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Autore: QueenOfEvil    01/07/2017    0 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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5. Scar. One may smile, and smile, and be a villain.

 

Quando i raggi del sole iniziarono ad illuminare le Pride Lands e riscaldare il terreno, segnando l’inizio di un nuovo giorno, Scar era già sveglio da tempo e squadrava il sorgere dell’astro con l’amara consapevolezza che nulla sarebbe cambiato al suo tramonto. Aveva perso, con gli anni, l’abitudine di dormire fino in tarda mattinata che aveva da cucciolo, quando ancora gli sembrava di avere tutto il tempo del mondo a sua disposizione e che nulla potesse turbare quell’ordine di cose apparentemente eterno, in maniera direttamente proporzionale a come Mufasa sembrava invece avere adottato quella filosofia di vita in gioventù tanto avversa, accogliendo con gratitudine il sonno ristoratore.

Il leone storse la bocca a quel ricordo assolutamente sgradito, per poi modificare la sua espressione in una smorfia infastidita alla vista del Re, ancora insonnolito, che usciva dalla grotta in cui aveva trascorso la notte, circondato dalle leonesse e alla sua preziosa Sarabi, in compagnia della palla di pelo meglio nota come Simba. A sei mesi dalla sua nascita, era impressionante quanto somigliasse al padre quando aveva la sua stessa età: gli stessi occhi marroni, lo stesso manto color miele, perfino i pochi ciuffi di pelo che aveva all’estremità della coda erano della stessa sfumatura della criniera del genitore, tanto che a Scar sembrava di avere davanti due Mufasa, passato e presente, quando l’unico che sarebbe stato grato di osservare era quello futuro, vecchio, privo della sua imponente figura e, ultimo ma non meno importante, possibilmente morto. Il sentimento di odio feroce che sentiva per il sovrano si era in breve quindi trasferito anche al leoncino che, incurante e probabilmente neanche consapevole del disgusto con cui lo zio stava guardando le sue mosse, si affrettava a trascinare un padre piuttosto divertito dal suo entusiasmo verso la sommità della Rupe. Il leone dal manto scuro volse loro le spalle, alzando gli occhi al cielo e tristemente consapevole di quello che sarebbe stato il prossimo passo: il suo adorato fratellone aveva avuto lo stesso dialogo con Ahadi anni prima e, sebbene egli, per motivi evidenti, non avesse potuto assistere in prima persona, gli era piuttosto chiaro di cosa avrebbero parlato. Il Cerchio della Vita… l’armonia che accomuna tutti gli esseri viventi… e tante altre scempiaggini simili: tutti nella sua stirpe sembravano avere in comune quello sciocco sentimentalismo. Beh, tutti tranne lui, a cui quei discorsi erano sempre sembrate favole, piacevoli da ascoltare come cucciolo, ma che non aveva mai preso in considerazione seriamente come sembrava necessario fare. 

Era un’altra delle tante prove sulle basi delle quali proclamava la sua indubbia superiorità, il suo far prevalere sempre una logica fredda al punto di sfociare nel cinismo sulle emozioni, un altro dei segni che avrebbero a parer suo reso la sua figura un sovrano molto più degno e grande di quanto Mufasa avrebbe mai potuto diventare e lo stesso discorso si poteva fare per Simba, vista la sua propensione a camminare esclusivamente sulle orme del genitore. Aveva tentato ogni via gli fosse venuta in mente in quei sei mesi, ogni spiraglio che potesse lasciare intravedere la minima speranza di sbarazzarsi di quei due e finalmente raggiungere il suo obiettivo, ma a nulla era valso il suo sforzo o quello, seppur scoordinato e, sospettava, neanche troppo costante, delle iene: se lo scontro frontale era fuori questione, e lo era, di questo era assolutamente certo, anche altri tipi di approcci apparivano vani. Il re era inattaccabile, forte, protetto dai suoi lacchè di fiducia, e se anche fosse riuscito a colpirlo sarebbero sempre sorti due problemi: il primo, meno grave e più facilmente risolvibile, era costituito dalla possibile presenza di un qualche testimone, come quell’insopportabile pennuto che gironzolava costantemente attorno a Mufasa, che potesse raccontare il vero sviluppo della faccenda e rendere vani i suoi sforzi. Il secondo, che invece lo preoccupava alquanto, era la presenza del pargolo reale: ponendo anche come ipotesi, ed era una grande ipotesi, visti i fatti correnti, che si fosse in qualche modo liberato del fratello e avesse con successo fatto ricadere la colpa su qualcun altro, il cucciolo sarebbe comunque rimasto in vita, pronto a prendere il suo posto come legittimo re non appena fosse giunto all’età adatta. 

