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Autore: ayamehana    01/07/2017    5 recensioni
Certi amori sono destinati a durare in eterno; altri a bruciare e a estinguersi come la fiamma di una candela ormai consumata. Ranma e Akane hanno dovuto impararlo a loro spese, quando la loro relazione è terminata a pochi giorni dal matrimonio che li avrebbe legati per tutta la vita. Una rottura nata da un imbroglio, ma che l’erede della palestra Tendo ha interpretato come un «non siamo fatti per stare insieme».
Troppe parole, però, sono rimaste in sospeso. Sono passati sei lunghi anni; Akane è cresciuta ed è in procinto di sposare l’uomo di cui è innamorata… tuttavia, si è dimenticata di fare i conti con un’unica cosa: certi amori sono destinati a finire, solamente per ritornare ancora più forti.
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Non erano mai andati molto d’accordo, loro due; si erano amati con quella caparbietà tipica degli adolescenti… ma la loro relazione era stata fragile, si era incrinata con eccessiva facilità. Se si sforzava, riusciva ancora a vederne le crepe… in una fidanzata di troppo, nelle pressioni di due genitori invadenti… nella propria impulsività e nella timidezza intrinseca di Ranma.
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[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Shan-pu, Shinnosuke
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO III

RICORDI



Dopo essersi sposata, Kasumi era andata a vivere con il dottor Tofu sopra l’ambulatorio in cui lui lavorava e si era adattata quasi subito alla vita coniugale. Non particolarmente avvezza ad alcun tipo di lavoro, la più grande delle sorelle Tendo era rimasta la casalinga che era sempre stata fin da giovane. Anche il ruolo di madre le si addiceva: dal suo matrimonio con Ono, infatti, era nata una bellissima bambina, Asuna, dai tratti dolci e i lunghi capelli castani. Tutta la casa era rasserenata da quella sua risata vivace, a cui, da poco, si era aggiunta quella più furba del suo piccolo e maldestro fratellino, Haru.

Akane si sistemò la borsa sulla spalla, lanciando dal basso un’occhiata furtiva alla finestra della cucina con le persiane alzate; dopodiché salì le scale che la conducevano all’appartamento e suonò al campanello. Kasumi le aprì quasi subito e l’artista marziale non si sorprese nel ritrovarla con la scopa in mano.

«Ciao Akane! Ti stavo giusto aspettando! Avanti, entra!» la invitò sua sorella, facendosi da parte. «Scusami il disordine… Ad Asuna è venuta la brillante idea di continuare a giocare, mentre faceva merenda… e ha sparso briciole dappertutto!»

Akane sventolò la mano con disinteresse. «Non importa, dovresti vedere casa mia… Lì sì che regna il caos!»

Kasumi distese le labbra in un sorriso e stava per aggiungere qualcosa, quando Asuna fece capolino dalla cucina. «Zia Akane!» urlò, buttandosi letteralmente tra le braccia della ragazza, che la afferrò al volo e la fece roteare in aria. La bambina rise divertita, poi abbracciò la sua zia preferita. Anche Akane, dal canto suo, la adorava, perché, in quel suo carattere impulsivo e vivace, rivedeva un po’ di se stessa da piccola.

«Asu-chan, hai fatto la brava in questi giorni? La mamma mi ha detto che hai fatto merenda in corridoio oggi e hai sporcato dappertutto… Lo sai che non si fa, vero?» la sgridò dolcemente Akane, mettendola giù.

La bambina gonfiò le guance e incrociò le minuscole braccia al petto, fulminando sua madre con lo sguardo. «Lo so, ma quel gioco era davvero bello… Non potevo fermarmi! La mamma non capisce mai nulla… Perché non mi porti a vivere con te, zietta? Potremmo giocare insieme e mangiare tantissimo gelato!»

Kasumi s’inginocchiò di fronte alla figlia e le diede un buffetto sulla guancia. «Sei proprio una cattivona, Asu-chan! Vorresti abbandonare la mamma e il papà per andare a vivere con zia Akane?»

«Sì! Almeno zia Akane mi vuole bene, mentre voi pensate sempre e solo a Haru-chi…» protestò la bambina, facendole la linguaccia.

«Non è vero, Asu-chan. La mamma e il papà ti vogliono bene tanto quanto ne vogliono al tuo fratellino. Comunque, non puoi andare a vivere con Akane, perché lei è molto impegnata, capisci?» le disse pazientemente Kasumi, prima di girarsi verso Akane. Mimò con le labbra un aiutami, che fece scoppiare a ridere l’artista marziale.

