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Autore: Logan Way    28/06/2017    0 recensioni
Londra.
Davide vorrebbe tanto essere tra gli italiani che vedono Londra come un sogno da realizzare, una possibilità in più, un qualcosa che rende liberi.
Eppure non lo è.
Per lui Londra è un fallimento.
Mentre cammina in un quartiere sconosciuto si ricorda solo quanto sia stato vigliacco.
Ecco cos'è per lui Londra, altro che città dei sogni.
È il promemoria della sua codardia.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Davide aveva sempre odiato il suo nome.
Lo aveva sempre odiato fino a quando non aveva incontrato lei, Anna.
Difficile definire chi fosse Anna.
Era troppo, per lui.
Era quella donna che appena incontrato aveva adorato.
C'era voluto poco tempo per legarsi a lei come amico, e ancora meno tempo per legarsi a lei come amante.

Lei aveva imparato in pochissimo tempo a riconoscere ogni sua singola emozione senza che lui dovesse parlarle. Senza nemmeno aver bisogno di guardarlo.
Lei lo sapeva e basta.
Sapeva quando preparargli il caffè perché da lavoro sarebbe tornato stanco.
Sapeva quando doveva lasciarlo solo, perché doveva sbollire la rabbia e odiava che ci fosse lei intorno, perché aveva paura di dirle cose che non pensava.
Tutti i loro amici invidiavano quel rapporto, lo desideravano col proprio partner, e lui non poteva che essere estremamente grato di averlo.
Infondo Anna era il suo tutto.
Anna era la sua boccata d'aria dopo un'apnea, la sua aurora dopo una notte tempestosa.
Con lei il suo nome, Davide, aveva iniziato ad avere un senso.
Finalmente si sentiva amato e l'amava alla follia.
Ed era per questo motivo, che le aveva fatto la proposta.
Lui era sicuro di voler vivere affianco a lei.
Lei, però, non era dello stesso avviso.
 
