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Autore: AnnVicious    30/06/2017    0 recensioni
Lana è una ragazza di ventisette anni che fa ritorno a Woodville, il suo paese di nascita, a causa di una recente perdita in famiglia che l'ha parecchio scossa. Essendo stata sempre una ragazza insicura, incapace di osare e trasgredire anche alla minima cosa, si sente persa, ancora più debole ed insicura, per giunta in quel paese che ora le sembra totalmente diverso, privo dell'energia che emanava una volta.
Ma proprio quando è al laghetto, il luogo dove da ragazzina andava a giocare, a distanza di dieci anni, rivede Alex.
Per lei è stato il primo amico, la prima cotta, il primo amore, il primo a lasciarla sola.
Alexander è a sua volta in un periodo difficile della sua vita: con un lavoro che non soddisfa le sue ambizioni, una delicata situazione in famiglia e la relazione con la sua ragazza in bilico ma riesce comunque ad avere coraggio e a vivere appieno la propria vita, nonostante sia solito indossare delle maschere pur di non mostrarsi per la persona che è nel profondo.
Entrambi sono cambiati molto, in alcune cose in meglio ed in altre in peggio, ma il ricordo della loro spensieratezza e del loro primo amore vive nelle loro menti.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Lana si trovava al pronto soccorso, nella sala d’aspetto e non ne poteva più del caos che la circondava: erano le sette di sera e la grande stanza era affollata; c’era un bambino che sembrava avere dai quattro ai sei anni il quale non la smetteva per un secondo di strillare con la madre che voleva tornare a casa, aveva un lungo graffio su un braccio che probabilmente gli aveva causato un gatto randagio e non smetteva per un secondo di frignare con la madre, che cercava in ogni modo di non far svegliare la neonata che teneva in braccio. Vi era anche una coppia di anziani che aveva preso a litigare mezz’ora prima e sembravano non voler smettere di ripetere a voce alta sempre le stesse cose, probabilmente non erano lì nemmeno per qualcosa di grave, anzi sembravano avere forze a sufficienza vista la foga con la quale stavano litigando. Vi era anche un vociare generale dato che erano almeno in una decina nella sala d’aspetto e a Lana stava letteralmente scoppiando la testa.

Aveva preso a battere piano il piede per terra nervosamente ormai già da una trentina di minuti e da quando avevano portato Alex dentro, non aveva smesso per un secondo di mordersi il labbro inferiore che ormai le si era screpolato e nemmeno le importava: in quel momento avrebbe potuto anche sanguinarle tutta la faccia e non se ne sarebbe accorta.

Voleva solo sapere quando avrebbero dimesso Alex e se fosse stato il caso di preoccuparsi per la sua salute o meno, ma non ricevendo notizie, la sua ansia non faceva altro che aumentare in modo spropositato. Da quando si era svegliata quel mattino, si era sentita strana, come se il proprio istinto avesse cercato di metterla in guardia su ciò che sarebbe accaduto nel pomeriggio ad Alexander e si stava maledicendo all’infinito per non averlo ascoltato. D’altronde, Alex era stato bene per tutto il giorno e lei non aveva avuto un motivo concreto per preoccuparsi.

La neonata che teneva in braccio la madre del bambino graffiato sul braccio si era svegliata ed aveva attaccato proprio in quel momento a piangere come una disperata. Lana non ne poteva più di tutto quel caos, sentiva la testa martellarle di continuo e doveva prendere assolutamente una boccata d’aria, così si alzò di scatto, attirando su di sé degli sguardi di incomprensione ed attraversò le porte scorrevoli a qualche passo da lei, che portavano fuori.

Nonostante nell’aria si respirasse solo smog in quell’ora di punta, la prima cosa che fece Lana fu quella di prendere una enorme respiro e ripeté quell’azione per una decina di volte, in un vano tentativo di calmarsi.

Il suo cervello continuava a pensare a cosa diavolo potesse essere accaduto ad Alex: una infermiera l’aveva informata del fatto che lo avrebbero sottoposto a degli esami generali per verificare il suo stato di salute e Lana stava cercando di immaginare cosa mai potesse essere accaduto ad Alexander, il quale di salute era sempre stato bene, a parte qualche rara volta in cui aveva avuto delle comunissime influenze. Ora che ci pensava meglio, aveva notato, oltre al sangue che lui aveva cercato in tutti i modi di mascherarlo alla donna quando ne aveva avuto l'opportunità, in effetti Lana si era accorta del fatto che lui aveva perso qualche chilo e probabilmente avrebbe potuto essere sottopeso ma nulla di cui preoccuparsi a parer suo; solo quella maledetta tosse che nell’ultimo periodo era sembrata piuttosto perseverante in lui, sembrava essere l’unico ostacolo alla completa salute di Alex e Lana non aveva la più pallida idea come associare quella tosse se non al fatto che non fosse ancora guarito totalmente dalla bronchite di cui aveva sofferto qualche tempo prima.

Più si spremeva le meningi per cercare una soluzione per Alex e più le ritornavano a mente le scene che aveva vissuto appena un paio di ore prima: lo schianto improvviso del camper, lui svenuto sul sedile del guidatore, il sangue che gli colava dal naso, il suo bellissimo viso pallido come la morte…

Scosse la testa e rivolse lo sguardo al cielo nuvoloso che copriva il tramonto e sospirò un’ennesima volta.