Era nato per governare, non per ricoprire il ruolo di un semplice reggente!

La sua pazienza stava per giungere al limite, lo sentiva: erano anni, anni che aspettava il momento giusto, anni che calcolava, rifletteva, attendeva il giorno in cui Mister Perfezione avrebbe finalmente commesso uno sbaglio di cui avrebbe potuto approfittare e ora quel micio, quel micio spelacchiato lo spodestava ancora una volta dalla posizione che sarebbe dovuta toccare a lui. Si voltò, suo malgrado, guardando di sbieco il quadretto padre e figlio con un’espressione che lasciava trasparire solo in minima parte la quantità enorme di bile che provava a quella vista e inavvertitamente incrociando gli occhi di Sarabi.

“Buongiorno, Scar” la voce della regina, così calma e posata, aveva sempre il potere di confonderlo: ricordava perfettamente quanto fosse diversa da giovane, quanto amasse l’avventura e certamente non fosse altrettanto posata. Era anche vero che nessuno di loro era più lo stesso di qualche anno prima.

“E buongiorno a voi, Vostra Altezza” rispose, di malavoglia, senza potersi trattenere dall’aggiungere uno dei suoi soliti commenti “Perdonami se non mi inchino alla vostra presenza, ma sapete: temo che le tante sfide lanciatemi da mio fratello in gioventù abbiano compromesso le mie giunture”

“Potresti evitare di pronunciare veleno all’inizio di una così bella mattinata? Te ne sarei grata”

Quanto detestava quel tono di sufficienza mista a rimprovero con cui praticamente tutti si rivolgevano a lui, come se avessero il diritto di criticarlo seguendo l’esempio di Mufasa, che, a sua volta prendendo spunto da Ahadi, non si faceva mai mancare l’occasione: nessuno gli avrebbe più parlato in tal modo, nessuno si sarebbe più permesso di farlo, una volta che fosse diventato sovrano.

“Se mi togliessi anche questa soddisfazione non credi che sarebbe difficile impiegare le mie giornate?” le sorrise, sarcastico, nella speranza di smuovere e far cambiare quell’espressione di perenne disappunto che sembrava regnare sul suo muso. Tutto inutile, anzi, non sembrò neanche cogliere la provocazione e spostò l’argomento su qualcosa che Scar non aveva alcun desiderio di sentire.

“Tuo nipote vorrebbe conoscerti meglio, sai?” Non pensavano davvero di accollargli quella palla di pelo! Era già difficile tollerare la sua esistenza, non era sicuro che sarebbe riuscito a fare altrettanto con la sua presenza.

“Beh, tuo figlio dovrebbe imparare che non sempre si può ottenere quello che si desidera… anche se è difficile immaginarlo, guardando suo padre” ghignò, facendole finalmente alzare un sopracciglio e provando almeno una lieve sensazione di soddisfazione. Soddisfazione che durò molto poco.

“Un motivo in più per cui dovrebbe trascorrere più tempo con te” Quella frase gli avrebbe quasi fatto emettere un ringhio se fosse stato meno allenato a controllare le sue reazioni e, anche così, per meno di un secondo manifestò una chiara intenzione omicida nei confronti della leonessa. Voleva mettere fine a quella conversazione indesiderata il più in fretta possibile.

“In ogni caso, se ha preso la metà delle caratteristiche dei suoi genitori non credo che gli servirà a molto nella sua vita: meglio non sconvolgere la sua bella testolina con strani concetti quali “delusione” e “insoddisfazione”, non credi?” Senza aspettare la sua risposta, si girò di schiena e, lanciatale non più di un’occhiata di sbieco, saltò su una roccia più in alto e poi proseguendo in una strettoia, desideroso di trascorrere quante più ore possibili lontano da quell’agglomerato che qualcuno avrebbe definito impropriamente la sua famiglia.

