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Autore: Heihei    28/06/2017    2 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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XVII. Coinquilini / XVIII. Iperprotettiva

 

“Pensavo di dover insistere ancora un po’”, confessò Rick, osservando la serie di bottiglie di birra ormai vuote che era davanti a loro, “ma sto cominciando a credere davvero che tu non abbia idea di dove sia tuo fratello. Forse questo è il primo segno di ebbrezza.”
“Beh, come credi che mi senta io?”, Daryl strofinò gli occhi. “Non lo so, ti ho detto tutto quello che so.”
In realtà, gli aveva detto tutto quello che sicuramente Merle non avrebbe fatto e che non sapeva dove si fosse rintanato. Quindi, niente che potesse essere utile all’Agente Grimes, che tra l’altro gli aveva detto, dopo solo un’ora di conversazione, di chiamarlo semplicemente Rick.
Neanche lui era riuscito a trovarlo, ed era stato molto attendo a non farsi scappare nulla sul Walters, su quel lavoro in generale e su tutto ciò che dimostrasse il suo coinvolgimento.
“Credo di essere ubriaco… l’hai fatto apposta?! Non credevo che l’FBI facesse sbronzare la gente per ottenere informazioni.”
Rick ghignò. “Se fosse così, magari le cose potrebbero essere più semplici.”
“Non importa, tutto quello che ho detto è vero. In genere Merle gira per la Georgia, ma non è raro che lasci lo Stato. E’ tipico di me non seguirlo, per qualsiasi ragione… magari per una donna”, tossì.
“Davvero?”, Rick spinse via la sua bottiglia mezza piena, salvaguardandosi da altre tentazioni.
“Sì, ma non importa”, ripeté, “perché se è con la merda fino al collo, tipo se per esempio è ricercato dall’FBI”, lanciò all’uomo al suo fianco un’occhiata pungente, “non importa quello che ha fatto, potrebbe anche essere innocente, lui odia gli sbirri. Se ha la sensazione che uno di loro lo stia cercando per un qualsiasi motivo, lui se ne va. Non si fida abbastanza dei suoi amici per farsi aiutare da loro. E poi voleva disintossicarsi, quindi anche suoi spacciatori hanno perso le sue tracce da un pezzo. Non sono riuscito a trovarlo, non c’è una pista da seguire e, se non ci sono riuscito io, non lo farete neanche voi.”
Rick lo scrutava con occhi duri. La sua bocca si contorse in una smorfia, ripiegandosi verso l’interno.
“E’ la verità”, continuò Daryl, svuotando quella che sarebbe stata l’ultima birra della giornata. “Ho provato a chiamarlo per dirgli di incontrarci...”
Dallo sguardo scettico onnipresente sul volto di Rick a ogni cosa che diceva, dedusse che si sarebbe mostrato sempre così schivo. Questa cosa lo rendeva abbastanza nervoso, ma non era ancora sul punto di crollare. E poi, quello che stava dicendo non smentiva quello che aveva detto in precedenza, anzi… lo completava. Dal momento che continuava a comprare altre birre, non poteva fare nient’altro.
“...Non mi ha risposto. L’ho cercato in altri modi, ma niente. Se n’è andato.”
“Pensavo fossi andato a caccia”, biascicò Rick, ricordandogli la sua versione precedente.
Daryl fece le spallucce. “A caccia di mio fratello e di animali. Dovevo pur mangiare.”
“Esiste qualcun altro che potrebbe riuscire a trovare tuo fratello?”
“Ne dubito.”
Indossando una strana espressione pensierosa che Daryl non riuscì a interpretare, Rick lo osservò in silenzio per un attimo e, quando riaprì la bocca per parlare, fu interrotto da degli squilli provenienti dalla sua tasca.
“Scusami”, mormorò, tirando fuori il cellulare.
Nonostante l’alcool, Daryl poteva ancora fare delle deduzioni efficaci. Il suo viso si era illuminato non appena aveva visto il messaggio e si era oscurato nuovamente pochi secondi dopo. Quel tipo di orgoglio e gioia, seguiti dalla preoccupazione, significavano che l’Agente Speciale aveva un bambino.
“Perdonami, è mio figlio”, spiegò poi, e Daryl annuì.
Invece di rispondere al messaggio, lo chiamò. “Carl, che ti dice sempre la mamma?”
Gli venne quasi da ridere, perché c’era qualcosa di perfettamente tipico nella voce di Rick. Gli ricordò una di quelle scene di uno di quei programmi sulle famiglie felici che doveva aver visto in televisione, con le risate di sottofondo ogni volta che volevano farti sapere che avevano detto qualcosa di divertente. Ma quello che disse dopo gli fece completamente cambiare idea.
“Beh, se per te badare a tua sorella è così faticoso, allora credo che Shane abbia ragione.” Per come l’aveva detto, non sembrava che lo pensasse davvero; la mascella si strinse e una vena gli spuntò fuori dal collo, si strofinò le palpebre e si pizzicò il dorso del naso come se dire quelle cose gli provocasse dolore fisico. “Lo so, anch’io. Penso che ci vorrà ancora un po’… parlerò con tua madre domani e risolverò la situazione”, aggiunse poi atono.
In un breve attimo di quiete della radio del bar, riuscì a sentire una voce più giovane brontolare dall’altro lato della linea.
“Va bene”, Rick riagganciò, conservando in viso un po’ di rossore. “Mi dispiace”, sospirò profondamente.
Daryl era uno che si faceva gli affari suoi, ma restò a fissare il bancone per qualche secondo, a lottare in silenzio contro se stesso. Forse era proprio colpa di tutte quelle nuove persone che lo circondavano, che lo riempivano di domande e che volevano conoscerlo. Non era sicuro che Rick ne volesse parlare, ma era chiaro come il sole che non se la passava bene. Solo poche settimane prima, si sarebbe tenuto per sé i suoi pensieri a riguardo, ma improvvisamente era come se volessero uscire fuori. Lei glieli stava tirando fuori.
“...Shane Walsh? Cioè quell’altro sbirro?”
All’inzio, Rick continuò a starsene lì seduto come se fosse parte integrante dello sgabello, con la mascella sigillata e gli occhi persi nel vuoto di fronte a sé. Poi, lentamente, annuì.
“Cazzo.” Daryl si sporse per afferrare la birra che aveva appena scartato e per piazzarla di fronte all’Agente.
Lui, in risposta, osservò il collo ambrato della bottiglia, per poi alzarla e scolarsela. “Era il mio compagno quando ero vicesceriffo.”
Cazzo!”
“Sai, non credo che sia colpa loro”, continuò, scuotendo la testa e curvando leggermente le labbra in una smorfia disgustata. Daryl non riuscì a capire se era stato sarcastico o meno, ma forse neanche lui stesso lo sapeva. “Per me e mia moglie non era un bel periodo, poi mi hanno sparato e sono finito in ospedale, in coma per sette settimane.”
Il suo dolore era evidente, così come il fatto che non voleva parlarne e che si stava sforzando di farlo. Magari l’alcool aveva aiutato.
“Mi hanno detto tutti che è stata forte, più forte di chiunque altro, suppongo, visto che tutti le sussurravano all’orecchio: Potrebbe non svegliarsi mai più, lo sai, devi essere pronta per questo”, contenne un ringhio. “Stavano solo cercando di aiutare”, scosse la testa. “Non credo che abbia mai dato retta a quello che le dicevano gli altri… o almeno finché non è stato Shane a dire qualcosa del genere. Lui era il mio migliore amico, voleva che mi svegliassi più di chiunque altro, ma poi le avrà detto: Lori, è finita. Non puoi continuare a torturarti, devi stare vicino a Carl… Carl ha appena perso suo padre. Lui se n’è andato.
Daryl si morse il labbro, guardandolo di traverso. “Che merda.”
Rick scosse nuovamente la testa e smorzò la tensione con una risata rumorosa, ma priva di ogni tipo di umorismo.
“...Mi sono svegliato in un mondo completamente diverso.”

