Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Bardos96    29/06/2017    1 recensioni
"I miei sogni diventano la mia arma, le cicatrici che porto con me diventano le mie medaglie"
Ho sempre avuto un fascino quasi deviato per le mani.
Forse è perché trovo le mie mani particolarmente belle.
Forse è perché sono l’unica cosa bella che trovo in me.
Forse è perché è l’unica cosa bella che gli altri hanno sempre trovato in me.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ho sempre avuto un fascino quasi deviato per le mani.
Forse è perché trovo le mie mani particolarmente belle.
Forse è perché sono l’unica cosa bella che trovo in me.
Forse è perché è l’unica cosa bella che gli altri hanno sempre trovato in me.

“E’ strana. Insomma guardala, è bassa, è piatta, non ha un bel viso e ha i capelli sempre legati.”

“E’ una sfigata. L’hai vista in faccia? A chi piace una così?”

“L’unica cosa bella che vedo in lei sono le mani. Quelle sono davvero belle. Il resto è nulla.”

“Ha delle dita lunghe e sottili, ha le mani da artista.”

“Le sue unghie sono sempre perfette, anche quando non le cura.”

Ogni tanto mi guardo allo specchio e penso che in fondo non sono male, anzi sono carina, ho un bel fisico proporzionato e dei bei lineamenti del viso ora che da ragazzina sono diventata donna. Però loro sono sempre li, lunghe, delicate, affilate. Mi fissano. Mi chiamano.
Sono la mia benedizione e la mia maledizione; sono il simbolo della mia bellezza e il ricordo delle mie cicatrici.

“I miei sogni diventano la mia arma, e le cicatrici che porto con me diventano le mie medaglie. “ [Luhan - Medals]

Forse è per questo che sono così ossessionata. Ho passato talmente tanto tempo ad analizzare le mie mani in ogni piccolo particolare che mi sono resa conto di quante cose esse raccontano di me. Ho un leggero callo da matita sull’indice destro, perché amo disegnare. La pelle delle nocche di entrambi gli anulari è più dura e secca, segno delle redini di equitazione. Le mie dita hanno una forma allungata, delicata come i petali di ciliegio, talmente sensibili da cadere con un solo soffio di vento. Però sono anche muscolose, forti, solide.

Pian piano ho cominciato ad osservare le mani altrui. Ho iniziato ad analizzare gli altri: guardavo le loro mani e vedevo loro, le loro passioni, il loro lavoro, il loro carattere. Capisco se qualcuno non mi piace guardandogli le mani. Mi innamoro sempre di ragazzi con le mani simili alle mie: ossute, snelle, nerborute. Non mi interessa che siano lunghe, corte o piccine, ma la grazia e la sensibilità di chi come me ha le mani da artista mi affascina sempre. Gente con le mani simili alle mie, ma al contempo diverse, con vite diverse, con esperienze diverse.

Odiavo le sue mani.

In fondo sapevo fin da subito che non avrebbe funzionato, mi era bastato uno sguardo, un tocco, una stretta di mano. Il brivido e la sensazione di disgusto che la sua pelle mi aveva trasmesso era bastato per rendermi conto che non avrei voluto aver niente a che fare con quella persona. Eppure lui era li di fronte a me, a parlare con me, di me, a cercare di risolvere i miei problemi.
Non so nemmeno io perché avevo accettato di vedere uno psicologo. I miei genitori erano convinti che non servisse, ma per qualche motivo avevo accettato il consiglio di un amico.
No di un conoscente.
Nemmeno le sue mani mi piacevano.

La prima volta ero andata io nel suo ufficio; mi ero rifiutata di toccare quella stanza. Su ogni oggetto che toccava lasciava delle macchie indelebili, una scia chiara e netta che diceva “Sono stato qui.”. E io non volevo essere contaminata. Non da quelle impronte. Non da quelle mani. Mi ero rifiutata di prendere in mano la tazza di te che mi aveva offerto. Non accettavo nessun tipo di contatto con quella persona, con i suoi effetti personali, con qualunque cosa gli stesse accanto. La sola idea di poter entrare in contatto con l’epidermide che ricopriva quelle dita caricaturali mi nauseava, disgustava.