Non è niente, Lana. Si risolverà tutto al più presto. Si costrinse a pensare per dare un freno alle proprie ansie e paranoie che non accennavano per un secondo di creare caos nella propria mente così fragile in quei minuti di tensione. Si sentiva esattamente tesa come le corde della chitarra del suo partner o come quelle della propria viola. Restava con gli occhi fissi sul camper azzurrino parcheggiato alla propria sinistra: non ricordava nemmeno se lo avesse chiuso a chiavi o meno ma in quel momento era l’unica cosa a non preoccuparla.

Non le importava se un ladro le avesse rubato tutti i suoi averi o addirittura tutto il camper, non le importava di nulla se non della salute di Alex e quel brutto presentimento che era apparso quella mattina, ora era ritornato dieci volte più intenso, tanto da non permetterle di respirare a dovere e nemmeno di stare ferma: continuava a camminare avanti ed indietro davanti alla porta d’ingresso automatica che si apriva e richiudeva ogniqualvolta in cui lei vi passava dinanzi.

Un paio di minuti dopo fu però costretta a spostarsi di corsa perché un’ambulanza aveva appena parcheggiato e dei paramedici stavano mettendo frettolosamente un uomo anziano su una barella. Lana si era messa in un angolo ad osservare i paramedici in azione, almeno per concentrarsi su altro e far respirare la propria mente.

Venne però interrotta da un dottore.

“Mi scusi, lei è la fidanzata del signor Turner?”.

Lana aveva il fiato corto e non riusciva a parlare, quindi si limitò ad annuire con la testa, portandosi con una mano i lunghi capelli dietro l’orecchio.

“Ho bisogno di parlare con lei, mi segua nel mio studio”. Disse l’uomo con il camice bianco e lei prese subito a seguirlo: ora non sentiva più il caos dei bambini che strillavano o degli anziani che litigavano, riusciva a sentire solo il proprio cuore che le batteva veloce nel petto come una trivella impazzita.

“Come sta?”. Riuscì a chiedere lei col poco fiato che aveva in corpo mentre cercava di restare al passo veloce del dottore che non le si era ancora presentato.

“Dopo che avremo finito di parlare, potrà andare a fargli visita”. Rispose il medico dai capelli grigi e gli occhiali piccoli.

Quella risposta fece tirare un piccolissimo sospiro di sollievo alla ragazza: già solo poter sapere che avrebbe potuto rivedere il volto dell’uomo che amava, era per lei di un conforto immenso.

Arrivarono poco dopo in una piccola stanza dalle pareti giallo ocra, una scrivania, tantissimi documenti impilati in uno scaffale alla destra di quest’ultima con alcuni farmaci posti in alto, una stampante e delle stampe di quadri che avrebbero dovuto essere rilassanti agli occhi ma che su Lana sembravano sortire l’effetto contrario. Non le piaceva affatto quel posto, sembrava la tipica stanza dove si dicono cose orribili.

“Si accomodi sulla sedia”. Disse il dottore, indicandole la sedia nera e imbottita che si trovava di fronte alla scrivania dove Lana aveva notato delle cartelle cliniche: forse lì si trovava anche quella di Alex? Avrebbe voluto che il medico le avesse dato del tu ma non riusciva a trovare la forza di poter dire qualcosa a parte rispondere alle domande del medico.

Dopo che entrambi si furono seduti, Lana iniziò a stringersi le mani l’una con l’altra, ben nascoste sotto la scrivania: in quel momento le sarebbe piaciuto poter credere in qualcosa, in una qualunque divinità alla quale potersi affidare nei momenti peggiori della propria vita per non sentirsi sola e credere che forse qualcuno lassù avrebbe protetto Alex, ma la verità è che in certi casi imprevedibili, si può fare affidamento solo sulla sorte.

“Io sono il dottor Travis Spencer. Come la avrà informata l’infermiera Farrel, abbiamo sottoposto il signor Turner a degli esami specifici per capire la provenienza del suo malore improvviso e abbiamo riscontrato in una radiografia un problema...”.

Lana era concentrata appieno su ciò che stava dicendo il dottor Spencer, fissandolo intensamente nei suoi occhi verde scuro e stringendosi ancora più forte le mani l’una con l’altra, fino a sentire dolore nelle proprie ossa. Le parole “radiografia” e “problema” fecero mancare il respiro alla donna, che trasudava ansia e paura da ogni più piccolo poro della sua pelle.

“Arrivi al dunque, per favore”. Disse Lana con voce bassa ma decisa. L’uomo con il camice bianco guardava Lana con compassione ed era proprio quello sguardo che fece ancora più paura alla ragazza.

Spencer aprì una cartella che aveva messo sulla scrivania ed estrasse fuori da essa una radiografia con i polmoni di Alex ingranditi e non ci fu bisogno di aggiungere altro per Lana, perché guardando quell’immagine aveva già capito al volo di cosa si trattasse. Indicò il lato sinistro del polmone, dove vi era la grande macchia nera e disse con voce spezzata: “quando potete togliergli questa roba dal corpo?”.

Posò gli occhi su quelli del dottor Spencer e lasciando che una lacrima scorresse sul proprio viso, Lana lo lasciò parlare dopo aver già letto la risposta nei suoi occhi pieni di pietà.

“Si tratta di un tumore inoperabile”.

