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Autore: __aris__    27/06/2017    3 recensioni
Il destino dei figli di Crono era già deciso: a Zeus la superficie, a Poseidone i mari e a Ade l’Oltretomba. Ma se le profezie per i fratelli sembrano benevole, quella riservata ad Ade annuncia la fine del suo regno: l'unico sovrano egli sarà fino a quando la Vita non lo raggiungerà.
-- Ecco la mia versione del mito di Ade e Persefone. spero che la storia vi piaccia e che mi lasciae un commento.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTA DELL’AUTRICE: so che forse avrebbe avuto più senso che a discesa negli Inferi attraverso il lago Averno, ma vista la capacità del lago di Pergusa di assumere il colore lilla ho scelto questo luogo per la discesa agli inferi di Ade.
Una nota generale per chi segue questa ed altre mie storie: scrivere la tesi prosciuga ogni mia ispirazione per cui sappiate che non so se, quando e cosa aggiornerò in futuro.
Spero che il capitolo vi piaccia e che mi lasciate un commento.
Buona lettura.
 
 
 
 
 
La vittoria fu celebrata con un banchetto. Le ninfe avevano danzato e i satiri suonato, le fiaccole avevano illuminato la notte a giorno perché tutti sapessero che il Tempo di Crono era finito.
Ade osservava Poseidone bere con Demetra e Era sedurre Zeus con un sorriso amaro. Per quanto gli dispiacesse ammetterlo invidiava i suoi fratelli e la vita che avrebbero vissuto. Loro avrebbero avuto una discendenza. Loro sarebbero stati liberi di camminare sulla Terra mentre lui avrebbe vissuto solo, recluso nel buio dell’Oltretomba, lontano dalla Vita e da ogni speranza.
Alla profezia delle Parche non ci voleva nemmeno pensare!
 
Il regno più vasto il Fato ti ha assegnato,
l’unico sovrano tu sarai
fino a quando Vita non ti avrà trovato.
 
Più quelle parole gli tornavano in mente più si convinceva che fossero presagio di sventura. Quale altro significato potevano avere? La Vita trionfava sempre sulla Morte, così era sempre stato e così sarebbe stato anche per lui: prima o poi qualcuno portatore di Vita avrebbe reclamato il suo regno e lui cos’avrebbe dovuto fare alllora?
Con passo leggero Estia si avvicinò al fratello “Non mi sembri di umore allegro.” Gli disse sedendosi accanto a lui.
Ade guardò il vino denso nel fondo della coppa. “Non sono sicuro di avere qualcosa da festeggiare sorella.” Rispose assorto.
Estia gli prese una mano. Erano sempre calde le mani della dea e la sua stretta quasi materna. “Non basterà la vastità dell’Averno a spezzare il nostro legame.”
Il dio racchiuse la mano della sorella tra le sue. Le mani di Ade erano affusolate ed eleganti, ma ruvide come quelle dei guerrieri. “Sai cosa si dice dell’Averno? Che nulla di quello che proviene dal mondo dei vivi vi possa sopravvivere.”
Non puoi saperlo, Ade. Nessuno è mai tornato da quei luoghi e potrebbe attenderti una realtà molto diversa da quella che ti aspetti. E anche se le lande desolate oltre l’Acheronte e il Tartaro stesso fossero come li immagini noi resteremo sempre fratelli.”
Ade sorrise prima di baciare la mano candida di Estia “L’eternità è lunga sorella adorata, non fare promesse che un giorno potresti infrangere.”
Adesso fu la dea a stringere le mani del fratello nelle sue. I suoi occhi scintillarono seri sotto la luce tremula delle torce “Non infrangerò il mio voto, Signore dell’Oltretomba. Qualunque cosa accada potrai contare sul mio aiuto e la mia amicizia.”