«Ha ragione la mamma, Asu-chan, ma ti prometto che un giorno di questi verrò a prenderti e ti porterò a casa mia! Potrai dormire da me e mangiare tutto il gelato che vorrai, okay?»

«Me lo prometti, zietta? Tutto, tutto il gelato che voglio?» le chiese la bambina, allargando le labbra in un sorriso compiaciuto.

Akane annuì. «Ora, però, vai a giocare... Io e la mamma dobbiamo discutere di qualcosa d’importante!» 

Asuna fece cenno di sì con la testa e si dileguò in camera sua; Kasumi, invece, si alzò in piedi e si spolverò la gonna con le mani. «Asu-chan è proprio tua nipote, Akane! Mi ricordo che, quando andavo alle medie, ti dovevo sempre portare da Ono, perché non facevi altro che sbucciarti ginocchia e gomiti!» le disse sua sorella con una certa nostalgia nella voce.

Stavo giusto pensando alla stessa cosa, pensò Akane, sorridendo. C’era stato un periodo in cui si faceva male apposta, solo per vedere il Dottor Tofu! Le piaceva davvero molto…

«Oh, quasi dimenticavo!» esclamò di punto in bianco, cadendo dalle nuvole. Aprì la cerniera del borsone e ne estrasse una piccola confezione in cartone. «Venendo qui, mi sono fermata a comprare dei sakura mochi. Non è molto, ma…»

Gli occhi di Kasumi s’illuminarono. «Vieni con me, li prenderemo con il the!» affermò tutta contenta sua sorella, facendole strada lungo il corridoio.

 
Kasumi aveva riordinato casa sua in modo, a dir poco, impeccabile. I pochi mobili della sala da pranzo, tra cui uno scaffale con alcuni libri, un vecchio televisore a colori e un basso zataku, brillavano di luce propria. A separare la cucina da quella stanza vi era una spessa tenda di perline, che tintinnava rumorosamente ogni qualvolta qualcuno vi passava attraverso. Akane s’inginocchiò di fronte al tavolo e aprì la confezione di sakura mochi, mentre sua sorella la raggiungeva con un grosso vassoio sopra cui erano state poste due tazze e una piccola teiera fumante.

«Allora, non mi hai ancora detto come stai, sorellina», esclamò Kasumi, versando il the per la sua ospite e per sé.

«Bene, anche se sono un po’ scossa…  La Signora Taniguchi ha deciso di assumere qualcuno che mi affianchi… Ho sempre lavorato da sola e la cosa mi sembra un po’… strana! E come se non bastasse, mi ha fatto pesare il fatto che Shin soffra di amnesia e che, per stargli affianco, debba correre a destra e a sinistra! Ha detto che ormai è vecchia e non ce la fa da sola, ma allo stesso tempo, non vuole che io mi divida in due… come ho sempre fatto, peraltro!»

«Alla fine, però, non ha tutti i torti… Non dovresti affaticarti così, Akane… Finirai con lo strafare!» replicò dolcemente sua sorella, spingendo una tazza verso di lei.

«Lo so… ma non parliamo di me, dai! Come procedono gli affari al dottore?  Vedo che ultimamente vengono molte clienti da lui.»

«Già, dicono che le sue tecniche siano miracolose», rispose Kasumi, soffiando sul suo the per raffreddarlo.

Basta che tu non vada a trovarlo, altrimenti rischi che qualcuno si faccia veramente male, pensò Akane, ridendosela sotto i baffi. Sua sorella e il dottore erano sposati da circa quattro anni, ma lei faceva a lui lo stesso effetto che gli aveva sempre fatto dalla prima volta che si erano incontrati. In fondo, però, erano davvero una bella coppia e stavano bene insieme.

«Shinnosuke, invece, come sta? Ha avuto qualche calo di memoria, recentemente?»

La più piccola scosse la testa. «No… anche se ha ricominciato ad attaccare post-it ovunque! Ha sempre paura di dimenticarsi qualcosa… come l’altra sera, che ha lasciato a casa il nostro anello di fidanzamento!»

Kasumi sgranò gli occhi. «Oddio, deve essere stato terribile! Chissà come si è sentito, poveretto…»

«Già, ma io non gliene ho fatto una colpa… Conosco bene la sua situazione», mormorò Akane, allungando la mano sinistra di fronte al viso per rimirare la piccola fede che brillava al suo anulare. Quasi stentava a credere che, dopo anni di fidanzamento, il suo ragazzo si fosse finalmente deciso a fare il grande passo!