● ● ●
 

Una volta varcato l’ingresso, non c’era nessuno che le chiedesse che cosa ci facesse lì, né qualcuno che le potesse dare indicazioni per trovare Maggie. Aveva visto la sua Saturn dorata nel parcheggio, segno che non era ancora tornata a casa.
Beth vagò a passo svelto per i corridoi dello studio, sbirciando in ogni stanza fino a che non individuò quella di sua sorella.
“Maggie! Lui mi ha baciata!”
Era completamente fuori luogo, ma anche se avesse dovuto prima farsi vedere e poi spiegare cosa l’aveva spinta a venire in città, aveva ancora la mente in subbuglio e il corpo arrossato e tremante.
Maggie si voltò di scatto, facendo cadere sul pavimento una pila di fogli che probabilmente era intenta ad ordinare e archiviare.
“Beth?!”, i suoi occhi si spalancarono quando si fermarono su sua sorella. “Che diavolo ci fai qui?” Fece un giro intorno alla scrivania per incontrarla sulla soglia.
“Mi ha baciata!”, disse lei di nuovo. “Voglio dire… in realtà, sono stata io a baciare lui… tecnicamente, gli sono saltata addosso, ma non mi ha respinta e mi ha baciata anche lui! Molto bene, tra l’altro.”
Maggie la fissò aprendo lentamente la bocca, con gli occhi che assunsero le dimensioni di dei dischi volanti non appena si spostarono oltre la sua spalla.
“A meno che tu non stia parlando di una violenza sessuale, non credo che sia questo il posto che fa al caso tuo”, disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi così velocemente da andare a sbattere contro il gomito dell’estranea, Beth si ritrovò davanti a una bella donna con i capelli biondi e ricci raccolti in una treccia elegante che le ricadeva sulla base del collo. Era in pieni con e braccia incrociate a guardare entrambe le sorelle con uno sguardo diviso tra l’irritato e il divertito.
“Andrea, lei è mia sorella...”
“Beth?”, chiese la donna. Evidentemente, dovevano aver parlato di lei qualche volta.
“Sì”, Maggie arrossì.
“Beh, sembra che abbia bisogno di te… quindi perché non farla diventare il tuo più uno per stasera?”, le propose Andrea con un sorriso brillante. I suoi occhi la scannerizzarono dagli stivali da cowboy ormai lerci alla coda di cavallo spettinata.
“Perché, non hai già un più uno?”, Beth rivolse un cipiglio a sua sorella. Non le aveva detto che lei e il suo ragazzo avevano rotto.
Arrossendo ancora di più, Maggie annuì al suo capo. “Certo, perché no?”
“Fantastico.”
“Ti serve altro?”, sua sorella continuò a fissarla nervosamente.
“Che tu venga nel mio ufficio”, rispose Andrea quasi in un sussurro.
“Oh, mi dispiace tanto!”, Beth si affrettò a uscire dalla stanza, e Maggie seguì il suo esempio a testa bassa.
“Ho fatto un casino”, disse poi, indicando i fogli sparsi sul pavimento.
Andrea agitò una mano con leggerezza. “Ce ne preoccuperemo domani mattina, sono già andati tutti a casa a cambiarsi. Ah, non dimenticarti di andare a prendere i documenti della CDC entro le cinque.”
“Dannazione”, sussurrò Maggie tra sé e sé, confermando il fatto che le sue prossime parole sarebbero state sicuramente false. “Lo ricordo, non preoccuparti.”
“Tu e Zach avete...”, mentre uscivano dalla stanza, Beth cominciò a chiederle del suo ragazzo, ma la sua espressione già diceva tutto.
Lei scrollò le spalle. “In realtà non lo so… ma se non ci siamo già lasciati, accadrà presto.”
“Mi dispiace.”
Le prese la mano e la strinse, finché sua sorella non dovette lasciargliela per tirare fuori dalla tasca le chiavi dell’auto. “Va tutto bene”, si fermò davanti alla portiera. Una folata di vento le fece andare una ciocca dei suoi corti capelli castani sugli occhi, ma la scostò con un sorriso. “Stavo solo pensando a quanto è bello… essere single. E’ da un pezzo che non sto un po’ da sola.”
Anche se stava dicendo la verità, non doveva essere comunque una bella situazione. Così, prima di passare dal lato del passeggero, Beth l’abbracciò forte.
Quando anche Maggie entrò in macchina, scacciò via ogni traccia di tristezza dal suo viso e la guardò in attesa. “Beh, chi se ne frega. Daryl ti ha baciata”, disse piatta.
“Ci siamo baciati.” Beth ebbe a malapena il tempo di allacciarsi la cintura che Maggie era già uscita dal parcheggio. “E’ stato...”, balbettò nel vano tentativo di dire qualcosa di sensato.
Come poteva spiegarle per bene come si era sentita? Era già capitato che si fosse sentita desiderata, aveva anche già sperimentato qualcosa di più passionale, ma con Daryl tutto era diverso. Il modo in cui l’aveva baciata era come un linguaggio completamente. Prima, l’approccio fisico per lei era stato solo divertimento, qualcosa che doveva provare. Con lui, invece, si era sentita come se gli fosse stata davvero vicina, in tutti i sensi; come se anche lui avesse voluto che restasse lì, aggrappata al suo petto. Solo a pensarci, cresceva in lei una sorta di desiderio che non aveva ancora ben interpretato. Ma ci stava provando.
E poi, ovviamente, se n’era andato. L’aveva lasciata così. Scossa, accaldata, confusa.
“Hai mai desiderato qualcuno che ha provato a respingerti?”
“Non avevi detto che non si è tirato indietro?”
“Non intendo fisicamente.”
Maggie cominciò a scuotere ripetutamente la testa, finché non si fermò ad osservare con la fronte corrucciata la strada oltre il parabrezza. Sospirando, accese i fanali. “Forse sì”, disse piano, “ma… sai, Beth, a essere onesta non credo di essere mai uscita con uno che avesse gli stessi complessi di Daryl.”
“Lui pensa che sia sbagliato, o almeno così ha detto”, incrociò le braccia sul cruscotto e vi poggiò sopra la testa, “e ho capito quello a cui allude, ma vorrei tanto che potesse dimenticarlo.”
“Ah, l’hai capito? Bene”, rispose Maggie, roteando gli occhi e sopprimendo una risata. Beth immaginò quanto potesse essere fastidioso per lei sentirla ammettere che la sua relazione con Daryl avrebbe potuto far storcere il naso a qualcuno.
“E’ perché sono molto più giovane di lui… e perché sta succedendo tutto troppo in fretta. E poi ci sono le regole… e anche il fatto che tecnicamente, a detta sua, è un criminale senzatetto”, gemette sulle proprie braccia. “Ma a me non importa.”
Si raddrizzò di nuovo e scoppiò a ridere, anche se non lo trovava neanche minimamente divertente. “Non mi importa”, ripeté più a bassa voce. “Tutto quello che ha detto è vero, ma non totalmente. Cioè, è così, ma dietro c’è molto di più.”
Un sorrisino affettuoso si fece lentamente strada sul volto di Maggie. Beth ebbe l’impressione che fosse tentata di distogliere lo sguardo dalla strada per girarsi a guardarla. “...Del tipo?”, chiese.
La minore prese una lunga boccata d’aria e la rilasciò con un lento sospiro. “E’ un brav’uomo.”
Il silenzio che ne seguì non sarebbe potuto essere più lungo. Avevano ancora molto da dirsi e Beth, da quando Daryl l’aveva toccata, non era ancora riuscita a domare il suo cuore impazzito. Era stato quell’impeto a spingerla ad Atlanta, cosa che Maggie fino a quel momento non aveva preso ancora in considerazione. Di lì a poco, giunsero a poco più di un isolato dalla sede della CDC.
“Quindi… chiamarmi non ti andava bene?”
“No”, rispose Beth con fermezza. “Non mi andava bene”, rise, “sto diventando stupida.” Si nascose il viso tra le mani. “Maggie, secondo te sto diventando stupida?”, chiese poi, con la voce ovattata dai palmi delle mani.
“Mmh.”
Sentì il suono della freccia come Maggie cominciò ad entrare nella CDC.
“Caspita, grazie.”
“Vuoi la verità?”, Maggie parcheggiò e si slacciò la cintura di sicurezza, ma non scese subito dall’auto.
“Non deve per forza piacermi”, rispose Beth sopprimendo un sorriso che, più che per lo sguardo torvo di sua sorella, doveva essere dovuto all’eccessiva quantità di endorfina in circolo nel suo corpo.
“Non sei stupida. E’ solo una situazione diversa da quelle a cui sei abituata”, il suo tono si ammorbidì notevolmente. “Non sai che cosa fare e non ci hai neanche pensato a mente lucida, cosa che in genere sei abbastanza brava a fare.”
Beth si guardò le mani. “Forse hai ragione.”
Maggie aprì la portiera. “Aspettami qui… e cerca di pensare al perché sei qua a parlare con me piuttosto che a casa a discuterne con Daryl.”
Lei cominciò a sbattere ripetutamente le palpebre, ricordandosi che aveva tralasciato un paio di informazioni importanti. “Oh, perché un agente federale l’ha portato via.”
Se non avesse saputo che Maggie era seriamente inorridita dal sentire una notizia del genere, la sua espressione sarebbe stata comica.
“Solo per chiedergli dove sia Merle… ma, comunque, è impegnato”, Beth fece le spallucce, mordendosi il labbro per evitare di sfoggiare un sorriso troppo malizioso.
“Dio, questa era pessima.” Maggie tirò un sospiro di sollievo misto a una risata trattenuta.
“Scusami, hai ragione. Non ci ho ancora pensato a mente lucida”, le ricordò, battendo le palpebre.
“Torno subito.”