                                                                    **************

Non sapeva quanto fosse passato dal suo incontro con Sarabi, ma certamente oramai era mattina inoltrata: stava camminando lentamente su una stretta lastra di pietra da cui poteva osservare tutta la savana e un sospiro uscì dalla sua bocca, realizzando come a quanto pare anche quel giorno si sarebbe svolto come i precedenti. Il cielo era azzurro, il sole splendeva, l’erba cresceva, gli animali nascevano, morivano e tutto era governato da Mufasa: sarebbe stato un quadretto quasi noioso e scontato, formato costantemente dalle stesse immagini che si ripetevano all’infinito, se non fosse stato per il tremendo senso di frustrazione che continuava ad attraversarlo. Doveva liberarsi di lui e del figlio in qualche modo, ma l’occasione continuava a sfuggirgli e quello che più lo infastidiva era proprio non riuscire a predisporre con successo una situazione che l’avrebbe visto vincente. Forse, se avesse avuto dei complici più capaci, invece di quel branco di idioti dal nome di iene che si trovava costretto a frequentare, la faccenda sarebbe risultata più semplice da sbrogliare, ma avrebbe dovuto arrangiarsi altrimenti: non era neanche il caso, a parer suo, di andare al Cimitero. Avrebbe solo perso tempo per sentirsi ripetere le stesse cose, insulsaggini mascherate da informazioni utili, e davvero non aveva la pazienza in quel momento per avere a che fare con una razza tanto inferiore a lui. 

Venne distratto dai suoi pensieri dall’arrivo di una delle figure che aveva tutta l’intenzione di evitare e dannò mentalmente suo fratello ancora una volta per ciò che gli imponeva di sopportare. Fece un movimento carico di stizzita noia con la zampa destra, buttando giù dalla scarpata sottostante un osso di scarto di un qualche animale: sarebbe stato bello, rifletté con rimpianto, potersi sbarazzare in modo altrettanto facile dell’inopportuna presenza alle sue spalle.

“Zio Scar! Indovina!” Simba gli corse incontro, con la stessa andatura gongolante che anche Mufasa, prima di lui, adottava quando era eccitato per qualcosa: gli ricordava così tanto suo fratello da fargli venire mal di stomaco solo a vederlo. Tentando di levarselo dai piedi in fretta e possibilmente in modo indolore, gli rivolse una breve occhiata, prima di replicare, senza neanche sforzarsi di mascherare il cinismo nella sua voce, sicuro che tanto il cucciolo, tutto preso da chissà quale novità, non l’avrebbe compreso.

“Io detesto gli indovinelli” Ora, se il suo interlocutore fosse stato intelligente avrebbe senz’altro compreso che la sua presenza non era gradita e avrebbe tolto il disturbo. Sfortunatamente per Scar, a quanto pare l’ingenuità dell’altro era ancora troppo spiccata per recepire il messaggio.

“Io sarò il Re della Rupe dei Re!” E secondo lui non lo sapeva? Questa non era una novità, ma una scomoda evidenza sbattuta in faccia; a quanto pare era un’altra caratteristica che padre e figlio avevano in comune: amavano ricordare, anche inconsciamente, al prossimo quanto loro fossero migliori e più fortunati di loro.

“Oh, congratulazioni” rispose, sarcastico, nel vano tentativo di smorzare l’entusiasmo del cucciolo.

“Il mio papà mi ha appena fatto vedere tutto il regno ed io lo comanderò tutto quanto! Ah!” Anche ridondante, la palla di pelo: non riusciva proprio a capire come la savana sarebbe potuta essere governata da un simile individuo. Era ancora giovane, molto giovane, d’accordo, ma aveva anche tutte le premesse per diventare esattamente come il padre e niente poteva fare meno piacere al leone dal manto scuro che venire costantemente ricordato di come la stirpe dei re sarebbe andata avanti senza lasciare traccia di lui. Sforzandosi di non commettere gesti di cui si sarebbe potuto pentire, continuò a rispondere al nipote sullo stesso tono.

“Sì? Beh, scusami se non salto dalla gioia… la mia povera schiena, sai?” Schiena che il suo paparino gli aveva distrutto un numero imprecisato di volte nella loro gioventù a forza di saltargli addosso, rifletté, e, anche se sicuramente non era quello il motivo per cui si trovava ad essere tutto meno che entusiasta per l’ovvia rivelazione di Simba, era possibile che non fosse poi così falsa. 