«A proposito, vorrei farti di nuovo le mie congratulazioni, Akane! Sono davvero felice per te!» le disse sua sorella, poggiando le dita sulle sue.

«Oh, e pensare che adesso ci saranno un sacco di cose da fare… tra inviti, ristorante, prove del vestito…» esclamò Akane, prima di afferrare un sakura mochi dalla confezione. «Solo a pensarci, mi gira la testa!»

«Ecco, il vestito…» cominciò Kasumi, sovrappensiero, «… perché non fai aggiustare quello che tieni dentro l’armadio…? So bene che ce l’hai ancora… chiuso dentro a un baule.»

L’artista marziale sussultò, facendo cadere il pasticcino che stava mangiando. Quel vestito… l’aveva fatto cucire in occasione di un altro matrimonio. Perché non lo aveva ancora buttato via? Eppure, la sola vista di quell’abito da sposa era in grado di riaccendere in lei sentimenti che si erano spenti da tempo. Ecco perché, con il passare dei mesi, aveva deciso di rinchiuderlo dentro a un baule, così da non vederlo mai più e non sentire quella vocina che, impertinente, continuava a ripeterle: Stupida! Sei stata piantata a pochi giorni dal tuo matrimonio, come hai potuto credere a lui? Come hai potuto abbassare le barriere che proteggevano il tuo cuore?

«Akane, tutto bene? Hai una faccia…» mormorò sua sorella, guardandola con aria preoccupata. «Comunque, scusami, non volevo farti stare male. So bene che quel vestito è un ricordo dolente del tuo passato… solo che pensavo che ormai avessi superato la tua rottura con… beh, sì, sai con chi. Insomma, ti stai per sposare con Shinnosuke!»

Akane liquidò le parole di Kasumi con un cenno della mano. «Non ti preoccupare, puoi benissimo nominare Ranma. Il suo ricordo non mi tocca più da molto tempo, ormai», mentì, distendendo le labbra in un sorriso. Era sicura di amare Shinnosuke e di voler vivere con lui ma... la verità era che la ferita, che un tempo Ranma le aveva aperto sul petto, era ancora aperta e faceva male. Kami, se faceva male!

Sua sorella annuì con poca convinzione e sorseggiò il suo the. «Allora, dovremo organizzarci per andare a comprare un bel vestito… Hai già pensato chi verrà ad assistere alla prova dell’abito?»

Akane ci pensò un attimo su, allungandosi sul tavolo per recuperare il sakura mochi che aveva fatto cadere qualche minuto prima. «Sì, penso proprio che dovrai venire tu… e poi Ukyo e Akari, ovviamente, visto che mi faranno da testimoni.»

«Oh, che bello!» esclamò Kasumi, appoggiando la sua tazza sul tavolo e prendendo a sua volta un pasticcino. Si bloccò, però, prima di addentarlo e alzò gli occhi su di lei. «E per quanto riguarda… Nabiki?»

L’artista marziale sospirò. «Kasumi… ne abbiamo già parlato: sai bene quello che penso di Nabiki e, se ti stai chiedendo se la inviterò al matrimonio, la risposta è no. È la mia giornata, non voglio che venga rovinata da quella… vipera

Sua sorella abbassò lo sguardo e Akane si morse la lingua. Sapeva bene quanto quella situazione la facesse star male. Dopo che avevano perso la palestra e la casa, la loro famiglia era andata letteralmente in frantumi. La più piccola delle sorelle Tendo era, in qualche modo, riuscita a superare il tutto, però, Kasumi portava ancora dentro di sé alcune cicatrici. E, nonostante ciò, riusciva ancora a trovare del buono nelle persone, anzi, se fosse stato necessario, avrebbe persino accettato le scuse di Nabiki…! Nabiki, che aveva voltato loro le spalle, in un momento assai delicato… egoista e interessata solo ai soldi com’era! Akane la odiava, per questo, altroché! Non l’avrebbe perdonata mai! Mai!
 
***
 
L’insegna della scuola di arti marziali Saotome svettava sul muro accanto al cancello che conduceva direttamente al giardino di casa sua. Ranma la sfiorò delicatamente con la punta delle dita, ricacciando indietro le lacrime. Finalmente era a casa. Da quanto tempo aspettava quel momento?!

Alle sue spalle, Collant Taro grugnì. «Bene, pare che siate arrivati a destinazione. Ora, se non vi dispiace, vorrei il mio attestato di nascita. Sapete, ho un bisogno alquanto urgente di cambiare il mio nome.»