E così fece. Ovviamente, Maggie non era autorizzata a superare anche di un solo passo la portineria della CDC e fuori ogni singola entrata di quell’edificio misterioso c’erano delle guardie armate a mo’ di sentinelle. Avevano una scatola di cartone che aspettava solo di essere presa da lei, e sembrava anche più pesante di quello che avrebbe potuto sollevare senza sforzi. Così, Beth scese dall’auto e le diede il cambio. La parte superiore era completamente ricoperta di carta. Con una certa difficoltà, la posò sui sedili posteriori e ripartirono.
“E quindi stanno interrogando Daryl? Sei sicura che sia solo per suo fratello?”, il volto di Maggie era rosso quanto il semaforo davanti al quale si erano fermate. Beth ebbe la fugace impressione che stesse nascondendo qualcosa, anche se non aveva idea di cosa potesse essere. “Non è che pensano che sia stato coinvolto?”
“Non lo so”, ammise. Aveva cercato di non pensarci, ma sentirselo dire aveva fatto uscire allo scoperto quella paura portandola allo stadio successivo. “Spero di no. Lui non ha precedenti e spero che non questa situazione non cambi. Sarebbe ancora più difficile...”, evitò di continuare, troppo nervosa per dar voce alle sue preoccupazioni.
Voleva che fosse capace di costruirsi una vita più adatta a lui, che lavorasse nella loro fattoria e che si gettasse alle spalle tutte le attività illecite in cui era stato coinvolto… ma se fosse stato già troppo tardi? E se avesse fatto troppi danni per tornare indietro?
“Non preoccuparti. Sì, magari non sono brava come te a… vedere le cose, ma prima o poi le vedo anch’io. Sto cominciando a pensare che Daryl sia un tipo intelligente, non dirà nulla di sospetto.”
La sicurezza con cui Maggie la stava rassicurando l’aiutò a respirare meglio. “Sì, hai ragione. E poi… ho intenzione di parlare con lui. Stasera. Ho detto a papà che avrei passato la notte da te perché tanto domani non devo andare a scuola, ma tornerò in serata.”
“Ti hanno chiesto perché volevi vedermi?”
Beth scrollò le spalle. “Semplicemente, ho detto che volevo vedere la tua nuova casa.”
“E’ molto glamour, lasciatelo dire”, disse roteando gli occhi. “Eccola”, aggiunse, mentre rallentava davanti a un palazzo decisamente fatiscente.
“E così vivi nel quartiere più losco della città?”, Beth studiò l’ambiente, aspettandosi di trovare almeno un segno di qualche attività criminale in entrambi i vicoli che affiancavano i due lati del palazzo.
“Esattamente”, Maggie sembrava quasi orgogliosa mentre scendeva dall’auto, finché non osservò a sua volta l’edificio con una smorfia. “Forse dovrei comprare una pistola.”
“Non ti ci vedrei”, disse lei, cercando di costruire un’immagine come quella nella sua mente.
“Beh, non dirlo a papà, perché sono quasi seria.”
“Dobbiamo portare anche la scatola?”, Beth indicò i sedili posteriori.
“A stento riusciamo ad alzarla. La porterò in ufficio direttamente domani, serve per uno dei casi di Andrea”, chiuse l’auto con un click. “E sembra anche abbastanza interessante.”
Giunte di fronte alla porta, Maggie afferrò le chiavi di casa e si poggiò alla maniglia, ma prima di sbloccarla ed entrare, si fermò. “Ascolta… mi prima che entriamo devo dirti una cosa a cui potrei non aver accennato prima d’ora. Dovevo dirtelo prima, e non quando sei venuta in ufficio. Avrei dovuto chiamarti due giorni fa e non so perché non l’ho fatto… forse per proteggerti, o qualcosa del genere.” Era visibilmente agitata.
La confusione di Beth crebbe man mano che la osservava. Era abbastanza brava a capire le persone, ed era molto stressante quando non riusciva a capire che cosa stesse combinando un membro della sua famiglia. “Maggie, mi stai spaventando.”
Con un sospiro, Maggie gettò la testa all’indietro. “E’ che non c’è un modo giusto per dirlo”, mugugnò. “Merle...”, infilò la chiave nella serratura e la girò. “Lui è...”
Aprì la porta, indicando l’interno dell’appartamento con uno sguardo esasperato.
“Qui.”

