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Autore: Laylath    25/06/2017    4 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 26. Crepe.

 


 
 
“Giuramelo, Riza, non una parola con Andrew o Kain. E anche tu, Elisa: tutto questo deve restare tra noi e il dottor Lewis”.
Il tono di voce di Ellie era leggermente acuto e denotava un chiaro nervosismo. A dire il vero era tutta la sua persona che emanava tale stato d’animo: stava seduta davanti alla scrivania del dottor Lewis con le mani strette in grembo che non la finivano di torcersi tra di loro. Dava l’impressione di un animale preso in trappola, non smettendo di lanciare occhiate alla porta dell’ambulatorio, quasi stesse cercando una via d’uscita, e alle due ragazze, come se si trattasse delle sue carceriere.
Effettivamente non era andata dal medico di sua iniziativa: c’era voluta tutta la persuasione di Riza per convincerla a farsi visitare e questo risultato si era ottenuto dopo un’altra settimana dalla scoperta della gravidanza. Per tutti quei giorni Ellie aveva sperato nell’aborto, ma non aveva ottenuto altro che il proseguo delle nausee, spesso in forma molto violenta.
Era stato per l’evidente preoccupazione di Riza e per la consapevolezza di non poter nascondere a lungo la cosa ad Andrew e Kain che si era lasciata convincere a scendere in paese e parlare col dottor Lewis.
“Nessuno dirà nulla, signora – la tranquillizzò Elisa – però è anche vero che tra poco sarà la sua pancia a parlare in maniera eloquente”.
Ellie sospirò e abbassò lo sguardo sul suo vestito che non riusciva ad occultare del tutto il primo rigonfiamento. Ad essere sinceri sembrava un vero e proprio miracolo che i maschi di casa ancora non avessero capito niente. Con tutta probabilità Andrew non riteneva possibile un inizio di gravidanza e Kain non poteva certo immaginare che sua madre a trentacinque anni fosse incinta.
“Mamma, sul serio non pensi che questa volta possa andare bene? – chiese Riza, posandole una mano sulla spalla – Come ha detto più volte Elisa le possibilità del corpo umano sono infinite”.
La donna sorrise debolmente, quasi accondiscendendo a quelle parole, ma era chiaro che non era del medesimo parere. Lo sentiva, conosceva troppo bene il suo corpo per capire che le stava giocando l’ennesimo brutto tiro, questa volta in maniera davvero pesante. Avrebbe abortito, non c’erano dubbi, restava solo da capire quando: era come se sentisse che quella piccola creatura dentro di lei non aveva il sostegno necessario per arrivare alla fine, a quella minima possibilità di sopravvivenza che le avrebbe offerto un parto prematuro ma dopo una gestazione decente.
“Signora Fury – salutò il dottor Lewis, entrando dalla porta che collegava l’ambulatorio alla casa – sono abbastanza sorpreso di quanto mi è stato raccontato dalla dottoressa Meril”.
“Dottore, che cosa succede? – chiese Ellie con un sussurro – mi ricordo benissimo cosa disse dopo la nascita di Kain ed è sempre andata così: gli aborti che ho avuto sono stati tutti entro il secondo mese. Perché questa volta è diverso?”
Il medico scosse il capo e con un gesto invitò la donna a seguirlo verso il lettino. Una volta distesa le tastò il ventre e auscultò con attenzione per qualche minuto. Rimase quindi in silenzio, accarezzandosi il mento con aria pensosa, mentre sia Riza che Elisa si accostavano a lui.
“Ho letto di casi di donne che, dopo diversi aborti spontanei, hanno avuto delle gravidanze portate a termine – disse Elisa per spezzare il silenzio – non sono cose impossibili”.
“Ma la signora ha già portato a termine una gravidanza – la corresse il dottor Lewis, scuotendo di nuovo la testa – ed è stato lì che si è creato il problema che le impedisce di portare a termine una gestazione. Probabilmente il suo corpo in parte si è ripreso, signora, ma non mi va di crearle false speranze: questa volta semplicemente sta andando più avanti del previsto”.
“E che devo fare, dottore?” chiese Ellie mentre si risedeva. Si sentiva malissimo, sebbene non fosse il solito attacco di nausea: un rivolo di sudore freddo le colava dal collo lungo la schiena, provocandole spiacevoli brividi. Sentiva una forte pressione proprio tra gli occhi e un sapore amaro le aveva invaso la bocca: avrebbe dato qualsiasi cosa per smettere di somatizzare in una simile maniera la sua preoccupazione sempre più forte.