Il dio si sentì mancare sentendo quel titolo. Chiunque altro lo avrebbe pronunciato con timore ma non Estia. Per lei non era cambiato nulla, per lei retava sempre suo fratello indipendentemente dal resto. “Grazie sorella, adesso posso affrontare il viaggio di domani con il cuore sereno.”
 
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L’ingresso per l’Oltretomba si trovava in Sicilia, sulle sponde dell’Etna vicino al lago di Pergusa. Oltre la natura che cresceva rigogliosa, in un piccolo anfratto dove la luce incontrava l’ombra si trovava lo stretto passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Quando i Cronidi vi giunsero era pomeriggio inoltrato. Il cielo iniziava a tingersi di arancione e attorno a loro il canto degli uccelli risuonava allegro. Una brezza leggera scuoteva i fiori e le fronde diffondendo i profumi della natura. Tutto sembrava pieno di vita e scorgere il varco era estremamente difficile perfino per gli occhi egli dei. Solo l’innaturale colore viola dell’acqua indicava che in quel luogo Vita e Morte si sfioravano.
Qui c’è la Morte!” esclamò Demetra osservando le onde del lago. Non aveva mai avuto paura della morte fino a quel momento. Lei era una figlia di Crono e nemmeno le viscere del padre erano riuscite a farle del male, per questo si era convinta che nulla avrebbe mai potuto ferirla o ucciderla oltre alla furia del titano. Ma in quel luogo sentiva che la Morte, colei che privava della vita ogni creatura mortale, era il suo esatto opposto: mentre Demetra avrebbe dedicato ogni giorno a coltivare la Vita, la Morte l’avrebbe seguita per distruggere il suo operato.
Circondata da Vita.” Rispose Estia lasciando che una farfalla si poggiasse sulla sua spalla.
Chi sono quelle ragazze?” Zeus non si era curato dei timori della sorella. I suoi occhi erano stati attirati da due giovani che coglievano fiori sull’altra sponda del lago. Sembravano ninfe ma erano in qualche modo diverse da quelle che aveva sempre incontrato: la loro pelle era bianca come l’alabastro, i loro capelli scuri come l’ebano, le vesti pesanti di color granato scuro. Le loro risate erano contenute, mentre tutte le ninfe che aveva conosciuto fino a quel momento piaceva ridere a voce alta, anche troppo in certi momenti.
Sono le ninfe dell’Oltretomba.” Disse Ade. Come Demetra non era riuscito a distogliere lo sguardo dall’acqua. Sentiva una specie di richiamo, come se in qualche modo faceva parte di qualcosa di suo. Chissà se anche i suoi fratelli avrebbero conosciuto un sentimento simile nel momento in cui fossero entrati nel regno che il Fato gli aveva riservato? Zeus probabilmente no, era quasi certo che le donne avrebbero sempre catturato gran parte dell’attenzione di cui il fratello minore disponeva. Poseidone … forse.
Come fai a saperlo fratello?” domandò Enosigeo. “Le hai forse già incontrate.”
No. Ma lo so ugualmente.”
Appena le ninfe videro il gruppo di dei avvicinarono tendo ognuna un piccolo mazzo di fiori tra le mani. Erano talmente simili che sembravano sorelle. “Salve a voi, figli di Crono.
Salve a voi.” Rispose Zeus indugiando con lo sguardo sui loro corpi snelli. Forse il regno scelto per Ade era il più oscuro e temuto, ma sicuramente non gli sarebbe mancata la compagnia femminile se l’avesse cercata.
“Chi di voi è Ade? Siamo state mandate per condurlo nel suo regno.” Disse una.
Io.” Il dio fece un passo avanti “Quali sono i vostri nomi?
Salute a voi, Sovrano.” Dissero in coro prostrandosi a terra. “Io sono Menta e lei è Leuce.” Continuò la ninfa sulla destra.
Reazioni dei fratelli 
Alzatevi.” Comandò Ade prendendo per le spalle Leuce per rimetterla in piedi “Non merito tato onore.”
