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Autore: Sophja99    28/06/2017    3 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo trentasei

Il castello


Silye si fermò a guardare con un'espressione interdetta Ashild, che, subito dopo aver pronunciato quella frase, si voltò verso di lei e la superò con aria apparentemente indifferente. Era ovvio che sapesse che la ladra l'avesse ascoltata, ma questo fatto non sembrò affatto interessarla, sebbene, dal modo in cui aveva detto quelle poche parole, pareva che quelle rappresentassero qualcosa di molto importante per lei.

Rivolse un ultimo sguardo all'oste Edwin, che si era girato per tornare dietro al bancone della locanda, per poi uscire e raggiungere i suoi due compagni, che si erano fermati ad aspettarla poco fuori dal locale.

«Silye, muoviti. Dobbiamo riuscire ad entrare nel castello prima che sorga il sole, tra qualche ora, e non possiamo sapere quanto tempo impiegheremo nel liberarci delle sentinelle.»

«Lo so bene» ribatté lei. All'improvviso la colse un pensiero: «Promettemi una cosa.»

«Quale?» chiese Vidar, aggrottando le sopracciglia chiare.

«Non ucciderete nessuna guardia reale.»

«Sei diventata matta? Sono soldati esperti. Se non lo faremo noi, saranno loro ad ucciderci» proruppe Ashild, rivolgendole uno sguardo interdetto.

«Questo è l'unico favore che vi chiedo. Nelle ultime settimane la mia vita è stata in balìa del destino e del volere di altre persone. Stavolta voglio agire a modo mio ed evitare che avvenga la stessa cosa accaduta nel Døkkr Vargr» ribatté Silye, determinata a convincerli. «I Liði saranno anche dei soldati addestrati, ma non meritano di morire solo perché sono al servizio del re per ottenere qualche denaro con cui vivere.»

«Ci farai uccidere tutti quanti» sibilò Ashild, che evidentemente non condivideva il suo punto di vista.

«Va bene» intervenne Vidar, sorprendendo entrambe le ragazze. «Faremo come dici. Ci limiteremo a stordire i Liði, senza arrivare ad ammazzarli.»

«Non avrai davvero intenzione di darle retta!» esclamò la guerriera, guardandolo in cagnesco.

«Ha ragione. Quegli uomini non meritano la morte.»

«D'accordo, voi fate come volete. Io, invece, agirò a modo mio.»

Ashild non diede nemmeno loro il tempo di controbattere, che si girò e riprese il cammino verso il palazzo. Dopo un momento di silenzio, Silye e Vidar la raggiunsero.

Di notte le vie della capitale erano poco meno affollate del giorno; sebbene la maggior parte del popolo si trovava chiusa in casa a dormire, tante erano le persone, sia nobili, sia di basso rango, che uscivano per andare a bere, a giocare d'azzardo o a trascorrere qualche ora con una o più prostitute.

Le torri del castello erano visibili in ogni parte e vicolo della città, anche quando l'intera struttura era parzialmente o quasi tutta coperta dalla moltitudine di abitazioni di Gudir. La notte regalava all'edificio un'aria tetra, creata dal gioco di ombre che si veniva a creare con la poca luce proveniente dalla luna, anche se offuscata dalle nuvole, e dalle fiaccole. Svoltarono l'ultimo angolo e si ritrovarono di fronte all'immenso palazzo. Proprio come Ashild aveva loro detto, vi era solo un unico grande portone che dava al cortile interno del castello, difeso da due Liði, vestiti nelle loro usuali armature nere.

«Iniziavo a credere che non avrei più rivisto questo posto infernale» sussurrò la guerriera, ma le parole giunsero ugualmente alle orecchie di Silye, che le stava accanto. «Mi ero ripromessa di non mettervi più piede dentro, ma prima o poi tutti dobbiamo combattere i mostri del nostro passato.»

«Già...» assentì l'altra. In fondo, anche lei stava andando incontro al suo passato e a quello che aveva sempre identificato come il suo maggiore nemico dopo la morte del padre.