“Non voglio fare niente di invasivo data la sua condizione: sarebbe rischiare davvero grosso. La cosa migliore da fare è lasciare che la natura segua il suo corso. Se andrà come prevedo, dovrebbe perdere il feto entro le prossime settimane: ovviamente questo le provocherà una perdita di sangue maggiore rispetto ad un aborto al secondo mese, ma non dovrebbero esserci troppi rischi. Signorina – si rivolse quindi a Riza – voglio che tu prenda qualche lezione dalla dottoressa Meril per intervenire in caso di emorragia, va bene? Tua madre va assistita giorno e notte perché non si sa mai quando potrebbe succedere, va bene?”
“Certamente dottore” annuì Riza.
“Dottoressa Meril, posso contare su di te perché visiti la signora Fury ogni due giorni? Controlli di routine, niente di più, ma è necessario monitorare la cosa e vedere come si evolve”.
“Assolutamente, dottore” rispose Elisa con voce leggermente cupa.
“Quindi può andare avanti per qualche tempo ancora…” sospirò Ellie.
“Non posso quantificare il tempo, signora: sarà il suo corpo a decidere”.
La donna si alzò dal lettino, prontamente sostenuta da Riza.
Dirlo ad Andrew? Forse dovrei – rifletté – sarebbe peggio che se lo scoprisse a breve senza che io gli abbia accennato la cosa. A questo giro non sono in grado di nascondere il mio stato.
 
Come rimase sola col dottor Lewis, Elisa smise di nascondere il broncio.
Non voleva credere che tutto si riducesse ad un semplice attendere l’aborto. A parer suo bisognava tentare con ogni mezzo disponibile di portare avanti quella gravidanza: con delle precauzioni si sarebbe potuti arrivare ad una fase della gestazione in cui il bambino sarebbe potuto nascere.
“Ci sono dei farmaci che aiutano ad evitare le contrazioni” disse, mentre sistemava il lettino dove poco prima era sdraiata la signora Fury.
“Non avrebbero effetto, credimi – le rispose il dottore, mentre recuperava una cartelletta dalla libreria e prendeva alcuni fogli – il grembo di quella donna è in condizioni pietose. Questa gravidanza è una piccola anomalia, ma finirà come gli altri aborti avuti”.
“E quindi dobbiamo restare a guardare mentre perde l’ennesimo bambino? – Elisa non ci voleva credere. Le sembrava assurdo che il miracolo della vita dovesse venir ostacolato invece che aiutato – Ha già avuto almeno quattro aborti, non sarebbe giusto darle almeno questa possibilità? È una donna nata per essere madre, io non…”
“Ed è madre, grazie al cielo – la interruppe il dottore con sguardo cupo, porgendole i fogli che aveva guardato sino a poco prima – leggi se vuoi, è la relazione sulla nascita del tuo amico Kain. Come ne siano usciti vivi entrambi è ancora un miracolo che non riesco a spiegarmi. La gestazione era appena al settimo mese ed il bambino non si era girato… ho dovuto tirarlo per il piede dopo un travaglio assurdo, con lei che si spegneva davanti ai miei occhi. Oltre alla placenta ha perso tantissimo sangue ed era chiaro che l’utero aveva subito dei danni tremendi. E da simili danni è impossibile che si sia ripreso tanto da poter portare a termine una gravidanza”.
“Però si è trattato di quindici anni fa – propose Elisa – con la medicina attuale, magari in un ospedale di città le cose andrebbero diversamente”.
“Elisa – sospirò il dottor Lewis, passandosi una mano tra i capelli con aria stanca – sei giovane e stai cadendo nell’errore più comune dei dottori che hanno appena iniziato la loro carriera. Credi che la medicina possa tutto, specie rispetto al passato. Ma ti posso assicurare, figliola, che non è sempre così: certo c’è il progresso e chissà che un domani i casi come quello della signora Fury non si possano risolvere. Ma ora come ora, no… non si tratta di evitare contrazioni, di tenerla a riposo: il suo corpo non è in grado di tenere un bambino. E lei è la prima a rendersene conto ed è anche il giudice più valido in questa storia”.
“In che senso?”