Londra.
Davide vorrebbe tanto essere tra gli italiani che vedono Londra come un sogno da realizzare, una possibilità in più, un qualcosa che rende liberi.
Eppure non lo è.
Per lui Londra è un fallimento.
Mentre cammina in un quartiere sconosciuto si ricorda solo quanto sia stato vigliacco.
Ecco cos'è per lui Londra, altro che città dei sogni.
È il promemoria della sua codardia.
Dopo che Anna lo ha lasciato, nel più cruento dei modi tra l'altro, ha deciso di prendere una valigia e partire.
Il biglietto ovviamente solo andata verso una città a caso.
Città a caso trasformatasi in Londra semplicemente per il biglietto last minute super economico.
Coi soldi non si scherza, Davide lo sa.
Soprattutto a Londra, dove la vita costa cara.
Così si trova a passeggiare lì per il terzo giorno di seguito, senza capire cosa ci sia di speciale.
Si guarda intorno, davanti ai suoi occhi scorrono i palazzi monocromatici, che rendono i quartieri appartenente molto simili.
I viali sono affollati e nessuno pare fare caso a lui, sembra quasi di essere invisibile.
Scrolla le spalle e mette le mani nelle tasche della felpa di cotone leggera.
"Meno male non piove..." pensa nella sua mente, avendo dimenticato di portarsi degli indumenti più pesanti.
In realtà non gli interessa realmente, perché se ne avrà bisogno allora li comprerà, e se non potrà permetterseli... Dubita che sarebbe ancora a Londra, a quel punto.
Continua ad avanzare mentre è immerso nei suoi pensieri -depressi, ovviamente, perché pensare all'Italia non gli fa bene- e non si rende conto dello scenario che cambia, infatti quando si riscuote e si ritrova in quel quartiere stenta a crederci.
Chiude gli occhi, li strizza forte per far sparire l'illusione; si dà persino un pizzico sul braccio coperto, ma, quando lascia le sue pupille libere di vedere, tutto è ancora lì.
L'enorme esplosione di colore è ancora lì.
E lui non riesce a non esserne attirato.
Questo luogo accende finalmente una scintilla di interesse in lui, ecco perché inizia a prestare realmente attenzione a ciò che ha intorno.
Prende il cellulare, ha promesso alla madre che nel l'eventualità di cose particolarmente interessanti le avrebbe mandato delle foto, perciò inizia a immortalare ogni singolo graffito che vede: quei veri e propri dipinti sono talmente belli da non poter rimanere privi di attenzione.
C'è della musica in sottofondo, mentre continua a osservare rapito il quartiere, ma qualcosa gli blocca il fiato.
Velocemente le decorazioni sui muri non lo attraggono più.
Si concentra su quella voce maschile, possente, che gli arriva dritto nella cassa toracica, e nulla importa più.
Si fa largo prepotentemente tra gli altri rumori, fino a sorpassare l'altra musica, fino a non fargli sentire più nulla all'infuori di essa.
Lo ha incantato e il fatto che stia cantando la sua canzone preferita non fa che amplificare questa sensazione.
Istintivamente inizia a cercare il proprietario di questa voce calda, magnetica, e crede di individuarla in un giovane ragazzo intento a strimpellare la chitarra.
In realtà non c'è un vero qualcosa che gli fa capire che sia lui, però avanza comunque, senza un perché, e sorride quando la vicinanza gli dà ragione.
Il riccio approfitta della poca distanza per osservare meglio il giovane.
È seduto su uno sgabello, la testa chinata leggermente verso la tastiera su cui le dita corrono veloci, ma gli occhi sono chiusi e leggermente coperti dai capelli castano scuro tenuti abbassati.
Davide non può non fissarlo, non ci riesce, e non può nemmeno ignorare il sentimento d'ammirazione che sente dentro al petto.
Quel ragazzo sembra essere un tutt'uno con lo strumento.
Ogni tanto fa qualche smorfia e Davide sa che è un gesto tipico di chi si perde nella propria musica, incurante di poter essere visto.
Forse è questo che lo attira, oltre alla voce leggermente graffiata: tra tutti gli artisti che ha visto in quella via lui è l'unico che sembra suonare e cantare per se stesso.
Continua a osservare l'espressione dello sconosciuto mutare a seconda dell'intensità della sua voce, si perde nel suo mondo cullato dalla canzone che per lui significa tutto, e lo deve ammettere, mentre si morde il labbro screpolato, è addirittura meglio dell'originale.
È talmente distratto che non si rende nemmeno conto del cessare della melodia, solo quando le palpebre della persona davanti a lui si aprono si riscuote.
Gli occhi di ossidiana -Davide lo può giurare, sono talmente scuri da mettere soggezione- lo fissano, e lui si congela sul posto, il fiato bloccato e l'impressione di essere colto con le mani nel sacco.
Ma non è uno sguardo che si aspetta qualcosa, è più uno sguardo curioso, quello che tiene puntato contro.
Chissà che faccia sta facendo, vorrebbe vedersi per poter ridere di se stesso.
Così s'impone di fare qualcosa per salvare il minimo di orgoglio che gli rimane, quindi lascia cadere qualche sterlina nella custodia aperta ai suoi piedi. Infondo, quel tipo se lo merita.
A quel gesto il giovane cantante gli sorride.
Un sorriso affabile.
Caloroso.
Disarmante.
«Grazie!»
Ed è semplicemente troppo.
Non ce la fa, Davide, a resistere lì.
Non mentre quella creatura lo guarda in quel modo.
«Ehm...»
Così fa la cosa più semplice.
Mette da parte l'orgoglio già a brandelli e scappa via.
 
