ]] [[ AU ; croѕѕover / parzιalмenтe ιѕpιraтa a deaтн noтe ]]
Ken è uno shinigami che si è stancato del suo lavoro. Non sopporta più l'apatia, il buio e la mancanza di emozioni che la sua routine comporta.
Istaurando un'amicizia proibita cerca di scoprire il mondo colorato degli umani, con l'intenzione di trovare un po' di sollievo sulla Terra. Il problema è che rimane intrappolato lì.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kaneki Ken, Nagachika Hideyoshi, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.:Chapter three;




Nel mondo degli shinigami non esisteva un modo per misurare il tempo, non c'era nessuna stella attorno a cui girare per alternare periodi di luce a periodi di buio; era atemporale, quasi un'astrazione per la mente umana.
Gli dei della morte solevano utilizzare espressioni quali "ieri, oggi, domani, tra un anno" e così via, riferendosi però al pezzo di Terra a loro assegnato. Era così che Ken poteva affermare con sicurezza che da quando aveva combinato quel guaio erano trascorse dieci notti e dieci giorni.
Da quando era successo Ken aveva vissuto nell'ansia, aveva atteso che accadesse qualcosa, pur non sapendo neanche lui che cosa... Ma nulla era accaduto, tutto nella sua routine era rimasto immutato.
Era vero che uno shinigami viene vincolato solo se un umano utilizza il suo death note, ma lui sembrava quasi ossessionato dall'idea che dovesse comunque succedere qualcosa, come se non gli andasse giù di aver corso un rischio senza ottenere conseguenze considerabili negative. Pareva così disperato che si sarebbe accontentato di tutto pur di dare una svolta a quella monotonia che da sempre lo accompagnava.
Una parte di lui bramava la novità con tutti i pericoli che essa comportava; dall'altra parte, però, Ken scuoteva la testa non convinto, accorgendosi di quanto imprudenti quei pensieri potessero essere.
Era bloccato in un limbo, malamente in equilibrio su un piede sulla punta di un precipizio, con il martellante dubbio: mi butto o no?
Durante quel tempo aveva svolto con apparente tranquillità il suo lavoro, aveva chiacchierato con gli altri shinigami e, in special modo, con Touka, con la quale aveva il tacito accordo del far finta che nulla fosse mai accaduto. Insomma, un dubbio di qua, un dubbio di là, e alla fine Ken non si era spostato dalla punta di quel precipizio neanche un po'. Due forze eguali si erano scontrare e annullate a vicenda, facendo sì che rimanesse fermo, immobile, senza alcuna novità apportata nella sua esistenza. O meglio, in realtà un cambiamento c'era stato: oltre che le solite attività, ora passava molto tempo in più a osservare, attraverso un portale, gli abitanti della Terra e, per essere precisi, un abitante della Terra in particolare.
Il guerriero dai capelli di luce – così l'aveva ribattezzato – gli era rimasto così impresso che possibilmente neanche dopo altre cinque generazioni si sarebbe scordato di lui. Ogni tipo di umano era interessante ai suoi occhi, ma Hideyoshi pareva esserlo più di tutti.
Era straordinario, sembrava uscito da uno di quei libri di avventura che Ken apprezzava tanto. Non era il classico eroe, dalle abilità fisiche insuperabili da chiunque altro, ma aveva il suo modo di essere speciale: incoraggiava sempre tutti, anche quando l'esito della battaglia sembrava negativo e in quanto guerriero, non essendo molto poderoso, si occupava per lo più dell'aspetto strategico. E non era solo dotato di una grande logica, era pure molto gentile. Non era privo di paure, ma se doveva salvare qualcuno non si tirava indietro facilmente.
Una delle scene più belle a cui Ken aveva assistito era di Hide che trovava un suo compagno a terra che ancora respirava, se lo caricava sulla spalla e lo accompagnava fino al villaggio nonostante le proteste prive di speranza dell'altro. Alla fine quell'uomo era morto, e Hide si era scusato con tutti per non essere riuscito a tenerlo in vita, come se fosse stata colpa sua.
Ken non poteva comprendere che significasse rischiare la propria vita per salvare quella altrui, eppure Hideyoshi lo faceva per professione. Proprio il contrario del suo lavoro.
Ken voleva rivederlo, al di là delle promesse che aveva fatto a Touka. Sapeva che rischiava, ma aveva avuto modo di assaggiare la novità, il pericolo e ora non poteva di colpo tornare indietro.