Il Signore dell’Oltretomba merita ogni onore.” Rispose la ninfa senza guardarlo in viso.
Dobbiamo affrettarci, Signore.” Disse Menta “Il viaggio verso la vostra dimora è lungo.”
Ade si voltò verso i fratelli con un sorriso amaro. “Temo che passerà molto tempo prima del nostro prossimo incontro.
Nulla cambierà fino a quel giorno.” Estia fu la prima a farsi avanti per abbracciare il fratello. Poi vennero Poseidone, Era e Zeus; Demetra rimase l’ultima. Avrebbe voluto trovare parole gentili per Ade come ne avrebbe trovate per Poseidone ma, nonostante ciò che aveva detto Estia per lei qualcosa era già cambiato: lei sarebbe stata la Vita e Ade la Morte, non sarebbero potuti essere più divisi di così. “Addio fratello.” Disse semplicemente con voce tirata, quasi arrabbiata.
Demetra!” intervenne Estia “Non ha scelto lui l’Oltretomba. Credi che sia felice di scendervi?
Ade sospirò. Aveva passato troppo tempo con Demetra per non capire cosa stesse pensando: per lei una volta attraversato il varco l’amato fratello Ade sarebbe morto e al suo posto sarebbe arrivato colui che governa sulla Morte. “Va bene così, Estia. Il Fato ci ha messo su estremi opposti e in un certo modo ha ragione.” Disse alla custode del focolare lei provò a replicare ma il dio le fece capire che andava davvero bene in quel modo. “Addio sorella.” Salutò Demetra con un bacio sulla guancia come aveva fatto con Estia e Era.
Addio Ade.” Ripeté lei mentre una lacrima le rigava la guancia.
Ade asciugò la guancia della dea delle messi con il pollice “Non piangere. Non ancora.”
Demetra osservò il fratello allontanarsi con Menta e Leuce al suo fianco. Tenevano ancora i loro mazzolini di fiori in mano. Quelli che crescevano sulla superficie, sotto i raggi del sole. I suoi fiori. Non poteva impedire che la derubassero di un fratello, ma i fiori le appartenevano. “Lasciate i fiori qui.” Disse facendo un passo avanti.
Non rendere questo momento peggiore di quanto non sia. Non puoi sentirti derubata per pochi fiori!” Sussurrò Poseidone ma la dea fu inamovibile.
I fiori sono miei.”
Zeus e Era rimasero in silenzio, non avevano intenzione di prendere posizione per degli stupidi fiori, mentre Estia guardava Ade temendo che la collera potesse prendere il posto della compostezza.
I tre si fermarono e le ninfe tornarono indietro per ridare i fiori alla dea.
Ferme.” Comandò Ade “Non ci sono fiori nell’Oltretomba?
Tanto belli solo nei Campi Elisi. Ma Hypnos e Thanatos non ci permettono di raccoglierli.” Spiegò Menta.
Il Dio si voltò verso Demetra “Lascia che li portino con sé, Madre Terra. Concedi quest’ultimo dono a tuo fratello.”
Demetra afferrò la gonna con le mani, stringendo fino a strappare la stoffa. Con il volto colmo di rabbia e dolore acconsentì, poi si allontanò senza dire una parola. Aveva ceduto per l’affetto che provava per Ade, ma non avrebbe mai permesso che l’Averno la derubasse ancora e non sarebbe rimasta a vedere il fratello che scendeva nel luogo del non ritorno.
 
Varcato il passaggio verso il regno dei morti, Ade si era fatto guidare per gallerie infinite e oscure. Ben presto le ninfe avevano acceso due fiaccole dalle fiamme blu ma io dio non sentiva nessun calore provenire da quei fuochi. L’unica cosa che poteva sentire era che scendevano nelle viscere della terra attraverso gallerie strette come budella. Dopo molti passi provò a sfiorare la roccia: ad un certo punto aveva smesso di essere striata e fresca diventando nera e liscia come il vetro.