La mascella di Beth si spalancò appena ebbe modo di costatare che non aveva frainteso quella confessione: il maggiore dei fratelli Dixon era effettivamente nel suo appartamento. Stava oziando su una poltrona scucita e logora accanto alla finestra, con una sigaretta fumante in bilico tra la sua mano robusta e bendata e il posacenere poggiato sul davanzale.
Le rivolse un sorriso smagliante. “Hey, bambolina!”
In assenza di parole adeguate per definire quanto fosse surreale per lei quella situazione, entrò in casa. Sentì il bisogno di avvicinarsi a lui e pizzicarlo per assicurarsi che fosse reale, ma riusciva già a vederlo, essendo a pochi metri di distanza.
Merle provò a salutarla agitando la sua mano ferita e per poco non lasciò cadere la sigaretta. Era poggiato su entrambi i braccioli della poltrona; indossava dei pantaloni strappati, una canotta nera e uno sfrontato sorriso di autocompiacimento.
Sentì Maggie chiudere la porta dietro di loro. “Ti avevo detto di non fumare in casa mia!”, disse tra i denti. Superò Beth e gli sfilò la sigaretta da mano prima che potesse rendersene conto.
“Ehi! Ho aperto la finestra”, Merle la guardò ferito, indicando il davanzale.
In tutta risposta, sua sorella vi posò la cicca e la spinse via.
“Ma che…?” Beth, finalmente, ritrovò la voce. “Com’è successo?”, chiese flebilmente indicando l’appartamento, incapace di pensare a una sola spiegazione che fosse plausibile a giustificare tutta quella storia.
Sua sorella sospirò, incrociando le braccia al petto. “E’ stato un vero scherzo del destino, non trovi? Due giorni fa, durante la mia pausa pranzo, ho visto questo squilibrato...”
“Stavo per rapinare una farmacia”, s’intromise lui, “...ma non per farmi”, aggiunse appena notò lo sguardo sospettoso di Beth. “Mi serviva una pomata, delle garze e tutto il resto”, alzò lentamente la mano interessata.
“Gli ho comprato quello che gli serviva e gli ho detto che poteva fermarsi da me per un paio di giorni”, continuò Maggie, rivolgendogli un’occhiataccia.
“E’ stato molto gentile da parte sua, no?”
“Tuo fratello, la settimana scorsa, ci ha salvato il culo”, gli rispose con un tono ancora estremamente calmo, cosa che probabilmente stava imparando dagli avvocati. “C’erano in ballo la reputazione della nostra fattoria e l’incolumità di una bambina, e lui ha sistemato tutto. Semplice e veloce. Lo devi a lui.” Fece un respiro profondo e prese a guardare il soffitto. “E poi… ti sei già cacciato in troppi guai.
Merle si limitò a ghignare davanti a tutto quell’autocontrollo.
“La sua mano era infetta e l’ho aiutato con la roba veterinaria di papà.”
“Perché sono un animale.”
“Decisamente.”
“Okay!”, Beth stroncò sul nascere quella che stava per diventare una discussione vera e propria. Li supplicò in silenzio allungando le braccia verso entrambi e facendo un respiro profondo. “Innanzitutto...”, si voltò per rivolgersi a Maggie, “sì, avresti dovuto chiamarmi… ma è stato meglio che tu non l’abbia fatto”, aggiunse velocemente. “Sarei stata pessima a mentire all’Agente Grimes!”
Poi si rivolse a Merle. “Tuo fratello è preoccupato da morire!”
“L’Agente Grimes?!”, lui aggrottò la fronte, ignorando completamente quello che gli aveva detto su Daryl. “Quel figlio di puttana che si è imbucato alla nostra festicciola nella 708?!”
“E’ venuto a cercare Daryl, per chiedergli di te.”
Merle si strofinò rudemente il volto; un’imprecazione sfuggì alla stretta delle sue dita.
“E’ in pensiero per te”, ripeté con fermezza.
Lui le rivolse uno sguardo compassionevole e sbuffò. “Pfft, io sto bene. E anche mio fratello sta bene.” Poi, però, si voltò nuovamente ad osservarla(*). Il suo sguardo premeva su di lei con insistenza e il suo volto assunse un’espressione imperturbabile. Con quel cipiglio naturale che compariva ogni volta che non parlava o che non forzava un ghigno, la squadrò dalla testa ai piedi. “Porca puttana. Sei così dolce nei confronti di mio fratello.”
“Già”, rispose Beth automaticamente. Strinse i pugni, tenendo il suo sguardo senza battere ciglio.
Dopo pochi secondi, Merle si morse le labbra, annuendo con approvazione. “Bene.”
“Andiamo”, mormorò Maggie. “Dobbiamo prepararci… sicura che vuoi venire con me?”
“Perché no?”
Aveva cambiato idea. Non aveva intenzione di tornare subito alla fattoria. C’erano buone probabilità che Daryl non fosse ancora pronto per parlarne, sembrava che non fosse bravo a gestire quel genere di cose. D’altro canto canto, lei non era ancora sicura di quello che avrebbe voluto dirgli.
“Non fumare!”
Dopo aver detto addio a Merle in quel modo, sua sorella la portò in camera da letto. Lui le rispose con un borbottio e non la guardò neanche mentre sparivano da quello scarno soggiorno.
Maggie chiuse la porta della stanza con più forza di quanta ne fosse necessaria. “Urgh”, grungnì, per poi fiondarsi nel suo armadio, “è fortunato che Daryl sia suo fratello, altrimenti...”, lasciò la frase in sospeso, apparentemente incapace di pensare a una punizione degna. Frugò tra una serie di vestiti appesi alle stampelle e gliene passò uno. “Questo dovrebbe starti bene, magari con quei tacchi neri. In ogni caso, sono troppo piccoli per me.”