Si mise in piedi e osservò il portale davanti a sé con intensità. Era solo, nessuno del suo gruppo di shinigami quel giorno era a fargli compagnia in quello spiazzo in cui lavoravano. Nessuno avrebbe potuto testimoniare che Ken era andato nell'altro pianeta.
Si avvicinò al portale, sfiorò prudente l'altra dimensione con la punta delle dita, chiuse gli occhi e iniziò ad assaporare nella sua mente i caldi colori della Terra.
Qualcuno lo chiamò.
« Ken » ripeté la voce e lui si voltò di scatto, colto in flagrante. Rabbrividì, il suo interlocutore non era nientepopodimeno che Arima.
Il re esaurì i pochi metri che li separavano e lo guardò dall’alto in basso con i suoi occhi glaciali e inespressivi.
I pensieri di Ken si annullarono del tutto, e come di riflesso si inchinò.
« Sire » disse. Perché mai Arima era lì da lui? Quando era arrivato poi?
« È da un po' che non ci si vede » esordì il re. Ken giurò quasi di aver scorto l'ombra di un sorriso al di là di quello sguardo austero che lo pietrificava ogni volta.
Arima incuteva timore in molti di loro, ma non perché fosse un re cattivo o malvagio, tutt'altro, semplicemente perché tutti erano a conoscenza di quanto fosse potente. C'erano stati altri re in passato, ma nessuno si era mai guadagnato tanto rispetto quanto lui. Era capitato che gli shinigami abusassero del loro potere sugli umani, creando forti squilibri, o che addirittura si mischiassero all'altra specie al puro scopo di divertirsi creando piccoli o grandi casini. Sotto il regno di Arima nulla di tutto di ciò era mai successo e mai sarebbe accaduto. Da quando era il re, fra gli shinigami scorreva ordine e disciplina, anche se lui non aveva mai fatto nulla in particolare per guadagnarsi tutto ciò.
Ken pensava che forse era bastato il suo sguardo, così vuoto, tremendo e desolato che magari era l'inferno stesso in cui precipitavano gli umani dopo la vita. Forse era il suo essere totalmente bianco, come il colore della morte, dai capelli alle vesti. Era un'anima in bianco che vagava solitaria in quel mondo grigio di abitanti in nero.
Eppure Ken oltre che con Touka aveva flebili legami anche con lui. Si poteva dire che fossero in ottimi rapporti, dato che Arima nutriva in lui tutta la fiducia che non gli davano gli altri shinigami.
« Purtroppo il lavoro mi ha tenuto molto occupato, così come immagino sia stato per te. » Ken si limitò ad annuire. Forse era passato un secolo dall'ultima volta che si erano visti.
Arima si mise a suo fianco, e iniziò ad osservare un orizzonte che non esisteva.
« Ricordi quello che è successo nell'ultima generazione, no? Ecco, sono felice che tu abbia messo a tacere le voci che circolavano su di te. »
Ken non aveva idea di cosa dire, così continuò ad annuire silenziosamente. Arima proseguì il suo monologo: « Voglio che tu lo sappia, Ken. Non sono riuscito a dirtelo prima, quindi, anche se ora le acque si sono calmate, te lo riferisco adesso: non ho mai dubitato di te. » Lo disse e nella sua espressione apatica non mutò nulla. Anzi, intensificò lo sguardo con Ken, come se cercasse nei suoi occhi un guizzo che smentisse quel che aveva appena rivelato.
« So che sei spesso il soggetto del cortile tra shinigami a causa del tuo difetto, ciononostante sei sempre stato uno dei migliori lavoratori qui, e so che ciò resterà invariato. Il caos non è inevitabile e arriverà, ma so che non sarai tu a portarlo. Dico bene? »
Ken rimase in silenzio per qualche secondo. Tutti quei discorsi così all'improvviso dopo quel che era accaduto dieci giorni prima erano piuttosto sospetti, ma Arima non poteva mica controllare e sapere tutto e di certo Touka non aveva rotto il patto prima che lo potesse fare Ken. Forse che il re degli shinigami venisse a parlargli proprio ora era semplicemente un caso, oppure qualcuno di anche superiore a loro gli aveva mandato un segno, una sorta di coscienza che gli ricordasse cosa fosse giusto fare e cosa no.