«Andremo là insieme, ma il primo a parlare e ad agire sarà Vidar, intesi? Tra di noi è sicuramente il meno riconoscibile.»

«Perché non io? Ho una certa esperienza nel raggirare i Liði» domandò Silye. Iniziava a sentire la stessa sensazione di adrenalina che le percorreva le vene quando sceglieva la sua vittima da derubare. I suoi piedi e le sue mani fremenano perché cominciassero il prima possibile a muoversi. Desiderava l'azione.

«Tesoro, ti sei mai specchiata? Con quei capelli, anche sul più lontano e sperduto dei ghiacciai Kala riuscirebbero a riconoscerti» la zittì Ashild, rivolgendole uno sguardo che non ammetteva repliche.

La ladra fu tentata di risponderle per le rime, ma non le sembravano le circostanze adatte per iniziare una lite; poteva solo fidarsi della decisione della ragazza e sperare che tutto sarebbe filato liscio.

Si posizionò meglio il cappuccio in modo che quasi tutte le ciocche fossero nascoste all'interno e, quando posò di sfuggita lo sguardo su Vidar, si accorse che anche lui la stava guardando.

«Pronta?» mormorò.

Affatto. Il loro piano era audace, pericoloso. Una mossa sbagliata e avrebbero messo in allarme l'intero castello; e allora non avrebbero più avuto l'opportunità di incontrare il re e di avvalersi dell'effetto sorpresa. Però, doveva rimanere positiva e pensare che ce l'avrebbero fatta. Annuì a Vidar, prima che si avviassero verso la porta delle mura.

Come le guardie li avvistarono da lontano, sguainarono le spade e attesero che si ponessero maggiormente alla loro vista. Se avessero fatto rumore, avrebbero fatto scattare i soldati che dall'alto delle torrette in quel momento osservavano ogni loro movimento.

Silye sentì il proprio respiro accelerare sempre più man mano che le mura del castello si facevano più vicine, ma cercò di controllarlo per non darlo a vedere ad Ashild, che accanto a lei appariva tranquilla come sempre. Non poteva sapere se quella era solo una maschera o era davvero così calma, ma certamente, se lei si fosse trovata al suo posto e nelle sue condizioni, non si sarebbe comportata con la sua stessa apparente imperturbabilità.

«Mostrate i vostri volti» disse una delle guardie, prendendo una fiaccola dal supporto affisso alla parete delle mura, per poterli osservare più chiaramente anche in mezzo a quel fitto buio. «Identificatevi ed esplicitate quali sono le vostre intenzioni.»

«Vorremmo entrare nel castello» affermò Vidar, ma senza scoprirsi. Questo loro atteggiamento avrebbe iniziato a far insospettire le sentinelle e dovevano affrettarsi se volevano arrivare al Konungr prima che fosse troppo tardi.

«Non così in fretta. Scopritevi» ingiunse l'altra guardia, con una voce più profonda e adulta di quella che aveva prima parlato loro.

Vidar stavolta non diede loro alcuna risposta, ma passò direttamente all'azione. Sferrò un pugno alla prima guardia, facendole colpire le mura di pietra. Quello sbatté la testa e si accasciò a terra, incosciente.

Senza dare il tempo all'altra sentinella di chiamare altre sentinelle, Ashild sfoderò un coltello e gli tagliò la gola quando era troppo preso a guardare il compagno.

Silye lanciò uno sguardo rabbioso alla principessa, che, dopo aver trascinato il corpo più vicino alla porta di legno, pulì il pugnale dal sangue sulla gamba.

«Ti avevo già avvertita» sussurrò la bionda, «che non avevo intenzione di rispettare la tua stupida condizione.»

La ladra guardò per un'ultima volta il cadavere del guerriero. Per fortuna il tutto era avvenuto nella rientranza delle mura, cosicché i Liði che si trovavano sulle torrette non avevano potuto vederli.

«Questa porta non è serrata. Quella per entrare nel castello, invece, lo è. Ma noi non passeremo dalla principale. Seguite me.»