Si lasciò quindi contemporaneamente cadere su un fianco con rassegnazione: quella conversazione non faceva che continuare ad invogliarlo a trovare un modo per liberarsi del micio spelacchiato lì presente… ma come toglierlo di mezzo senza incappare nella furia del fratello? Avrebbe potuto chiedere l’aiuto delle iene, certo lui non era il tipo da sporcarsi le zampe, ma non era sicuro che sarebbero riuscite a portare a termine il lavoro e le conseguenze nel caso avessero fallito e il suo ruolo fosse venuto allo scoperto sarebbero state troppo grandi per rischiare e in più… come rimediare alla distanza fra il territorio di Mufasa, sempre illuminato dal sole e splendente, con quello delle iene, scuro e inospitale, dove presumibilmente sarebbe dovuto capitare la sua vittima?

“Ehi, zio Scar!” Simba gli si appoggiò sulla criniera, mettendo seriamente alla prova i suoi nervi e tentandolo seriamente di scrollarselo di dosso rudemente: anche questa convinzione intrinseca nella sua persona che chiunque avesse sempre voglia di avere a che fare con lui e che nessuno potesse trovarlo irritante era una caratteristica che non poteva che aver preso dal padre. Se i combattimenti giocosi almeno erano cessati con la crescita, lo zio pensò che purtroppo quell’aura di sicurezza e superiorità non l’avrebbe mai abbandonato. “Quando sarò re, tu che cosa sarai?”

“Nulla, sciocco cucciolo, nulla se non un’ombra. Ed è per questo che sto tentando di liberarmi di te e del tuo insulso parente… se solo tu mi dessi uno spunto, una possibilità per farlo te ne sarei grato” ovviamente queste parole non uscirono dalla sua bocca, sostituite da un annoiato “Lo zio di un curioso”

E mentre quella replica veniva pronunciata, Scar ebbe quella che avrebbe definito un’illuminazione. Sì, il cucciolo era esattamente come Mufasa ed esattamente come Mufasa era costantemente alla ricerca di avventura… ricordava molto bene l’idea che il fratello aveva avuto di visitare il Cimitero degli Elefanti, una delle sue poche trovate che, anche se indirettamente, era stata vantaggiosa per il minore, ed era assolutamente certo, sicuro, che neanche la sua prole avrebbe resistito ad una sfida simile. Certo, doveva fare in modo che sembrasse una sua idea, in modo che, qualsiasi fosse stato l’esito della sua esplorazione, non fosse possibile dare la colpa a lui.

Simba nel frattempo stava ridendo alla battuta dello zio, completamente ignaro degli oscuri pensieri che stavano attraversando la sua mente, e, rotolato al suo fianco, gli rivolse un’occhiata divertita: “Se così strano” gli disse, incrociando le zampe davanti e squadrandolo con giocosità. Sì, sarebbe stato quasi troppo facile convincerlo a fare esattamente come desiderava, talmente facile che Scar si domandò, sorpreso, come quella possibilità non gli fosse venuta in mente prima. Beh, in ogni caso, meglio tardi che mai.

“Non ne hai la più pallida idea” gli rispose, sorridendo per la prima volta dall’inizio della conversazione “Come non hai la più pallida idea di tante cose, piccolo” pensò, alzandosi e iniziando a mettere in pratica quello che fino ad allora aveva solo considerato ipoteticamente.

“Allora, il tuo paparino ti ha mostrato tutto il regno, vero?” continuò, con un’espressione e un tono assolutamente noncurante, come se l’argomento non gli interessasse per nulla e controllando al contempo la reazione del suo interlocutore.

“Tutto quanto” Sì… di questo non era così sicuro. Conoscendo il padre, non avrebbe mai potuto mettere a conoscenza il figlio di un luogo quale l’ossario, soprattutto perché, certamente memore delle sue esperienze giovanili, aveva considerato, e a ragione, che era meglio che una sua piccola copia non venisse a sapere della possibilità di provare un brivido di avventura in un modo tanto pericoloso. Il buonsenso era un’altra delle qualità che a quanto pare mancavano in quella linea genetica.

“Ti ha fatto vedere cosa c’è dietro l’altura del confine Nord?” gli chiese dunque, con la medesima espressione sul muso, sedendosi e squadrando il cucciolo, trattenendo poi un’esclamazione di vittoria quando gli vide abbassare le orecchie e sedersi, pensieroso e anche un po’ deluso.