Beth non riuscì a capirne la forma, dato che per il momento era solo un groviglio di tessuto morbido poggiato sulle sue braccia, ma al tatto sembrava comodo ed era di un intenso nero opaco.
“Sembrerò un fantasma”, disse. In genere, optava per colori un po’ più chiari, dato che quelli scuri accentuavano parecchio il pallore della sua pelle.
“Provalo”, ribatté Maggie, a metà tra un consiglio e un ordine. Era divisa tra due vestiti, uno rosso e l’altro nero come il suo.
“Comunque… dirò a Daryl che Merle è qui.” Si sfilò i jeans e la maglietta e cominciò a entrare nel vestito nero.
Maggie alla fine aveva scelto quello rosso, gettandolo sul letto senza troppe cerimonie, per poi passare alla scelta delle scarpe. “Immaginavo.”
“Se fossi stata tu, io avrei voluto saperlo.”
“Se fossi stata io, non sarei stata io, perché non sarei mai stata così idiota.”
Beth si infilò il vestito, per poi rispondere: “Sai cosa intendo.” Si guardò allo specchio, tirando i capelli indietro e liberando le ciocche rimaste incastrate sotto le spalline. Tutto quel nero la rendeva fin troppo cerea, ma non era poi così brutto da spingerla a chiederne un altro.
Una volta vestite, le due sorelle si trasferirono in bagno a truccarsi. Stettero in silenzio fin quando Maggie non si fermo a guardarla, con il viso ancora punteggiato di fondotinta.
“Sono mai stata… arrogante come lui?”
Anche sotto quegli strati di trucco, Beth riuscì a vederla arrossire. “Uuuh...”, cominciò a ridacchiare. Ma le sembrò seria, quindi quei mezzi sorrisi le morirono presto sulle labbra. “A volte sei stata autoritaria, protettiva… ma non credo sia una brutta cosa.”
“Anche Merle è protettivo. Con Daryl, intendo. O almeno, così sembra dalle storie che racconta.”
“Ti ha raccontato delle cose su Daryl?”, dovette ammettere a se stessa di esserne abbastanza gelosa, soprattutto quando la vide roteare gli occhi, segno che non l’avevano interessata così come avrebbero eventualmente interessato lei.
“Non ho potuto evitarlo, gli uomini non stanno mai zitti.”
Beth finì di truccarsi e di sistemarsi i capelli prima di Maggie. Più che altro, perché non poteva farci molto, se non lasciarli sciolti nella loro lunghezza. Almeno aveva provato a lisciarli per evitare che sembrasse una appena venuta da una fattoria.
Maggie, d’altra parte, si prese il suo tempo per arricciarsi i capelli con la piastra.
Si aspettò di trovare Merle esattamente dove l’avevano lasciato, ma invece lo trovò a curiosare nel frigorifero, e non sembrava particolarmente sorpreso del suo contenuto. Appena entrò in cucina, lo sentì sospirare. “La mia dannata pizza non arriverà mai.”
“Perché non provi a chiamarlo?”, gli propose, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi alla porta.
Lui chiuse il frigo e, quando la vide, sgranò gli occhi in segno di approvazione. “Accidenti, ragazza, ti sei messa in tiro.”
“Grazie, Merle”, rispose lei un po’ riluttante. “Hai sentito quello che ho detto?”
“Huh?”, il suo sguardo si fece più insistente, indispettendola. “Hai detto qualcosa?”
“Perché non hai chiamato tuo fratello per fargli sapere che non sei morto?”
“Perché il ragazzo non ha un telefono, ricordi?”, puntualizzò, alzando gli occhi al cielo. “Ho perso il telefono quella notte, così che nessuno possa chiamarmi.”
“Sapevi che sarebbe venuto alla fattoria?”, gli chiese.
“Lo immaginavo”, fece le spallucce.
“Quindi avresti potuto contattare noi, per sentire lui.”
“Non capisco perché stai insistendo così tanto con questa storia, bambolina”, brontolò.
“Se Daryl fosse stato nei guai, avresti voluto saperlo.”
“Lui non finisce mai nei guai. Io lo tengo fuori dai guai.” Per la prima volta, Merle si mise davvero sulla difensiva, con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Un po’ di rossore, però, tradì la sicurezza con cui aveva pronunciato quella risposta. Sapeva che era una bugia, ma magari voleva che fosse vero.
Per quello che Beth aveva visto, per Daryl era meglio tenersi fuori dai casini e basta, senza contare sull’aiuto che Merle si sforzava di dare a entrambi.
Alla fine non la scrutò poi così a lungo. Dopo un po’, la superò con un cipiglio e tornò a sedersi sulla poltrona. “Allora, dimmi...”, disse con un tono più irriverente, “non ti ha ancora scopata, vero? Nah, non si innamorerebbe di te così presto...”
Beth era sicura che lo stava dicendo solo per ripicca. L’aveva messo a disagio e lui aveva sentito l’esigenza di fare lo stesso con lei. Fece del suo meglio per non replicare, continuando a guardarlo con indifferenza.
“Che finocchio”, continuò lui dopo averle rivolto un’altra occhiata veloce, ridendo da solo.
Con l’intenzione di cambiare argomento prima di cominciare ad arrossire, Beth prese a guardare la porta chiusa della camera da letto. “Che hai fatto alla mano?”, disse.