Davide non era mai stato un codardo.
Fin da piccolo aveva sempre affrontato ogni cosa.
Le risse al liceo, nonostante i lividi, perché scappare le avrebbe soltanto rimandate se non addirittura intensificate, e lui questo lo sapeva.
Le discussioni, i problemi, perché eluderli non faceva altro che comprimerli fino a farli implodere e questo lo aveva imparato a sue spese.
Le critiche, perché sapeva che non ascoltarle non permetteva di migliorare.
Le paure, perché non voleva vivere una vita incatenata dalla costante ansia.
Preferiva lottare, con la consapevolezza di poter perdere, che non scappare e vedere tutto sgretolarsi lentamente.
Era più forte di lui.
E questa sua caratteristica era una delle sue poche certezze.
Fino a quando Londra non decise di portargliela via.
Per ben due volte, tra l'altro.
 
Davide sa di essersi comportato da idiota, eppure non aveva avuto alternative.
Si era sentito completamente scoperto e da quando Anna l'ha lasciato odia sentirsi scoperto.
Però sa di essere passato per un malato mentale.
Forse è proprio questo che lo porta a tornare in quel quartiere, la voglia di dimostrare di non essere un cretino.
O meglio, questa è la scusa che utilizza, ma non riesce a convincersi così tanto da crederci realmente: la verità, ben diversa, è che quel ragazzo senza nome l'ha colpito e ha l'inspiegabile voglia di rivederlo.
E spera tanto che ci sia, perché se non lo rivede sa già che passerà una settimana a rimpiangere la sua reazione così poco virile.
Scuote la testa con veemenza, non vuole pensare che non ci sia.
Avanza tra i colori, ma oggi sembrano più spenti, più morti.
Più usuali.
Mh, Davide lo sa che questa si sta autosuggestionando con il suo pessimismo, ma non può fare altro se non pensare male.
È nella sua natura - no, non è vero, è da quando si è lasciato con Anna che è così perché lui è uno di quei fastidiosi e noiosi ottimisti, in realtà.
Avanza fino al punto dove lo ha incontrato ieri, si guarda intorno, particolarmente attento, ma non lo vede. Né lo sente.
Di quel giovane non c'è traccia.
Davide si morde il labbro, come fa sempre quando c'è qualcosa che lo turba, e procede per il viale.
Ci sono un sacco di musicisti, anche qualche ballerino, e con uno stato animo più o meno normale apprezzerebbe questo traboccare di arte, ma non ora. Non quanto dovrebbe, almeno, perché quando guarda in faccia ognuno di loro e non vede la faccia del tipo sente qualcosa morire dentro di sé.
Scuote la testa con disappunto.
Vorrebbe tanto capire che gli succede, perché dai, già non è normale che il suo umore sia condizionato da uno sconosciuto, figuriamoci poi da un ragazzo!
Però sta succedendo e lui non sa come reagire.
Non sa come fermare tutto ciò.
Sospira, depresso, e scalcia un piccolo sassolino quando per l'ennesima volta lo raggiunge una voce estranea.
Non vuole più stare lì, non ha nulla da fare in quel luogo se non trova quel ragazzo, così torna sui suoi passi, scocciato e affranto.
Ma è proprio in quel momento che qualcosa succede.
Un rumore improvviso attira la sua attenzione.
Quella è la sua voce, ne è sicuro.
E quella pronunciata è un'imprecazione, ed è chiaramente italiana.
Pugliese, per l'esattezza.
Si gira, il cuore che salta un battito e vorrebbe maledirsi per questo, ma quando incontra la sua figura piegata non può fare che sorridere.
Si avvicina, accucciandosi affianco a lui per aiutarlo a raccogliere gli spartiti -probabilmente è per la loro caduta che ha imprecato- e poi glieli rende.
«Oh, sei tu!» esclama il giovane, rigorosamente in inglese, mentre prende i fogli dalle sue mani.
«Sì. Ho fatto la figura dell'idiota, ieri, vero?» gli risponde in italiano, con una nonchalance che non gli appartiene, e vede il suo connazionale spalancare leggermente gli occhi per poi ritornare alla sua espressione normale.
«Oh. Sei italiano.»
Non una domanda, ma una mera constatazione.
Il riccio annuì e l'altro gli sorrise.
«Giovanni, ma chiamami Giò.» disse, allungandogli la mano libera dai fogli. L'altro la strinse forte, sentendo il suo cuore impazzire di nuovo, il suo tocco era così gentile e sicuro allo stesso tempo...
«Davide.»
 