Il disgusto è una reazione umana derivante dalla capacità di capire cosa ci fa bene e cosa no. Provare disgusto verso qualcosa o qualcuno equivale a identificarlo come tossico, come velenoso.

Si, io disgustavo quella persona.

Era la mia tossina, il mio veleno. Più le guardavo e più le sue dita mi ricordavano la bocca delle sanguisughe. Ho iniziato a temere che da un momento all’altro mi si sarebbero attaccate addosso e avrebbero succhiato via tutta la vita che scorreva dentro di me, secondo dopo secondo.

La seconda volta è stato peggio. Era convinto che per sistemarmi sarebbe dovuto venire da me, il modo migliore per riprendere il controllo della mia mente era distruggere il muro che avevo creato. Doveva contaminare il mio spazio sicuro per far si che avrei smesso. Come se questa mia cosa fosse come il fumo. Come se l’avessi cominciata per moda o perché qualcuno me l’aveva offerta.

-Sembra che ci sia un disturbo ben radicato dietro questa tua abitudine. Generalmente si tende ad andare per gradi, ma nel tuo caso se vogliamo risolvere la situazione dobbiamo andare alla radice del problema. Dobbiamo mandare in crisi la tua mente per poterti permettere di riprendere il controllo su questa cosa.–

L’aveva chiamata cosa perché non aveva idea di come definirla eppure già credeva di sapere come risolverla. Ma non sapevo nemmeno io se la volevo risolvere. Non così. Non con lui.
Quando mise piede dentro casa mia iniziai a sudare. Le sue dita sulla maniglia della porta mi irritavano, non riuscivo a smettere di pensarci. Ogni cosa che toccava era un conato di vomito che sentivo salire lungo la gola. La sensazione era quella di quando si vede un animale spiaccicato sull’asfalto, con le interiora sparse sul cemento e l’odore di putrefazione che impregna l’aria. Fa schifo, ma non si è capaci di distogliere lo sguardo.
Cercava di toccare più oggetti possibili, sporcava la mia casa con quelle sue appendici putride. Lo faceva apposta perché sapeva come mi sentivo, gliel’avevo detto. Sono sempre stata una persona schietta, non mi faccio problemi a dire le cose come stanno. Visto l’evolversi della situazione però ho cominciato a pensare che forse sarei dovuta rimanere zitta.

Si stupì quando vide ago e filo. Non tanto per quello che vide ma per la spiegazione che diedi sul loro utilizzo.

- Ti piace cucire? Non sapevo avessi questo hobby, non hai paura di pungerti le dita? –

- No. Mi piace cucirmi la pelle. –

Presi i miei due arnesi e gli feci vedere. Scaldai l’ago sulla fiamma di un accendino, la sicurezza prima di tutto, poi ci passai il filo e feci un piccolo nodino alla fine. Prima di infilare il filo nella cruna gli avevo fatto scegliere il colore, ne avevo solo due. Lui aveva scelto il rosso, io quindi avevo preso il nero.
Mi infilai l’ago sottopelle alla base interna del dito medio, in quel punto c’è parecchia pelle morta quindi non si sente dolore. Ricamai una piccola stella.

- Qual è il motivo che ti spinge a farlo? –

- Lo stesso motivo che spinge la gente a tatuarsi o fare piercing. E’ esteticamente appagante. E’ soddisfacente. –

- Lo faresti anche a me? –

Mi porse il palmo della mano, io mi ci allontanai ma lui di tutta risposta lo avvicinò ancora di più tanto che potei sentire la peluria del dorso della sua mano viscida solleticarmi il polso.
Irritante, era maledettamente irritante.

Avevo la sua mano appoggiata sulla mia, non potevo fare altrimenti, e l’ago già disinfettato nell’altra mano. Avevo cambiato colore, non potevo permettere che il filo che avevo appena passato sotto la mia pelle toccasse la sua. Sudavo e tremavo, mi sarei dovuta concentrare su quello che facevo eppure l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che dovevo lavarmi il palmo sinistro. Sentivo il suo sudore causato dal prolungato contatto mischiarsi al mio, un formicolio mi pervadeva la spina dorsale, le braccia, le punte delle dita. Avevo i muscoli tesi e rigidi, digrignavo i denti, corrucciavo la fronte. Sentivo l’irrefrenabile impulso di perforargli la mano da parte a parte, di piantargli l’ago da cucito nella vena, di usarlo per cavargli uno dei suoi meravigliosi occhi color dell’oceano.
Forse l’avrei fatto.
Passai l’ago sotto la sua pelle. Feci una croce. Premetti un po’ troppo forte; un rigolo del suo sangue finì sul mio polso.
Vomitai.