Merle sollevò il braccio, mostrandole la benda che gli aveva applicato sua sorella. “Era solo un taglietto. Me lo sono fatto mentre scavalcavo un recinto. Non era uscito molto sangue e quindi non me ne sono preoccupato, ma poi è diventato leggermente infetto. Allora ho dovuto.”
“Hai davvero incontrato Maggie per caso?”
“Beh, sì”, cambiò colorito, “tecnicamente.”
“Tecnicamente?”
“Magari quando ce ne stavamo andando da casa di Nick potrei aver sentito uno di quegli sbirri nominare lo studio in cui lavora e… niente, mi trovavo nei paraggi, questo è quanto.”
“Davvero inquietante.”
“Ora chi è quella iperprotettiva, uh?”
“E’ normale che io lo sia. Hai inseguito mia sorella e sei andato a vivere con lei dopo averci parlato solo per cinque minuti!”, Beth inarcò un sopracciglio ma, con sua grande sorpresa, dovette soffocare un sorriso che minacciava di sbaragliare la sua espressione scettica.
Forse era la sua immaginazione, ma Merle sembrava un po’ più pallido. Aveva sempre invidiato l’innata capacità di sua sorella di saper intimidire le persone con quattro parole ben piazzate e uno sguardo incrollabile, ma fino a poco tempo prima non aveva mai pensato di poterci riuscire.
Il suo volto s’irrigidì, poi con voce atona disse: “Devi capire, bambolina, che non volevo fare niente di male. L’ho fatto capitare proprio perché non volevo costringere nessuno, ero a corto di soldi e di alibi e non avevo molte altre opzioni, capisci? Mi sono trovato in zona e mi serviva un posto per dormire. Ho molti amici qui, ma nessuno disposto a darmi una mano. Avrei dovuto spaccarmi in due per cercare un motivo valido per convincerli a rischiare per me, ma sono sicuro che mi avrebbero comunque consegnato al primo sbirro che sarebbe passato per risparmiare il disturbo a loro stessi e alla loro gente.”
“C’è tuo fratello, potevi contare su di lui”, gli ricordò. “Ti avrebbe protetto.”
Merle sbuffò, ma sapeva che era vero. Ne era perfettamente consapevole.
“Lui ti vuole bene”, disse semplicemente.
Ma evidentemente era più di quanto Merle fosse disposto a sopportare. Roteò gli occhi e si alzò immediatamente, come se non l’avesse neanche sentita. Raggiunse la sua giacca e cominciò a frugare nelle tasche, forse alla ricerca di un’altra sigaretta. Non appena si arrese, qualcuno bussò alla porta.
“Cazzo, era ora!”, borbottò. Ma prima che potesse aprirla, un forte rumore di tacchi sul pavimento e una folata di vento furono le uniche cose che Beth riuscì a percepire prima di vedere Maggie piazzarsi fra lui e la porta. Era fasciata nel suo vestito rosso aderente, con il trucco impeccabile e una ferocia che le induriva i lineamenti del viso.
“E’ casa mia. Apro io la porta”, gli disse bruscamente. Si scostò alcune ciocche di capelli dagli occhi e cercò la maniglia con la mano.”
“E’ solo la mia pizza...”
Prima di lasciarlo finire, Maggie spalancò la porta e vide un ragazzo asiatico nel corridoio, effettivamente con una pizza in mano. Ma dalla sua espressione perplessa e dal fatto che indossasse un completo scuro con tanto di giacca abbinata, era chiaro che qualcosa non quadrasse. Infatti, i quattro cominciarono a guardarsi a vicenda, senza dirsi nulla.
“Uh, ciao”, disse allora il ragazzo.
Maggie si girò di scatto verso Merle. “Con quali soldi avresti intenzione di pagarlo?!”
“Sai, quando mi sono messo a cercare un po’ d’erba per la casa, potrei aver accidentalmente trovato quel paio di banconote da venti che tenevi nascoste dietro al tuo cassetto segreto.”
In risposta, lei gli lanciò un’occhiata assassina.
“Ma ci ha messo più di un’ora, quindi non servono più!”, Merle la superò con una spallata e strappò via il cartone dalle mani del ragazzo. “Pizza gratis! Ti è andata male, Kato.”
“Oh, io...”, il ragazzo cominciò a replicare ma, in meno di un istante, gli sbatté la porta in faccia.
Beth vide sua sorella tremare letteralmente dalla rabbia. Si aggiustò il vestito, tirò un respiro profondo e si voltò nuovamente versi Merle per gridargli contro. “Tu non puoi...”, ma venne interrotta da un brusco colpo dato alla porta proveniente dall’esterno.
“Che c’è?”, la riaprì e si rivolse al ragazzo asiatico, di nuovo.
“Non sono il ragazzo delle consegne. Voglio dire, lo sono stato, ma non è per questo che sono qui.” Sembrava piuttosto seccato per essere uno che si era presentato fuori la loro porta con una pizza. Si portò una mano su un fianco e, quando la fece sbattere contro la tasca dei pantaloni, si sentì il rumore di delle chiavi.
“E per cosa?”, Maggie inarcò un sopracciglio.
“Io e il ragazzo delle pizze siamo arrivati insieme, ma visto che aveva fretta e stavamo andando dalla stessa parte, ha dato la pizza a me e se n’è andato”, probabilmente consapevole di doverli tagliare, si passò una mano tra i capelli neri, pettinandoli. “Sono Glenn Rhee. Sto facendo un tirocinio alla CDC con il dottor Jenner. Tu sei Maggie Greene?”
“Oh. Sì, sono io.” Maggie si ricompose, anche se, stando alla sua espressione, non sembrava che fosse meno confusa di prima.