Quelle parole risuonarono come un eco ripetuto all’infinito nella testa di Lana, la quale iniziò improvvisamente ad avere la sensazione che la stanza iniziasse a muoversi lentamente intorno a lei. Sbatté diverse volte le palpebre degli occhi per cercare di riprendere il controllo di se stessa ed appoggiò una mano sulla scrivania di frassino per tenersi dritta sulla sedia mentre il dottore aveva preso a spiegarle cosa fosse la chemioterapia e quante probabilità ci fossero di guarire da un tumore simile con l’aiuto di quella cura. Lana sentiva solo il numero delle percentuali come se il dottore le stesse parlando da una distanza troppo elevata per poterlo udire con chiarezza. Aveva sentito “cinque-dieci percento” e poi si era persa di nuovo, non riuscendo a concentrarsi sulle altre parole che stavano uscendo come una cascata inarrestabile dalla bocca del medico. Lana lo guardava, cercando di concentrarsi sulle sue parole, ma era come se all’improvviso fosse calato un velo sul proprio udito e sulla propria vista. I propri occhi finirono sul camice dell’uomo e solo allora notò la targhetta con su scritto il suo nome e la sua professione, che non aveva notato prima, presa dall’ansia che la stava divorando da dentro: “T. Spencer; Reparto Oncologia”.

Avevo la risposta alle mie domande sotto agli occhi e non me ne sono nemmeno accorta. Pensò Lana mentre la stanza attorno a lei continuava ad essere annebbiata ed in un lento movimento, come fosse trascinata dalle onde del mare, affogando lentamente.

“Quanto tempo gli rimane?”. Chiese Lana, interrompendo Spencer a metà di una frase. Il medico, d’altra parte non era sorpreso dalla reazione di Lana e quella era sempre una tra le prime tre domande che erano soliti porgli i familiari o il diretto interessato quando scoprivano la malattia.

Lana si sentiva ancora sul punto di perdere i sensi, ma chiese un enorme sforzo al proprio cervello di restare attivo almeno fino alla risposta del dottore che le stava di fronte e affrontava la situazione come fosse la più normale del mondo, con solo una parvenza di compassione e solidarietà, ma lei dentro di sé, sapeva bene che il compito di dire ai pazienti e ai familiari notizie del genere, spettava ovviamente a chi non era particolarmente sensibile o emotivo.

“Date le dimensioni del tumore e considerando come si è espanso negli ultimi mesi a macchia d’olio, direi… Circa due, al massimo tre mesi”. Rispose lui, guardando Lana con dispiacere.

Lei deglutì: la propria gola era diventata improvvisamente arida come il deserto e se fino ad un attimo prima le sembrava che tutto attorno a lei girasse lentamente, ora sentiva il tempo passare in un modo smisuratamente veloce. Ancora una volta, avvertì una sorta di otturazione alle orecchie che presero a fischiarle in un modo alquanto fastidioso e sugli occhi si andava a posare un velo scuro. Sentì anche una eccessiva sudorazione del proprio corpo e mentre cercava di riprendere fiato, si portò i capelli dietro la schiena. Il proprio battito cardiaco era accelerato ancora una volta e sentiva il respiro farsi più affannoso di prima, accompagnato da un rivoltante senso di nausea che la infastidiva non poco.

“Signorina Del Rey, si sente bene?”. Chiese il medico, alzandosi dalla sedia nell’aver capito che la ragazza stava per perdere i sensi.

“Q-questo è un incubo… Vero?”. Chiese Lana, facendo per alzarsi, ma si dovette aggrappare con entrambe le mani sui bordi della sedia.

“Non si alzi, respiri lentamente...”. Disse il dottor Spencer, avvicinandosi a lei.

“No, no… Sto perdendo tempo. Dovrei essere con lui...”. Lana, con uno sforzo immane dato lo stato in cui si trovava, si alzò d’improvviso dalla sedia, ma non fece in tempo a voltarsi, che svenne tra le braccia del dottore che riuscì a prenderla al volo.

“Ehi, ti sei svegliata finalmente”.

Lana stava riaprendo gli occhi lentamente, ma nel sentire quella voce che amava, che avrebbe riconosciuto tra mille, che le aveva regalato tanta felicità nella propria vita come nessun alto avrebbe saputo fare, spalancò le palpebre, mettendo a fuoco il viso che amava più della sua stessa esistenza.

“Al… Alex, sei qui… Tu sei qui con me”. Sussurrò Lana con voce rauca e lui le regalò un dolce sorriso.

“E dove dovrei essere se non al tuo fianco?”. Chiese lui, semplicemente, facendo sciogliere il cuore della ragazza mentre con una mano accarezzava la sua testa e i suoi capelli che scendevano fino al suo avambraccio.

Lana fece per alzarsi di scatto, ma Alex portò una mano su un suo fianco, stringendola appena.

“Sverrai di nuovo se ti alzi così in fretta, miss”: Dopo tutto quel tempo passato insieme, lui ancora la chiamava miss, come era solito chiamarla quando avevano quindici anni.

“Q-quando sono svenuta?”. Chiese lei, con gli occhi castani confusi che andavano a cercare risposte in quelli color ebano di Alexander.

“Circa mezz’ora fa. L’infermiera mi ha dato il permesso di venirti a trovare”. Concluse la frase con un ennesimo sorriso e Lana nell’udire quelle parole e nel vedere che lui indosso aveva un camice da paziente, improvvisamente si ricordò di tutto e faticò a trattenere un urlo.