Detto questo, Ashild girò la maniglia e aprì la porta, quanto bastava per farli passare uno ad uno. «Appiattitevi alle mura» mormorò lei.

Strisciarono sulle pareti fin quando non arrivarono all'altro lato delle mura e la ragazza non fece loro segno di fermarsi. Indicò la parte del castello che avevano di fronte. «L'entrata è qui davanti. Dovremo correre per attraversare il cortile senza farci vedere dalle sentinelle.»

Con un po' di fortuna e aiutati dal buio, sarebbero riusciti a non farsi scoprire. Vidar non avrebbe avuto problemi grazie alle sue doti insegnategli dagli elfi, mentre lei era stata istruita da suo padre a muoversi il più silenziosamente possibile; ce l'avrebbero potuta fare. «Adesso» sussurrò Ashild, poco prima di partire.

La guerriera fu la prima a toccare le pareti del castello, seguita da Vidar, che si mosse veloce come un lupo. Lei cercò di correre il più agilmente possibile, ma qualcosa dovette tradirla, perché all'improvviso sentì levarsi una voce dalla distante torretta. Le sembrò di sentire gridare la parola «intrusi», ma lei si constrinse a rimanere concentrata sulla sua corsa, anziché su ciò che accadeva a qualche chilometro da lei.

Finalmente le sue mani entrarono a contatto con le mura di pietra del palazzo e, quando si girò verso gli altri, udì Ashild mormorare, mentre tastava le piccole fessure tra i blocchi di pietra: «Non trovo la chiave. Di solito la nascondevo qui da piccola.»

«Sbrigati. Ci hanno scoperti» la incitò Vidar. Dietro di loro, le voci si erano fatte più forti e frenetiche.

«Eccola!» esultò la principessa, proprio nel momento in cui uno dei soldati scagliava contro di loro una freccia, che fortunatamente li mancò, andando a colpire la parete. Quindi Ashild si affrettò ad inserirla nel chiavistello.

«Non so se l'hai notato, ma ci stanno attaccando» affermò Silye, guardando con apprensione la torretta da cui era stata lanciata la prima freccia. Altri arcieri, molto più numerosi, si stavano preparando a scoccarne altrettante.

Finalmente la porta si aprì e i tre vi entrarono, proprio quando le freccie vennero scagliate. Una di esse colpì di striscio la spalla di Silye, strappandole solo leggermente la stoffa del mantello e senza lasciarle ferite di alcun tipo. Si ritrovarono in un corridoio buio, dalle pareti di pietra come il resto del castello e tenuemente illuminato da qualche torcia.

Vidar richiuse prontamente la porta, pur sapendo che quello non sarebbe bastato a fermare i soldati reali. «Mostraci la strada, principessa.»

Al sentire quell'ultima parola, Ashild si voltò verso di lui, un'espressione dura e minacciosa in volto. «Non chiamarmi mai più in quel modo» sibilò. «La principessa di Midgardr è morta nel momento stesso in cui ho messo piede fuori da questo posto e sono scappata.»

La ragazza si incamminò lungo il corridoio e Silye si affrettò a raggiungerla. Era da quando erano usciti dalla locanda che moriva dalla voglia di farle quella domanda e, sebbene sapesse che quello non fosse il momento migliore per una chiacchierata, decise di porla lo stesso. «Cosa intendevi quando hai detto quella frase all'oste? Giungerà l'ora in cui...»

La ladra si interruppe, non ricordando bene il nome che lei aveva pronunciato, e Ashild concluse la frase per lei: «...Crimilde reclamerà la sua vendetta. È una sorta di segno di riconoscimento.» Poi aggiunse: «Forse più di avvertimento.»

«Avvertimento per chi?»

«Per il Konungr.» Ashild si azzittì non appena si sentirono dei passi risuonare lungo il corridoio. I tre si appiattirono lungo la parete e, quando due guardie sbucarono all'angolo, li attaccarono. La guerriera piantò la spada sul petto di uno di loro, tappandogli la bocca in modo che non potesse richiamare l'attenzione di altri soldati urlando. Vidar, invece, si occupò dell'altro, colpendolo alla testa con il manico del pugnale che Ashild gli aveva prestato, in maniera talmente forte e precisa che quello stramazzò immediatamente a terra.