« Sì, sire » disse infine, non credendo a quell'affermazione neanche un po'.
« Il tuo difetto Ken, te l'ho già detto, ma lo ribadisco, non si ripercuote in alcun modo sulla tua natura. È solo un futile dettaglio, non farti condizionare. Senza dubbio tu sei un ottimo shinigami, uno dei migliori. Gli altri vogliono solo metterti in ombra, ma tu non lasciarglielo fare. Continua a svolgere il tuo lavoro e, soprattutto, non farti coinvolgere da cose più grandi di te. »
L'ultima frase suonava quasi come un avvertimento. Come se davvero Arima già sapesse e fosse venuto lì per fargli da sapiente coscienza.
« Ora devo andare, arrivederci. »
« Arrivederci. »
Ken restò fermo sul posto mentre guardava Arima che si allontanava. Non poteva essere un caso che fosse venuto a dirgli tutto quello proprio ora.
Si voltò verso il portale alle sue spalle e sospirò. Era vero che aveva promesso il contrario, e ora anche a più di una persona, ma necessitava ardentemente di scendere sulla Terra. Come se le parole di Arima lo avessero trapassato senza colpirlo.
La verità era che sì, voleva rischiare, ma nel peggiore dei casi i danni si sarebbero ripercossi su di lui, non sulla sua popolazione. E questo era facilmente accettabile.
Sapeva contro cosa andava, sapeva cosa voleva fare e cosa non doveva fare. Aveva già deciso del suo destino, e neanche l'amicizia con Touka, le parole di Arima, né la leggenda dello shinigami Shuu l'avrebbero fatto desistere.
Non combinerò nulla, si disse, lasciando scivolare il suo corpo all'interno del portale. Non sapendo però se anche quest'ultima promessa con se stesso sarebbe stata infranta.






Arrivò sulla terra e la prima cosa che fece fu assumere forma umana. Era apparso nello stesso punto dell'ultima volta, ma gli ci volle un po' per capirlo, dato che adesso i colori erano variati: era sera, non c'era luce che filtrava tra i rami degli alberi, non c'era quel verde acceso che primeggiava su tutto, ma un tenue bluastro che abbracciava ogni cosa. I ciottoli del sentiero parevano splendere sotto la pallida luce della luna, e Ken camminò osservando tutto rapito quello scintillio.
La notte non era ancora calata, ma la sentiva gravare su di sé, la sentiva sussurrargli all'orecchio di sbrigarsi ad arrivare al villaggio prima che il buio lo inghiottisse.
Il suo camminare era così incerto improvvisamente, eppure stava seguendo lo stesso percorso dell'altra volta. Forse le parole di Arima lo avevano colpito in ritardo, e solo ora stava dubitando delle sue azioni. Eppure non gli passava per la mente neanche per un secondo di girarsi e tornare indietro. E anzi, più cominciava a intravedere le luci del villaggio più qualche misteriosa forza lo spingeva in avanti, dibattendosi con la sua riluttanza. Aveva paura, ma era esaltato. Gli pareva che le fantasie che aveva fatto in quei giorni stessero germogliando tutto in un colpo, e sentiva nel petto una sensazione che forse un libro avrebbe definito "adrenalina".
Arrivò al villaggio e constatò che questa volta il via vai di gente era diminuito. Tra le stradine in cui si affacciavano le case c'erano torce che illuminavano la via e di tanto in tanto qualche adulto o ragazzo, ma nessun bambino e nessuna donna in giro.
La gente lo squadrava come fosse un fantasma, un intruso, e in effetti non li si poteva biasimare, ma Ken non si fece intimorire – correva meno rischi lui con loro, che loro con la sua presenza. Era uno shinigami, d'altronde. Piuttosto si gustò con gli occhi la colorazione che assumeva il villaggio a quell'ora, come il fuoco delle torce tinteggiava i muri in mattoni con schizzi di giallo, o come quei misteriosi fiori di gemme brillassero ancor di più, creando giochi di luce sul terreno. Tutto era cambiato simultaneamente, tutto era diverso, ma lo era nello stesso modo di prima.
Ken arrivò nella piazza principale. Anche se era sera rimaneva l'ambiente più vivace. Certo, non si poteva paragonare a com'era fitto di gente la mattina, ma comunque la maggior parte delle persone del villaggio si concentravano là.