Ranma sogghignò, divertito. «Peccato, ci avevo trovato gusto a chiamarti Collant Taro. Se fossi in te, ci ripenserei.» 

«Davvero divertente », gli rispose a tono quello sbruffone. «Se è per questo, anch’io avevo preso gusto a chiamarti finocchio»

L’artista marziale si girò di scatto verso di lui e ridusse gli occhi a due fessure. «Io non ci proverei a richiamarmi in quel modo, se fossi in te.»

«Oh-oh, anche le minacce, ora! Bel riconoscimento per avervi condotti fin qui!» commentò Taro con una punta di stizza nella voce. Il ragazzo-bue sventolò la mano di fronte al viso. «Non che mi aspettassi nulla da voi, a parte il mio atto di nascita, ovviamente.»

Ah, e tu vorresti pure che ti ringraziassi, dopo essermi fatto un viaggio sulla tua scomodissima schiena! Ho le ossa a pezzi per colpa tua, dannazione! pensò Ranma, tastandosi un punto dolente sopra il fondoschiena. Magari, più tardi, avrebbe fatto un salto dal dottor Tofu. Erano anni che non vedeva quello strambo pranoterapeuta come, del resto, tutti gli abitanti di Nerima!

«A dire il vero, non so come ringraziarti, Taro», s’intromise suo padre, prodigandosi in un lieve inchino. «Come promesso, ti do il tuo atto di nascita», aggiunse, poggiando la pergamena in mano al ragazzo, che lo ringraziò con un mezzo sorriso.

«Bene, credo sia giunto il momento di congedarci.»

«Non vuoi entrare in casa a rinfrescarti? Sono sicuro che questo viaggio abbia stancato anche te», affermò Genma, facendogli cenno verso il cancello.

«Papà!» lo richiamò Ranma. «Per la mamma sarà uno shock solo vederci, non possiamo anche presentarle davanti questa sottospecie di yeti! Potrebbe venirle un colpo!»

Taro sogghignò. «Per questa volta, do ragione alla checca. Grazie dell’invito, ma sarà per un’altra volta!» esclamò, prima di tuffarsi dentro l’acqua del canale che costeggiava la strada.

Il codinato lo osservò, mentre mutava forma e si trasformava nel mostruoso uomo-bue, contro cui aveva combattuto anni prima. Era davvero gigantesco e, sicuramente, possedeva ancora una forza sovrumana. Taro li salutò con un gesto quasi impercettibile della mano e si librò in volo.

«A presto, Collant Taro», mormorò Ranma, osservando quella sua figura, che si faceva sempre più minuta nel cielo. Si rivolse, quindi, al suo vecchio intento a trascinare il suo grosso sacco ricolmo di denaro e gemme preziose. «Di’ la verità, papà. Era davvero il suo attestato di nascita, quello?»

Genma si chiuse nelle spalle e ridacchiò. «Macché, stavo bluffando.»
 

Sua madre doveva averli sentiti dall’interno della casa, perché, quando varcarono il cancello, corse subito loro incontro. In sei anni, Nodoka Saotome non era cambiata di un millimetro. Aveva legato i lunghi capelli castani in un’elaborata acconciatura dietro la testa, tenuta ferma da un fiocco verde acqua a forma di farfalla; mentre il suo corpo era fasciato da un semplice kimono indaco, impreziosito da una vivace trama geometrica. Solo vedendola più vicino, Ranma si accorse che sotto gli occhi aveva delle grosse occhiaie bluastre e che i capelli, una volta lucenti e scuri, erano inframmezzati da qualche ciocca argentata.

«Allora non me l’ero immaginato... Sei proprio tu, Ranma!» esclamò la donna, poggiando le mani sulle sue guance. Gli occhi le si riempirono di lacrime e, in un attimo, sua madre si gettò tra le sue braccia. «Oh, Ranma… non sai quanto mi sei mancato! Pensavo di non rivederti mai più!» mormorò, tra un singhiozzo e l’altro.

Ranma ricambiò il suo abbraccio, stringendola forte a sé. Non piangere, è da femminucce. Non puoi mostrarti così debole di fronte a tua madre, si disse, reprimendo un singulto sul nascere. «Anche tu mi sei mancata, mamma.»

Nodoka lo allontanò da sé per rimirarlo meglio. «Come ti sei fatto grande! I miei desideri si sono avverati: sei diventato davvero un bel ragazzo, grazie a tutti i Kami!»