“Perché è in grado di capire quando una battaglia è destinata ad essere vinta o ad essere persa – nel viso del dottor Lewis era apparso uno strano sorriso – Perché Kain doveva morire dopo poche ore dalla nascita, mentre invece lei l’ha tenuto in vita: il suo istinto le diceva che ce la poteva fare, in barba a quanto poteva dire la scienza medica su un bimbo nato appena settimino. Si è aggrappata ferocemente ad ogni respiro di quella creatura, ora dopo ora, giorno dopo giorno… in tutti quei primi anni in cui sembrava dovesse morire per il minimo soffio di vento. Se il suo istinto le dice che perderà il bambino io le credo e dalla sua faccia si vedeva che ha capito da subito come andrà a finire”.
“Credere all’istinto di una donna più che alla medicina?”
“È tutta questione di esperienza, signorina mia: specie qui in campagna imparerai dove è meglio cedere alla natura e dove invece si bisogna intervenire. Ellie Fury ha solo bisogno di sostegno per superare questo momento difficile, è tutto quello che ci chiede, e noi da medici glielo dobbiamo fornire”.
Elisa annuì, ma per la prima volta non era per niente convinta delle parole del dottor Lewis. Secondo lei la signora Fury stava semplicemente risentendo della chiusura mentale del paese e del pessimismo dovuto ai precedenti aborti: non si era resa conto delle reali possibilità della medicina, dei passi da gigante che erano stati fatti negli ultimi quindici anni.
Perché non voler nemmeno provare? – si chiese indispettita – Se volessi un bambino con tutte le mie forze tenterei il tutto per tutto e mi aggrapperei ad ogni possibilità offerta. Dichiarare sconfitta in partenza non è per niente giusto.
 
Per un’anima giovane ed inesperta come Elisa era facile e anche giusto lanciarsi a simili pensieri: si era appena affacciata alla vita e ancora non sapeva quali pesanti batoste potesse dare alle persone, senza guardare in faccia nessuno.
Ellie invece lo sapeva bene, sebbene non si fosse aspettata di questo nuovo colpo di coda da parte della sua personale antagonista. La visita del dottor Lewis in parte l’aveva tranquillizzata, tuttavia le aveva aperto del tutto gli occhi su una questione su cui ormai stava riflettendo da qualche giorno. Infatti, sebbene avesse supplicato Riza e l’amica di non farne parola con alcuno, era chiaro che non poteva nascondere per molto la cosa ad Andrew. Secondo il medico la gravidanza sarebbe potuta proseguire ancora per alcune settimane e dunque il suo ventre diventare sufficientemente gonfio per essere notato anche da suo marito.
Per ora aveva nascosto la cosa con vestiti abbastanza larghi, ma il gioco non poteva durare ancora per molto tempo.
Dirglielo, certo… sembra così semplice – sospirò quella notte stessa, mentre osservava Andrew che finiva di abbottonarsi la casacca del pigiama – dirgli che porto in grembo suo figlio e che lo perderò entro le prossime settimane. Fargli vivere di nuovo quell’incubo.
Guardò quel viso sempre più simile a quello del figlio. Adesso suo marito gli sembrava più giovane che mai: il ragazzo appena uscito dall’Università che lottava con determinazione per farsi spazio nel mondo e costruire una vita con lei. Il suo dolce e meraviglioso Andrew, a cui non mancava mai quel senso di pudore e anche timidezza che lo rendeva speciale rispetto a tutti gli altri uomini.
“Pronta per andare a letto, meraviglia?” chiese proprio lui, raggiungendola nel letto e sedendosi accanto a lei. Le accarezzò con amore la guancia prima di deporvi un bacio come faceva sempre per augurarle la buonanotte.
Ellie avrebbe tanto voluto dire di sì, rimandare ancora quel discorso: spegnere la luce, avvolgersi nelle coperte e dimenticare quella storia almeno per un’altra notte, rifugiandosi ancora una volta nell’illusorio procrastinare. E chissà, magari durante il sonno le sarebbero venute le tanto attese contrazioni, avrebbe fatto in tempo a correre in bagno e finire tutta quella dannata storia senza che la sua famiglia ne venisse investita in pieno. Con Riza sarebbe stato facile mantenere il silenzio, poi sarebbe bastata qualche visita di controllo per finire tutto e…
Ma chi vuoi prendere in giro, Ellie Lyod? – sospirò, toccandosi distrattamente il ventre, sentendo in maniera quasi dolorosa la piccola vita che cercava di crescere – Sai bene che non andrà così. Stai solo fuggendo. E forse Andrew non lo merita.