C'erano vari gruppetti di adulti che chiacchieravano, e le torce erano appese per il colonnato circolare. C'era una quiete generale che avvolgeva tutto, forse dovuta all'assenza delle urla dei bambini e dei mercanti.
Ken guardò la fontana che torreggiava al centro e vi si avvicinò. Osservò il flusso continuo dell'acqua e ripensò a quando aveva conosciuto quell'umano, Hideyoshi. Ammetteva che una delle sue più grandi speranze era quella di rivederlo, anche se neanche lui sapeva il perché – del resto non si erano lasciati in un bel modo l'ultima volta, ma rincontrarlo era una delle fantasie più vivide e frequenti che aveva abitato nella sua mente.
Fece un mezzo sorriso e si diede dello stupido. Non c'erano poi così tante probabilità che lo incontrasse, anzi, forse proprio nessuna – considerando l'orario soprattutto. E anche se avesse incrociato il suo sguardo caldo non avrebbe avuto il coraggio di avvicinarglisi, né sicuramente il guerriero dai capelli di luce l'avrebbe fatto. All'improvviso capì che tutto quel gran guaio, tutte quelle situazioni assurde, tutto quel pericolo, erano per lo più nella sua mente e da nessun altra parte. E lui era lì, come uno sciocco ad aspettare ancora una volta il nulla.
Si sedette avvilito sul bordo del monumento e sospirò, l'entusiasmo di prima era stato preso a pugni dalla realtà. Ecco, la verità dunque era solo quella: era malato, era uno shinigami anomalo che si era fatto intrappolare dalle stupide e dolorose congetture umane, dai loro pensieri fini solo all'autodistruzione.
Ken si sentì svuotato, non com'era abituato a provare, ma molto peggio. Il vuoto di prima era qualcosa che aveva sempre avuto e che attendeva di venire riempito; quello di ora era il vuoto dopo essersi sentito completo e pieno per una volta, e questo lasciava un buco in lui anche più profondo. Prima di concreto non aveva nulla su cui disperarsi, ora sì.
Guardò la gente che passeggiava davanti a lui trattenendo numerosi sospiri, osservò i loro volti per lui anonimi, i loro sorrisi, il divertimento, la rabbia, la tristezza. Li invidiò per quel che potevano possedere.
A un certo punto accadde l'impensabile: di uno di quei gruppetti che gli passavano davanti faceva parte proprio Hideyoshi. Ken lo guardò intensamente, come se sperasse di essere notato o fosse solo rimasto rapito dalla sua visione, sentì ogni muscolo immobilizzarsi, la gola diventare secca.
Hideyoshi chiacchierava con altri ragazzi della sua età, amici o colleghi, con un sorriso stampato sul volto. Ken avrebbe voluto chiamarlo, gridare un "ehi!", ma sarebbe stato stupido farlo. Di certo Hide non si ricordava di lui, non aveva motivo di farlo, così Ken si limitò a fare quel che faceva sempre anche nel suo mondo: lo osservò in silenzio, da una vetrina, da una teca di vetro che li avrebbe separati per sempre. A un certo punto l'umano incrociò il suo sguardo, e Ken in un barlume di desiderio si chiese se l'avesse riconosciuto. Purtroppo passarono pochi secondi prima che Hide distogliesse gli occhi e riprendesse la sua attività. Ken ancora una volta si rimproverò mentalmente per le speranze che aveva nutrito con follia. Non riusciva più a ricordarsi per quale motivo fosse sceso sulla Terra, e aveva una voglia matta di tornare nel suo pianeta, come se lì la situazione avesse potuto migliorare. Si mise in piedi sentendo le gambe intorpidite e deboli, e iniziò ad allontanarsi dalla fontana pur non avendo una meta. Ci aveva provato, non c'era riuscito... Fine.
« Keeeen! » quell'urlò squarciò la quiete e Ken si voltò di scatto, senza avere neanche il tempo materiale di comprendere cosa fosse accaduto. Si ritrovò di colpo con la schiena a terra, dolorante, e un peso non trascurabile addosso che gli impediva di rialzarsi.
Durante l'impatto per istinto aveva chiuso gli occhi, e dovette superare un po' di paura prima di aprirli.
« Ken! » su di lui troneggiava Hideyoshi, con uno dei sorrisi più esaltati che gli aveva mai visto in viso – o forse era il vederlo dal vivo che lo faceva sembrare tale.