«Ehi, cara, guarda che ci sono anch’io», s’intromise suo padre, indicandosi e distendendo le labbra in un sorriso. «Non sono diventato bello e muscoloso anch’io?»

Sua madre spostò gli occhi su Genma e sorrise. «Oh, tesoro, ciao! Non ti avevo visto! Da quanto tempo sei qui? Com’è andato il viaggio?»

Il suo vecchio sbuffò e si avviò verso casa, caricandosi il sacco in spalla. «Lascia perdere», borbottò a voce bassa, passando di fianco a Ranma.

«Oh, cielo, e ora che gli è preso?» chiese Nodoka, portandosi una mano sulla guancia. «Eppure sembrava così felice qualche attimo fa…»

È normale, l’hai totalmente snobbato… pensò il codinato, grattandosi la nuca. Comunque, non posso darti torto, mamma, sono più importante e affascinante io di quella vecchia mummia rinsecchita.

«Perché si sta trascinando dietro quel sacco? Che cos’è?» domandò sua madre di punto in bianco, distogliendo lo sguardo dalla figura di suo padre che, nel frattempo, si era rintanata dentro casa. «Immondizia?»

Ranma si chiuse nelle spalle. «Macché, immondizia… come ha detto lui a me, si tratta di un… souvenir dal villaggio delle amazzoni», lo scimmiottò, imitando la voce dura di Genma.

«Ah… a proposito di ciò, vogliamo andare dentro? Vorrei che mi raccontassi per filo e per segno cosa ti è successo in questi anni.»

 
Circa un’ora dopo, Ranma, lavato e con dei vestiti puliti, se ne stava seduto al tavolo della cucina, di fronte a sua madre, che lo guardava con aria interrogativa.

«E così, se ho capito bene, quella Shan-pu ti teneva in ostaggio a casa sua… e ti ha costretto a fare da cameriera nel suo ristorante.»

«Kami, è stato terribile…» mormorò il codinato. Un brivido gli percorse le membra, al ricordo di quello che aveva dovuto subire a causa di quella pazza. «Costretto in un corpo femminile, a correre da un tavolo all’altro per prendere le ordinazioni… con i clienti che allungavano le mani per sfiorarmi la gonna, toccarmi il fondoschiena

«Capisco», disse Nodoka, annuendo lievemente con la testa ed estraendo la lama della katana che teneva stretta al petto.

Aiuto, vuole fare harakiri! pensò Ranma, sussultando. L’idea di aprirsi il ventre con un coltello non lo allettava per niente! Insomma, era così giovane... nel fiore della sua vita… in più, doveva riconciliarsi con Akane al più presto! Già, Akane, chissà cosa stava facendo in quel momento… 

«E poi, quando quella Shan-pu ha scoperto che esisteva un’altra fonte maledetta per farti tornare uomo, ti ha ricattato, dicendo che te l’avrebbe fatta vedere a patto che avessi accettato di diventare suo marito… e tu che cosa le hai risposto?»

Il codinato sbuffò, tornando alla realtà. Perché il pensiero di Akane non faceva altro che tormentarlo, anche a distanza di anni? «Ho accettato, ovviamente, non potevo fare altrimenti», disse, volando con la mente al giorno in cui aveva ceduto alla proposta della cinesina e quest’ultima, felicissima, l’aveva riempito di fusa e parole dolci. Strano come una ragazza all’apparenza così carina potesse, in realtà, celare la sua natura di serpe velenosa. «E poi, il giorno del nostro matrimonio, Shan-pu mi ha portato alla fonte e mi ha fatto tornare normale. Voleva essere sicura che non fuggissi sul più bello, ma io l’ho fregata, altroché!»

«Hai tradito la fiducia di un’amazzone, tesoro, e gli dei sanno quanto possano essere orgogliose quelle donne! Sarà questione di giorni, prima che si faccia di nuovo viva…» commentò sua madre, sovrappensiero, alzandosi in piedi. «Ora, scusami, ma hanno suonato al campanello… Vado ad aprire.»