Meritava invece il dolore per la perdita di un figlio?
Questi dilemmi la stavano facendo impazzire e sicuramente dal suo volto trasparve questa lotta interiore.
“Ellie, va tutto bene?” le chiese Andrew guardandola con attenzione.
“Io? Sì, certo… cioè no… non proprio, insomma”.
Si mise a giocare disperatamente con un lembo del lenzuolo, non riuscendo a trovare il coraggio di alzare lo sguardo su di lui. Dal calore sulle guance capiva di essere arrossita in maniera vistosa e sentiva uno strano groppo alla gola che però ricacciò indietro a forza: piangere era l’ultima cosa da fare.
Dannato corpo, perché mi stai facendo questo? Perché mi hai fatto arrivare ad un simile momento?
Aveva paura di affrontare suo marito, una cosa che non le era mai successa in sedici anni di matrimonio: una nuova esperienza così surreale da dover affrontare a quasi trentacinque anni.
Andrew la abbracciò, baciandola dolcemente sui capelli: non le disse niente, si limitò a tenerla stretta, aspettando che fosse lei a decidere come e quando parlare. Un atteggiamento così delicato e rispettoso da spezzare il cuore. Il suo braccio destro era posato contro il ventre di lei ed Ellie serrò gli occhi.
Ti prego, dimmi che senti il rigonfiamento… inizia tu questo dannato discorso.
Ma niente, ancora niente: quel silenzio e quel contatto nelle intenzioni rassicuranti ma che servivano solo a straziare ancora di più l’anima di Ellie.
“Andrew – sospirò infine, mentre una singola lacrima le colava sulla guancia destra – sono… sono incinta”.
L’abbraccio si irrigidì per qualche secondo e poi le braccia di lui si scostarono. Tranne la mano destra che andò a toccarle il ventre in un gesto istintivo che riportò ad Ellie una marea di ricordi sulla gravidanza di Kain, quando ancora sembrava andare tutto bene… quando quel gesto così bello e paterno non le sembrava un pericolo per il bimbo che portava in grembo.
“Incinta?” la voce di Andrew era incredula e questo spinse la donna a guardarlo finalmente in viso.
Sì, incredulità, era questo il sentimento che traspariva dai suoi lineamenti come se, in fondo, comprendesse pure lui che c’era qualcosa che non andava. Perché l’incredulità non si trasformava in gioia come era successo con Kain: c’era un macigno troppo grosso a fare da ostacolo.
“Io… io credevo che non… insomma, dopo Kain credevo che…” iniziò l’uomo, arrossendo leggermente.
“Sono al terzo mese avanzato – confessò Ellie, sentendo il bisogno di far uscire quelle dannate parole come si fa uscire il veleno da una ferita – in… in realtà il dottor Lewis ha detto che, se tutto va bene, dovrei abortire nelle prossime settimane”.
Se tutto va bene… se tutto va bene! Cielo, che cosa orribile da dire!
“Sei andata dal dottor Lewis? – adesso Andrew era preoccupato: le prese la mano e la strinse con amore – Ti sei sentita male? Dovevi parlarmene prima, ti avrei accompagnato io e…”
“Ci ha pensato Riza, tranquillo – spiegò lei, sentendosi enormemente dispiaciuta per aver creato questa situazione in cui lui si sentiva in colpa e anche escluso – è che… non è normale che la gravidanza vada così per le lunghe”.
Andrew continuava a fissarla, scuotendo leggermente il capo come se cercasse di capire sino in fondo la situazione. Era come se un uragano gli fosse appena passato accanto, lasciando illeso ma stordito, incapace di credere a quanto gli era accaduto.
“Incinta… Ellie… io… io…”
“Avrei voluto evitare di dirtelo – Ellie gli prese il viso tra le mani – se fosse andato tutto come previsto avrei abortito entro il secondo mese e le cose sarebbero tornate subito normali. Andrew, ascolta, non devi fare niente, sul serio… è solo una cosa che ha bisogno di tempo per finire”.
“Non devo fare niente? – lui si riprese a quelle parole – Ma… Ellie, come puoi pretendere che io non faccia nulla? Insomma, sei in queste condizioni, tu non…”
“Andrew, questo bambino non nascerà mai, lo capisci? Sarà come le altre volte!”
“Altre volte?”