Ken era ancora troppo confuso per aprire bocca, e metabolizzò l'accaduto solo qualche secondo dopo. Aveva così tanti e vorticosi pensieri in quel momento che guizzavano via dalla sua presa come pesciolini; quel che più lo disturbava, al di là del violento impatto con il terreno, era il contatto fisico. Gli umani possedevano una temperatura corporea molto, molto più alta di quella degli shinigami, e percepire quel calore contro di sé non sapeva dire se gli facesse senso o paura.
« Ma dove diamine sei sparito in questi giorni? Io ti aspettavo, e tu sei scomparso nel nulla! » quella rivelazione lo stupì, ma gli fece piacere in fondo. Hide aveva corrugato le sopracciglia fingendo un'espressione offesa, premendo le mani contro le sue spalle. Ken tuttavia non aprì bocca, ancora confuso e inconsapevole di quali fossero le intenzioni dell'altro.
« Amico, oddio, stai tremando! » Hide si alzò di colpo da lui. « Scusa, ti ho fatto male? È per questo che tremi? »
Ken deglutì. « N-No... » mormorò.
L'altro si prese il mento tra pollice e indice assumendo un'espressione pensosa. « Ah! » fece all'improvviso, sorridendo come se fosse giunto a una soluzione. « Ti ho per caso spaventato? »
La verità era che sì, Ken si era spaventato per numerosi fattori: primo, all'inizio non aveva capito che era successo; secondo, era accaduto tutto troppo in fretta; terzo, sì, lo affascinavano gli umani, ma preferiva tenersi da loro a debita distanza. Ciononostante non sapeva il perché ma non voleva rivelare di aver provato paura.
« No... Non ho avuto paura, ma... fai sempre così? » chiese invece.
Hide rise. « Eh già! All'inizio sconvolgo un po', ma vedrai, i miei amici ci hanno fatto l'abitudine, e ce la farai anche tu! »
Il tutto suonava come un "ci vedremo altre volte" e Ken si chiese se fosse davvero finita così.
« Scusami amico, comunque, ho esagerato. Cercherò di andarci piano. » Gli tese la mano per aiutarlo a mettersi in piedi.
« Sto bene » ribadì Ken, rifiutando l'aiuto e facendo forza sulle braccia per alzarsi.
Ci fu qualche attimo di silenzio imbarazzante, poi Hide aprì bocca.
« Ho così tante cose da chiederti, sono così curioso, e vorrei raccontarti tanto anche io. Ma ho davvero paura che fuggirai come l'ultima volta; sarà così? » chiese con gli occhi che brillavano di aspettativa.
Ken era lì proprio per continuare quel da cui era scappato la scorsa volta, ma doveva ammettere che ora tutto sembrava più spaventoso di quanto avesse immaginato. Cosa gli avrebbe chiesto Hide? Di cosa potevano parlare un umano e uno shinigami che si fingeva tale?
« Cercherò di non scappare » promise.
Hideyoshi gli sorrise ancora, rassicurante. Vederlo senza armatura, con una semplice maglia leggera addosso faceva risaltare il suo fisico, non possente, ma di certo più allenato di quello di Ken da umano.
« Se provi ad abbandonarmi di nuovo sarò molto offeso la prossima volta! » fece una sorta di broncio. Si comportava così con naturalezza, quasi fosse un bambino e come se conoscesse Ken da più tempo di quel fugace scambio di parole dell'altra volta.
« Okay, beh, allora cominciamo... Seguimi! » Hide gli diede una pacca sulla schiena per invitarlo a seguirlo. Ken fece come gli era stato richiesto tenendosi però a debita distanza.
« Primo di tutto, come mai non ti avevo mai notato prima? È davvero solo la seconda volta che vieni in questa piazza? »
Ken annuì.
« Ma sei di qui, no? Sei di Anteiku? O vieni da un altro villaggio? »
Ken deglutì, e cercò di non rimanere in silenzio per troppo, ma non voleva dire cavolate.
« Ecco, vengo da un villaggio accanto, ma adesso vivo qui con mio... con mio zio » improvvisò.
« Vero? Come si chiama? Forse lo conosco. »
Ken iniziò a guardarsi intorno a disagio. « Non penso che tu lo conosca. Viviamo lontani dal centro del villaggio, lui si occupa di pesca e commerci marittimi. » Lo shinigami ringraziò la conoscenza appresa dai libri.