Siamo quasi arrivati alle sponde dell’Acheronte.” Disse una delle ninfe quando si iniziò a vedere del chiarore oltre la fine del cunicolo.
Il paesaggio che apparve a Ade dopo pochi minuti era spettrale: una spianata infinita di sabbia nera si stendeva più lontano di quanto i suoi occhi potessero vedere. L’unica cosa apparentemente capace di delimitarla era un fiume, l’immenso Acheronte. Il colore delle sue acque ricordava quello del lago, solo che queste erano molto più scure. Tutto era sovrastato da un cielo rosso cupo, senza nuvole o di stelle, che illuminava ogni cosa con una luce opalescente. Ormeggiata sulla riva c’era grande una zattera dall’aspetto poco sicuro sulla quale stava un vecchio mingherlino. Indossava un logoro mantello nero annodato su una spalla e teneva un remo tra le mani. I capelli e la barba erano bianchi e ispidi, gli occhi rossi, la sua espressione non era affatto amichevole.
Era ora che tornaste voi due!” disse arcigno puntando il remo verso le ninfe “Ho un compito da adempiere, io! Non posso stare ad aspettarvi per tutto il giorno.”
“Perdonaci Carone, non era nostra intenzione distrarti dalle tue mansioni.” rispose Leuce “Ma il nostro sovrano non era ancora giunto sulle rive del lago.”
Ade rimase in silenzio osservando quella figura. Chi era questo Caronte? Ma, soprattutto, era un amico o no?
“Dunque la Strega aveva ragione.” Mormorò il nocchiero osservando Ade che ne studiava parole e gesti. “Io sono Caronte, il traghettatore di anime. Fatemi l’onore di salire sulla mia zattera, Signore.” Disse a voce più alta con un inchino.
Perché dovrei?” domandò il dio, spostando lo sguardo dal barcaiolo alla zattera nera come la pece.
Perché la vostra reggia è sull’altra riva.” Rispose l’altro
Io non ho ordinato la costruzione di nessuna reggia.”
Erebo aspetta il vostro arrivo da quando tutti noi abbiamo memoria.” Si affettò a dire Menta stringendo il proprio mazzolino di fiori.
Senza aggiungere una parola, Ade salì sull’imbarcazione che cigolò e ondeggiò sotto il suo peso. Menta e Leuce lo seguirono e la zattera oscillò leggermente mentre Caronte, con un vigoroso colpo di remo si allontanava dalla riva. Ade osservò il traghettatore destreggiarsi senza sforzo in quella distesa di acqua scura apparentemente senza fine: remava e cantava, ogni tanto guardava a destra e a sinistra, come se volesse controllare di essere nel posto giusto, annuiva e riprendeva a remare e cantare. Solo quando vide le ninfe accostarsi all’acqua smise di cantare. “Cosa volete fare sciocche? Farvi acchiappare da qualcuno di quegli sciocchi che provano ad attraversare l’Acheronte a nuoto? Guardate che io non vi ripesco se cadete!
Le ninfe tramarono di paura. “Volevamo solo immergere i fiori per conservarne la freschezza.” Disse Leuce tremante “Io e Menta saremo molto contente di darti uno dei nostri fiori se ci permetterai di bagnarli.”
Caronte sbuffò “Ben altro pedaggio chiedo alle anime. Immergete i vostri fiorellini se ci tenete. Ma se cadete in acqua non contate su di me!
Le ninfe sorrisero e ringraziarono Caronte prima di avvicinarsi con cautela al bordo della barca e immergere i fiori.
Che pedaggio chiedi?
Una moneta d’oro, mio signore.”
Cosa te ne fai di tutte le tue monete?
Non ha importanza se me le conservi o le getti nel fiume. Se le anime vogliono raggiungere il loro destino mi devono dare una moneta, altrimenti aspetteranno cento anni. Mia la barca, mie le regole.” Spiegò con un ghigno.
