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Autore: Lunarossa12    28/06/2017    0 recensioni
Quel pomeriggio faceva davvero caldo, ma i condizionatori mantenevano il corridoio dell'ospedale ad una temperatura sopportabile. Non era orario di visita e nell'androne regnava un il silenzio, interrotto solo dal ronzare delle ventole d'areazione.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quel pomeriggio faceva davvero caldo, ma i condizionatori mantenevano il corridoio dell'ospedale ad una temperatura sopportabile. Non era orario di visita e nell'androne regnava un il silenzio, interrotto solo dal ronzare delle ventole d'areazione. Sotto le ampie finestre, da cui penetravano i caldi raggi del sole, era disposta una fila di sedie arancioni, a disposizione per chi attendeva il suo turno per una visita. Ma come ho già detto, non era orario di visite e nessuno sedeva su quelle sedie. Nessuno apparte qualcuno che non sarebbe dovuto essere lì.
Seduto sull'ultima  poltroncina, in una delle rare zone d'ombra, un ragazzo dall'aria esotica, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani giunte davati a se, come se fosse raccolto in preghiera. 
Fissava con intensità la potra chiusa della stanza difronte a lui.
Era da un mese che si presentava all'ospedale, sempre alla stessa ora, saliva al reparto "Rosso" e si sedeva sulla stessa sedia, davanti alla stessa porta. Il tutto accadeva sotto gli sguardi curiosi delle infermiere di turno che, le prime volte, lo tenevano d'occhio, pronte ad intervenire nel caso cercasse di entrare. Ma adesso quasi speravano che si alzasse e aprisse quella benedetta porta, irrompendo nella stanza.
Avevano fatto mille congetture e teorie su chi potesse essere, e quale fosse il suo legame con il paziente di quella stanza.
 
< Secondo me è il fidanzato...> diceva una.
diceva l'alta.
< No no è sicuramente un ammiratore o una specie di pervertito, non mi fido...> si imponeva un'altra ancora.
< Vi sbagliate tutte e tre.> disse in fine la capo reparto, prendendo un sorso dalla sua tazza di caffè. Era Una donna anziana, che ne aveva viste di cose. < ho già visto quello sguardo, tanti anni fa. Lo sguardo di chi prova un profondo senso di colpa e di vergogna...anche all'epoca era implicata una bomba.> declamò solennemente. < Quello, ragazze mie, è la causa dei dolori della persona chiusa in quella stanza.>
Le tre infermiere si scambiarono uno sguardo attonito, per poi tornare a controllare con ancora più curiosità l'insolito visitatore, che nel frattempo non si era mosso di un solo millimetro.
Anche la capo reparto tornó a guardare il giovane. Ne studiò ogni millimetro di pelle abbronzata. Osservando con aria quasi maniacale le rughe d'espressione che si formavano sulla fronte scoperta, e come la luce si rifletteva sui suoi capelli di un bianco innaturale ( probabilmente tinti, aveva pensato più di una volta). 
Distolse lo sguardo dal ragazzo e lo affondò nella tazza che teneva ancora in mano, come a cercare una risposta nel liquido scuro. 
Ci stava pensando da un po. Aveva valutato tutti i pro e contro e  fatto un centinaio di piani nel caso qualcosa fosse andato storto. Non erano affari suoi...però...
Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro, poi appoggiò, forse con troppa energia, la tazza sul ripiano e uscì dal'abitacolo, dirigendosi con passo affrettato  verso il ragazzo, ignorando le sue colleghe che la pregavano di tornare in dietro.
In un attimo fu di fianco al ragazzo, che sollevó lo sguardo.
La donna gli porse la mano.
Questo la guardò con aria interrogativa per qualche secondo, ma alla fine le stinse la mano. Questa con uno strattone lo fece alzare, non ostante il ragazzo fosse molto più grosso di lei, e con un'altro strattone lo fece muovere di qualche passo, sufficiente per farlo arrivare davanti alla porta.
Il prossimo passo fu quello di prendere la mano del ragazzo e appoggiarla sulla maniglia. Mentre compiva il gesto, la donna poté sentire il corpo del ragazzo che cominciava a tremare. 
In fine gli diede una carezza sulla spalla e un sorriso di incoraggiamento. Il ragazzo la guardò basito, poi ricambio il sorriso, fece un profondo sospiro e apri la porta, per poi sparire dentro la stanza.  
 