« Oh capisco, quindi tu imparerai il suo mestiere? Ma, aspetta, prima ancora, quanti anni hai? »
Ken rimase in silenzio per qualche attimo. « Tu? » chiese.
Hideyoshi rimase un po' sorpreso quando la domanda gli venne rigirata senza ottenere risposta, ma non insistette. « Io ne ho venti. »
« Anche io » disse all'improvviso.
« Oh, ti facevo più piccolo, anche se di poco. Quindi davvero non hai ancora un lavoro? » Hide sembrava molto sorpreso, e negativamente.
Ken non sapeva cosa dire, poi improvvisò ancora: « È per questo che gironzolo in città di recente... »
Hide bloccò di colpo la sua camminata tra le stradine del villaggio. Ken si accorse solo a quel punto d’essersi lasciato guidare senza prestare attenzione a quel che li circondava, dato che erano in un’area della città mai vista prima.
« Ken, davvero, non ti arruolare. Non lo dico per offenderti, ma- »
Lo shinigami sospirò. « Nessuna offesa, ma non voglio arruolarmi, te l'ho già detto. »
Hide sorrise rassicurato. « Lo dico per il tuo bene, non farebbe per te un lavoro del genere. Pensa, anche io sono totalmente fuori luogo in quel settore, immagina te! Ehm, senza offesa di nuovo.
« Ecco, avrei preferito fare il mercante magari, credo che avrei convinto con facilità chiunque a comprare i miei prodotti. E invece eccomi qua, il destino ha scelto altro per me. Ma tu, fintanto che puoi scegliere, fallo con coscienza. »
A Ken parve di vedere un barlume di tristezza negli occhi del suo interlocutore, ma non indagò oltre. Continuò a farsi guidare e continuarono a parlare del più e del meno. Più personali erano le domande, più Ken le evitava. Naturalmente la conversazione andava avanti solo grazie a Hideyoshi, che sembrava non esaurire mai la sua curiosità né la parlantina. Gli raccontò di alcuni aneddoti della sua vita, di come da più di tre anni era rimasto senza genitori, e di come per sopravvivere era entrato a far parte dell'esercito ereditando l'armatura che gli aveva lasciato il padre. Gli narrò dei nemici che minacciavano Anteiku in quel periodo e del tempo di pace che pareva essersi stabilito da poco che gli avrebbe permesso di riposarsi un po'.
Ken lo ascoltava rapito, sperando che il suo turno di parlare non dovesse mai arrivare.
Hideyoshi lo portò un po' in giro, gli indicò qualche locanda qua è la, gli fece vedere da lontano la sua abitazione, gli mostrò dove a fine settimana di tanto in tanto andava a bere con i suoi colleghi per rilassarsi.
Infine avevano preso un sentiero che si allontana mano a mano dalla citta, e ora camminavano in mezzo ad alberi e vegetazione. Ken non sapeva dove Hideyoshi lo stesse portando, e il buio crescente non faceva che peggiorare le cose. Eppure continuava a farsi guidare da lui, nonostante il timore che custodiva dentro.
« Siamo quasi arrivati! » annunciò Hideyoshi, scostando dei cespugli che gli impedivano il passaggio. Tese la mano a Ken.
« Vieni, su » lo sollecitò. Ken titubante questa volta afferrò quella mano molto più calda della sua.
Si ritrovarono in uno spiazzo senza più alberi né cespugli, solo terra. Era un po' piccolino e terminava con un dirupo. Tuttavia era magnifico, perché quel che c'era in basso, qualche metro sotto, era sabbia e, un po' più avanti, il mare. Il mare di cui aveva letto tanto nei libri, magnifico ancor più di come veniva descritto.
« Oggi siamo fortunati, la luna è piena e più luminosa del solito e non è ancora notte fonda, ma presto potrebbe anche sembrare un anonima distesa nera. » Disse Hide, ma Ken non lo stava più ad ascoltare. Osservava i delicati raggi della luna che si increspavano con l'acqua. Quel flebile riflesso diradato e la luce crescente delle stelle al di sopra.
« È stupendo » soffiò, incantato da quello spettacolo. L'aria sembrava più fresca di prima e gli accarezzava la pelle con gentilezza. Lo scroscio delle onde era quanto di più rilassante potesse esistere.