E dove sono le anime che dovresti traghettare?
Loro fanno un’altra strada, signore. Per loro l’imbarco è più a valle.”  Poi Caronte riprese il suo canto e Ade non domandò altro. Sentì la corrente cambiare quando la barca prese un fiume. Le sue acque erano tanto placide da sembrare ferme, il loro colore era diventato azzurro cupo, ma le rive erano ancora due strisce nere in lontananza.
Dove simo?” domandò Ade.
Questo è lo Stige.” Rispose il traghettatore “La vostra dimora non è lontana.” Aggiunse dopo un paio di colpi di remi.
Lentamente, sulla riva destra, apparve Erebo, il palazzo che attendeva Ade da sempre. Le mura esterne erano costruite in onice nera, in cui il dio poteva vedere il suo riflesso. Da vicino non sembrava nemmeno un muro costruito da svariate lastre di pietra incastrate l’una nelle altre, ma un unico blocco immenso e perfetto che nessuno avrebbe mai potuto espugnare. Le mura erano molto lunghe, forse quanto quelle di una città. Ade tese una mano e le sfiorò con i polpastrelli: erano gelide come nulla che avesse incontrato fino a quel momento. Dopo pochi secondi ritrasse la mano sentendo che il freddo si propagava lungo il braccio, fino al torace.
Quasi senza che se ne accorgesse, Caronte fece scivolare la barca in un piccolo passaggio all’interno delle mura che conduceva a una scalinata in quarzo trasparente. Oltre la scalinata un arco che conduceva nel buio attraverso altre scale di alabastro nero.
Ade osservò quelle tenebre a lungo. Sentiva Caronte sbuffare d’impazienza ma non gli interessava. Nessuna fiaccola illuminava la strada, nessun rumore filtrava da Erebo. Ciò che lo attendeva era solo Oscurità.
Lentamente in cima a quella scala nera apparve una luce, tenue e tremolante come la fiamma di una candela. Avanzava piano, accompagnata da passi leggeri, ma tutto ciò che il cronide poteva vedere era una figura femminile vestita di nero.
È arrivata!” esclamò Menta con un piccolo salto di felicità.
Chi?” Ade ruotò la testa quel tanto che gli bastò per vedere la ninfa con la coda dell’occhio.
Ecate.” Spiegò la ninfa.
La megera, vuoi dire.” Ribattè Caronte con voce arcigna.
Ecate, colei che conosceva l’arte degli incanti. Talmente potente che nemmeno Crono aveva osato sfidare. Si diceva che tra i suoi doni ci fosse perfino quello della preveggenza, anche se non paragonabile a quella delle Parche. Mano a mano che l’arco rivelava la dea, Ade vide una donna vestita di nero con la pelle candida come la luna. La fronte era ampia, il naso perfettamente dritto e gli zigomi pronunciati. Piccoli occhi azzurri rilucevano sopra le sopracciglia folte. Le labbra erano rosee e ben definite. Lunghi capelli neri le ricadevano sulla schiena. Camminava in modo elegante, forse addirittura regale, non distogliendo gli occhi da quelli di Ade.
Ben venuto nel tuo regno Ade.” Disse con voce soffice “Io sono Ecate e sono venuta per farti strada attraverso Erebo.”
Grazie Ecate.” Rispose il dio scendendo dalla barca, seguito dalle due ninfe.
Ecate guardò Caronte che tamburellava i polpastrelli sul remo con impazienza “Puoi andare Nocchiero, non ti trattengo ulteriormente dai tuoi doveri.”
Grazie, Portatrice di Luce.” Rispose con finta riverenza prima di allontanarsi dalla riva.
Ecate condusse Ade attraverso le tenebre del suo palazzo, per gallerie oscure con il soffitto a botte che sembravano bisbigliare al suo passaggio. Parole bisbigliate al vento, non gli sembravano altro, ma in qualche modo sapeva che erano indirizzate a lui. “Cosa sono queste voci?