Rimasto solo, Ranma si guardò i palmi delle mani. Questione di giorni e poi quella pazza sarebbe tornata da lui, per riportarlo indietro, in Cina… e chissà quale sporco trucchetto avrebbe utilizzato questa volta per costringerlo a unirsi a lei in matrimonio! Prima del suo ritorno, devo assolutamente trovare Akane, costi quel che costi. Devo avere l’opportunità di spiegarle quello che è successo… perché l’ho lasciata a pochi giorni dal nostro matrimonio… Ah, eravamo dei semplici ragazzini, al tempo! Era proprio sicura di volersi sposare con me? Con me che non potevo offrirle nulla, se non il mio cuore e – ovviamente - la mia abilità nelle arti marziali? pensò il codinato, volgendo lo sguardo verso il giardino deserto. Una leggera brezza primaverile si stava levando da terra, facendo tintinnare leggermente la campanella appesa alla porta. Tutto lì fuori taceva, ad eccezione del lieve fruscio dell’acqua e l’agitarsi delle fronde degli alberi. Sarebbe mai riuscito a ritrovare quella pace che aveva perso?

«Ranma, vorrei presentarti la mia amica Keiko», esclamò improvvisamente sua madre, entrando nella stanza, seguita da una signora sulla sessantina. «È la sorella maggiore di una mia ex-compagna di scuola… Ti ricordi di Misaki? Ecco, lei.»

«Ah, sì…» disse Ranma, distratto. Come no… Le ricordo tutte le tue amiche, mamma.

«Io e Keiko ci siamo ritrovate da poco e ho scoperto che anche lei possiede un dojo, non è fantastico?» continuò Nodoka, eccitata, totalmente ignara che il codinato la stava ascoltando a malapena. «Mi ha raccontato che sta cercando un nuovo maestro di arti marziali… e ho pensato che tu… beh, che tu facessi al caso suo, capisci?»

«Pratichi anche tu le arti marziali?» gli chiese la presunta Keiko, guardandolo con rinnovato interesse. Ranma la osservò: sembrava una vecchia, con quelle orribili rughe e quelle labbra sbavate di rosso! Per non parlare delle ciglia, impiastricciate di mascara!

Ma che vado a pensare? «Sì, me la cavo abbastanza», rispose il ragazzo, annuendo con la testa.

«Oh, tesoro, non essere così modesto», commentò sua madre, guardando prima lui, poi quella vecchia zitella. «Il mio Ranma è un grandissimo combattente! Penso che sia il più forte di tutto il Giappone!»

Non esageriamo, ora, si disse Ranma, prima di essere interrotto dall’ennesima domanda di quella signora impicciona. «Quanti anni hai, ragazzo?»

«Ventiquattro.»

«Oh, proprio come l’altra insegnante nella mia palestra! Che ne dici di venire a fare un salto da me, domani? Così mi mostri quanto te la cavi!» esclamò Keiko, prendendogli le mani.

Il codinato represse l’impulso di ritrarsi. Cos’era tutta quella confidenza?! «D’accordo.» Tanto non ho di meglio da fare e non saprei nemmeno dove cominciare a cercare Akane… insomma, non posso mica presentarmi da lei così e dirle: ‘Ehi, sono tornato! Come te la passi?!’
 
***
 
Quando tornò a casa, la luna era già alta nel cielo da qualche ora. Solitamente, non le piaceva aggirarsi da sola di notte per il suo quartiere, ma Kasumi aveva insistito tanto, perché rimanesse anche a cena. Come se non bastasse, dopo mangiato, Asuna si era messa a fare i capricci, continuando a ripetere di non volere che la sua zietta preferita se ne andasse. Tornerò un giorno di questi, promesso, le aveva detto Akane, prima di filarsela. Per poco, non aveva perso anche l’ultimo treno!

Lasciò cadere il borsone a terra e si tolse le scarpe all’ingresso. Al contrario dell’appartamento di sua sorella, il suo era davvero silenzioso. A volte, si sentiva un po’ sola… ma forse, quella solitudine sarebbe svanita, una volta che si fosse sposata. Chissà se anch’io e Shin riusciremo a mettere su famiglia, pensò l’artista marziale, accendendo la luce dell’ingresso e ciabattando verso camera sua.

L’arredamento della sua stanza era piuttosto scarno. Un grosso letto a due piazze ne occupava interamente un lato ed era affiancato solo da un comodino di legno, sopra cui Akane aveva posto una lampada e la sua – tanto odiata– sveglia. Più in là, vi era un piccolo comò, su cui erano poggiate alcune fotografie: certe la ritraevano insieme a Ukyo e Akari, le sue amiche di sempre; altre in compagnia di Shinnosuke, durante la loro prima vacanza insieme; mentre una, in particolare, raffigurava i suoi genitori nel giorno del loro matrimonio. In quella fotografia, Soun e Midori Tendo si tenevano per mano e sorridevano felici. Sembravano avere l’uno solo occhi per l’altra. Quanto le mancavano…  
A completare il tutto, accanto alla porta, c’era un armadio a specchio. Akane ne aprì un’anta per prendere il pigiama e l’occhio le cadde inevitabilmente sul baule. In un attimo, le parole di sua sorella tornarono a ronzarle nelle orecchie: Ecco, il vestito… Perché non fai aggiustare quello che tieni dentro l’armadio…? So bene che ce l’hai ancora… chiuso dentro a un baule.