“Al...”. Riuscì solo a dire Lana, per poi mettersi a sedere sul lettino di metallo e andando a stringere le braccia attorno al suo collo, lasciando poi che i propri occhi si liberassero delle lacrime che pungevano come aghi in quel momento.

Lui restò in silenzio, capendo al volo che la donna aveva bisogno di conforto, quindi l’unico gesto che fece, fu quello di stringersi a lei a sua volta, andando a posare dei piccoli baci tra i suoi capelli scuri.

“Ti amo. Non mi abbandonare”. Sussurrò lei con una voce talmente rotta e triste da far vibrare il cuore di Alexander, che la strinse ancora più forte a sé, lasciandosi scappare una lacrima che lei non avrebbe visto.

“Sono qui con te. Sempre”. Sussurrò lui cercando di mostrarsi sicuro, ma la propria voce era decisamente troppo triste per poter convincere Lana, la quale si spostò appena con il busto per poter guardare Alex ed accarezzare il suo viso con entrambe le mani. Il proprio viso era umido di lacrime e probabilmente le era colato quel poco di matita nera che si era messa nel primo pomeriggio, ma non le importava, lui l’aveva vista un sacco di volte piangere quando ripensava al suo padre ormai morto da troppo tempo e per farla sorridere, le ripeteva che era bellissima persino quando piangeva e quando si addormentava con la bava alla bocca.

“Perché mi nascondevi sempre il sangue quando tossivi? Avremmo potuto rimediare prima...”. Sussurrò lei, accarezzando piano il suo mento coperto da un leggero strato di barba castana.

“Penso che il dottore lo abbia detto anche a te. Anche se mi fossi fatto visitare qualche settimana fa, avrei avuto più o meno la stessa aspettativa di vita che ho adesso. La malattia si è evoluta troppo velocemente...”. Sul volto di Alex apparì quello sguardo di rassegnazione che Lana non avrebbe mai voluto vedere: erano gli occhi di chi sapeva di non poter scampare alla morte. Erano gli occhi di chi era ben consapevole del fatto che non avrebbe avuto chance.

“Non vuoi provare la chemioterapia?”. Sussurrò Lana, lasciando cadere le mani sulle sue spalle e poi, infine sui suoi fianchi, stringendoli a sé.

“Abbiamo dei risparmi, non preoccuparti per le spese”. Continuò lei con voce bassa nel vedere gli occhi di lui farsi malinconici e pensierosi.

“Dammi un paio di giorni per pensarci, okay?”. Sussurrò lui in risposta, guardando la donna con gli occhi colmi di tristezza malcelata.

Lana annuì, trovando la scelta di Alex più che concreta, ma in cuor suo sperava con tutta se stessa che avrebbe deciso di provare a guarire con la terapia che aveva proposto l’oncologo.

D’un tratto entrò un’infermiera giovane e bionda, con una cartella clinica in mano.

“Signor Turner, lei dovrebbe tornare a letto, deve stare a ripos-”. Alex non le diede tempo di finire.

“Ho appena scoperto di avere il cancro. Vorrei stare da solo con la donna che am-”. Anche lui non riuscì a terminare la frase, ma a causa della tosse che sembrava non accennare ad arrestarsi.

“Forse è meglio che le dai retta, Al...”. Sussurrò Lana, andando a posargli una mano sulla schiena nel vederlo così affaticato nel cercare di gestire quella tosse che non voleva saperne di dargli tregua.

L’infermiera si avvicinò velocemente a loro, dicendo: “lei sta male, ha bisogno di riposo”.

Alexander si alzò dalla sedia, continuando a tossire, portandosi una mano alla bocca come per soffocare quel male, senza poter rispondere. L’infermiera fece per toccargli un braccio e lui reagì scansandosi, continuando a tossire e diventando rosso in volto per lo sforzo continuo, sputando senza volerlo, un fiotto di sangue che andò a macchiare una mattonella del pavimento chiaro.

“Lasci stare, faccio io”. Disse Lana, alzandosi di corsa ed andando a cingere con un braccio i fianchi di Alex.

“Anche lei dovrebbe stare a riposo...”. Rispose l’infermiera, esasperata.

“Io sto bene”. Rispose a sua volta con tono di voce deciso ed aggressivo. Alex posò il braccio libero sulle spalle di Lana e a fatica riuscirono ad uscire dalla stanza, seguiti dall’infermiera evidentemente preoccupata.

“Devo vomitare...”. Riuscì a dire con voce roca Alex tra un colpo di tosse e l’altro. Lana guardò la ragazza bionda ed indicò loro la toilette più vicina.

Una volta arrivato in bagno, Alex si chinò sul water e senza nemmeno avere il tempo di alzare la tavoletta, sputò della saliva per poi rigettare una piccola porzione di sangue che macchiò tutto l’interno del sanitario di porcellana. Quando dopo un paio di minuti, i conati sembrarono essere passati, si sciacquò la faccia nel lavandino poco distante e poi il proprio sguardo andò a fermarsi sul piccolo specchio posto proprio sopra al lavandino: non ricordava di essere mai stato più pallido in vita sua ed il proprio viso era chiaramente molto più magro e scarno. I propri occhi, in quel momento non emanavano nessuna luce di speranza, nessuna ricerca di miracoli e nemmeno uno sprazzo di vitalità, semplicemente persi nel riflesso dello specchio.