“Eh, lì no. Ha detto che non ci posso andare” Perfetto! Basandosi sulla sua esperienza personale, Mufasa da piccolo non aveva mai reagito molto bene ai divieti e se Simba era davvero così simile al genitore quanto lui sperava che fosse…

“Una decisione assolutamente sensata, è troppo pericoloso!” si affrettò quindi a replicare, sforzandosi di apparire in perfetto accordo con il fratello e al contempo di suscitare una reazione totalmente opposta da parte del suo interlocutore. Vedendolo alzare le orecchie con maggiore interesse, pensò di toccare un altro tasto che sapeva avrebbe funzionato fin troppo bene: l’orgoglio. “Solo i leoni più coraggiosi ci possono andare”

“Io sono coraggioso! Cosa c’è?” Gli sembrava che il leoncino stesse seguendo un copione, tanto le sue rispose coincidevano con il programma che si stava rapidamente delineando nella mente di Scar: la sua mente era sempre stata veloce, molto più veloce di quelli che gli stavano attorno, ma in quel momento stava viaggiando con un ritmo che non aveva più sperimentato da anni, da quando gli sembrava di aver perso ogni speranza di arrivare ai suoi obiettivi.

“Mi dispiace Simba, non posso proprio dirtelo” La parte dello zio premuroso era così esilarante da recitare che si sorprendeva per ogni parola che riusciva a pronunciare senza scoppiare a ridere: qualsiasi cosa fosse successa, in questo modo, le sue zampe sarebbero state pulite come quelle di un cucciolo appena nato.

“Perché no?” Non aveva mai considerato la petulanza come una caratteristica positiva, ma in quel momento si ritrovò a benedirla, mentre, con finto affetto, strofinava la sua zampa sulla testa del nipote, guardandolo con condiscendenza.

“Simba, Simba, mi sto solo preoccupando per il mio nipote preferito”

“Sì, certo, sono il tuo unico nipote” rise l’altro, scostandosi.

“E se tutto andrà come spero presto non ne avrò neanche uno” sorrise dentro di sé il leone, prima di continuare con la sua recita “Una ragione in più per essere protettivo verso di te. Un Cimitero degli Elefanti non è un posto per un giovane Principe… Ops!” si coprì la bocca, fingendo sorpresa e rammarico per quello che aveva detto: in realtà, era anche per nascondere il piccolo sorriso che si stava facendo strada fra i suoi denti.

“Un cosa di elefanti? Wow!” l’espressione eccitata di Simba gli confermò che i suoi sforzi non erano stati vani: a quanto pare, sembrava che finalmente il destino avesse deciso di aiutarlo. E sarebbe anche stato dovuto, visto quanto aveva sembrato favorire Mufasa in tutti quegli anni.

“Oh, che stupido, ho parlato troppo!” Simulando senso di colpa e costernazione, si portò una zampa alla fronte, chiudendo gli occhi ed esagerando volutamente nella sua recita, sicuro che il cucciolo, che a quanto pare non brillava per ingegno, avrebbe creduto alle sue intenzioni genuine “Beh, tanto prima o poi l’avresti scoperto: del resto tu sei così intelligente!” L’adulazione funzionava sempre e di questo aveva avuto la riprova negli anni passati, inoltre era bene che il suo interlocutore avesse una buon iniezione di fiducia prima di tentare di avventurarsi nel Cimitero: era assolutamente certo che non ci sarebbero stati problemi, ma non voleva rischiare che il nipote avesse un’improvvisa botta di buon senso e decidesse di lasciar perdere la faccenda.  Lo tirò quindi a sé nel simulato tentativo di dissuaderlo dal tentare ciò che, invece, si augurava di tutto cuore che facesse.

“Senti, fammi un favore: promettimi che non andrai mai in quell’orribile posto”

“Tranquillo” La voce di Simba era tutto tranne che convinta e, Scar ne era sicuro, avrebbe fatto il contrario di quanto promesso: finse in ogni caso di essere tranquillizzato dalla sua affermazione, e in effetti lo era, ma per motivi diametralmente opposti, e lo spinse affettuosamente, o meglio, in un modo che si augurò sembrasse sufficientemente affettuoso.

“Bravo il mio ragazzo. Ora vai a giocare e divertiti… e ricorda il nostro piccolo segreto” Lo guardò allontanarsi correndo, potendo finalmente sorridere di soddisfazione: sentiva che qualcosa si stava mettendo in moto, una buona volta, e avrebbe fatto in modo che quell’occasione, che gli si presentava più sfolgorante che mai, non venisse sprecata.

Forse, dopotutto, il giorno non si sarebbe concluso allo stesso modo di come era iniziato.

 
   
 
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