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Autore: Aiqul Marnerazver    24/06/2017    1 recensioni
Dopo la riforma del 2022 istituita dal governo di Singapore, la quale fa si che tutti gli appartamenti dell'omonima città presentino delle telecamere per prevenire eventuali pianificazioni di attacchi terroristici, il medico Alexander Pears conduce la sua vita con la moglie Mary. Ma quando tutto verrà sconvolto, quando una sola decisione cambierà le sorti della sua vita, Alexander si ritroverà davanti ad una scelta che determinerà non solo il suo destino, ma anche quello di molti cittadini...
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La telefonata arriva nel cuore della notte, e a momenti ci fa morire di paura.
«Rispondi, rispondi!» grida mia moglie. «O signore, chi sarà mai? Rispondi!»
Non trovo l’interruttore, ma riesco lo stesso ad arrivare all’altra stanza, dov’è il telefono, e al quarto squillo tiro su la cornetta.
«Alexander?» chiede qualcuno dall’altro lato del telefono, facendomi balzare il cuore in gola, mentre la solita sensazione di ansia e paura torna ad avvolgermi.
«Sono io» rispondo al mio amico Robert.
«Il caso è chiuso, la giuria l’ha ritenuta colpevole. Mi dispiace».
Tre frasi pronunciate a mezza voce, e la mia vita crolla.
Mi sveglio di soprassalto, ansimando, e mi guardo attorno. Stessa stanza, stesse tende, stesso letto, ma della luce filtra dalle imposte delle finestre, e nell’aria aleggia quell’odore di chiuso tipico di ogni mattina. Mi giro automaticamente verso sinistra, sperando di rivederla, di poterla abbracciare, salutare, di poterle sorridere, ma il letto è vuoto. Mi alzo e vado in cucina.
Sono passati ormai tre anni da quella terribile notte, ma ricordo tutto nei minimi dettagli. La voce di Robert e poi quella dell’avvocato Walton, quella voce dannata che mi avvertiva che la stavano venendo a prendere. Prendevano lei, Mary, la mia Mary, la volevano portare in prigione per un crimine che non aveva commesso. Ricordo tutto di quella notte infernale. Chiesi spiegazioni all’avvocato, ma quello riattaccò la cornetta, senza ascoltarmi. Tornai difretta nella camera da letto dove Mary stava in piedi ad aspettarmi, con gli occhi sgranati di quando era spaventata.
«Dobbiamo scappare» dissi, molto semplicemente. Lei comprese al volo, come sempre fra di noi. Scattammo entrambi verso i rispettivi armadi, prendendo delle valigie e riempendole alla rinfusa, cercando di essere il più veloci possibile, ma non lo eravamo abbastanza. Lo capii quando udimmo le sirene della polizia, quando sentii trillare il campanello, quando iniziarono a bussare con sempre maggiore insistenza.
«Scappa» le sussurrai. I poliziotti sfondarono la porta e iniziarono ad invadere la nostra casa, ad entrare in tutte le stanze, fino ad arrivare a noi.
«Scappa!» le urlai, scagliandomi contro la guardia più vicina, ma quella se lo aspettava e le bastò un colpo ben piazzato per stordirmi ed immobilizzarmi.
Getto con violenza la caraffa dl caffè nella macchinetta. Mia moglie, la mia amata Mary, una detenuta. Era inconcepibile. La mente mi torna al processo, lì dove tutta la mia vita ha iniziato a diventare un incubo. Il giudice Smith, un vecchio spocchioso e agiato, era chiaramente corrotto dagli avvocati dell’accusa, i quali sostenevano che Mary fosse una spia del governo ucraino e che volesse divulgare informazioni private. Tutte idiozie. La mia Mary si era trovata per caso in quella sala per le riunioni. Lei lavorava come donna delle pulizie nel grande edificio della Mclean’s Industries, e non si aspettava certo di assistere ad una riunione segreta al fine di abbattere illegalmente alcuni nemici economici, e quando entrarono tutti i funzionari nella sala lei non se ne accorse nemmeno. Aveva sempre avuto qualche problema, poverina; non brillava per la sua intelligenza, e non aveva capito a cosa stava assistendo. Solo a metà della riunione si accorsero di lei, quando ormai avevano detto tutti i loro sporchi segreti. Non avevano scelta, dovevano eliminarla, sapeva troppo. Il processo fu breve, l’accusa scontata. Uno può anche parlare sotto giuramento, ma tanto sono tutti corrotti, e non si esce mai assolti, non in questa economia, non in questo stato. Non a Singapore, dove ogni angolo della città si trovano delle telecamere, e non quando esse sono facilmente manovrabili grazie alla riforma del 2022 che ha approvato le telecamere anche negli appartamenti. E lei era solo una donna delle pulizie, che importanza poteva avere? E suo marito era solo un medico di bassa popolarità, che problema c’era se sollevava qualche protesta?