 
Himitsu si ritrovó così dall'altro lato della potra che da un mese fissava, seduto su quella maledetta sedia, tormento dal desiderio di entrarci eppure bloccato dalla paura di affrontare questa cosa. 
La stanza era una normalissima camera da ospedale con le pareti azzurre e un letto.
Un letto vuoto.
La persona che avrebbe dovuto occupare quel letto, ora stava seduta su di una sedia a rotelle, il viso girato verso la finestra aperta. Gli stava dando la schiena. Da dove si trovava, Himitsu poteva vedere solo il profilo del viso appoggiato sul pugnio chiuso della mano. Aveva gli occhi chiusi  come se si fosse addormentata. Notó anche una fasciatura che le attraversava la fronte, sotto i corti capelli bruni.
Per un attimo Il ragazzo pensó bene di svigniarsella e fare finta di non essere mai stato lì. Ruotó su sesteso e prese in mano la maniglia.
 . Himitsu si bloccò di colpo.
Le parole erano state pronunciate con un tono talmente freddo che Himitsu sentì un brivido attraversargli tutto il corpo.
Il giovane si voltò verso la fonte di quella voce. 
Aveva mantenuto la posizione, ma ora il suo viso non pareva più così rilassato e l'occhio era spaventosamente aperto e lo fissava.
< Credevo ti fossi addormentata...>disse distogliendo lo sguardo e posandolo sulle pieghe delle lenzuola. 
Continuò a fissarle per tutto il momento di teso silenzio che seguì. Continuò anche quando sentì la sedia a rotelle muoversi e girarsi. 
Il cuore gli batteva all'impazzata. 
< Guardami Himitsu.> 
No. Non voleva guadarla. Finché non la vedeva poteva ancora fingere che non fosse vero. Poteva  fingere che non fosse colpa sua.
Poteva
Sobbalzò quando si sentì chiamare di nuovo.
< Ho detto: Guardami.>
La sua voce era così dura.
Girò il viso verso la ragazza ma mantenendo lo sguardo basso.
Fece un ultimo immane sforzo, combattendo contro se stesso, per compire quel giesto.
Alzó lo sguardo.
E subito si pentì di averlo fatto.
Makayla. La giovane promessa della Overwatch. La cadetta uscita dall'Accademia con il massimo dei voti. Il più giovane Capitano di tutta l'organizzazione, che vantava una serie di vittorie contro la Talon, da far invidia ai colleghi più anziani. 
Ora era lì. Davanti a lui. Ridotta all'ombra di ciò che era.
Himitsu la squadrò da capo a piedi...se i piedi ci fossero stati ancora. Il viso era attraversato da una fascia che le copriva l'occhio sinistro.  Le spalle, le braccia, il busto, apparte qualche ferita superficiale, sembravano apposto...Ma le gambe non c'erano più.
Ed era tutta colpa sua.
Himitsu sentì salire le lacrime, ma si sforzò di ricacciarle in dietro. Sapeva che Makayla non lo avrebbe sopportato.
Makayla lo fissava con il vuoto nel'occhio.
Himitsu aveva già visto quello sguardo un miglio e di volte, ma mai diretto verso di lui. 
Makayla lo usava negli interrogatori, quando un detenuto si dimostrava particolarmente duro a cedere lei usava quello sguardo. E restava così per ore, senza muovere un muscolo come una statua di sale, finché il detenuto non cominciava a implorare tra le lacrime che gliela levassero da davanti, promettendo di rivelare tutto quello che sapeva.
Una volta, dopo uno di questi interrogatori, era toccato a lui scortare il prigioniero nella sua cella, e questo gli aveva confessato che si era sentito come se quella ragazza gli stesse scavando nell'anima.
Ora Himitzu sapeva cosa significava quella frase. 
Si sentì spogliato di ogni difesa, nudo piccolo e impotente.