Hideyoshi sorrise soddisfatto. « Lo dici come se non avessi mai visto il mare prima, pur vivendo con un mercante » ridacchiò. « Devo ammettere che non sono mai stato al porto io, ma immagino che una visione così bella del mare ci sia qui e da nessun altra parte. »
Ken si risvegliò da quella intensa contemplazione.
« Lo penso anche io » disse.
« Se lo dici tu che abiti accanto al mare, non posso che esserne felice. »
« Già. » disse Ken. Già.
Di colpo però si voltò verso Hide. « Come mai mi hai portato qui? » anche se la domanda più corretta sarebbe stata "come mai mi parli anche se il nostro primo incontro è stato un disastro e io sto palesemente inventando tutto quel che ti dico e tu l'hai forse anche capito?"
Hide si voltò verso di lui e sorrise. Sembrava quasi che quella fosse la piega naturale delle sue labbra, come se non si stancasse mai di tenerle tirate verso l’alto.
« Perché ho trascorso una bella oretta a chiacchierare con te. Sei un po' timido e un po' misterioso, ma sono stato bene con te. E a dire la verità mi ispiri simpatia sin dal primo istante. Perché? mi dirai, e io ti risponderò semplicemente: istinto. Mi fido molto del mio istinto, e in genere non sbaglio a farlo.
« Ma più di tutto, il perché ti ho portato qui e che volevo vedere sul tuo viso la sfumatura di un'emozione vera. Speravo di strappartela io, ma non ci sono riuscito. Sono un po' geloso delle doti del mare adesso, ma almeno ho ottenuto quel che volevo. »
Ken lo guardò confuso, tuttavia non disse nulla. “Simpatia” non sapeva che fosse, “istinto” non conosceva neanche quello. C'erano tante cose che non capiva ancora di Hideyoshi, ma il tutto lo affascinava anche di più.
"Perché quegli occhi tristi?" si ricordò di quando si erano conosciuti. Era stato l'istinto di Hide a suggerirgli che Ken fosse triste?
« Parli sempre così...? »
« In un modo così assurdo e strano con frasi che apparentemente non significano nulla? Eh sì, proprio così, ti dovrai abituare anche a questo. » ridacchiò. « Credo di starti spaventando con i miei modi, è così? »
Mi piacciono i tuoi modi, avrebbe voluto dire Ken, ma si limitò a negare con un gesto del capo.
« Meglio così. » sospirò Hide.
Ci fu qualche attimo di silenzio, ma lo ruppe in fretta.
« Ken, non prendertela, ma io penso che tu mi nascondi qualcosa. Ricordi dieci giorni fa? Ti chiesi perché fossi triste, ma non ottenni risposta. Tuttavia ne sono ancora convinto: tu sei triste, per un motivo o per un altro. Non voglio che tu me lo dica, anche se magari un giorno avrai voglia di rivelarmelo di tua volontà, ma voglio aiutarti almeno un po' a superare il tutto. »
Il ragazzo si sedette a terra e fece cenno all'altro di imitarlo. Ken lo raggiunse titubante.
« Ammesso che io sia triste, » cominciò Ken, insicuro (come se uno shinigami potesse essere triste!) « perché vuoi aiutarmi? »
Hide guardò verso l'alto come si aspettasse che la risposta cadesse dal cielo.
« Istinto » rispose infine.
« È quello che dici quando non hai una vera giustificazione? » lo schernì Ken.
« Molte delle mie azioni sembrano immotivate e senza giustificazione. Così pensavo all'inizio, ma ora so che non è proprio così. L'istinto è quel grido interiore che ti obbliga a fare le cose senza pensarci troppo. Non che io non sia saggio, ma a volte lo sento e basta che devo fare qualcosa. »
Ken annuì. Istinto. Forse anche gli shinigami avevano un istinto, ed era quello che aveva portato Ken a riscendere sulla Terra nonostante tutto.
« E come mi aiuterai? » chiese curioso.
« Ah, questa è una bella domanda! Perché sai, non ne ho idea. Però mi sembrava un buon modo per iniziare questo qua. È il posto in cui mi rifugio quando ho bisogno di quiete e silenzio, in cui posso affrontare i miei pensieri. »
« Io odio il silenzio » rivelò di colpo Ken, e l'altro strabuzzò gli occhi.
« Cosa? Non l'avrei mai detto. »
« Io non avrei mai detto che a te potesse piacere. »
Hide inarcò un sopracciglio. « Okay, sì, sono un tipo rumoroso, ma anche io ho bisogno di calma ogni tanto! Ed è sempre più arduo per me trovarla. »
Ken ridacchiò. Gli venne spontaneo, e forse era il primo sorriso che rivolgeva a Hideyoshi.