Ancora pensierosa, la piccola Tendo si accovacciò e lo estrasse dall’armadio. Si soffermò, per alcuni secondi, a carezzarne la superficie di legno su cui era stato intagliato un disegno floreale; poi la sua mano scese sulla serratura, facendola scattare.
Il baule si aprì con un cigolio, levando una piccola nube di polvere. Akane starnutì e sventolò una mano di fronte al viso per disperderla. Da quanto tempo non apriva quell’affare? Puzzava dannatamente di vecchio e di chiuso… eppure, le sembrava ancora di conoscere il suo contenuto alla perfezione.

Passò le dita sul tulle bianco dell’abito da sposa, ripiegato su se stesso e riposto accuratamente sul fondo. Era appartenuto a sua madre e Kasumi aveva voluto aggiustarlo e ricucirlo, affinché fosse della sua misura. Alla fine, quando lo aveva indossato per la prima volta, si era sentita una principessa, con quel corpetto impreziosito di perle e quella gonna ricolma di balze. Ranma non l’aveva vista, ma l’aveva comunque presa in giro, dicendo che probabilmente qualsiasi abito le sarebbe stato male, a causa dei fianchi larghi e del suo sex-appeal riconducibile a quello di un bradipo. La piccola Tendo gli aveva mollato un ceffone e gli aveva urlato che era un idiota e un cafone. A quel ricordo, Akane si mise a ridere e scosse la testa. Era davvero uno scemo!

Il suo sguardo si posò, quindi, su un cofanetto in feltro blu, accanto al vestito. L’artista marziale distese le labbra in un sorriso: quello era un regalo di Nodoka, la madre di Ranma… all’apparenza, poteva sembrare un anello di fidanzamento, mentre in realtà era una scatola di medicinali. Per dargliela, il suo ex fidanzato, goffo com’era, aveva scatenato il putiferio a scuola!
Akane la afferrò, ma, nel momento esatto in cui la aprì, qualcosa cadde a terra e tintinnò leggermente sul pavimento.  La ragazza si girò e scorse una fedina d’oro, al centro di cui brillava una piccola pietruzza bianca. Caspita, mi ero dimenticata del mio anello di fidanzamento, pensavo di averlo perso! Lo raccolse e lo ripose accuratamente nella confezione, che richiuse con uno scatto. Ma che sto facendo? pensò, sconsolata, sedendosi meglio sui talloni. Perché sto pensando a Ranma? Dovrei avere occhi solo per Shinnosuke… chissà cosa sta facendo lui in questo momento.

Si allungò per prendere il cellulare, ma l’occhio le ricadde, ancora una volta, all’interno del baule. Appoggiò nuovamente il telefono sul pavimento ed estrasse una vecchia cornice in vetro piena di polvere. Akane vi soffiò sopra, riscoprendo la fotografia al suo interno: la ritraeva insieme a un numeroso gruppo di persone sulla spiaggia dell’Isola delle Illusioni. Ricordava ancora quella sottospecie di vacanza: quell’idiota di un Kuno Tatewaki aveva invitato lei e la sua amata ragazza con il codino a fare un giro sul suo nuovo yacht e a quell’incursione, avevano deciso di unirsi le sue sorelle, suo padre, Genma Saotome… Ukyo, Ryoga… persino quella gatta morta di Shan-pu, Obaba e quella papera starnazzante di Mousse! Un’improvvisa tempesta li aveva colti di sorpresa e così, erano finiti su quell’isola apparentemente deserta! Presto, però, si erano accorti di non essere soli, perché pian piano, tutte le ragazze, lei compresa, erano state rapite per essere portate nel palazzo di un misterioso Toma. Costui avrebbe dovuto decidere tra di loro chi prendere in sposa!
Ranma, dopo essersi trasformato in donna ed essersi vestito in modo indecente, aveva provato in tutti i modi a conquistare quel ragazzino, ma alla fine, la scelta di quest’ultimo era ricaduta su di Akane… solo perché aveva un caratterino tutto pepe!
L’artista marziale rise e si soffermò a osservarsi da sedicenne, con i capelli tagliati a caschetto e quel vestitino bianco, che le copriva a malapena il fondoschiena… poi, spostò gli occhi sul suo ex fidanzato, alle cui braccia erano aggrappate da una parte Shan-pu, dall’altra Ukyo, entrambe sorridenti. Una crepa attraversava il vetro della cornice, dividendola in due. Akane ci passò il dito sopra, stando attenta a non tagliarsi. Era stata lei a romperla.