Ellie a quella domanda si morse il labbro con rabbia. Nella foga di tranquillizzarlo, di finire quell’orribile discorso, si era lasciata sfuggire anche quel dettaglio assolutamente inutile, anzi dannoso.
“Ho avuto altri aborti in questi anni – ammise – tutti entro il secondo mese, prima che la gravidanza diventasse visibile. Proprio come aveva detto il dottore: il mio corpo è in grado di concepire, ma non di tenere il bambino”.
Andrew aprì bocca per parlare: si vedeva che aveva in mente un mucchio di domande, ma anche di accuse per avergli taciuto tutte queste cose. Ma l’espressione sconvolta di Ellie lo bloccò: in quel momento era lei che stava subendo la pressione peggiore e non era il caso d’insistere.
“Va bene, adesso mi pare troppo tardi per parlarne – disse con voce apparentemente calma, accarezzandole un braccio – e tu sei molto agitata e non ti fa bene. Credo che la cosa migliore sia metterci a dormire e rimandare a domani ulteriori discorsi: del resto il dottore ti avrà detto di stare tranquilla, no?”
In condizioni normali Ellie si sarebbe rifiutata, avrebbe preferito andare sino alla fine di quel discorso; ma la via d’uscita che le aveva inaspettatamente offerto il marito era troppo ghiotta per non sfruttarla. Così si limitò ad annuire e ad accucciarsi sotto le coperte, accogliendo con sollievo la luce che veniva spenta.
Rimase sveglia, sentendo i movimenti di lui sul letto: dopo un lieve rigirarsi si era fermato in una posizione poco distante da lei, quasi ad essere pronto ad intervenire al minimo bisogno senza però disturbarla.
Perché mi stai facendo questo? – chiese la donna toccandosi la pancia – Perché mi hai messo in una simile situazione con mio marito?
Voleva odiare quel feto, voleva desiderare che sparisse al più presto dalla sua vita. Voleva impedire a quell’impellente senso materno di diventare ancora più forte di quanto non fosse già. Ma era impossibile: la sua mano prese ad accarezzare quel ventre quasi a cullare il bimbo.
 
Il giorno dopo Andrew si svegliò che era appena albeggiato.
Aveva dormito malissimo, tormentato dai ricordi del parto di Kain e della paura attanagliante che aveva provato in quei momenti, quando perdere Ellie era una possibilità talmente concreta da attanagliargli le viscere e farlo sudare freddo.
Passandosi una mano sugli occhi si girò a guardare quella figura avvolta nelle coperte, appena visibile alla lieve luce che penetrava dalle tende tirate. Allungò una mano per toccarla, ma si fermò a metà percorso: era come se una strana barriera si fosse creata tra lui ed Ellie.
Perché mi ha tenuto nascosti tutti quegli aborti?
Sapeva benissimo delle condizioni di sua moglie, si era rassegnato all’idea di non avere altri figli al di fuori di Kain. Non riusciva a capire come Ellie non l’avesse reso partecipe di quelle esperienze che per lei dovevano essere state tremende. Lei ancora si portava dietro la delusione di non poter essere madre: ogni aborto doveva essere stato una pugnalata al cuore.
E non mi ha mai permesso di starle accanto.
Forse il suo conforto sarebbe servito a ben poco, però si sentiva privato del diritto di sostenere sua moglie in quelli che erano dei momenti difficili. E poi, a ben pensarci, quei bambini in parte li aveva persi pure lui… e non aveva avuto modo di esserne dispiaciuto come invece avrebbe voluto. Per tutti quegli anni aveva ignorato di aver perso dei bambini e questo lo faceva sentire un padre snaturato.
D’improvviso stare nella stessa stanza di Ellie con quel figlio condannato in grembo lo fece stare male.
Si alzò, recuperò in fretta dei vestiti e andò in bagno a cambiarsi.
Sentiva l’esigenza di uscire da quella casa e di sentire il freddo del mattino sulla sua persona.
 
Il suo peregrinare lo portò in paese, dove già le prime persone animavano le strade aprendo i negozi con sguardo assonnato e fare infreddolito. Ma lui non fece caso a quei rapidi saluti, a quel primo segnale di vita che dava inizio alla giornata: continuò la sua passeggiata solitaria fino al cimitero che stava appena fuori dal paese.
Non sapeva nemmeno perché i suoi passi l’avevano condotto lì.