Giovanni aveva sempre amato la sua Italia, eppure quando aveva dovuto decidere tra la sua nazione e il suo sogno... non ce l'aveva fatta, a non lasciarla.
Era praticamente scappato di casa -non è che ne andasse fiero, ma era stata quasi una scelta obbligata- e si era trasferito lì dove i sogni diventano realtà.
Londra.
Ormai erano anni che viveva lì e non poteva dirsi pentito della sua scelta.
Aveva legato con un sacco di persone, trovato un lavoro che gli permetteva di vivere e di suonare durante la giornata, inoltre i suoi datori di lavoro erano gentilissimi con lui e questo gli bastava.
Aveva persino ripreso a parlare con i suoi genitori, nell'ultimo periodo, e questo per lui significava tornare più spesso nella sua amata Bari.
La sua vita andava a gonfie vele, tutto era perfetto.
Era assente solo una persona speciale, ma se doveva dire la verità, non ne sentiva la mancanza. La musica gli bastava.
 
Sono passate due settimana da quando ha visto Davide la prima volta, e di certo lui non ha avuto modo di potersi scordare il suo voto, infatti continua a vedere la sua faccia ogni giorno.
Che sia per un'ora o per dieci minuti il giovane passa sempre da lì e Giò non è così ottimista da pensare che lo faccia per lui.
Spesso e volentieri nemmeno parlano, il barese suona e l'altro gli sta affianco; non che gli importi tanto, si limita a godere della sua compagnia.
Hm, in realtà non è sorpreso di questi pensieri, lo ha già ammesso a se stesso: Davide lo intriga molto.
Sa poche cose di lui, sa che è siciliano e che è venuto a Londra per scappare da un qualcosa che si sta chiedendo ormai da tanto, ma l'altro si ostina a non dirglielo; che ama la musica e che è uno scrittore di professione – questo perché lo ha usato come scusa sul suo essere lì. Ecco, sa anche che è un pessimo bugiardo, infatti suddetta scusa non è durata nemmeno mezz'ora, ma questa è un'altra storia.
Inoltre sa che è l'opposto del suo tipo ideale, eppure lo attira come un magnete con il fe- no, non può avvalersi di questo esempio: la fisica insegna che se il magnete agisce sul ferro esso agisce in egual modo sul magnete, ed è praticamente sicuro di non attirare Davide nello stesso modo in cui è attirato da lui; però, forse, ha trovato un esempio più adatto: ne è attratto come l'ape da un fiore allettante.
Davide, ha notato in questa settimana di osservazione, parla poco e ascolta molto e non nomina mai la sua patria. Non condivide il suo atteggiamento, ma ha capito che ciò da cui scappa è talmente opprimente da voler evitare tutto ciò che possa farlo tornare alla mente.
Canta spesso, e ha una voce molto particolare, infatti quando succede Giò smette di farlo per ascoltarlo -e puntualmente finisce per imbambolarsi a guardare il suo profilo, a osservare i suoi ricci all'apparenza morbidissimi, per poi passare al suo naso perfetto, le labbra invitanti e-
La sua risata cristallina lo raggiunge e allora è costretto a smettere di osservarlo per tornare a concentrarsi sulla chitarra.
Lo sente salutare la madre e con la coda dell'occhio lo vede riprendere quello che ormai è diventato il suo posto.