Le anime dei morti che chiedono misericordia. Le voci di coloro che non si sono ancora rassegnati al loro fato.” Rispose lei continuando a camminare “Con il tempo le sentirai in modo più nitido e imparerai a non ascoltarle più.”
Ade continuò a seguirla fino a quando non rivide la luce opalescente del cielo infernale. Al termine dell’ennesima galleria si trovava uno strano giardino, popolato di marmorei alberi bianchi disposti su due semicerchi, perfettamente speculari l’uno di fronte all’altro. I rami secchi e longilinei si protendevano verso il centro di quello strano luogo creano una lucente ragnatela. In mezzo c’era una fontana di marmo con due statue femminili che reggevano un’anfora da cui sgorgava acqua trasparente. Ai lati dei semicerchi, preceduti da lunghi colonnati, stavano due palazzi circondati da imponenti colonnati. Il palazzo alla destra del dio era nero come la notte e preceduto da una grande scalinata. Era un edificio enorme, tanto austero quanto sontuoso. L’altra costruzione era più piccola ma altrettanto elegante, costruito in marmo rosso scuro e adornata da statue di mostri adagiati sul cornicione superiore.
Cosa sono questi edifici?
Alla tua sinistra, Signore dell’Occidente, si trova il Tribunale delle anime. A destra Erebo, il tuo palazzo.” Rispose la Ecate avvicinandosi alla fontana “E queste sono le fonti dell’oblio e della memoria.
Ade osservò le due statue con più attenzione: erano due giovani donne che si davano le spalle, identiche nella posa e nei drappeggi del chitone. Perfino i riccioli delle acconciature erano uguali. Ognuna reggeva un anfora su una spalla usando entrambe le mani. Le anfore erano l’unica cosa che distinguesse le due figure: strette e con il collo lungo, l’una era fatta di qualcosa che ad Ade sembrò metallo, ma nero e opaco come non ne aveva mai visti, l’altra era in oro scintillante.
Senza dire altro Ecate si avvio verso Erebo. Ade sarebbe rimasto ad osservare tutto ciò che lo circondava ancora e ancora per scoprire la solenne bellezza di quei luoghi, ma sentiva Menta e Leuce fremere per la voglia di tornare nel loro palazzo. Nel suo palazzo. Seguì la dea continuando ad osservare i rami marmorei e chiedendosi se Demetra avrebbe potuto farli germogliare. Probabilmente ne avrebbe avuto il potere, ma tanto né lei né qualcun altro dei suoi fratelli gli avrebbe mai fatto visita.
Ecate guidò Ade per le sale di Erebo. I pavimenti erano freddi, di marmo nero, tanto lucido che il dio poteva vedere la sua espressione riflessa. C’erano alte colonne nere con capitelli ricoperti di foglie di acanto cesellate in oro, tra una colonna e l’altra grandi bracieri in piombo illuminavano le sale con la loro luce bluastra. Il soffitto e i muri più che di pietra sembravano fatti di Oscurità. L’Apotropaia si fermò davanti ad un imponente portone d’oro bianco. Su ogni battente erano raffigurate, con gli stessi metalli delle anfore delle fonti, le fasi lunari. Le porte erano sorrette da travi decorate con motivi floreali, due finte colonne e un timpano severo completavano l’entrata.
Perché non entri?” domandò Ade a Ecate.
Solo al Signore dell’Oltretomba è permesso aprire questa porta.” Rispose.
Non dirmi che nessuno non ci ha mai provato.”
Creature più potenti di quanto immagini hanno tentato, ma nonostante la vastità del loro potere hanno fallito.”