Distolse subito lo sguardo.
Sentì le ruote della sedia muoversi. Sbirciò per notate che si era girata e si stava dirigendo verso il letto. Mise la sedia parallela al letto e si issò sulle braccia. 
Himitsu si mosse subito, tendendo le braccia per aiutarla
< Non. Toccarmi.> ordinó gelida.
Himitsu si  bloccò sul posto, tirando giù le braccia.
La ragazza si manteneva in equilibrio sui braccioli della sedia, con l'abilità di una circense. Ne lascio andare uno, mettendo la mano sul letto. Fece quello che si poteva definire un saltino, cadendo pesantemente sul materasso. 
Appoggiò la schiena sui cuscini, lasciandosi scappare un sospiro, tornando poi a guardare fuori della finestra.
Rimasero così per qualche minuto,nel silenzio più totale, senza scambiarsi parole o sguardi.
Himitsu era tornato a fissare il pavimento e si scervellava per trovare le parole adatte. 
Doveva dire qualcosa. Ne aveva il dovere.
Aprì la bocca per iniziare il discorso che si era preparato , studiando ogni singola parola.
< Mi dispi-
lo interruppe secca.
La ragazza spostò il suo sguardo dal paesaggio fuori dalla finestra, posandolo sul'individuo difronte a lei.
< Non ho bisogno delle tue scuse. Non voglio la tua pietà.> sputò l'ultima parola come se fosse veleno.
< Non mi importa dei tuoi sensi di colpa, non mi importa dei tuoi sentimenti per questa situazione e in generale. Ma ti diró come mi sento io. Sono incazzata. Incazzata con te e incazzata con la Talon. Sono incazzata anche con Morrison, fottuto bastardo, che ha deciso di accollarmi il peso di farti da baby sitter solo perché non sapeva cosa cazzo fare con te, quando io gli avevo chiesto uomini addestrati e non bestie selvatiche!>
Himitsu si sentiva trafitto da ogni parola.
< Non me ne frega un cazzo se ho perso le gambe. La metà dei soldati che conosco ha un qualche tipo di protesi. Nostro padre ne ha una al braccio e Zio Genji ha un'intero corpo bionico.
L'esercito mi fornirà presto ciò di cui ho bisogno, ma per il momento sono bloccata qui e i miei uomini non hanno una guida. Un intero mese di stallo. E in tanto quei terroristi infami, fanno i loro comodi! > enfatizzò le ultime parole sferrando un pugno al moro alle sue spalle. 
Fece una pausa per riprendere fiato.
< Questo> disse battendo una mano su uno dei moncherini < È qualcosa che  quando ho iniziato a prestare servizio, sapevo sarebbe successo. Magari speravo più avanti. Ma era un rischio che ero pronta ad affrontare.
Ma non ero pronta a correrlo per te. 
Questo è quello che rimpiango.>
Himitsu deglutí un paio di volte. < A-Allora perché lo hai fatto?>
Makayla non rispose, limitandosi a fissarlo con l'unico occhio.
Segui un teso silenzio.
< Non credere che non ci abbia pensato. Ma per tua fortuna, avevo l'ordine di tenerti in vita. >
Himitsu sentì un groppo in gola. 
Sapeva di non essere amato da sua sorella. E il sentimento era reciproco. Ma sentirle dire dire queste parole...sentirle ammettere che aveva seriamente pensato di abbandonarlo tra le braccia della morte, lo scosse tanto da rompere la diga che tratteneva le lacrime.
Con le guance già umide, le lanciò uno sguardo pieno di di prezzo. 
Sul volto della ragazza si dipinse una maschera d'orrore. 
disse in tono canzonatorio< sei ancora più stupido di quanto pensassi, sei-
urló Himitsu, il cuore gli si dibatteva nel petto e le tempie cominciarono a pulsargli. 