«Come sta?» chiede, in inglese, e sa che Davide apprezzerà il suo parlare in inglese, visto che l'italiano lo fa improvvisamente deprimere.
«Sta bene, dice che le manco.» risponde l'altro con una scrollata di spalle, accennando un sorriso.
«Classico delle madri, tra un po' ti implorerà di tornare a casa» ridacchia il pugliese finendo di accordare la sua Beth
«Anche a te è successo così?» chiede Davide disegnando intanto dei piccoli cerchi sui suoi jeans.
Il palermitano non mostra quasi mai l'imbarazzo, quando succede, nota che è sempre legato alla sua curiosità.
«Mh, no. Passarono mesi prima che sentii di nuovo mia madre, dopo la mia partenza.» gli risponde con voce tranquilla, iniziando a suonare.
Vede l'altro sgranare gli occhi, probabilmente per la freddezza con cui l'ha detto, ma davvero, a lui questa cosa non lo tocca. Certo, all'inizio aveva fatto male, ma sapeva le conseguenze che avrebbe avuto la sua decisione quando aveva deciso di prenderla.
Gli fa un mezzo sorriso e il riccio continuò a guardarlo preoccupato. Giovanni roteò gli occhi, era ridicolo che fosse lui a dover rassicurare qualcuno, sulla propria situazione!
«Sto bene, sapevo a cosa andavo incontro: i miei non volevano farmi suonare, e be', la mia vocazione era questa. E comunque è passata, adesso sento i miei praticamente ogni giorno, e torno in Italia appena ne ho la possibilità!» dice suonando un accordo maggiore per enfatizzare il concetto.
Dopo, appena vede l'amico rilassarsi, sorride, furbo, e Davide capisce troppo tardi di doversi preoccupare, così quando tenta di fuggire da quella che intuisce sarà una situazione scomoda.
«Io ho parlato di me, adesso esigo lo stesso. Da cosa scappi?»
Davide boccheggia, e Giovanni lo sa che sta vacillando. Sa che parlerà.
«Da una delusione amorosa. Patetico no?»
Quando l'ammissione arriva dopo cinque minuti riempiti solo da una canzone che il barese è solito suonare quando è sovrappensiero, Giovanni ha solo una conferma, infatti sospetta che sia questo il motivo da quando ha sentito una conversazione poco felice con la madre in cui è uscito il nome Anna.
Eppure, quando la conferma arriva, fa comunque male - che poi perché dovrebbe fare male non lo sa di certo.
«Uhm... Bella merda. Mi dispiace.» risponde a bassa voce, senza saper dire altro.
«Mh, già. In realtà a Londra ci sono per caso... Le avevo chiesto di sposarmi, ma lei è scappata via. Ho capito in quel momento che l'Italia per ora non è il mio luogo. Ho preso il primo volo disponibile per cambiare aria e Londra, che mai era stata la mia aspirazione, si è ritrovata a essere la scelta, visto che ho trovato un biglietto a poco prezzo. Però ammetto che mi sto trovando bene, penso che non faticherei a viverci.»
Continua e il parlare di Anna non gli fa nemmeno così male come crede.
«Hai fatto amicizia con qualcuno? Oltre me intendo.»
Un accordo e Davide scuote la testa.
«Il mio lavoro non permette di fare amicizia, soprattutto all'estero.»
«Mh. Senti, stasera suono in un locale. Devi venire.»
Davide sorride a quell'imposizione e il mondo si ferma.
Si ferma davvero.
 
