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Autore: Found Serendipity    24/06/2017    0 recensioni
Arthur premette sull'accendino avvicinandolo alla sigaretta e lo ripose nella tasca del cappotto scuro, sollevando la testa al cielo.
Non era di buona famiglia, non era ricco, non aveva studiato.
Arthur era sostanzialmente un bastardo nato per sbaglio, un bastardo con un nome da borghese e una mente da filosofo.
Non vedeva, Arthur, eppure vedeva più di tutti gli altri.
La vita non gli aveva dato granché, e non si può dire che non si fosse mai chiesto "perché?". Era una di quelle persone che hanno perso tanto e che pensano di non avere nulla da perdere, quando hanno più degli altri.
Avrebbe voluto vedere troppe cose.
Avrebbe voluto vedere le gocce di pioggia, non solo sentirne l'odore e provare la sensazione sui polpastrelli; avrebbe voluto vedere i fulmini, e non solo sentire il rombo dei tuoni, avrebbe voluto vedere foglie cadere da alberi troppo gonfi e foglie germogliare da rami intirizziti, avrebbe voluto vedere un sorriso o soltanto il posto in cui passava le sue giornate.
Arthur pensava di non provare affetto per un mondo fatto di ombre. Un mondo che i suoi occhi grigi non potevano cogliere.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Morte

 

 

 

Il solo pensiero di morire è estraneo agli umani. Non si può morire, almeno, non permanentemente. Semplicemente, nessuno è in grado di accettarlo.

Perché anche quando ci si immagina quel che viene definito "il nulla", si tratta comunque del nero o del bianco infinito, fin dove lo sguardo può arrivare.

La mente umana non è in grado di accettare la non esistenza; si rifiuta e si ribella, cercando un modo, un altro modo per continuare a sopravvivere.

E quel che viene più facile è il pensare a una vita migliore dopo la morte, una sorta di premio per chi sulla Terra si è comportato bene.

Il problema è che è anche un modo facile per controllare le masse.

E se...

E se non ci fosse nulla? E se non potessimo scoprire cosa accadrà dopo di noi?

E se cessassimo di essere qualcuno, di avere un'identità?

E come può essere bello un mondo dove non ci sono le persone che ami? Come può essere bello un mondo a cui accedi lasciando i tuoi cari in balia degli eventi, magari a patire la fame, la malattia, la guerra?

Come puoi accettare di lasciare quelle persone che hai giurato di proteggere?

E se i morti provassero dolore quanto e più dei vivi?

 

 

 

Arthur premette sull'accendino avvicinandolo alla sigaretta e lo ripose nella tasca del cappotto scuro, sollevando la testa al cielo. Non era di buona famiglia, non era ricco, non aveva studiato. Arthur era sostanzialmente un bastardo nato per sbaglio, un bastardo con un nome da borghese e una mente da filosofo.

Non vedeva, Arthur, eppure vedeva più di tutti gli altri.

La vita non gli aveva dato granché, e non si può dire che non si fosse mai chiesto "perché?". Era una di quelle persone che hanno perso tanto e che pensano di non avere nulla da perdere, quando hanno più degli altri.

Avrebbe voluto vedere troppe cose.

Avrebbe voluto vedere le gocce di pioggia, non solo sentirne l'odore e provare la sensazione sui polpastrelli; avrebbe voluto vedere i fulmini, e non solo sentire il rombo dei tuoni, avrebbe voluto vedere foglie cadere da alberi troppo gonfi e foglie germogliare da rami intirizziti, avrebbe voluto vedere un sorriso o soltanto il posto in cui passava le sue giornate.

Arthur pensava di non provare affetto per un mondo fatto di ombre. Un mondo che i suoi occhi grigi non potevano cogliere.

Sognava in bianco e nero. Come i film, stando a quello che diceva Cecile.

Passava le sue giornate a pensare, a porsi quesiti a cui non dava risposte.

Cecile era una ragazza che dalla vita aveva avuto tanto: una buona famiglia, una voce da cantante lirica e una buona dose di carisma che a quanto diceva Arthur rendeva tutto infinitamente più semplice. Ma la cosa che gli dava più fastidio di Cecile era sicuramente la sua costante voce compassionevole. Faceva di tutto per lui, e sarebbe soltanto dovuto esserle grato, ma la verità era che odiava quel tono. Odiava essere spostato da una parte all’altra come un pacco postale, imboccato, persino, trattato come un disabile. E ovviamente lei non si lamentava quando lui denotava il fatto che non volesse tutte quelle attenzioni, e questo rendeva tutto complicato, facendolo sentire uno stronzo.

Se avesse mai pensato al suicidio? Certo, aveva ponderato a lungo quella possibilità, a volte addirittura gli capitava di afferrare il cappotto e poggiare la mano sulla maniglia della porta, ma poi deglutiva, si voltava e sospirava pesantemente, rinunciando ai suoi propositi.