Non sarebbero nemmeno stati sepolti… troppo piccoli.
Era assurdo: il pensiero di quei bambini mai nati lo tormentava più del previsto. Continuava a chiedersi se sarebbero stati maschi o femmine, a chi sarebbero somigliati, cosa avrebbero fatto da grandi. Gli sembrava così ingiusto che loro non avessero avuto le medesime possibilità di Kain, che il miracolo non si fosse ripetuto almeno un’altra volta.
E tu dov’eri mentre succedeva tutto questo? Andavi avanti con la tua vita senza nemmeno accorgerti delle esperienze dolorose che stava passando tua moglie. Che razza di uomo sei?
Ellie l’aveva ingannato, gli aveva tenuto nascosto tutto questo per anni. Si sentiva tradito, sentiva che gli era stato fatto un torto che non meritava, una mancanza di fiducia che non credeva possibile nel rapporto perfetto tra lui e sua moglie.
Scemo, con tutta probabilità lei soffriva e ti ha voluto preservare da tutto questo.
E, paradossalmente, questo lo faceva sentire doppiamente mostro.
 
Proprio in quel momento Ellie si svegliava in preda ad un forte senso di nausea.
Senza nemmeno fare caso al fatto di essere sola nel letto, si alzò e corse verso il bagno, portandosi addirittura una mano alla bocca per trattenere il conato sempre più insistente.
“Mamma?” la chiamò Kain che, proprio in quel momento, stava per entrare in bagno, la mano già nella maniglia.
Una piccola parte della mente di Ellie impazzì letteralmente all’idea che suo figlio la vedesse in simili condizioni. Ma tutto quello che riuscì a fare fu di infilarsi in bagno e rigettare violentemente nel gabinetto, senza nemmeno curarsi di chiudere la porta.
“Mamma – Kain le si inginocchiò accanto, tirandole indietro i capelli sulla fronte – che ti succede? Aspetta, non parlare… stai ancora china: ti bagno un asciugamano per passartelo in faccia”.
La sua voce sembrava lontanissima mentre il mondo vorticava attorno alla testa di Ellie: quell’alzata dal letto troppo brusca era stata un gesto davvero imprudente. Fu obbligata a seguire le indicazioni di quella voce così matura, venendo sostenuta da quelle braccia che improvvisamente erano diventate forti.
“Ehi – finalmente la presenza del figlio divenne reale e riuscì a vedere il suo viso preoccupato. Si accorse che indossava ancora il pigiama – mamma, va meglio?”
“Devi andare a scuola – sospirò Ellie – adesso scendo a preparare la colazione”.
“No, rimettiti a letto: non sei più così pallida, ma credevo che svenissi sino a qualche secondo fa. Stai ancora seduta, io vado a chiamare papà e Riza”.
“Riza, chiama Riza” lo supplicò Ellie.
Kain annuì con lieve esitazione e poi corse fino alla camera della sorella adottiva. Senza nemmeno bussare entrò, trovandola che stava tirando le tende per permettere alla luce mattutina di entrare.
“Ehi, che succede?”
“Mamma si è sentita male – spiegò con fare trafelato – ha rigettato. Vieni, è in bagno: è tremendamente pallida, credo che sia necessario aiutarla a tornare a letto!”
“Cosa?” Riza sgranò gli occhi e subito corse a soccorrere Ellie, trovandola ancora seduta sul pavimento del bagno che si detergeva la fronte con l’asciugamano bagnato.
“È stato solo un attacco di nausea – spiegò la donna – adesso va meglio”.
“Ti preparo una delle tisane che ha consigliato Elisa – annuì Riza, aiutandola a sollevarsi assieme a Kain – è meglio che ti sdrai”.
“La colazione per tuo fratello”.
“Oh, mamma, non pensare a queste cose!” supplicò Kain.
“Papà?” chiese Riza.
“Dev’essere ancora a letto – rifletté il giovane – adesso lo svegliamo e…”
Ma come entrarono nella stanza matrimoniale trovarono il letto vuoto.
Dopo aver sistemato la donna, Kain si offrì di andare a cercare il padre, ma le sue ricerche in casa si rivelarono infruttuose.
Strano – pensò il ragazzino, uscendo dallo studio paterno che aveva trovato vuoto – non mi risulta che dovesse uscire questa mattina.