Giovanni non aveva mai creduto nell'amore, è per questo che non sentiva l'assenza della sua persona speciale.
Viveva bene in quel modo.
Però si sa, arriva un momento in cui quel sentimento ti travolge con la potenza di un uragano, e quando ti rendi conto che è successo è ormai troppo tardi per poterci rinunciare.
Bene, Giovanni lo aveva sentito con la potenza di un uragano moltiplicato per due.
O meglio, fu la consapevolezza ad averlo colpito in questo modo.
Perché lui non lo aveva capito che quella... roba la covava dentro.
E aveva continuato a non capirlo per ancora troppo tempo.
Quella sera era passata normale, così come tutte le altre giornate.
Era tornato a Bari, e avevano continuato a sentirsi, sentiva nostalgia, ma nulla di più.
Eppure quel giorno, vedendolo da lontano, lo aveva sentito il cuore che per un singolo attimo aveva smesso di battere.
Lo aveva sentito fin troppo bene.
 
Giò ha appena messo sulla sua spalla la chitarra quando lo vede.
L'aeroporto è gremito di gente e Davide è lontano, eppure i suoi occhi non hanno faticato a individuarlo.
Come se già sapessero dove individuarlo, come se già sapessero del suo essere lì.
Rimane sorpreso a tal punto da entrare in apnea.
Non gli ha chiesto di andarlo a prendere.
Non gli ha chiesto proprio nulla, a mala pena gli ha detto che sarebbe tornato quel giorno.
Quindi non può essere lui.
Però può ingannarsi quando vuole, ma la vicinanza dà ragione ai suoi sensi e non alla sua mente.
Il riccio gli sorride imbarazzato alzando un angolo della bocca, agitando leggermente una mano.
Lui quasi si strozza con la sua saliva, sentendo il cuore fermarsi letteralmente, per riprendere più impazzito di prima.
Lo abbraccia di slancio, stretto, e il riccio si irrigidisce sorpreso sotto la sua presa, ma alla fine si rilassa e ricambia il gesto.
È assolutamente la prima volta che capita un gesto così fisico tra di loro, è per questo che si sente emozionato -o almeno così si inganna.
«Stasera si esce.» sussurra Giò contro il suo collo, ma Davide lo sente chiaramente.
«Ci sono i tuoi amici?»
«Oh no, solo io e te.» precisa, dopo di che si allontana e si dirige velocemente verso la porta di uscita.
Si gira dietro quando nota di non avere il siciliano affianco e lo vede scioccato guardare i suoi movimenti.
«Be'? Non mi accompagni?» chiede ridendo della sua faccia e Davide rotea gli occhi al cielo, ma non esita a raggiungerlo. 
 