Sapeva bene di essere spacciato e nessun opuscolo, libro o film su come affrontare quella terribile malattia che lo affliggeva avrebbero cambiato ciò che sembrava essere inevitabile, ovvero la propria morte di lì a breve.

L’oncologo gli aveva detto chiaramente e senza giri di parole che le probabilità di guarire con la chemioterapia erano molto scarse per non dire inesistenti. Alexander, inoltre, era già certo di non voler andare a cercare tutti i metodi possibili del mondo, ortodossi o no, naturali o meno, di guarire perché non sarebbe cambiato nulla e lo aveva potuto vedere proprio con i suoi occhi su sua madre, tanti anni prima, quando anche lei era morta per lo stesso male, cercando di combatterlo con la stessa terapia che era stata suggerita anche a lui.

Sapeva, quindi molto bene che doveva iniziare a convivere con la sicurezza della morte vicina, che un giorno molto vicino non si sarebbe svegliato più, che non avrebbe più visto albe o tramonti, che non avrebbe più potuto accarezzare il viso della donna che amava, che non avrebbe più sentito la sensazione dei propri piedi per terra, su un prato, sull’asfalto o in acqua. Non avrebbe più sentito il vento tra i capelli e non ci sarebbero più state delle lacrime sul proprio viso perché sarebbe svanito anche quello. Non avrebbe più potuto baciare le labbra di Lana o abbracciare una persona cara, perché non sarebbe più esistito, sarebbe semplicemente svanito nel nulla, come polvere trascinata via dal vento chissà dove…

Avrebbe voluto, qualche ora prima, non causare tutto quel panico alla donna che amava svenendo davanti ai suoi occhi e rischiando che lei si fosse fatta molto male dato che lui si era trovato alla guida in quegli istanti, ma purtroppo non era riuscito a prevederlo, non era riuscito a sentire quella sensazione in tempo e sentiva di aver fallito nel proteggerla.

Alex in quel momento, si accorse di essere certo anche di un’altra cosa: non voleva mostrare a Lana tutta quella depressione che sentiva dentro, perché non voleva che la donna che amava stesse ancora più male, non voleva che il proprio dolore dovesse essere forzatamente anche il suo e si ripromise che lei non avrebbe dovuto sapere nulla di quanto fosse terribile dover pensare alla morte di continuo, di come ci si sente nel sapere che la corsa è finita, che il traguardo è inevitabilmente vicino e dopo averlo superato, probabilmente ad attendere ci sarà solo un burrone.

Dal momento in cui Alexander nei due giorni seguenti allo svenimento aveva continuato a tossire sempre più di frequente e a rigettare ancora altro sangue, era stato trasferito in un ospedale vicino dove era disponibile un intero reparto dedicato ai malati terminali ed era seguito di continuo da una infermiera che gli teneva sempre il respiro e la pressione sotto controllo. Doveva però restare sotto sedativi a causa della sua tosse cronica che gli causava la malattia e di fianco al proprio letto aveva un secchio che veniva costantemente ripulito dai fiotti di sangue che lui di tanto in tanto era costretto a sputare.

Lana gli era stata vicina per tutto il tempo, addormentandosi per due notti di seguito su due sedie scomode sebbene lui l’avesse quasi supplicata di andare a dormire nel loro camper, dove ad attenderla vi era un letto di sicuro più comodo. Lei, ovviamente non aveva voluto sentire ragioni, spiegandogli quasi in lacrime e con la voce rotta dalla tristezza che non voleva perdersi nemmeno un secondo con lui, che voleva condividere con lui anche il loro leggero russare ed i loro sogni, come avevano sempre fatto negli ultimi dieci anni.

Nel frattempo, però si era già resa utile facendo un salto in farmacia per poter comprare dei medicinali che avrebbero alleviato il suo bruciore alla gola, la sua tosse persistente e i suoi conati di vomito, ovviamente sotto la prescrizione del medico di Alex.

Erano circa le quattro del pomeriggio e in quel momento Lana si trovava seduta accanto ad Alex: teneva un libro sulle gambe che sfogliava ogni cinque minuti con la mano libera, mentre con l’altra teneva stretta la mano di Alex che si era da poco svegliato. Lana aveva provato a parlargli, ma aveva lasciato perdere nell’aver notato che voleva semplicemente starsene da solo con i suoi pensieri, ma tenendo comunque stretta la mano della donna. Lui era il primo nel volere che lei non si allontanasse da lui per troppo tempo, ma ogni sera insisteva per farla andare a dormire in un letto decente e non su delle scomode sedie di legno. Ma era solo fiato sprecato e una parte di lui lo sapeva molto bene dato che conosceva Lana come le sue tasche, ormai.

Lana, però aveva notato una chiusura da parte di Alexander: era molto più spesso perso nei suoi pensieri e quando lei cercava di incitarlo alla chemioterapia, lui si metteva a dormire o cambiava discorso in un modo talmente subdolo che Lana finiva a parlare di sassi con lui senza nemmeno accorgersene.

Di lì a breve sarebbero venuti a trovarli Miles, Tayor e il padre di Alex, David e per Lana era arrivato il momento di discutere seriamente della decisione che avrebbe voluto prendere Al riguardo alla terapia suggerita dal medico.

Prese dunque un respiro profondo e chiuse il libro dalla copertina blu di colpo, attirando l’attenzione di Alex che spostò appena la testa verso di lei.