Lui si schiarì la gola. “Bene… il fatto è che il dottor Jenner, che magari è solo semplicemente impazzito, ha perso dei documenti e adesso è sicuro che io in qualche modo li abbia mischiati con altre carte, cosa che non ha alcun senso perché non sono mai stato vicino a...”
“Questa storia ha un punto?”, sua sorella sospirò, facendo trasparire di nuovo il nervosismo causatole da Merle.
Beth si sentì morire per Glenn che, davanti a tutta quella suscettibilità, deglutì. “Sì, ci stavo arrivando.”
Rendendosi conto di essere stata un po’ troppo dura, Maggie chiuse gli occhi e fece una smorfia. “Scusami”, disse, con più gentilezza.
“Ma che… come hai fatto a fartelo dire?”, s’intromise Merle, con la bocca piena di pizza.
Ignorandolo, continuò: “Immagino che tu voglia controllare nella scatola che mi hanno dato alla CDC.”
“Esatto”, rispose lui con un cenno nervoso.
“Questa cosa è un po’ fuori regola, non trovi? Tecnicamente, ce l’avete già data.” Maggie fece battere le unghie ripetutamente sul suo fianco e intrappolò il labbro inferiore tra i denti per un secondo, ma Beth sapeva già che gliela avrebbe fatta controllare comunque.
“Sono sicuro che non staranno neanche lì”, si giustificò Glenn, “ma devo dare un’occhiata.”
“...E va bene, andiamo.” Uscendo fuori al corridoio del palazzo, lo accompagnò posandogli la mano su un braccio e lasciando Beth e Merle da soli.
Cogliendo la palla al balzo, Beth si preparò ad affrontarlo di nuovo, incrociando le braccia al petto. Aveva poggiato la pizza sulla poltrona e si era appoggiato alla parete accanto alla finestra. Era già alla seconda fetta.
“Che c’è? Ne vuoi un po’?”, indicò il cartone. “Serviti.”
“Ancora non mi hai detto perché.”
“Perché cosa?”, disse cupo, sfidandola a riaprire l’argomento. Ma Beth non aveva paura di lui.
“Perché non hai provato ad avvisare tuo fratello.”
“Te l’ho già detto, stiamo bene così”, rispose scocciato.
“Sì, stiamo tutti bene”, continuò lei, “ma non è una motivazione. Inizia con un perché.”
Perché...”, gettò il cornicione nel cartone con la mano ferita, sussultando. “Perché sarebbe stato solo un altro problema.”
“Per chi?” Conosceva già la risposta, ma voleva che lui lo dicesse.
“Un problema per lui, contenta?!”, rispose alzando la voce, “Già il fatto che io abbia avuto a che fare con tutto questo è un casino, magari posso fare la mia parte per tenere lui fuori. Te l’ho detto, lo voglio tenere lontano dai guai.”
“Perché anche tu gli vuoi bene.”
Senza guardarla, Merle fece una specie di cenno, ma fu solo un attimo, perché i suoi occhi erano ancora duri e il suo cipiglio ancora presente.
Abbastanza soddisfatta, Beth andò in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua e per lasciarlo riflettere un po’ sulla cosa. Si era resa conto che Maggie, avendo passato del tempo con lui, aveva pensato che, a volte, poteva averla trattata come lui trattava Daryl, ma non poteva far altro che assicurarle il contrario. Il loro rapporto non aveva niente a che fare con quello di Merle e Daryl. Potevano anche litigare spesso, ma si erano sempre aperte l’una con l’altra. Invece, far ammettere a Merle di essere preoccupato per suo fratello era stato come torturarlo, ma allo stesso tempo poteva dire di non sentirsi per niente in colpa.
In poco tempo, Maggie e Glenn tornarono con la scatola della CDC.
“Scusami ancora”, Glenn gettò senza un minimo di cura la scatola sul pavimento, colpendolo con un forte tonfo. S’inginocchiò accanto ad essa e, dopo essersi aggiustato il nodo della cravatta, l’aprì. Esasperato, cominciò poi a sfogliarne il contenuto.
“Sembra una seccatura più per te che per me”, gli fece notare Maggie, sorpassandolo per andare a sedersi sul bracciolo della poltrona, già in parte occupato dal cartone della pizza.
“Non dovevate andare a quella festa per damerini, voi due?”, Merle era tornato al suo stato di scontrosità abituale. “Posso mandare io via Short Round quando ha finito.”
“Ne hai per molto?”, Maggie non sembrava apprezzare l’idea di lasciare Merle e Glenn da soli nel suo appartamento. Allungò la mano verso la pizza e addentò un pezzo di salsiccia.
“Forse”, ammise Glenn. Aveva alzato lo sguardo su di lei solo per un secondo, ma Beth aveva potuto notare che era quasi arrossito nell’indugiare sulle gambe di sua sorella, accavallate sul bracciolo della poltrona.
“Non ti fidi a farmi fare il babysitter, dolcezza? Me la cavo bene, chiedi a tua sorella.” Merle rivolse un sorriso a Beth. Sembrava deciso a spazzar via tutto l’imbarazzo di prima.
“Sì, è a posto”, rispose, pensando di essere stata anche troppo generosa in quella valutazione. Dal cipiglio di Maggie, poteva dedurre che comunque non li avrebbe mai lasciati lì da soli.
“Voi due...”, lo sguardo di Glenn oscillò tra Merle e Maggie, provando a fingere un interesse del tutto casuale. “Voi… state insieme?” Le sue guance si fecero di un rosso più intenso. “Voglio dire, anche tu vivi qui?”
Maggie esitò per un secondo e Beth si coprì la bocca per trattenere un risolino.
“Diavolo, no!”, disse sua sorella con un’espressione puramente inorridita.
“Beh, non ancora...”, Merle trattene un ghigno. “Però… potremmo darci dentro.”
Chiaramente infastidita dalla domanda di Glenn, Maggie si voltò per rispondergli. “Se tu fossi l’ultimo uomo sulla terra, ti sopprimerei e rapinerei una banca del seme per ripopolare il mondo da sola.”
“Questa è la cosa più fredda che una donna mi abbia mai detto”, Merle sembrò in qualche modo fiero di lei. “E’ nella top twenty, perlomeno.”
“Scusate”, Glenn trasalì non appena rincontrò lo sguardo di Maggie, per poi rigettarsi tra le carte.
“E’ meglio andare”, sua sorella si alzò in piedi. Lasciarli nel suo appartamento era sicuramente l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma da come guardava continuamente l’orologio del forno a microonde, sembrava determinata a non essere ulteriormente in ritardo.
“Già. I bambini staranno bene”, Beth non riusciva a smettere di ridacchiare. “Glenn, è stato un piacere… Ciao Merle! Oh, comunque dirò a Daryl che sei qui”, li salutò agitando una mano e uscì fuori al corridoio.
Glenn ricambiò velocemente il saluto, continuando a sembrare imbarazzato e pieno di lavoro da fare. La camicia gli era uscita fuori dai pantaloni e il colletto della giacca andava decisamente tirato giù, ma sembrava comunque molto più elegante di Merle, che nel frattempo aveva gettato a terra il cartone della pizza per sedersi di nuovo e si era chissà come macchiato la camicia di sugo.
“Dì a mio fratello di trattarti bene… digli che qualsiasi uomo al posto suo ti avrebbe già...”, indugiò nel continuare a dirle quello che Daryl avrebbe dovuto farle non appena notò le occhiatacce che Maggie gli stava mandando.
Infatti, si era fermata sulla soglia ad osservarlo con i suoi occhi verdi che sembravano più affilati di dei coltelli.
“...Ti avrebbe fatto fare tante cose belle”, concluse frettolosamente.
“Ti ho capito, Merle”, lo informò sua sorella, sbattendo la porta.