«E chi è Crimilde? Perché vuole vendetta?» chiese Silye, mentre Ashild recuperava la spada.

«Una donna mitologica, anche detta Gudrun. E aveva le sue buone ragioni per volerla, come me» disse, senza scendere nei dettagli.

Nonostante Silye si fosse incuriosita molto da quella faccenda e da quell'ultimo nome, che ricordava di aver già sentito da qualche parte, capì che quello non era il momento adatto per parlarne. Avrebbe chiesto di più una volta usciti di lì; ora doveva concentrarsi sul Konungr e sulla missione di Vidar.

Quindi Ashild, avvertendoli di camminare sempre rasenti la parete, li guidò lungo una rampa di scale, che li condusse ad un altro corridoio, ma stavolta più ampio, segno che erano entrati nel castello vero e proprio, dove si muovevano il re, la sua famiglia, i suoi funzionari e altri importanti e ricchi ospiti. Nella parte inferiore, invece, come la guerriera aveva loro attentamente spiegato, vi erano le segrete, l'armeria e i locali dei servi.

Da allora in poi avrebbero dovuto fare maggiore attenzione, perché vi sarebbe stata maggiore possibilità di incorrere in Liði in ricognizione nei vari corridoi e stanze del palazzo.

Dovettero attraversare diversi saloni e percorrere altrettante rampe di scale prima di raggiungere il piano in cui si trovava la stanza del re e non senza difficoltà. Avevano incontrato numerose guardie, ma stavolta avevano cercato di superarle senza attaccarle direttamente, perché lì vi sarebbe stata maggiore probabilità di richiamare l'attenzione di altre sentinelle e farsi scoprire. Però, più il tempo passava, più il numero di Liði aumentava, segno che dovevano stare tutti all'erta ed essere stati avverti della loro presenza. Dovevano affrettarsi prima che andassero ad informare anche il Konungr.

Le stanze reali si trovavano al secondo piano, quello più elevato, mentre al primo vi erano le camere degli ospiti e al piano terra le cucine, la sala del trono, da ballo e da pranzo e lo studio dove il re si ritirava per discutere con i suoi funzionari e più stretti confidenti sulle condizioni del regno.

Camminarono nel silenzio più totale sul pavimento coperto da un lussuoso tappeto rosso, posto sulle ampie scale a ricoprire il marmo di cui esse erano composte. Arrivati al piano superiore, sentirono delle voci e suoni di passi sul lungo corridoio in cui sbucarono. Trovandosi lì il re, quello doveva essere il punto del castello più controllato dai Liði.

Percorsero l'intero corridoio e, una volta raggiunto l'angolo, Ashild fu l'unica ad affacciarsi per vedere quanti fossero i soldati posti a presidio della camera reale. Poi la guerriera, dopo essersene accertata, si tirò indietro e si voltò verso di loro, mormorando: «Sei.»

Grandioso. Due per ognuno. Silye dovette reprimere un sospiro esasperato. Avevano già saputo sin dall'inizio che quell'impresa non sarebbe stata affatto facile, ma il pensiero che ancora sei uomini la separassero dall'uomo che aveva firmato la condanna di suo padre la innervosiva oltre ogni dire. Alla fine, però, si costrinse ad annuire ed attendere pazientemente il segnale di Ashild.

Quindi, le labbra della guerriera scandirono la parola Ora, senza pronunciarla ad alta voce. Come quelle si richiusero, i tre si mossero simultaneamente e con precisa rapidità, sguainando le loro armi e cogliendo così del tutto alla sprovvista le guardie.

All'improvviso Silye si pentì di non aver portato con sé il suo arco e le freccie, al posto del misero pugnale che usava a caccia. Quello non le sarebbe servito a granché, in confronto alle spade dei Liði, ben più addestrati e abili di lei. Soprattutto dal momento che lei non aveva alcuna intenzione di uccidere nessuno di quegli uomini, al contrario di quelle che erano le loro intenzioni. Poteva solo confidare nella bravura di Ashild e Vidar.