Pian piano divenni più brava. La situazione sembrava migliorare, non con tutti ma almeno con lui.
La situazione sembrava migliorare.
Ero solo più brava a fingere, ora non si accorgeva se lo guardavo con odio, con diffidenza o con arroganza. Avevo preso una maschera, l’avevo fatta mia, la stavo forgiando sul mio viso a mia volontà. Credeva che quando lo bucavo era perché ormai avevo preso confidenza e agivo in modo troppo deciso.
La verità è che mi piaceva.

Amavo profondamente provocargli dolore.

A volte perdevo le staffe e non riuscivo a controllarmi. Quando mi chiedeva di cucinare e toccava il cibo che avrei dovuto mangiare, tendevo a rompere qualunque cosa avessi in mano, a volte lo minacciavo, a volte vomitavo sul pavimento.
Odiavo quando mi toccava il viso, quando passava la punta delle sua dita unte e ruvide prima sul mento, poi sul naso, infine sulle palpebre. Il peggio erano i capelli, non doveva permettersi di toccarmeli; l’unica volta che ci aveva provato gli avevo quasi piantato una forchetta nella giugulare.
- Il contatto fisico è importante – si giustificava – serve  per desensibilizzarti all’idea di essere toccata. –  
Diceva che mi stava disintossicando, ma io mi sentivo più sporca di prima.

Un giorno incontrai la persona che mi aveva consigliato quello psicologo. Andammo a pranzare assieme, chiacchierammo a lungo. A quanto pare stavo meglio. Non sembravo più troppo ossessionata a fissare e scervellarmi sulle mani della gente.
Non ne avevo più bisogno.
Mi bastava meno di un secondo per analizzare gli arti di qualcuno, passavo molto meno tempo a guardare semplicemente perché non ne necessitavo più tanto quanto prima. Ero più veloce.
Stavo diventando brava.
Mi disse che era contento di vedermi fare progressi, che ci saremmo dovuto vedere più spesso, che sembravo una persona nuova, migliore, più bella.

“Sono più bella? Adesso sono bella?”

Gli tirai un pugno.
Gliene tirai un secondo.
Poi un terzo.
E altri ancora.
Sentivo la brezza del primo pomeriggio scuotermi i capelli, accarezzarmi la pelle. Sentivo il calore del sangue e il viscidume della sua saliva sulle nocche dolenti. Udivo il vento soffiare tra le fronde degli alberi del viale solitario e i suoi versi sommessi grugnire a tempo coi miei movimenti.
Vedevo il blu del cielo riflettersi nei suoi occhi mescolandosi al dolore e alla paura.
L’adrenalina, la gioia e una strana energia dal retrogusto amaro mi pervadevano il petto.
Ridevo senza rendermene conto, piangevo senza accorgermene.
Lo lasciai semicosciente sul marciapiede, mi presi un suo dente come ricordo. Ancora non capisco perché non mi abbia denunciata, ma non l’ho più visto.
La mia mano destra diventò rossa e indolenzita, mi sentii in colpa per averla ridotta così.

La colpa era solo sua, sarebbe dovuto rimanere zitto.

Ciao a tutti! 
Finalmente dopo un sacco di tempo sono tornata con una nuova fanfic! Purtroppo tra università, lavoro e impegni vari è difficile trovare il tempo di scrivere ma fortunatamente l'ispirazione non mi ha abbandonata del tutto! Ho scritto questa fanfic ieri notte in preda all'ispirazione del momento e non sono riuscita a resistere dal pubblicarla!
In realta ho già altre serie che mi piacerebbe pubblicare ma visto che sono serie e probabilmente non sarei in grado di tenere i capitoli aggiornati costantemente devo ancora decidere sul da farsi!
Per ora vi lascio con questo one shot introspettivo psicologico che si basa, lo ammetto, su una mia fissa reale che però qui viene portata all'estremo.
Spero vi piaccia!
See y'all!

Bardos96

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Bardos96