“Sono passati due giorni come avevamo pattuito. Sai di cosa voglio parlare, vero?”. Chiese Lana, cercando di mostrarsi decisa e voltandosi verso l’uomo che amava: giorno dopo giorno sembrava assumere un colorito sempre più pallido, come se quella malattia lo stesse derubando anche dei pigmenti della sua pelle; aveva i capelli unti e gettati all’indietro, ma qualche ciuffo andava a posarsi sulla sua guancia destra, i suoi occhi erano stanchi sebbene si fosse appena svegliato e le sue labbra erano secche e biancastre; la sua gola presentava un gonfiore a causa della tosse persistente che continuava a tormentarlo soprattutto al calar del sole e il suo corpo era decisamente troppo magro per la sua altezza e la sua età.

“Si che lo so. Ormai cerchi di parlare sempre di quello”. Disse Alex in un sospiro, lasciandosi sfuggire un breve sorriso triste. Lana lo vide ed abbassò per un attimo lo sguardo: le si stringeva il cuore ogni volta in cui vedeva un’espressione triste su quel volto scarno che continuava ad amare senza sosta.

“Quindi hai proprio deciso di non volerci provare nemmeno?”. Chiese lei, tornando a guardarlo negli occhi spenti.

“Per concludere cosa? Ho visto come è stato per mia madre e non voglio soffrire così tanto per niente”. Sussurrò lui: quando parlava con Lana, lo faceva sempre sottovoce, in modo da non scatenare la tosse cronica.

“Ma non è detto che sia così anche per te, Alex...”. Disse lei in un sospiro.

“E invece si visto che le mie possibilità di farcela sono pari al cinque percento”. Ribatté lui, alzando di mezzo tono la voce.

“Ma di che cosa hai paura, di vomitare ancora? Lo fai già adesso. Della tosse? Quella non ti manca. Forse la calvizie? Pazienza, i capelli ricresceranno”. Disse lei, alzando a sua volta la voce, lasciando la mano di Alex che teneva stretta fino al momento prima e lasciando poi cadere per sbaglio il libro per terra di cui però Alex fece in tempo a leggere il titolo.

Raccolta di testimonianze dei sopravvissuti al cancro? Davvero?”. Chiese lui, citando il titolo del libro, mettendosi seduto sul letto e guardando Lana con occhi diversi.

“E quindi? La maggior parte delle persone nel libro è guarita grazie alla chemio”. Ribatté lei, facendo sfuggire un piccolo sorriso ad Alexander che poi tornò subito serio.

“Lana, quei libri sono pieni di stronzate per far credere alla gente che si può guarire da tutte le malattie del mondo”.

“E allora? Se voglio crederci qual’è il problema?”. Chiese lei, alzandosi da quella sedia che improvvisamente si era fatta più scomoda di quanto già non lo fosse prima.

Alex guardò Lana esasperato e prima di rispondere, si spostò dei capelli dalla fronte, sbuffando.

“Ma come cazzo fai ad avere delle speranze in una situazione del genere?”. Chiese, andando poi a sorseggiare dell’acqua da un bicchiere che l’infermiera prima gli aveva appoggiato su un carrello al fianco del letto dove vi era pronta anche una flebo in caso ce ne fosse stato bisogno nella notte.

“Tu, invece hai deciso proprio di non provarci nemmeno?”. Chiese Lana, aggrottando le sopracciglia scure.

“E per concludere cosa? Magari anche se riuscirò a guarire, rimarrò un vegetale per il resto della mia vita, tu un giorno ti stancherai di me e scapperai lontano dal peso che sarò diventato. Preferisco la morte a una vita di sofferenza”. Alex era stato molto diretto, senza peli sulla lingua e poteva vedere Lana che si era spostata di fronte al letto sul quale lui era steso, aprire la bocca in segno di stupore e le sue graziose guance arrossarsi per la rabbia.

“Io ti resterei vicino sempre, anche se di te dovesse rimanere solo un occhio. Io non ti abbandonerei mai, come fai a pensare questo?!”. La voce della donna si era fatta ancora più alta.

“Qualunque essere umano vuole sfuggire ai problemi quando diventano troppi e fidati che dover badare ad una persona per ventiquattro ore al giorno per il resto della propria vita non è una passeggiata”.

“Ma per quale diavolo di motivo devi metterti a pensare al fatto che diventerai un vegetale?”. Chiese Lana esasperata, allargando appena le braccia.

“Io non ci penso proprio, un attimo fa stavo solo valicando le possibilità che ho di uscire da questa situazione e si contano su una mano. Francamente, quella che mi piace di più è quella di una semplice morte nel sonno, se mi sarà concessa”. Rispose lui, sollevando appena le spalle che lasciò poi cadere con un sospiro.

“Quindi non vorresti vivere ancora al mio fianco?”. Chiese Lana, in procinto di piangere.

Alexander sapeva che in quel momento doveva essere il più diretto e brutale possibile, in modo da non lasciarle intendere nulla che potesse darle anche solo la minima speranza. Spettava a lui il compito di renderla forte in quella situazione, di rafforzarla per non lasciarla poi soffrire quando se ne sarebbe andato.

“No. Io ho vissuto rendendoti felice e non continuerò a vivere rendendoti infelice”.

“E se tu andassi in coma?”. Chiese Lana con la tipica voce di chi è sul punto di esplodere in una valanga di lacrime.