“Papà non c’è – disse a Riza che proprio in quel momento scendeva le scale e andava verso la cucina – dev’essere uscito, ma mi pare strano così presto. Come sta la mamma? Credi che dovrei andare a chiamare Elisa o il dottor Lewis? Ci impiego due secondi a cambiarmi e…”
“No, lascia stare, l’emergenza è finita. Dammi una mano a preparare la colazione, così poi porto la tisana alla mamma”.
“Dici che è stato un malessere passeggero? – chiese, mentre iniziava a prendere le stoviglie, indeciso per quante persone apparecchiare – Però è stato davvero brutto, per diversi minuti non riusciva a sollevarsi dal gabinetto. Forse è l’influenza che circola”.
Riza in quel momento gli dava le spalle, impegnata a prendere da una mensola la scatola con le bustine di tisana preparate da Elisa. Fu un bene perché il suo viso assunse un’espressione decisamente turbata.
Come bisognava comportarsi con Kain?
Dirgli tutto? – si chiese, mentre si ricomponeva e posava le tisane sul tavolo – O solo l’attuale condizione. Devo dirgli che la mamma abortirà nelle prossime settimane? Ma così ne chiederà il motivo.
Pensò ad Ellie che in quel momento stava distesa nel letto, ancora stordita da quel brutto attacco ed in preda anche ad un’estrema preoccupazione per essere stata vista dal figlio. Le aveva confidato di aver detto tutto ad Andrew e già questo l’aveva sconvolta non poco.
Guardando il ragazzino che continuava a preparare la tavola con attenzione, come se quello potesse esser di estremo aiuto in quel frangente, Riza sentì il cuore stringersi. Uno dei motivi per cui era estremamente protettiva nei confronti di Kain era il sapere che era destinato ad essere l’unico figlio naturale dei Fury.
“Senti, io vado a cambiarmi e chiamare il medico – disse proprio lui, finendo di apparecchiare – anzi, chiamo Elisa: verrà di sicuro. Così ci tranquillizziamo tutti quanti”.
“La mamma è incinta” lo bloccò Riza, trattenendo immediatamente il respiro per essersi lasciata sfuggire quella confidenza. Aveva fatto bene? La mamma si sarebbe arrabbiata? Magari l’avrebbe voluto dire lei a Kain nei modi che riteneva opportuni.
“Cosa? Incinta?” gli occhi di Kain praticamente raddoppiarono nel sentire quella parola. Per un secondo la sua espressione rimase incredula, ma poi la felicità prese possesso di lui.
Ohi, ohi, ohi! Che frittata che hai fatto Riza! – pensò la giovane, mentre veniva abbracciata con entusiasmo dal fratello che iniziava a parlare ininterrottamente di quanto fosse splendida quella notizia. Del fatto che aveva notato che la madre era un po’ strana in quei giorni ma non era riuscito a capire di cosa si trattasse.
“Devo andare assolutamente a congratularmi con lei e…”
“No!” Riza lo afferrò per il colletto del pigiama.
“No? Ah, credi che si sia riaddormentata?”
“Sì, con tutta probabilità è così – annuì Riza, cercando di guadagnare tempo – facciamo così, vai a cambiarti che io finisco con la colazione. Vai a scuola e ne parliamo come torni, va bene?”
“Come preferisci. Aspetta che lo dica a Janet, vedrai sarà felicissima! Così non sarà più la piccola del gruppo, credo che la cosa le dia leggermente fastidio ormai e…”
“Già, proprio a questo proposito: non dire niente a nessuno, nemmeno a Janet”.
“Come no? – si perplesse lui – è una notizia fantastica”.
“È una fase ancora delicata e mamma non vuole che ancora si sappia, capisci? È… è un po’ una sorpresa per tutti e vuole fare le cose con calma. Posso contare che manterrai la notizia per te? Senza dire niente nemmeno a Janet”.
Kain fece un sospiro malinconico, probabilmente perplesso davanti a quella strana richiesta. Ma poi un lieto sorriso comparve sulle sue labbra e annuì solennemente.
Una volta rimasta sola nella cucina, Riza si passò una mano sui capelli ancora sciolti e arruffati. Si sentiva impazzire, era come se tutto le stesse sfuggendo di mano: non aveva dubbi che suo padre fosse uscito troppo sconvolto per la notizia del prossimo aborto.
No no, proprio non va bene – si disse – questa è la mia perfetta famiglia, non si può distruggere tutto in un simile modo.
 
 





 
  
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