Apro il giornale e leggo distrattamente il titolo della prima pagina, che recita a caratteri cubitali: “Killer di Singapore colpisce ancora, ucciso uomo di 43 anni, la polizia indaga”. Sorrido amaramente, e mi avvio verso il bagno.
Ricordo quando lessi, qualche mese prima, il giornale della domenica, lo stesso giornale dello stesso editore. Ma quel giorno, il 27 settembre 2023, c’era un titolo particolare che catturò la mia attenzione. Alla terza pagina del giornale, in un angolo sulla sinistra, un titolo recitava: “Morta suicida una donna di 37 anni in prigione”, e subito sotto: “Mary Elisabeth Pears, 37 anni, si è uccisa alle prime ore di questo mattino. La donna, condannata a 28 anni di prigione per divulgazione non autorizzata di informazioni, è…”
Non lessi oltre. Non ci riuscii. Quel momento è l’unico che non riesco a ricordare con chiarezza. Sentivo solo dolore, forte, così forte da farmi desiderare la morte, tutto purché finisse. Ma presto al dolore si sostituì la rabbia, e poi l’odio, e poi la voglia di vendetta. Quando ripresi coscienza, ero in cucina, le mani piene di tagli e schegge, i piatti fatti a pezzi, gli elettrodomestici scagliati in un angolo per terra, il tavolo rovesciato, i mobili gettati sul pavimento. Ma io ero lucido. Io l’avrei vendicata, io le avrei reso giustizia. Io avrei dato pace alla mia povera Mary, vittima di uomini più potenti di lei.
«Ora capisci, Robert?» dico all’uomo incatenato per terra, dopo aver chiuso la porta del bagno, l’unico posto in cui il governo non mette telecamere. Lui sgrana gli occhi e mugola, la bocca serrata da un fagotto di stoffa e corde. So già che lui ha intuito di cosa sto parlando.
«Non potevo lasciare che loro vivessero. Erano una macchia, una sporca e disgustosa malattia. Per rispondere alla tua domanda», dico mentre getto uno sguardo ai suoi occhi imploranti, «…ho ucciso io l’avvocato Walton, il giudice Smith e James Theodore Mclean».  Storco la bocca mentre pronuncio il nome del proprietario dell’omonima società. «Ho dovuto uccidere anche Marcus Dakno, la guardia che mi ha impedito di far fuggire Mary. Lui ha contribuito, capisci?» sorrido, piegando la testa di lato, assaporando l’ironia, mentre prendo la pistola appesa al muro.
«Sono un medico, lo sai. Ho giurato di usare le mie conoscenze per il bene degli uomini, e l’ho fatto. Ho giurato di rendere felice mia moglie, quando l’ho sposata, e l’ho fatto. Manchi solo tu. Robert Leonard Hale. Tu hai testimoniato contro di lei, ti hanno corrotto, è da te che è partito tutto, ed è con te che deve finire. Addio, Robert. Spero che ti sia pentito».
Sparo senza nemmeno pensarci, anche se il silenziatore non è innescato, tanto non ha più importanza. Voglio che tutti sappiano, che sappiano che sono stato io, che ho vendicato mia moglie.
«Visto, Mary?» sussurro, ricaricando la pistola. «Ora staremo entrambi bene, non preoccuparti». Sento qualcuno che suona il campanello, ma non mi muovo, è troppo tardi. La partita è finita, ed io ho vinto, devo solo togliere la mia pedina. Mi punto la pistola alla tempia e sparo. 
   
 
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