Sono le due di notte e hanno decisamente esagerato con l'alcol.
No, non è vero. E lo sanno entrambi.
Semplicemente hanno bisogno di una scusa per giustificare quello.
E ovviamente, si sa, quando c'è bisogno di incolpare qualcuno - o qualcosa - per le proprie azioni incontrollate si dà la colpa all'alcol.
Sono seduti sul divano di Davide, o meglio, Davide è seduto mentre Giovanni sta a cavalcioni sulle sue gambe, intento a divorargli la faccia come mai avrebbe creduto possibile.
Almeno adesso sa cosa significa avere le farfalle nello stomaco.
I loro cellulari sono abbandonati sul tavolino di fronte, quello di Davide si illumina a intervalli regolari ma entrambi sono troppo presi dall'altro per curarsi di quella fastidiosa vibrazione.
Non si curano di ciò che gli sta intorno, non si curano del domani.
Entrambi, mentre stringono le loro mani intorno al corpo dell'altro, hanno capito di desiderare quel contatto già da un po' e si rifiutano di interromperlo.
Giò si stacca con uno schiocco dalle sue labbra per prendere fiato, per dedicarsi subito dopo al collo del siciliano, che rovescia la testa in modo da lasciargli più spazio di azione.
Dopo un tempo indeterminato il barese torna a vezzeggiare le sue labbra, e sente l'altro sorridere.
E tutto va bene, tutto è perfetto.
Quando si svegliano, nello stesso letto, per qualche strano scherzo del destino, si svegliano nello stesso momento.
Si guardano, guardano i vestiti lasciati a terra e poi scoppiano a ridere.
Una risata di cuore e sanno che non hanno bisogno di chiarire. Se lo leggono in faccia che va bene ad entrambi.
Davide lascia un leggero bacio sulle labbra di Giovanni, poi si alza, sotto lo sguardo contrariato del barese.
«Dove vai?» chiede quest'ultimo, ancora immerso tra le lenzuola, guardandolo mentre si infila i boxer.
«Doccia, poi colazione.» gli risponde in italiano, sorridendo. È il suo modo per dire che sta bene.
Giovanni rimane solo nella stanza e si bea del loro odore impregnato nelle lenzuola.
Non se lo sarebbe aspettato, di poter stare così bene.
Quando si alza trova Davide in cucina che prepara per entrambi e nota il suo telefono illuminarsi.
Il nome che lampeggia è un nome che ha imparato cosa significa per Davide. Un nome che per lungo tempo avrebbe voluto vedere. Che forse vuole ancora vedere.
«Ti sta chiamando.» dice con tono neutro, in attesa della sua reazione.
«Lo so.»
Davide è tranquillo, mentre posa il piatto davanti a lui.
«Puoi rispondere, se ti va. Ti leveresti un peso.» dice con voce calma, ma una leggera nota di tristezza si sente comunque.
Non mi devi niente è quello che sembra dire.
Davide pondera un attimo, poi si allunga a prendere il cellulare.
«Ci metto un attimo.»
Giovanni fa per alzarsi, per dargli la sua privacy, ma Davide non lo lascia fare, lo blocca, lo fa avvicinare a sé, gli stringe una mano, e solo dopo risponde.
La voce della donna arriva all'inizio dolce, come se la ricordava, poi triste e supplicante mentre gli chiede perdono, mentre gli chiede di tornare da lei.
Davide sorride leggermente e Giovanni lo guarda triste. Ciò che il barese ancora non sa è che Davide non sorride perché sta sentendo quella che credeva la donna della sua vita.
Sorride perché l'unica cosa sente è malinconia. Non prova più nulla per lei.
Non si sente come se fosse tornato a respirare dopo essere rimasto sott'acqua per troppo tempo.
Non si sente a casa.
Queste cose adesso le prova soltanto specchiandosi negli occhi del giovane di fronte a lui. Occhi fin troppo tristi per quanto gli riguarda.
Anna continua a parlare, e Davide non ce la fa più a vedere Giò triste, così tronca la conversazione.
«Mi ha fatto piacere sentirti, davvero -inizia, accarezzando la mano del barese, che lo guarda a metà tra il devastato e l'interdetto- e se hai bisogno di me, puoi chiamarmi quando vuoi. Però non ora, perché il mio ragazzo mi sta aspettando.» e interrompe la telefonata, specchiandosi in un'ossidiana finalmente brillante.
Giovanni sorride, e il mondo si ferma.
Si ferma davvero.
 
Londra.
Davide, quando era partito, avrebbe voluto tanto essere tra gli italiani che vedono Londra come un sogno da realizzare, una possibilità in più, un qualcosa che rende liberi.
Eppure non lo era
Per lui Londra era un fallimento.
Poi però, camminando per un quartiere che gli ricordava quanto fosse vigliacco incontrò chi lo rese libero.
E Londra diventò qualcosa di più.
 
 
---Log's corner---
Questo è un esperimento, infatti è stata la prima volta che ho scritto al presente.
In generale, questa storia nasceva come fanfiction su due artisti italiani e l'avevo pubblicata solo su Wattpad siccome il regolamento di EFP lo vieta; però ho deciso di cambiare alcuni dettagli per poterla pubblicare (visto che già di per sé è un'AU) anche qui come originale.
Spero possa piacere perché dopo le correzioni sono un po' più convinta di prima, ma rimane per me un enorme punto interrogativo. 
I miei ringraziamenti vanno, al solito, al mio Angelo che ha fatto da beta.
A presto,

Logan Way 

 
   
 
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