« Ehi, ce l'ho fatta! » esclamò entusiasta l'altro nel giro di pochi secondi. Si mise di scatto in piedi incurante della manciata di terra che sollevò. «Ah, prendi questo mare! Anche io suscito emozioni belle! » urlò indicando la distesa di acqua.
Questo non fece che far persistere il sorriso di Ken.
Hide si sedette di nuovo sospirando.
« Di’ la verità Ken, c'è qualche questione amorosa dietro la tua ricerca del lavoro, eh? Cos'è un amore proibito che tuo zio non è disposto ad accettare ma che tu vuoi coronare a tutti i costi? Su non fare il timido, chi è la ragazza in questione? » ammiccò.
« Eh? » Ken avvampò anche se non aveva motivo per farlo. « No » sbottò mentre Hideyoshi rideva. In realtà quel che lo fece imbarazzare più di tutto era il viso di Touka che gli comparve per la mente per qualche breve secondo.
« E io che credevo che fossi un tipo romantico. Peccato, ti avrei chiesto di invitarmi al tuo matrimonio e, anzi, ti avrei aiutato a realizzarlo! » Hide pareva esaltato all'idea, come se già si stesse immaginando l'intera scena.
Ken mantenne lo sguardo verso il basso. Doveva ammettere che l'amore l'aveva sempre incuriosito, ma era qualcosa che per come era fatta la sua natura non avrebbe mai potuto conoscere al di fuori delle pagine di un libro.
« E tu? » chiese al suo compagno « sei sposato?»
Hide fece una sorta di smorfia e un sorriso rammaricato.
« No, e non penso lo sarò mai » asserì e calò il silenzio, ma Ken non riuscì a trattenere la curiosità.
« Come mai? »
« Tante cose. Primo di tutto sono troppo vecchio per trovare moglie e non mi va di chiedere la mano di qualche figlia di un mio collega. Poi, non ho voglia di avere figli, anche se così la stirpe della mia famiglia si estinguerà. Sarà strano, ma se dovessi avere una famiglia vorrei godermela e non sono nelle condizioni di poterlo fare. Certo, non che disprezzi la compagnia delle ragazze, anzi, ma... »
« Come mai? » chiese di colpo Ken. « Come mai non sei nelle condizioni di poterlo fare? »
Hide prese un sospiro profondo e soppesò a lungo le parole. Pareva essersi perso dentro qualche profondo universo di pensieri.
« La morte. » disse all'improvviso e Ken sbiancò, come se fosse appena stato accusato di qualcosa. « Questa signora incombe su di me ogni giorno, mi affianca sul campo di battaglia. Io cerco di evitarla, ma lei aspetta l'occasione propizia per prendermi tra le sue gelide braccia. E, ahimè, sono abbastanza convinto che ci riuscirà ben presto, dato finora me la sono cavata troppo facilmente. »
Calò un pesante silenzio. Ken non avrebbe mai giurato che il guerriero dai capelli di luce potesse essere triste o spaventato. Vederlo così cupo all'improvviso lo allarmò. Avrebbe voluto regalargli parole di consolazione, ma lui, proprio lui, che poteva dirgli?
Hideyoshi rise come per scacciare lontano brutti presagi e pensieri. Si voltò versò Ken e forzò un sorriso per rassicurarlo, come se si vergognasse di aver lasciato cadere quell'aura di coraggio e perfezione che lo avvolgeva sempre, come se lui fosse un umano a cui le emozioni negative non fossero concesse.
« Scusa » mormorò e Ken avrebbe voluto dirgli che non aveva motivo di scusarsi. Il silenzio cadde su di loro come una pesante pietra, poi Hide prese parola, con la voce tremante per la prima volta.
« E tu, Ken, hai paura della morte? »
Ken deglutì, ma non rispose mai a quella domanda.








note: Sono in ritardissimo, sorry! A quanto pare ci ho messo più del dovuto e spero non ricapiti in futuro (ma non voglio fare promesse che non sono in grado di mantenere).
Non ho nulla da dire su questo capitolo se non che mi farebbe piacere sapere cosa ne state pensando.
ringrazio chi sta seguendo la storia♥
Saluti,
Eeureka
  
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