Ade appoggiò le mani sui battenti, sentendo per la prima volta l’intera vastità del suo regno. Prima, durante il viaggio con Caronte l’aveva vista con i propri occhi quella vastità impensabile per ogni creatura della superficie, ma adesso la sentiva nel suo corpo. Percepiva ogni cosa, dalle anime che attendevano Caronte, alle urla di Crono intrappolato nel Tartaro. Il primo istinto fu quello di staccare le mani, ma a cosa sarebbe servito? Che gli piacesse o no lui era Ade, sovrano del Regno dei Morti. Questo era il Fato che gli era stato assegnato, per quanto anche lui avesse fame di vita. Scappare, cerare di rimandare in qualche modo o semplicemente sperare era inutile. Lui sarebbe stato il sovrano di questa terra senza luce e speranza fino a quando la profezia delle Parche non si sarebbe compiuta.
Con decisione spinse le porte che si aprirono con un cigolio rivelando la sala del trono. I passi di Ade rimbombarono nel vuoto, sopra le superfici marmoree. Nessuna finestra faceva trapelare la pallida luce infernale e tutto era un contrasto di bianchi e neri: il pavimento e le colone erano di marmo nero, privo di venature, i capitelli e le basi delle colonne invece erano bianchi, sui fusti delle colonne fili d’avorio si rincorrevano in elaborati torciglioni. Sopra i capitelli, appesi apparentemente nel vuoto, sottili archi acuti in marmo costituivano il soffitto della sala. In fondo alla sala, in cima a una scala, era posizionato un trono in ossidiana: squadrato, liscio, senza fronzoli, senza decori. Due grossi lampadari e numerosi bracieri illuminavano il tutto con fiamme blu. Ovunque regnava il silenzio.
Ade salì sul trono sentendo un improvvisa sensazione di freddo attraversare le vesti mentre Ecate e le ninfe percorrevano con passo leggero l’intera lunghezza della sala. Arrivate ai piedi del trono le tre donne si inchinarono con riverenza.
Il vostro compito è finito.” disse la dea “Potete andare.”
Si, signora.” Risposero le due prima di ritirarsi senza voltare le spalle al nuovo sovrano.
Ade scese dal trono intimando a Ecate di non andarsene. “Tu non sei una creatura di questo regno, o sbaglio?
No.”
Allora perché vivi qui? Perché non hai scelto la Superfice?
È un luogo tranquillo dove nessuno verrebbe a curiosare tra i miei incantesimi.”
Ade sorrise divertito. “So che tra i tuoi poteri c’è la preveggenza.”
Solo le Parche conoscono il futuro, le mie arti mi permettono solo di portare un po’ di luce nelle tenebre.”
Non chiedo altro. Ho accettato il mio destino ma vorrei che mi aiutassi a decifrare la profezia che le Parche mi hanno fatto.”
Potrebbe essere oltre le mie capacità, non mi è permesso vedere tutto.”
Ti chiedo solo di provarci. Questa è la profezia: il regno più vasto il Fato ti ha assegnato, l’unico sovrano tu sarai fino a quando Vita non ti avrà trovato.”
Ecate abbassò gli occhi riflessiva osservando la fiamma calda della torcia. Ammesso che fosse riuscita a decifrare il presagio, come poteva essere certa di non rivelare troppo? “Cosa vorresti sapere?” chiese al dio guardandolo negli occhi.
Solo se devo temere le loro parole.”
Sappi che ciò che mi è concesso vedere è diverso da ciò che mi è concesso rivelare.”
Sta bene.”
In silenzio, Ecate allungò una mano e strappò una ciocca di capelli dietro la nuca di Ade poi, mormorando parole incomprensibili, la gettò nella fiaccola. L’Apotropaia fu circondata da fumo denso ed iniziò a vacillare sui suoi piedi fino a perdere quasi l’equilibrio. Appena il fumo si dissolse parlò di nuovo “Lei non sarà una minaccia, gli Inferi saranno tuoi per l’eternità.” Disse serafica.
Questo è ciò che hai visto?” domandò Ade.
Questo è ciò che mi è stato permesso si rivelare.”
   
 
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