“Firmerei per farmi staccare la spina”. Rispose lui, senza pietà.

Lana non resistette più e dai propri occhi già gonfi a causa delle poche ore di sonno, iniziarono ad uscire delle lacrime sincere, luccicanti e cristalline come diamanti puri.

“Vaffanculo”. Disse lei a voce alta per poi dargli le spalle ed uscire in fretta dalla stanza, spingendo appena Miles che era appena arrivato assieme a Taylor, James ed il padre di Alex.

Era uscita da una porta scorrevole che dava su un piccolo giardino sul retro e voleva solo piangere a dirotto fino a non avere più lacrime da consumare, ma non era sola: a pochi passi da lei vi erano dei medici che fumavano insieme una sigaretta, discutendo in terminologie troppo approfondite perché lei potesse capire qualcosa della loro conversazione e nemmeno voleva prenderne parte. Voleva solo restare da sola con se stessa, con la sua rabbia e la sua tristezza. Tornò quindi dentro e seguì le indicazioni lungo uno dei numerosi corridoi fino a raggiungere i bagni, ma anche li vi erano delle persone, quindi decise di uscire direttamente fuori dalla struttura e una volta entrata nel camper, finalmente poté lasciarsi andare al proprio pianto di sfogo.

Avrebbe voluto poter essere con Alex in quel momento, per dargli la forza di comunicare alle persone a lui care (James escluso) che gli rimaneva da vivere appena qualche mese, ma il dolore che sentiva dentro era troppo forte per poterle permettere anche solo di smettere di piangere. Si era seduta per terra, di fianco al divano e si stringeva i fianchi con le sue stesse braccia, respirando in modo affannoso e mugolando senza volerlo, mentre le proprie lacrime si riversavano sui jeans che in quei giorni erano stati inumiditi da altre cascate di lacrime che Lana si era concessa nel silenzio quando con una scusa, raggiungeva il camper.

Aveva già superato la fase della negazione, ma la rassegnazione, in lei, non era ancora sopraggiunta: avrebbe voluto provare ogni tipo di cura esistente sulla faccia della Terra per cercare di curare quel male atroce che contagiava Alexander, anche se si fosse trattato del rimedio più assurdo del mondo, lei avrebbe voluto tentarlo pur di poter vedere anche solo un minimo segno di guarigione da parte di Alex.

Negli ultimi giorni aveva tentato di evitare di pensare al fatto che lui di li a breve o forse anche prima, avrebbe potuto chiudere gli occhi per sempre, ma poi ogni volta in cui lui cedeva al sonno, lei iniziava a controllare che respirasse ancora, che l’elettrocardiogramma fosse stabile ed inevitabilmente, finiva per piangere in silenzio perché sapeva bene dentro di se, che sarebbe arrivato il giorno in cui il macchinario sarebbe impazzito per poi segnare, senza battere ciglio, che il suo cuore avrebbe smesso di battere e lui non sarebbe più esistito, lasciando nel mondo terrestre solo un corpo senza vita, solo un cumulo di carne e organi e il volto che lei non aveva mai smesso di amare.

Non riusciva a capire perché Alex non volesse curarsi e sebbene lui avesse tentato di spiegarle le sue ragioni poco prima, Lana non gli credeva: lo conosceva fin troppo bene e sapeva che le stava nascondendo qualcosa che non voleva dirle, dei pensieri intimi che non voleva condividere con lei e quando prima lei gli aveva chiesto di provare con la chemioterapia, lui aveva solo sviato ancora il succo del discorso per essere brutale con lei, in modo che Lana poi non avrebbe aperto il discorso ancora una volta.

Ma lui non aveva idea di come si sentisse lei in quei giorni: non sapeva cosa si provasse nel sapere che presto la vita le avrebbe strappato l’unica persona che aveva sinceramente amato e che non avrebbe mai sostituito, per tutta una vita; non sapeva del panico che la afferrava dritto alla gola, strangolandola, quando lui chiudeva gli occhi o quando iniziava a vomitare sangue. Lui non aveva la più pallida idea di come si sentisse Lana nel sapere che avrebbe dovuto vivere all’ombra, senza la luce che emanava Alex, senza il calore che emanava il suo corpo anche nei giorni più freddi, senza le sue risate sincere, senza sentirlo canticchiare mentre dipingeva, senza poter rimanere incantata quando lui suonava la sua preziosa chitarra, senza poter sognare quando le loro labbra si incontravano, senza i suoi occhi che a volte rimanevano incantati a guardarla mentre lei scriveva, ripetendole che era la creatura più bella che lui avesse mai visto.

Lei si sarebbe sentita nulla senza di lui, avrebbe vissuto il resto della propria vita in malinconia e nuotando nelle proprie lacrime oppure per disperazione, si sarebbe tolta la vita.

Forse si può pensare che Lana la stesse pensando in quel modo perché era evidentemente molto scossa nell’aver dovuto apprendere che Alex, il suo Alex presto sarebbe morto, ma la verità era che entrambi si amavano da troppo tempo e troppo intensamente per poter pensare di vivere separati anche solo per pochissimo tempo; anzi forse il vivere separati avrebbero anche potuto accettarlo, perché avrebbero avuto entrambi la speranza di ritrovarsi, un giorno come era già accaduto dieci anni prima. Ma Lana non poteva sopportare di dover perdere per sempre Alex.