< PERCHÉ MI TRATTI COSÌ!  FIN DA BAMBINI SEMPRE PERCHÉ MI ODI COSÌ TANTO?!!> Urló tra le lacrime. Sentiva i canini crescergli in bocca.
Makayla orrervó in silenzio i suoi occhi passare dal loro ambra naturale ad un inquietante cremisi. 
Per un attimo la paura le attanagliò l'entrata dello stomaco, ma scaccio subito quella sensazione. Stavolta non avrebbe abbassato lo sguardo. Non avrebbe seguito le regole che tutti le avevano sempre imposto. Avrebbe affrontato quella bestia una volta per tutte. 
< Perche ti odio?> disse con voce quas atona, tra sognata, mette tutte le emozioni che si teneva chiusa dentro da 20 anni,  sgorgavano fuori come un fiume in piena.
< Tu come pensi che mi sia sentita, quando una donna è  venuta a bussare alla posta della mia famiglia, con un infante in braccio, proclamandolo figlio di mio padre?
Come pensi che abbia vissuto lo sguardo di vergogna di Papà e quello vuoto di Otosan*?
Come è stato secondo te vedere il mio mondo andare in frantumi ?> anche lei stava piangendo adesso.
Aveva aperto il vaso di Pandora. Aveva abbassato tutte le difese.
< Senza contare poi di quell'abominio che ti porti in corpo.>
Himitsu trasalì.
< Io mi sono allenata tutta la vita. Ho sempre dato il massimo al l'accademia, ho sgobbato come un fottuto mulo per essere ammessa alla Overwatch e diventare capitano. 
A te è bastato fare il tuo trucchetto di magia un paio di volte per ottenere il posto.  Senza addestramento, senza la minima preparazione appare gli allenamenti con tua madre-
< Anche nostro padre non ha fatto  l'addestramento  però- 
< NOSTRO PADRE NON ERA UN FOTTUTO MOSTRO!!>
Ci fu dinuovo silenzio.
Non si guardarono.
Le spalle di Makayla tremavano per i singhiozzi. La testa rovesciata all'indietro, fissando il soffitto.
Prese fiato e ricominciò < Quando hai chiesto aiuto.  Dopo che hai bellamente ignorato tutti i miei ordini. Ho pensato: " forse questa è la volta buona che me lo levo dai piedi"...ma poi mi è tornato in mente Papà.  E mi sono ricordata di quanto lui ti ami. Di quanto ci ami.
E di quanto io ami lui. Non ostante tutte le delusioni che mi ha dato.
Non potevo fargli questo.>
Himitsu rimase in silenzio. Gli sembrava così piccola, così indifesa.
 Si voltò, mettendo la mano sulla maniglia. 
La voce di Makayla lo fece fermare di nuovo.
< Metti la testa apposto. Dimostrami che mi sbaglio su di te. Dammi un motivo per non odiarti.>
Non le rispose. Non la guardo. Aprì la porta e svanì dietro di essa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 ! Angolo dell'autrice !
 
Salve a tutti! Questa è la primissima ff che pubblico qui, volevo farlo da molto tempo ma mi mancava il coraggio...spero vi piaccia!
( Per favore siate gentili nelle recensioni)
 
Himitsu non mi appartiene ma è di proprietà di una mia cara amica che mi ha permesso di usarlo in questa ff.
 
Credo siano necessarie alcune spiegazioni :
 
- Makayla è figlia di Jesse Meccree e Hanzo Shimada.
- Come  è possibile che due uomini gabbiano un figlio? Angela ha diciamo, unito i loro DNA e inseriti in un ovulo sintetico. 
- *Otosan significa papà in giapponese ed è così che Makayla si rivolge/riferisce ad Hanzo.
- Himitzu è figlio illegittimo di Meccree e di una donna chiamata Yume Seyko ( anche lei appartiene alla mia amica) Yume è una Kitzune e questo rende Himitzu un semi Kitzune ( questo è l' "abominio " di cui parla Makayla.) 
 
 
  
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