Questi ultimi, infatti, si erano subito scagliati contro il gruppo di soldati. Il dio aveva già mandato a terra uno di loro, aggirando la sua difesa e facendolo cadere con un calcio. Ashild, nel frattempo, se la stava vedendo con due Liði insieme, parando agilmente i loro attacchi.

Silye fu costretta a smettere di guardare i suoi compagni per focalizzarsi sull'uomo che le si era parato davanti e che stava tirando fuori la sua spada proprio in quel momento.

«Ragazzina, con quello non ci farai niente» sghignazzò, scoprendo i denti gialli e avvicinandosi minacciosamente a lei.

Silye non rispose, perché già sapeva che qualsiasi parola sarebbe stata inutile: quel soldato aveva ragione. A cosa le serviva un pugnale, in confronto ad una spada?

L'uomo non le diede nemmeno il tempo di formulare quel pensiero che prese ad agitare l'arma, provando a tirarle un fendente, che Silye riuscì ad evitare indietreggiando. C'era un unico modo che le avrebbe permesso di uscire indenne da quello scontro.

Quindi il soldato, continuando a ridere, tentò un affondo. La ladra, spostandosi di lato, colse subito l'opportunità datale dalla guardia lasciata scoperta al termine del movimento compiuto dall'uomo e lanciò con tutta la forza che aveva nel braccio il pugnale. Quello si andò a conficcare precisamente sul suo fianco destro. La ferita non sarebbe arrivata ad ucciderlo, ma l'emorragia provocata dal profondo taglio l'avrebbe certamente indebolito. L'unico problema era che, per arrivare a stancarlo a tal punto da non essere più in grado di attaccarla, doveva colpirlo in molteplici zone, senza, però, arrivare a infliggergli ferite mortali. Per fare ciò, avrebbe dovuto prima estrarre e recuperare il pugnale e non sarebbe stato facile avvicinarsi tanto all'uomo, ancora perfettamente in grado di difendersi.

«Credevi di potermi uccidermi? Dovresti migliorare la mira» disse quello, senza emettere nemmeno un lamento. Le uniche cose che si era limitato a fare erano state trasalire e guardarsi la ferita.

«La mia mira non ha nessun problema» ribatté Silye, mettendosi in posizione di difesa. Ora, però, era disarmata e la ferita al fianco non sembrava procurare alcun fastidio al soldato. Dovevano essere addestrati alla sopportazione del dolore, oltre che all'ordine, all'obbedienza e all'uso delle armi.

Quello fece per ripartire all'attacco, quando la lama di un coltello spuntò al centro del suo petto, per poi sparire di nuovo, come risucchiata. La guardia si guardò il torace in uno stato di confusione, quasi non capisse cosa fosse accaduto. Vi portò una mano e in poco se la ritrovò coperta dal sangue che colava dall'ampia ferita. Un attimo dopo perse l'equilibrio e cadde a terra.

Dietro di lui apparve Vidar, con in mano il pugnale ormai completamente rosso del sangue del soldato. L'aveva ucciso. Me l'avevi promesso.

Forse Silye doveva avere scritta in faccia la delusione che provava, perché, come se il dio fosse riuscito a leggerla nel pensiero, le disse: «Mi dispiace, ma ho dovuto farlo. Preferivo morisse lui al posto tuo, perché, credimi, lui non ci avrebbe pensato due volte prima di ucciderti.»

Silye aprì la bocca per dire qualcosa, - o forse per non dire nulla, ma questo non l'avrebbe mai potuto sapere -, quando la porta della camera del re si aprì di scatto.

L'uomo che si mostrò era proprio il Konungr in persona; e non era solo. Ai suoi fianchi vi erano due creature. Queste erano a metà tra segugi e lupi, per le loro dimensioni, ben più grandi di quelle di normali cani, e i denti aguzzi che entrambi avevano scoperto mentre ringhiavano loro contro.

   
 
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