Si asciugò con il dorso della mano gli occhi bagnati dalle lacrime e posò gli occhi sul posto del guidatore: immediatamente le tornò alla mente lo svenimento di Alex di qualche giorno prima e sentì lo stomaco stringersi ed annodarsi ancora di più.

Poi le riaffiorarono anche i numerosi flashback di tutte le volte in cui Alexander, per non far preoccupare Lana, cercava di trattenere la tosse o sputava sangue lontano dalla sua vista: era sempre stato altruista, ma solo con lei, con l’unica persona che a detta sua, meritava bontà d’animo e lo era stato con lei anche in quei momenti, magari sapendo bene dentro di sé che qualcosa nel suo corpo non andava affatto bene.

Lana si alzò, accorgendosi del fatto che lei invece, poco prima, discutendo, era stata egoista ed aveva pensato solo a se stessa nel volergli imporre di sottoporsi alla chemioterapia senza voler udire un “no” come risposta. Invece lui aveva tutte le ragioni per avere libertà di scelta in merito dal momento che era lui il padrone unico del suo corpo e della sua mente. Aveva ascoltato le parole dei medici con calma, senza però venire influenzato dalle solite parole di conforto provenienti dagli infermieri, senza lasciare che la fantasia di una guarigione mettesse radici nella sua testa e mantenendo un atteggiamento che Lana aveva scambiato per pessimismo, ma che invece era solo realismo.

Decise di tornare dentro: ora che era riuscita a riflettere e che era consapevole del fatto che non era suo dovere scegliere al posto di Alex per la sua vita; andò a sciacquarsi la faccia nel tentativo di mascherare gli occhi rossi e quando raggiunse la stanza dove era stato ospitato Alexander, salutò le persone presenti con delle strette di mano per poi andare a sedersi al fianco di Alex, stringendogli nuovamente la mano che lui aveva lasciato nello stessa posizione da quando lei, mezz’ora prima l’aveva lasciata. Quando lui terminò di spiegare a suo padre una cosa riguardante la propria malattia, si voltò appena verso Lana e le sussurrò, con un debole sorriso tra le labbra spente:

“grazie di aver capito”.

Taylor, James, Miles e David restarono con Lana e Alex per altre due ore che sembrarono non passare mai per quest’ultimo: Taylor e Miles non riuscivano a parlare senza prima versare delle lacrime, mentre invece David, il padre di Alex, continuava a negare la malattia che affliggeva il figlio dicendo che era tutta autosuggestione e cose simili. James, invece restava seduto in disparte, limitandosi a rispondere alle domande che di tanto in tanto gli venivano rivolte e passando un nuovo fazzoletto a Taylor quando lei era costretta a buttare quello vecchio. In fondo, tra lui ed Alex non era mai scorso buon sangue in quelle volte in cui era capitato loro di vedersi ed era chiaro che lui si trovasse li unicamente nel ruolo di accompagnatore. Lana aveva notato di tanto in tanto, delle occhiate di James alle proprie gambe o al proprio busto, ma aveva fatto finta di niente, tenendo la cosa per se: sebbene lei come Alex avesse trentasette anni, con la vita che aveva condotto negli ultimi dieci anni, poteva vantare ancora un corpo da ventenne ed anche un viso piuttosto giovanile e trovava normale che di tanto in tanto, persone di sesso opposto e talvolta anche alcune donne, si soffermassero a guardarla.

Quando finì l’orario delle visite e l’infermiera di turno accompagnò gli ospiti fuori dalla porta eccetto Lana che fin da subito aveva protestato per restare sempre accanto al suo amato, Alex tirò un sospiro di sollievo e posò gli occhi scuri su quelli di Lana. “Credevo che Taylor non avrebbe più smesso di piangere”.

“E’ comprensibile, le sei sempre stato molto caro e dovresti essere felice del fatto che ti voglia ancora così tanto bene”. Rispose lei, andando ad accarezzare i capelli sporchi di Alex, aggiungendo poi con una smorfia: “quando ti faranno un bagno? Puzzi di qualcosa andato a male”.

Alex ridacchiò ma fu interrotto, prendendo subito a tossire e Lana si spostò, andando a mettere la bacinella vicino al suo letto: ormai entrambi sapevano riconoscere quando si trattava solo di tosse e quando invece lui aveva bisogno di rigettare del sangue.

Dopo che lui fu riuscito a liberarsi del sangue che sempre più spesso andava a tappargli la gola con l’aiuto con l’aiuto di due infermieri che Lana aveva chiamato, rimasero di nuovo da soli ed Alex, più pallido di prima, disse:

“ho deciso come passare il tempo che mi rimane”.

Lana che si era seduta nuovamente al fianco dell’uomo che amava, gli chiese, mentre accarezzava la sua guancia.

“Che cosa ti piacerebbe fare?”. Chiese lei, curiosa di conoscere la sua risposta che di sicuro l’avrebbe sorpresa.

“Abbiamo passato una buona parte della nostra vita insieme in viaggio, scoprendo un sacco di luoghi bellissimi senza fermarci mai. Ora voglio tornare a casa”. Disse lui sottovoce.

“Vuoi andare ad Iron Valley?”. Chiese lei, spostandogli un ciuffo di capelli dietro l’orecchio con dolcezza.

 

“No, voglio tornare nella nostra casa, dove la nostra vita è cominciata e dove ci siamo conosciuti. Voglio tornare a Woodville, luce della mia vita”.

  
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