Quel giorno, aveva ricevuto una telefonata dal codinato sottoforma di ragazza: era andato in Cina per tornare normale ed evidentemente, non aveva ancora avuto modo di immergersi nella fonte della Nan Nichuan.

Lei gli aveva raccontato quanto fosse impegnata con i preparativi del loro matrimonio e, lui, di tutta risposta, aveva sospirato. Dopo un breve silenzio, si era finalmente deciso a parlare. Senti, Akane, devo dirti una cosa, le aveva detto, improvvisamente serio.

La giovane artista marziale si era subito preoccupata; gli aveva chiesto cosa c’era che non andava e lui le aveva risposto: Non voglio più sposarti, non mi va. Questa decisione l’hanno presa i nostri genitori… non dirmi che tu, invece, avevi sul serio intenzione di unire la tua vita alla mia?

Akane aveva aperto la bocca, con la gola improvvisamente secca. Ma che vai dicendo? Certo che non voglio sposarmi con un idiota come te! Io li odio gli uomini, li ho sempre odiati! gli aveva urlato, ricacciando indietro le lacrime, che ostinavano, però, a scendere, bagnandole il viso.

Perfetto, allora tra noi è finita. Non cercarmi mai più, aveva concluso Ranma con una punta di stizza nella voce, prima di chiudere la chiamata.

Non l’aveva nemmeno salutata. La piccola Tendo si era accasciata a terra, singhiozzando, ed era così che l’avevano trovata le sue sorelle.
Più tardi, era andata in camera sua e, in un moto di rabbia, aveva scaraventato la cornice contro il muro. E lì, era restata per giorni interi, settimane… finché lei non l’aveva raccolta, per riporla in quel baule.

Per un po’ di tempo, si era rifiutata a parlare di Ranma, a raccontare in giro quello che era successo, persino a pronunciare il suo nome!... poi, aveva incontrato Shin e la sua rabbia era lentamente calata, fino quasi a dissolversi.

Il suo ex fidanzato faceva parte del passato e, nonostante i suoi sentimenti per lui fossero sbiaditi con il tempo, il suo ricordo non poteva essere cancellato. Akane un po’ lo odiava per questo… «Stupido idiota», mormorò, poggiando la cornice sopra il vestito.

Smettila di pensare a lui, cretina… Fra poco ti sposi con un uomo straordinario che non fuggirebbe mai da te, come, invece, ha fatto quel vigliacco! le sussurrò una voce nella sua mente.

Già, Shin era meraviglioso, premuroso, non l’aveva mai presa in giro… con lui aveva ritrovato la felicità dopo tanto tempo! Non doveva pensare a Ranma, non era giusto nei suoi confronti!

Akane chiuse il baule e lo fissò, incerta, per qualche secondo. Un giorno, avrebbe dovuto buttare via tutte quelle cose. Ma quel giorno, non è oggi, pensò amaramente l’artista marziale, riponendo nuovamente il tutto all’interno del suo armadio.

 
Angolo autrice: Ciao a tutti! Come promesso, sono tornata dopo un mese con un nuovo capitolo!
Devo dire la verità: per questa storia provo una sorta di amore/odio... vorrei che Akane e Ranma si rimettero subito insieme ma, quando scrivo, so bene che non è giusto affrettare le cose... In fondo, la nostra protagonista ora è fidanzata con un altro e, ad essere sincera, odio
quando la ritraggono come una ragazzina 'frivola' che, anche se sta già con qualcuno, va a spassarsela con il nostro adorato codinato!
Comunque, sono particolarmente affezionata a questo capitolo - mi piace un sacco quando Akane pensa a Ranma... (sono disagiata perché mi sto lodando da sola, ahah!) - Spero che piaccia anche a voi e che continuiate a seguirmi! Non sapete quanta carica mi date con i vostri commenti oppure... quando aggiungete semplicemente questa fanfiction alle seguite/preferite/ricordate!
Un grazie di cuore va anche a Napee, la mia betareader, che continua a correggere le mie schifezze! 
Vi mando un abbraccio e ci riaggiorniamo al 6 Agosto.

Ayamehana.
  
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