C’erano giorni in cui gli capitava di parlare a Cecile della morte, ma lei si rifiutava di accettare idee ciniche come le sue. “Nulla...?” Chiedeva con voce stupita, e a lui pareva quasi di sentire il fruscio dei suoi capelli mentre scuoteva la testa lentamente. “Come puoi vivere così?” gli domandava poi, e puntualmente lui scrollava le spalle, e la conversazione finiva nel vago ticchettio dell’orologio in salotto.

Ma poco tempo prima, seduti sul tavolo della cucina di casa sua, tanto familiare quanto sconosciuta, avevano avuto quella discussione nuovamente. E lui aveva risposto.

«Morire non sarebbe tanto diverso dal vivere, nella mia situazione. Non c’è nulla qui, non c’è nulla al di là di una pallottola in testa, o di una trincea, o tantomeno di un salto nel vuoto»

Credeva che sarebbe stata zitta, che avrebbe incassato. Ma non aveva previsto quello che gli avrebbe rivelato dopo.

«Non c’è nulla dopo la “Spagnola”*» aveva sussurrato, e lui aveva socchiuso le labbra e spalancato quei suoi occhi grigi e inespressivi, afferrando all’istante quello che aveva detto lei.

«...quanto ti hanno dato i dottori?» aveva chiesto con un groppo in gola.

«Non ne hanno idea»

La mera possibilità di perdere Cecile era insopportabile per lui. E sapeva fosse un concetto puramente egoistico, ne era consapevole, ma d’altra parte non lo è sempre? Perdere qualcuno che ami ti distrugge perché intuisci quanto ti mancheranno le sensazioni che lui ti faceva provare, e questo, per Cecile, era orrendo. Per Arthur era la prova di quanto il divario fra esseri umani e animali fosse labile, e commentava spesso quanto lo trovasse rassicurante. Ma ora non lo era più.

 

Poi, un giorno, Cecile smise di venire. Nessuno gli disse che fosse morta. A nessuno importava di Arthur, un cieco qualunque che non sapeva neanche di che colore fossero i capelli della ragazza. E non aveva senso che tutto finisse in quel modo assurdo. Ma lui sapeva che non ce l’avesse fatta. Sapeva che non l’avrebbe mai abbandonato, se avesse potuto. Era Cecile. Era il suo punto fermo in una vita caotica che non riusciva a controllare.

Quando le aveva chiesto come si sarebbe voluta suicidare, se mai avesse potuto, lei gli aveva risposto che sarebbe saltata da una scogliera.

“Vorrei sentirmi veramente viva prima di morire. Vorrei sentire il vento che ferisce la pelle del mio viso e fischia nelle mie orecchie, il mare che si avvicina sempre di più.”

E Arthur aveva preso una buona parte dei suoi risparmi, indossato il suo cappotto ed era partito verso Dover. 

E quel pomeriggio di novembre aprì gli occhi, saltando nel baratro che non riusciva a scorgere. Era solo l’ennesima ombra in un mondo che gli mostrava solo quelle.

E lo sentì, il vento.

Ma non si sentì vivo neanche per un istante.

 

 

Cecile aprì la porta, sorridendo. Era guarita, dopo mesi. Parlavano tutti di un miracolo, e non vedeva l’ora di dirlo ad Arthur, sempre così ostico verso le guarigioni come lo era stata la sua.

«Arthur...?» chiamò, camminando ancora un po’ debolmente nel corridoio. Nessuna risposta. Era difficile che stesse dormendo a quell’ora del pomeriggio. Arthur le diceva che non riuscisse a prendere sonno la notte, ma lei credeva facesse brutti sogni, da cui si risvegliava sudato e spaventato, senza potersi guardare intorno per essere rassicurato dall’ambiente familiare della sua stanza in alcun modo. Cecile credeva che Arthur avesse il terrore di addormentarsi.

Non era da nessuna parte.

E fu allora che lo vide. Quel foglio sul tavolo del salotto. Si avvicinò, prendendolo in mano e leggendo le scomposte lettere tremolanti e quasi incise sulla carta. Gli aveva insegnato lei a scrivere. Certo, a volte le lettere si sovrapponevano ed erano traballanti, ma a lui bastava così.

Aveva scritto soltanto quattro parole. Quattro parole che misero un punto fermo alla sua morte.

Why are you dead?

 

 


 

*L'influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la grande influenza o epidemia spagnola, fu una pandemia influenzale che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell'umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo e della stessa prima guerra mondiale.

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Salve!

Dopo secoli mi decido a pubblicare questa mia prima storia, che spero non sia troppo penosa. Nel caso siate arrivati fino a qua, mi farebbe moltissimo piacere se mi lasciaste un parere, consigli, opinioni, quel che più vi aggrada.

E niente, alla prossima, immagino :)

Found Serendipity

   
 
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