 

(*) Il testo originale è “But he did a double-take”. In pratica, il “double-take” sta a indicare quella situazione in cui guardi di sfuggita una persona ma poi ti rivolti a guardarla perché l’hai riconosciuta o perché ti sei accorto di qualcosa. Non so se mi spiego xD. Comunque, non so se esista un termine preciso in italiano per rendere il concetto e quindi l’ho tradotto così, pardon.

 

Note d’autrice:
Per quanto riguarda Daryl e Rick, voglio chiedervi scusa se vi è sembrato che Rick si sia aperto troppo presto. Era una cosa che mi preoccupava molto, ma per mia esperienza posso dire che l’alcool rende le persone socievoli, comprese- o soprattutto- quelle che non lo sono affatto.
Ho usato la confessione del dottor Jenner nella prima stagione come modello per la scena dell’ingresso nell’appartamento, spero di non essere sfociata nell’OCC.
E poi, già che ci siamo, non ci sarà Merggie. No, perché amo i Glaggie. In realtà, è da un po’ che pensavo di creare una specie di folle drubble sci-fi con qualche sfumatura di Merggie… però ora sono concentrata su questa storia, quindi no.
Baci in stile Bugs Bunny a chiunque abbia messo tra le preferite, le seguite e a chiunque abbia recensito!

 

Note traduttrice:
Ok, comincio a scusarmi per il mio ritardo immenso. E’ passato quasi un mese dall’ultimo capitolo e anche se so di non essermi mai data una scadenza mi dispiace avervi fatto aspettare.
Spero che vi soddisfi (dato che ho fatto veramente tardi, almeno volevo tornare con due capitoli ahah) e niente, spero che mi perdoniate e che continuiate a seguire la storia.
Baci! xx

   
 
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